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#nello aprile
uwmspeccoll · 6 months
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Milestone Monday
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The King's Hares, from Norway
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The Princess with the Twelve Pair of Golden Shoes, from Denmark
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Queen Crane, from Sweden
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The Rooster, the Hand Mill and the Swarm of Hornets, from Sweden
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Ti-Tirit-Ti, from Italy
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The Adventures of Bona and Nello, from Italy
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The Hedgehog Who Became a Prince, from Poland
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The Flight, from Poland
April 1st is the birthday of American librarian and storyteller Augusta Braxton Baker (1911-1998). Born to two schoolteachers in Baltimore, Baker was a voracious student who read at a young age and careened through elementary and high school. With advocacy support from Eleanor Roosevelt, Baker was admitted to the Albany Teacher’s College and in 1934 earned a B. A. in Education and a B. S. in Library Science making her the first African American to earn a librarianship degree from the college.  
In 1939, Baker went on to work as the children’s librarian at New York Public Library’s Harlem branch, founding the James Weldon Johnson Memorial Collection of Children’s Books to showcase representation of Black children and life in books, and beginning a lifelong career with children’s literature and the New York Public Library (NYPL). In 1953, she was appointed Storytelling Specialist and Assistant Coordinator of Children’s Services, quickly moving into the Coordinator of Children’s Services position years later and becoming the first African American to hold an administrative position with NYPL. Throughout her career, Baker was active with the American Library Association, and chaired committees for the Newbery Medal and Caldecott Medal recognizing excellence in children’s literature. 
In celebration of Baker’s birthday, we’re sharing The Golden Lynx and Other Tales, a collection of international folk tales compiled by Baker and illustrated by Austrian artist Johannes Troyer (1902-1969). This is the first edition of the book published in 1960 by J. B. Lippincott and is signed by Baker, who writes in the introduction, “No story has been included in this collection that has not stood the supreme test of the children’s interest and approval”. 
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– Jenna, Special Collections Graduate Intern 
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palmiz · 5 months
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12 aprile 1961. Jurij Gagarin è il primo uomo nello spazio.
Splendide le sue parole di pace durante l'impresa: “Da quassù la Terra è bellissima, senza frontiere né confini. [...] Girando attorno alla Terra, nella navicella, ho visto quanto è bello il nostro pianeta. Il mondo dovrebbe permetterci di preservare ed aumentare questa bellezza, non di distruggerla!”
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fridagentileschi · 8 months
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Malva Marina Reyes Hagenaar, la figlia abbandonata di Neruda
Il poeta cileno, Pablo Neruda,ha avuto un'unica figlia dalla prima moglie, María Antonia Hagenaar Vogelzang di origine ebraica che lui aveva ribattezzato ''Maruca''. La bambina nata a Madrid, al principio era stata accolta con gioia dal poeta..fino a quando non seppe che la bimba era affetta da idrocefalia, allora non ci pensera' due volte ad abbandonare mamma e figlia-
Tornera' in Cile a scrivere le sue poesie e a vivere nuove storie d'amore. La moglie che gli neghera' il divorzio provera' a chiedergli aiuto per la figlia che non puo' ne' parlare ne' camminare ma non ricevera' piu' nulla.
La moglie con l'aiuto di un amico andra' a vivere nella capitale olandese essendo lei di origine olandese.
Le difficoltà si susseguono. Maruca vive in pensioni , il denaro si esaurisce e sua figlia, con il cervello sempre più pieno di liquido, richiede molta più attenzione. Attraverso organizzazioni religiose come Christian Science, Maruca riesce a trovare una famiglia di olandesi residenti a Gouda. Hendrik Julsing e Gerdina Sierks che si accordano per prendersi cura della bambina mentre sua madre cerca lavoro a L'Aia, a meno di un'ora di auto. È trattata come una di famiglia fino alla sua morte, ad otto anni, il 2 marzo 1943. Assumono persino una babysitter, Nelly Leijis, per dedicarsi esclusivamente alla bimba.
Maruca, nel frattempo, non rifiuta nessun lavoro. Si offre di pulire i pavimenti, prendersi cura dei malati, qualunque cosa serva per aiutare la figlia indifesa.
Non ha piu' i genitori e sua figlia cammina verso una fine drammatica. Attraverso la mediazione trova finalmente lavoro, anche se non ben pagato, presso l'ambasciata spagnola a L'Aia. È sotto il comando di José María Semprún, padre dello scrittore Jorge Semprún, poi espulso nel 1964 dal Partito Comunista di Spagna (PCE), che Pablo Neruda ammirava così tanto. Ciò che questa donna deve ancora soffrire non lo immagina.
Poco prima della fine della seconda guerra mondiale, María Antonia fu arrestata dai nazisti - non per essere ebrea, ma per avere un passaporto cileno - e internata nello stesso campo di concentramento dove si trovava Anna Frank. Da Westerbork, progettato per ospitare 107.000 prigionieri, di cui circa 60.000 morti, per lo più ebrei e zingari ai crematori e alle camere a gas di Auschwitz e Treblinka, in Polonia. Maruca vi trascorre un mese tra filo spinato, soldati delle SS e cani addestrati a uccidere. Ma questa volta la fortuna non le avrebbe voltato le spalle. Quando il campo fu rilasciato (15 aprile 1945) dalle truppe canadesi, trovarono vivi solo 876 prigionieri. E tra questi, la moglie abbandonata di Neruda. Nove giorni prima dell'apertura delle porte dell'inferno, Anna Frank, la sua vicina di campo, morì lì.
Non è rimasto nulla di Maria Antonia Hagenaar. Non una lapide che indica la fine del suo percorso . Tre anni dopo il suo rilascio, si reca in Cile per cessare il doloroso capitolo nerudiano. Nel novembre del 1948 firmò il divorzio e un accordo finanziario. Gli ci voleva ancora per tornare in Olanda. Dicono che sia diventata dipendente dall'oppio. Fino a che un cancro la uccise, nel 1965, a L'Aia,ha chiesto di essere seppellita non lontano dalla tomba dove sono i resti della sua amata Malva Marina, che non smise di visitare fino alla fine dei suoi giorni.
L'esistenza di queste due creature e' stata ignorata fino ad ora e sfido a trovarne traccia nella patria di Neruda, il poeta che canto' l'amore come pochi...ma come tanti non seppe amare mai.
Incredibile come nella storia dei comunisti non si trovi un solo essere degno di essere chiamato umano!
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fashionbooksmilano · 4 months
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Frigorifero d'Arte
Dolce&Gabbana - Smeg, Metropol, Milano, 14-17 aprile 2016
Smeg Spa, Guastalla 2016, 18 pagine a colori, 15x21cm
euro 25,00
email if you want to buy [email protected]
Dolce&Gabbana e Smeg hanno unito le loro forze per un progetto unico che unisce le conoscenze come eccellenze del Made in Italy. Le capacità tecnologiche di Smeg si associano allo stile inconfondibile di Dolce&Gabbana. Il progetto si sviluppa sul frigorifero Fab 28, prodotto in 100 pezzi unici, ognuno dipinto a mano dagli artigiani Siciliani nello stile del Carretto Siciliano, ceramiche, pupi e molto altro. Una selezione di questi frigoriferi d’arte è stata presentata al Metropol a Milano durante il Salone Internazionale del Mobile 2016, che si è svolto dal 12 al 17 Aprile.
25/05/24
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diceriadelluntore · 6 months
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Storia Di Musica #320 - Arcade Fire, Funeral, 2004
La caratteristica comune dei dischi di Aprile è arrivata per caso, e mi ha fatto scoprire delle cose bellissime che non conoscevo. Sono per questo molto felice di presentarvi le mie scelte ma stavolta la caratteristica comune la tengo segreta per questo primo appuntamento, si capirà in seguito e vi invito anzi, per giocare insieme, a ipotizzare quale sia. Inizio raccontandovi di una band, e un disco, che hanno davvero segnato la storia della musica indipendente internazionale, facendo il successo di una formazione di rock canadese che nel corso degli anni ha continuato a stupire. Il nucleo originale del gruppo prende vita a Boston, dove si conoscono Win Butler e Josh Deu, che formano gli Arcade Fire. Passano poche settimane e si trasferiscono nel paese natio, precisamente a Montreal, dove fanno i primi concerti in piccole location, a feste private e persino nelle gallerie d'arte. A Montreal Win Butler incontra Régine Chassagne, che prima diventerà cantante e poi futura sua sposa, per un motivo che sta scritto nel libretto del disco di oggi:"il caldo costrinse i due a sposarsi". Registrano le prime canzoni con questa formazione: Chassagne-Butler, Josh Deu, il bassista Mules Broscoe, il chitarrista Dane Mills e a Brendan Reed alla batteria. Il primo EP esce a nome Arcade Fire nel 2002, ma fu l’inizio di un rinnovamento traumatico della formazione: Broscoe si chiama fuori dalla band, Mills abbandona nel modo più spettacolare, lasciando nel bel mezzo di un concerto alla Casa del Popolo di Montréal. In sostituzione dei due ex-membri subentrano il fratello di Win, William Butler, e Tim Kingsbury, e con questa formazione pubblicano un secondo EP, Us Kids Now. Prima della fine del primo anno di promozione, la band ottiene un contratto con l'etichetta indipendente Merge Records, che in quegli anni e in quelli a venire sfornerà gioielli musicali in serie, con la quale continua tuttora a pubblicare album. Entra in formazione Howard Bilerman alla batteria.
Nel 2004 la quasi sconosciuta formazione canadese dà alle stampe un album, Funeral (che si intitola così perchè durante la registrazione morirono parenti dei componenti della band) che nel giro di poche settimane fa gridare al miracolo. Gli Arcade Fire diventano la band più ammirata dai critici, che inseriscono Funeral nei primi posti delle classifiche non solo del 2004 ma del decennio, degli ultimi 25 anni, di sempre. Nasce una band di culto. Il loro suono è barocco, gioioso, ricco di sfumature con una sezione di archi dolente e armoniosa, la doppia voce Butler \ Chassange ad alternarsi, facendo un album che per meriti loro, per momento storico e per magia complessiva sembra perfetto. Il gruppo ha ben in mente da cosa partire: ci sono echi Bowie nella stupenda Rebellion (Lies) (che in Italia è famosa come sigla di Otto E Mezzo, il programma de La7 di Lilli Gruber), la linea di basso e il suono alla The Edge della chitarra, i New Order in tutta la serie di Neighborhood in 4 parti, denominate Tunnels, Laika, come la cagnetta che andò nello spazio, Power Out e 7 Kettles. Crown Of Love è magnifica e finisce in stile epico, Wake Up che è spectoresca nell’arrangiamento e nel finale stile U2 (Bono diventerà un grande ammiratore, e apriranno molti concerti del Vertigo Tour del 2005 della band irlandese, e la parte iniziale di Wake Up fu usata come intro a City Of Blinding Lights); Haiti, che è placida e sofisticata, mostra le loro qualità nelle ballate. Une Année Sans Lumière cambia il cantato dall’inglese al francese, ed è davvero ballabile e dolcissima. In The Backseat con la voce della Chassagne che sembra alzarsi all’infinito rispetto alla musica, è un crescendo emozionale da ricordare, con intermezzo di archi. Nonostante le evidenti ispirazioni tutto l’album è una continua sorpresa eccitante, tra le pieghe degli arrangiamenti, tra i piccoli assoli di strumenti inusuali (farfisa, xilofono, gli archi, un corno francese), tra la voce sincopata e trascinante di Butler e quella morbida e vellutata della Chassagne. Funeral fa rimanere basiti per come tutto l’insieme funzioni in armonia e con un gusto che manca a tante band di oggi.
Il disco vende già molto bene, ma è con Neon Bible (2007) che il successo diventerà internazionale: un disco più sofisticato, e anche più arrabbiato e teso, ammirato per canzoni come Keep The Car Running, No Cars Go e la splendida e dolente My Body Is A Cage, che verrà ripresa da Peter Gabriel in Scratch My Back del 2010, versione che fa da colonna sonora ad una delle puntate più intese della serie Tv culto House M.D. La triade iniziale trova il culmine con The Suburbs, del 2010, che debutta in vetta alla classifica di Billboard e vince il premio Grammy per il miglior disco dell’anno, primo lavoro di una casa discografica indipendente ad ottenerlo. Dello stesso disco, fu fatto una sorta di video documentario diretto da Spike Jones che verrà presentato a numerosi festival cinematografici internazionali: la band collaborerà alla colonna sonora del film Lei (Her) scritto e diretto da Spike Jonze che vede Joaquin Phoenix come protagonista, e alcuni dei brani per il film troveranno posto in Reflektor, altro disco grandioso, del 2013. Se non ho capito male, ritorneranno presto anche in Italia per dei concerti questa estate, sarebbe l’occasione migliore per scoprire una band dalle caratteristiche uniche e dalla musica speciale, che è stata protagonista influente e simpatica della musica degli ultimi 20 anni in maniera anche inaspettata.
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massimogilardi · 11 months
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Purtroppo poche sono le opere di Filippo Albacini e l’Achille morente è Firmato e datato con una targa scolpita sul basamento, composta da un’iscrizione a lettere capitali che ci informa dell’autografia della statua: “FILIPPO ALBACINI FECE ROMA 1854”.
L’imponente scultura dell’Achille morente è la più importante dei rari manufatti di Albacini. La figura nuda sdraiata è contraddistinta da una vigorosa monumentalità neoclassica e da una compiutezza anatomica da non poter avere dubbi che lo scultore abbia avuto l’ispirazione osservando i modelli di Antonio Canova.
L’artista dopo la formazione nello studio paterno, essendo il figlio del più famoso scultore Carlo, illustre restauratore dei marmi della collezione Farnese, risentì molto dell’influenza di Antonio Canova, che appoggiò la sua nomina ad accademico di San Luca il 7 aprile 1811.
Questa scultura Filippo la iniziò negli anni ’90 del Settecento e rimase nel suo studio fino alla sua morte e oltre, sino al 1890, quando viene raccontata come non finita e forse sappiamo il perché. Esiste un’altra versione dell’Achille che è preservata a Chatsworth, e fu fatta per il duca del Devonshire nel 1823. Osservando la grande somiglianza tra le due trasposizioni dell’eroe è ipotizzabile che l’opera dell’Accademia di San Luca, sia stata tralasciata per via della grave anomalia del marmo presente sul volto del prode Achille. Quindi quella realizzata in precedenza per il nobile committente britannico vedeva impiegato un blocco di marmo senza imperfezioni e di conseguenza lo scultore era riuscito a completare l’opera.
Rimane il fatto che la scultura rappresenta al sommo livello l’ideale classico cercato dall’autore.
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vividiste · 1 year
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Fonte LOVEPETS
Fb
66 anni fa, Laika è stata lanciata nello spazio.
Laika, il suo vero nome era Kudrjavka, in russo significa "Ricciola". " È stata catturata per strada, a Mosca.
Metà Husky e metà Terrier, aveva circa 3 anni all'epoca. È stata scelta perché calma, docile e perfettamente adattabile alla capsula Sputnik 2. Attrezzata per il supporto vitale (cibo e acqua), la missione non prevedeva il ritorno. Per Laika, era una condanna a morte.
L'interno del satellite era rivestito e lo spazio interno era abbastanza ampio da permettere a Laika di stare seduta in piedi. La temperatura interna era fissata a 15 gradi, e un sistema di refrigerazione doveva proteggere l'animale da eccessivi sovraccarichi termici.
Il 3 novembre alle 2 di notte, lo Sputnik 2 è stato lanciato nello spazio. Laika probabilmente è sopravvissuta per sette ore.
Ma alcune fonti sostengono che l'agonia è stata molto più lunga: quattro giorni.
Da sola, nello spazio.
Il satellite ritornò in atmosfera 5 mesi dopo, il 14 aprile 1958, dopo aver girato 2.570 giri intorno alla Terra.
Si è disintegrato al ritorno nell'atmosfera.
Ogni anno, prima dell'Autunno, mi sento costretto a raccontare questa storia e possibilmente farlo con parole nuove. C'è un profondo senso di colpa che tutti noi dovremmo provare leggendo quello che abbiamo fatto a Laika. Il progresso umano è stato spesso raggiunto a spese di animali che non hanno nulla a che fare con il nostro desiderio di supremazia.
Molti credono che questo sia stato un prezzo accettabile per le nostre conquiste, ma sembra ovvio, anche leggendo questa storia, che in realtà era solo una banale forma di prevaricazione.
Avevamo il dovere di scegliere un'altra strada.
Abbiamo ancora quel dovere oggi.
Mi dispiace che l'umanità ti abbia deluso, Laika.😪
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"Umanità".... Mi FAI SCHIFO😡.......
vividiste😪
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angelap3 · 5 months
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Oggi è il 15 Aprile ed in questo giorno, nel 1967, a Roma moriva il grande “Totò”. Era nato nel 1898, a Napoli con il nome di Antonio Vincenzo Stefano Clemente De Curtis, e fu tra i maggiori rappresentanti del teatro (presente in 50 commedie) e del cinema comico italiano (presente in 97 film) di tutti i tempi. Non fu riconosciuto dal padre e visse in estrema povertà la sua gioventù nel “Rione Sanità”. Non impegnato nello studio e distratto precocemente dalla passione per il teatro, dalla quarta elementare fù addirittura retrocesso in terza, dove iniziò ad intrattenere i compagni di scuola con piccole recite e battute. Dopo le elementari, al Collegio Cimino, il colpo di un pugno causato involontariamente da un precettore né causò una particolare deformazione al mento ed al naso, cosa che caratterizzò in seguito la sua “maschera” di comico. Abbandonò gli studi senza conseguire la licenza ginnasiale, ed a 15 anni iniziò ad esibirsi nei teatrini periferici con macchiette ed imitazioni con lo pseudonimo di “Clement”. Dopo la prima Guerra Mondiale (trascorsa in reggimenti a Pisa, Pescia e Livorno) riprese il teatro e tra il 1923 ed il 1927 si esibì nei maggiori caffè-concerto italiani raggiungendo notorietà nazionale con le sue macchiette e mimiche facciali.Negli anni trenta si dedicò all'”avanspettacolo” iniziando ad improvvisare ed inventare deformazioni linguistiche. Nel 1933, a 35 anni, fu adottato dal marchese Francesco Maria Gagliardi Focas di Tertiveri, nel 1937 visse il debutto cinematografico e nel 1938 perse la vista dall'occhio sinistro (cosa che mantenne segreta e che solo i familiari sapevano). In seguito lavorò con i massimi attori e registi italiani, raggiungendo il massimo successo popolare (anche se non di critica). Fu anche attore televisivo (con 9 telefilm) drammaturgo, poeta, paroliere, compositore e cantante. Paragonato ai massimi attori comici mondiali come Charlie Chaplin e Buster Keaton, ancora oggi è considerato il comico italiano più popolare di ogni tempo.
Bruno Pollacci
Direttore dell'Accademia d'Arte di Pisa
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tuttalamiavitarb · 5 months
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20 anni fa
Esattamente 20 anni fa , era aprile anche allora, ero stato in questa uggiossima città tra Galles ed Inghilterra.
Allora l economia tirava il PIL cresceva, l Europa univa, jef besos mendicava, il mondo era felice, io almeno ero felice.
Le aziende prese dall' euro entusiasmo si fondevano.
E tutto tronfio mi sono fatto Virgilio coi colleghi, conosco il posto, so tutto io.ci penso io. Sperando che il mondo avesse congelato tutto in attesa del mio ritorno.
Quindi con la squadra ci siamo piazzati nello stesso hotel dove avevo soggiornato allora, era carino e di fronte c'era questo centro commerciale con un sacco di posti per mangiare.
Capisco la brexit, il COVID, le guerre ,leman Brothers, i sub prime.
Ma come stracazzo abbiamo fatto a sfasciare tutto in 20 anni?
Che in Italia vada tutto a rotoli lo diamo per scontato , ma scoprire che il mondo intero vada a ramengo è di una delusione sconfortante.
L hotel si è trasformato in peggio, metà sono monolocali con bagno e cucina (sporca). L altra metà è in stile indiano, e secondo me è una versione evoluta dei nostri centri massaggi cinesi.
Il centro commerciale avrà 8 negozi aperti su 60. Tutto in preda all incuria, ci sono molti senza tetto.
Nel frattempo nei classici capannoncini rossi all inglese sono sorte altre attività un pub, un centro di ritiro per auto vendute on line, un negozio di cinesi , uguale ai nostri e un parco di gonfiabili per bambini.
C è un po' di vita, anche se gli inglesi hanno sempre un aria molto trasandata.
Mi siedo su un tavolo di quelli da sagra della polenta, una ragazza , una signora attacca bottone con noi
Da dove venite ? Come qua?
Veniamo da un posto uggioso come questo, solo con più sole
Siamo qua x la fabbrica, gliela indico con un cenno.
La riaprite? Era tutto più bello quando c'era lavoro alla fabbrica, piu soldi, meno sporco.
Rifletto se dirle la verità e cioè che siamo venuti a controllare che non ci fosse niente di valore da lasciare, poi la venderanno ad un fondo, che come tutti i fondi di investimento, licenzierà tutti, svenderà tutto e farà qualche speculazione immobiliare.
Invece rispondo "i Hope"
Parliamo del più e del meno dei suoi 2 figli da due compagni diversi, di jonshon, di calcio.
Quando scopre quanti anni ho rimane sorpresa , mi aveva fatto uno sconto di 15 anni.
Mi alzo per prendere una bevuta,quando torno lei è sparita
Anche stasera si tromba domani.
Che mondo di merda
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scara-bocchi · 1 year
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Il 4 aprile 1978 alle 17:15, più o meno, andava in onda il primo episodio di quel cartone animato che avremmo chiamato Atlas Ufo Robot e che invece avrebbe dovuto chiamarsi Ufo Robot Grendizer (o Ufo Robot Grendaiza, nella pronuncia alla giapponese), invece per noi italiani divenne Goldrake.
Già dalla sigla lo stile dell'animazione era molto diverso da quelli di Supergulp, il contenitore di programmi per ragazzi ideato dalla Rai in onda fino al giorno prima. Anche i personaggi apparivano meno caricaturati, più verosimili, in un certo senso.
Il robot protagonista era il mezzo con cui un principe di un pianeta lontano era scappato dal proprio pianeta, Fleed, invaso dall'esercito di un pianeta vicino, per trovare rifugio sulla Terra dove un astronomo lo aveva fatto passare per suo figlio.
Purtroppo le truppe di Vega, gli invasori del pianeta Fleed, ben presto spostano le loro mire espansionistiche sulla Terra e il principe di Fleed dovrà salire nuovamente sul robot Goldrake per combattere in difesa della sua nuova patria.
Goldrake mi è sempre piaciuto per l'idea del robot che viene inglobato in questo disco volante grazie al quale può volare nello spazio, una soluzione ingegneristica che mi affascina ancor oggi.
Ne sarebbero arrivati molti altri di robot, inclusi i due Mazinga che erano in realtà precedenti a Goldrake nella timeline, ma non lo sapevamo all'epoca: Goldrake era il primo per noi e lo è tutt'ora.
Non lo sapevamo ancora ma quel 4 aprile assistemmo al primo giorno dell'invasione nipponica nei canali televisivi italiani.
Nulla sarebbe stato mai più come prima.
Il disegno in alto è il mio personalissimo omaggio a Goldrake.
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ideeperscrittori · 6 months
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Ho fallito. Non sono riuscito a definirmi leghista nemmeno il primo aprile. Posso scrivere "Jovanotti è il più grande cantautore italiano" oppure "la battuta che definisce l'ora legale come l'unica cosa legale rimasta in Italia è bellissima e originalissima". ma anche nello scherzo ci sono dei limiti.
[L'Ideota]
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rideretremando · 27 days
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Una buona storia è fatta di questo: di un prima e di un dopo. Di un dopo necessitato dal prima, ma anche di un prima necessitato dal dopo. Tanti anni fa, in un bar dalle parti di Macchine – uno degli edifici della facoltà di Ingegneria della mia città, Padova – ebbe luogo una furibonda discussione a causa della morte, avvenuta in circostanze assai improbabili, di una persona a tutti nota – nota a tutto quel pubblico di pensionati impegnatissimi, alle dieci del mattino, nella compulsazione dei giornali e nella verifica di qualità del bianco della casa. Le due fazioni così si dividevano: quella morte, è stata fatalità, o destino? Fatalità (la discussione si svolgeva in dialetto, naturalmente) è il caso; destino è ciò che «sta scritto». Dopo aver lungamente e duramente discusso, unanimemente i due schieramenti pervennero alla decisione di ordinare un secondo giro di bianchetti, e di passare a un altro punto dell’ordine del giorno.
Un sacerdote al quale volli molto bene – è morto una quindicina d’anni fa – per molti anni frequentò in ospedale un reparto di malati terminali. Erano, all’epoca, soprattutto persone abbastanza giovani, in preda all’Hiv. Una sera, mentre nella sua 126 rossa andavamo da non so dove a non so dove, mi disse: «Andando lì ho capito una cosa. La vita umana non ha senso». Il che, detto da un sacerdote, potrebbe sembrare a prima vista blasfemo; in realtà è ortodossissimo. Se la vita umana come la conosciamo, se questa vita qui, sulla terra, avesse qualche chance di avere senso, a che cosa servirebbe l’immaginazione di un’altra vita, in un indescrivibile altrove? Dove non ci sarà né morte, né lutto, né dolore e, asciugati da ogni lacrima, i nostri occhi contempleranno l’origine e la fine di tutto.
Il romanzo, dico il romanzo così com’è andato assestandosi nelle sue forme e dei suoi modelli dal 25 aprile del 1719 in poi, è in fin dei conti stato a lungo un tentativo di fare a meno del mondo che verrà. Le vite dei personaggi trovano il loro senso, quasi immancabilmente, nello spazio compreso tra la prima e l’ultima parola della narrazione. Dico quasi: perché l’illuministico sforzo, in realtà, non riesce proprio a tappare tutti i buchi. Perfino nei «Promessi sposi», scolasticamente spacciato senza esitazioni come «il romanzo della Provvidenza», nell’ultimissima pagina, nelle ultimissime righe, Renzo e Lucia giungono alla conclusione che «i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani» (o, come si direbbe oggi, «la sfiga non ha regole precise»); e tale conclusione, «benché trovata da povera gente», pare al narratore «così giusta» da piazzarla lì, alla fine, come «il sugo di tutta la storia» (ed è chiaro che l’ulteriore considerazione, ossia che «i guai, quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore», è meramente consolatoria).
Peraltro nel corso dell’Ottocento i romanzieri, quasi in massa, caddero in preda a illusioni positivistiche: vedi ad esempio il grande affresco sociale di Balzac o le teorie pseudodarwiniane di Zola (che a Darwin, tra parentesi, avrebbero potuto solo fare ribrezzo). Ma una teoria pseudoscientifica (e vale la pena di ricordare che il positivismo, con tutto il suo idolatrare della scienza, fu un movimento di pensiero nei fatti antiscientifico) o l’ambizione di un «affresco sociale» (es. il «marxismo senza Marx», cioè senza filosofia, di Balzac) non riescono, non ce la fanno, a prendere il posto di un’immaginazione religioso-cosmologica del mondo.
I grandi romanzi modernisti, o acquisiti nel modernismo (è il caso del «Moby-Dick» di Melville), sono poi o romanzi sostanzialmente mitologici (es. «Ulisse» di Joyce, «Giuseppe e i suoi fratelli» di Mann) o romanzi in qualche modo mistici («Doktor Faustus» ancora di Mann, «L’uomo senza qualità» di Musil, «I sonnambuli e La morte di Virgilio» di Hermann Broch). Poi, certo, c’è Proust: che è Proust, e non mi pronuncio.
In mezzo tra questi e quelli ci stanno, giganteschi, Dostoevskij e Tolstoj: due romanzieri intensissimamente religiosi. L’ultima pagina del romanzo più bello di sempre (ovvio: secondo me), «I fratelli Karamazov», ovvero l’ultima pagina di Dostoevskij, mette in scena uno sperdutissimo Alëša Karamazov che, nonostante la sua profonda fede non riesce a trovare – al pari dei fratelli Ivan e Dimitri, che fede non hanno – un senso alla propria vicenda, alla vicenda familiare – quindi a nulla. E Tolstoj scrive un intero romanzo, e pure bello lungo, «Guerra e pace», per dimostrare che il lavoro degli storiografi è insensato, perché la vita umana è governata dal caso: peraltro le pagine in cui ci si impegna di più (quelle su Napoleone, l’epilogo «filosofico») sono di una bruttezza indicibile, mentre laddove rimane un senso magico, per non dire religioso, della vita la bellezza esplode impareggiabilmente: il ballo di Nataša, le nuvole in viaggio osservate dal principe Andrej ferito e a terra…
È una lotta, una lotta. Come tra le due fazioni al bar: sempre presi tra un’idea di destino – qualcosa su di noi, su tutti noi e su ciascuno di noi, «sta scritto» da qualche parte – e un’idea di fatalità – nulla ha senso, il caso domina. Questo fa, chi racconta storie: entra in questa lotta. Lo splendore da una parte, la macchina della necessità dall’altra; la perennità da una parte, il continuo crescere e poi distruggere dall’altra. Questo è il romanzo, il grande romanzo: è la messa in scena di questa lotta.
Giulio Mozzi
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sayitaliano · 6 months
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Giornata mondiale della consapevolezza sull'autismo - 2 Aprile 2024. I'm a bit late but everything that was already broadcasted on Rai's channels, can be re-watched on Raiplay through an Italian vpn (and a free log in)
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superfuji · 1 year
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Del resto, Fratelli d’Italia nasce esattamente per sfruttare questa finestra di opportunità. Prendiamo i suoi tre fondatori ufficiali: Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Il primo rappresenta (in modo perfino caricaturale) la fedeltà al fascismo storico, e la militanza nel torbido e sanguinario neofascismo del dopoguerra. Il secondo rappresenta la garanzia di totale organicità ai dogmi del liberismo economico e alle esigenze del sistema militare-industriale e dunque della guerra. La terza rappresenta l’apertura all’ideologia dell’estrema destra internazionale (da Orban a Bolsonaro a Trump). Quest’ultimo punto merita qualche parola in più. Nonostante l’affettuosa deferenza per Giorgio Almirante e alcune giovanili dichiarazioni di entusiasmo per Mussolini, Meloni è attenta a smarcarsi dal fascismo nostalgico alla La Russa. La ragione è la volontà di essere, e apparire, in sintonia con un nuovo fascismo che – pur nella sostanziale continuità ideologica con le idee di Hitler o di Evola – non ha bisogno di un apparato simbolico storico, e costruisce nuovi simboli e nuovi miti. In questo 25 aprile, prendetevi un momento per guardare un terribile video del 2013 (in francese, con sottotitoli in inglese: https://www.youtube.com/watch?v=XA5S5Qrg6CU). È la ‘dichiarazione di guerra’ alle democrazie lanciata da Génération Identitaire, un movimento politico nato in Francia (e lì sciolto dal governo nel 2017) che fa della ‘questione etnica’ il fulcro di una politica fondata sulla paura e sull’odio. La linea è quella del suprematismo bianco: e in concreto quel movimento ha organizzato una serie di attacchi anche fisici contro le Ong che soccorrono i migranti nel Mediterraneo. I simboli non sono le svastiche: ma, come si spiega nell video, i ‘lambda’, cioè le lettere greche che figuravano tra gli emblemi degli Spartani (‘lambda’ è la lettera iniziale di Lacedemoni, altro nome degli Spartani). La scelta cade sulla grande antagonista della democratica Atene: una città governata da una minoranza (gli Spartiati) che dominava attraverso la violenza e il terrore su una maggioranza (gli Iloti) etnicamente diversa. Un modello atroce, fatto proprio dall’organizzazione studentesca di Fratelli d’Italia. Un esempio eloquente: il percorso formativo di Azione studentesca si chiama ‘agoghé’, come quello dei giovani spartiati, che in esso si formavano alla resistenza fisica, e alla violenza (anche attraverso uccisioni rituali e impunite degli Iloti). Una ricca documentazione iconografica mostra come i ragazzi italiani che crescono all’ombra della Presidente del Consiglio non ricorrano ai fasci o alle svastiche (anche se la croce celtica rimane il simbolo ufficiale di Azione studentesca), ma ai simboli dell’antica Sparta: un mimetismo formale che mette i giovani di estrema destra italiana al riparo dalle accuse di fascismo nostalgico, e in connessione con i loro camerati di tutta Europa, consentendo una perfetta, e indisturbata, continuità con gli ‘ideali’ fascisti e nazisti. Vale la pena di ricordare che è stata proprio Azione studentesca la responsabile, nel febbraio scorso, del pestaggio dei ragazzi del Liceo Michelangiolo, a Firenze: e che nello stesso palazzo fiorentino hanno sede Fratelli d’Italia, Casaggì (nome locale di Azione studentesca) e la casa editrice “Passaggio al bosco” (etichetta esplicitamente jüngeriana che allude alla ribellione contro la democrazia), il cui catalogo è ricco di testi su Sparta, e sulla sua mistica del razzismo violento. È in questo quadro che si deve leggere l’uscita sulla ‘sostituzione etnica’ del ministro Lollobrigida, cognato di Meloni. Lungi dall’essere frutto di “ignoranza”, come penosamente asserito dall’interessato, si tratta della maldestra esibizione della parola d’ordine chiave per questa nuova-vecchia destra europea che fa della questione razziale e migratoria il centro di un intero sistema di pensiero e azione. Negli ultimi decenni si possono documentare decine e decine di uscite di Salvini, Meloni e molti altri leader della destra italiana sulla sostituzione etnica: e ora la tragedia di Cutro mostra come proprio quell’ideologia ispiri le azioni e le omissioni dell’attuale governo della Repubblica. Un nuovo fascismo, dunque: che non ha necessariamente bisogno dei labari del Ventennio. Ma che quel progetto comunque resuscita e persegue: soprattutto in una mistica della violenza e della morte che ha nei neri, nei musulmani, nei diversi i propri eterni obiettivi. Lo dimostra il fatto che la politica di questo governo fascista attacca frontalmente alcuni principi fondamentali della Costituzione antifascista
Il 25 aprile con un partito fascista al governo
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davidewblog · 2 months
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Trovare la stanza nell'appartamento dove vivo in affitto è stato il frutto della casualità più assoluta, e questo mi stupisce ogni volta che ci penso.
Quando, alla fine del secondo anno nella vecchia facoltà, i miei avevano deciso per me che avrei dovuto vivere in affitto (è chiaro che mi vedevano troppo depresso a stare sempre con loro), mentre mi organizzavo per iscrivermi nella nuova facoltà, abbiamo iniziato a cercare casa. Mi ricordo che abbiamo fatto le ricerche verso aprile di quell'anno, nella prospettiva di trovare casa prima dell'estate e poi essere sistemato all'inizio del primo anno nella nuova facoltà, a settembre.
Ma non si trovava nulla. Niente. Non avevo colleghi abbastanza amici a cui chiedere, e i pochissimi appartamenti che trovavamo negli annunci non andavano bene. L'idea di base, ovviamente, è che avrei dovuto vivere con altri ragazzi. Io ero un po' terrorizzato da questa cosa, avvevo in mente le pessime esperienze del liceo con i miei compagni di classe gradassi e supponenti, e l'idea di vivere con studenti sconosciuti, disordinati, che ni avrebbero schernito e preso in giro per il mio carattere mite e per la mia timidezza, questa idea mi terrorizzava. Ma i miei insistevano nel cercarmi la stanza, dicevano che questa esperienza avrei dovuto farla, e non si immedesimavano minimamente nella mia paura di vivere con ragazzi sconosciuti.
Più passavano le settimane, più la ricerca era infruttuosa, abbiamo visitato due o tre case, ma una era in estrema periferia, in una ci avevano promesso il posto e dopo due giorni ci hanno detto che non c'era più, una era letteralmente cadente, e per il resto, il nulla più assoluto.
Stavamo decidendo di lasciar stare, arrenderci e di continuare come si era fatto, cioè io vivere con i miei e viaggiare. Ma anche questo mi terrorizzava, sarebbe stata la prosecuzione di uno status quo di cui ero stanco anch'io. Era un'impasse terribile. Qalunque soluzione, la stanza in affitto con ragazzi sconosciuti o la vita con i miei, mi terrorizzava. Non c'era via d'uscita.
Poi, la svolta clamorosa. A maggio di quell'anno (ora lo chiamo "l'anno prima"), i miei sono andati ad un matrimonio, di quelli a cui si va per dovere di parentela, di quelli con pranzi da quattro ore in cui non si vede l'ora di andar via. A quel pranzo, erano seduti accanto ad un lontanissimo parente acquisito tipo di settimo grado, che neanche loro conoscevano, un signore abbastanza anonimo. Ma non so come, la conversazione è caduta su di me, e sulla mia ricerca di una stanza nella città dell'università. Quel signore ha tirato fuori il fatto che lui aveva un appartamento che affitta a fuorisede, abbastanza centrale, e che proprio il mese successivo, dal primo giugno, si liberava una stanza singola e stava per pubblicare un annuncio ma non lo aveva ancora fatto. Il prezzo era buono.
Tutto corrispondeva, tranne un "dettaglio": quell'appartamento era dato in affitto a studentesse, a ragazze, e così come era una ragazza quella che andava via, cercava ovviamente una ragazza per sostituirla in quella stanza
Il discorso sarebbe potuto finire lì: "per nostro figlio cerchiamo un appartamento di ragazzi, pazienza, grazie lo stesso", e la mia vita sarebbe finita nello status quo più terribile.
Invece no, per puro caso è scattato qualcosa che poi avrebbe avuto l'effetto, per me, di qualcosa di travolgente.
Quel signore ha detto: "In fondo per me è uguale, se volete chiedo alle ragazze che ci vivono se a loro va di avere un coinquilino maschio" (tradotto: "a me interessa incamerare i soldi ogni mese, e rischio di dover abbassare il prezzo se non trovo nessuno"), ma ha anche aggiunto "diranno probabilmente di no, ma chiederglielo non costa nulla".
I miei (qui il fatto più clamoroso), anziché respingere con orrore l'idea che io andassi lì (loro sono iper-conservatori), hanno aperto uno spiraglio, probabilmente sfiancati dall'assenza di vie d'uscita, e hanno iniziato ad entrare nella logica che la mia convivenza con delle ragazze fosse una cosa possibile. Il loro ragionamento era che, per loro, io apparivo talmente casto, timido ed educato che vivendo in quella stanza mi sarei fatto i fatti miei senza praticamente interagire con le coinquiline.
Io non ero a quel pranzo, i miei mi hanno mandato un messaggio e poi mi hanno chiamato per prospettarmi la cosa. Io al sentire quella prospettiva sono rimasto sotto shock, cioè: io, che fino a quel momento, avevo visto le ragazze come qualcosa di distante, come un oggetto del desiderio irraggiungibile, come qualcosa che la barriera della mia timidezza mi impediva di pernsare anche solo come amiche, io avrei potuto "abitare" con delle ragazze? Stare con loro 24 ore al giorno e condividere tutto? Era un'idea talmente gigantesca, talmente mai presa in considerazione, che non sapevo neanche come pensarla. E non volevo pensarla, perché i miei, dicendomelo, mi avevano anche fatto capire che era solo un'ipotesi molto improbabile, che nessuno si aspettava che quelle tre ragazze avrebbero detto di sì. D'altra parte non volevo neanche far vedere la mia forte emozione per questa idea. In quei giorni sono diventato totalmente incapace di pensare, ho lasciato fare tutto ai miei, lasciando scorrere gli eventi. Per quel padrone di casa era un fatto di soldi, per i miei era un fatto di trovarmi una stanza per non farmi viaggiare, per me era un'emozione enorme che nascondevo il più possibile, cercando di non illudermi.
Poi il finale clamoroso. Due giorni dopo quel pranzo e quell'incontro casuale, quel signore telefona ai miei, dicendo: "Sì, le ragazze ci hanno riflettuto e alla fine hanno accettato l'idea che quella stanza sia data a uno studente maschio, hanno detto che per loro vivere con un ragazzo è un'esperienza nuova che non pesa loro e che fanno volentieri, lo vedono come un diversivo".
I miei hanno chiesto un'ultima conferma a me che ho detto solo "sì sì, va bene", ma nascondevo l'emozione più grande della mia vita: avrei vissuto con delle ragazze, non ci potevo credere. La nascodevo perché non volevo che i miei, vedendomi troppo emozionato, tornassero sui loro passi, e sono riuscito a nasconderla bene e a sembrare impassibile.
A quel punto tutto era fatto, La settimana dopo sono andato a vedere la casa, ma era già deciso (il proprietario ci aveva inviato le foto, e l'appartamento andava bene). Tutti ormai avevano accettato l'idea: il proprietario, i miei, le tre coinquiline, e ovviamente io, che praticamente in quei giorni vedevo succedere tutto senza fare nulla e non ci credevo. Abbiamo firmato il contratto e già dopo pochi giorni, dal primo giugno, la stanza sarebbe stata mia. Una stanza in una casa con tre ragazze.
C'è da dire una cosa: in quei giorni in cui è successo tutto, le tre ragazze non erano tutte e tre le stesse con cui vivo ora, lo erano solo due: Annarita e Veronica. C'era una terza ragazza, Claudia, in camera doppia con Veronica, che sarebbe andata via a fine settembre settembre, perché lasciava l'università e tornava al suo paese. Quindi Claudia è stata mia coinquilina solo per pochissimi mesi: giugno, luglio, e agosto (in cui non c'ero io). A settembre è arrivata al suo posto Violetta, che ha preso il letto in camera con Veronica.
Quindi Violetta è l'unica delle tre coinquiline arrivata (poco) dopo di me, e al suo arrivo già accettava d subito l'idea di vivere con due ragazze e un ragazzo (cioè io). È così, che, all'inizio di quell'anno, che per me era anche il primo anno nella nuova facoltà, la composizione dell'appartamento era subito diventata quella che è sempre rimasta: Annarita, Veronica, Violetta, io.
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fridagentileschi · 9 months
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LA BANDIERA DEI QUATTRO MORI, SOS BATTEROS MOROS
Ringrazio un mio amico sardo per la foto e per avermi mandato la storia
''Per conoscere la storia della bandiera dei QUATTRO MORI (come viene appellata dal popolo sardo) occorre percorrere a ritroso la storia fino al periodo in cui i Catalano-Aragonesi presero possesso della Sardegna. Lo stemma dei quattro mori compare per la prima volta nei sigilli in piombo della Cancelleria Reale aragonese. Nell' archivio storico comunale di Cagliari sono conservati alcuni documenti chiusi con tali sigilli, appartenuti a Giacomo II° e Alfonso il Benigno entrambi re d' Aragona. Gli Aragonesi divennero re di Sardegna a seguito della creazione (avvenuta il 4 aprile 1.297) da parte del Papa Bonifacio VIII del regno di Sardegna. Lo stesso Bonifacio VIII dopo la creazione del regno accordo la "licentia invadendi" agli Aragona per permettere agli stessi di legittimare il possesso dell' isola. A seguito della conquista di fatto dell' isola ad opera del sovrano aragonese Alfonso IV nell' anno 1.323 lo stemma con i quattro mori in campo bianco con croce rossa, fu adottato per il nuovo regno di Sardegna. Regno creato dal nulla e poi regalato da generoso Papa Bonifacio VIII alla casata Aragonese. Questo stemma fu in uso dalla casata iberica degli Aragona fin dal XIII secolo. Sul significato intrinseco dei quattro mori raffigurati nello stemma che era in uso da molto tempo da parte degli Aragona vi sono le più disparate versioni. Tutte caratterizzate dal mito e dalla leggenda. Non esiste nessun documento che riporti dati sufficienti che permettano di stabile in che periodo inizio l' adozione di tale stemma a stemma identificativo della casata. Tra le tante versioni conosciute è da mettere in risalto quella che riconduce alla battaglia di Alcoraz combattuta dagli Aragonesi contro i mori (19 novembre 1.096). Nella battaglia il Re Pietro I° sconfisse pesantemente i mori guidati dal saraceno Abderramen. La leggenda narra che dopo la vittoria le truppe aragonesi issarono insieme alle insegne dei Conti di Barcellona (scudo con quattro pali rossi in campo giallo) uno stemma che riportava nei quattro quarti bianchi formati dalla croce rossa (la croce di San Giorgio) la testa di un moro con la benda sulla fronte. La motivazione sulla comparsa di tale stemma fu probabilmente legata al ricordo della battaglia e alla vittoria sui saraceni. Quando gli Aragonesi ricevettero "in dono" la Sardegna decisero di assumere lo stemma con i quattro mori come bandiera del regno di Sardegna.
Il vessillo con i quattro mori fu innalzato dalle truppe aragonesi durante la battaglia (infausta per i sardi) combattuta a Sanluri la domenica mattina del 30 giugno del 1.409 in una località tristemente nota come Su Occidroxiu (il mattatoio). Le truppe sarde innalzavano la bandiera con raffigurato l’albero eradicato (stemma del giudicato d’Arborea (l' ultimo dei quattro regni che ancora teneva testa agli Aragonesi). Istintivamente si può pensare che il vessillo degli Arborea fosse la bandiera in cui tutti i sardi si riconoscevano. Ma non è cosi. La Sardegna medievale era divisa in quattro giudicati indipendenti. Ogni giudicato (un regno a tutti gli effetti) aveva la sua bandiera, il proprio vessillo.
L’albero eradicato era il vessillo di uno dei quattro giudicati, quindi di una parte della Sardegna. Come ben noto tre dei quattro giudicati dopo la regalia fatta alla casata aragonese dal Papa Bonifacio VII, persero l' indipendenza. L' unico giudicato che poteva esprimere la propria piena autonomia e indipendenza nei confronti degli Aragona era il giudicato d' Arborea. In quel preciso momento storico quasi tutta la Sardegna era unificata sotto il controllo di una unica entità statuale: il giudicato d' Arborea. Agli aragonesi rimasero ben pochi lembi di territorio sardo da controllare. Quindi è normale che quel vessillo venisse visto da quei sardi che affiancarono gli Arborensi come la bandiera di tutti i sardi.
La bandiera di BATTEROS MOROS stemma della Sardegna viene sventolata con orgoglio dai sardi dentro e fuori dall' isola. Viene considerata come simbolo di appartenenza alla Sardegna. Ai detrattori della bandiera dei BATTEROS MOROS direi di chiedere a quanti più sardi possibile se non amano questa bandiera, e se intendono cambiarla. Do per scontato che prevalga nelle risposte all' amore e l' insostituibilità dei BATTEROS MOROS.''
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