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#poesia palestinese
sanzameta · 4 months
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Carta d'identità
Ricordate!Sono un araboE la mia carta d’identità è la numero cinquantamilaHo otto bambiniE il nono arriverà dopo l’estate. Ricordate!Sono un arabo,impiegato con gli operai nella cavaHo otto bambiniDalle rocceRicavo il pane,I vestiti e I libri.Non chiedo la carità alle vostre porteNé mi umilio ai gradini della vostra cameraPerciò, sarete irritati? Ricordate!Sono un arabo,Ho un nome senza titoliE…
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marcogiovenale · 4 months
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oggi, 17 maggio, a roma: concerto e reading per l'infanzia palestinese
cliccare per ingrandire Venerdì 17 maggio, ore 18:00, Concerto per l’infanzia e la Pace in Palestina presso l’aula Magna dell’Università Valdese di Roma. A cura di Yousef Salman. Letture di Ilaria GiovinazzoFatena Al Ghorra Dunia al-Amal IsmailYousef Elqedra Alaa al QatrawiRefaat AlareerMosab Abu Toha Muhammad Tariq al KhadraTraduzioni a cura di Simone Sibilio e Sana Darghmouni Prenotazioni…
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mucillo · 1 year
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Guarda "Area (Luglio Agosto Settembre Nero)" su YouTube
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Questo pezzo è preceduto da una poesia d’amore che fu regalata da una ragazza palestinese che era nello studio accanto al loro.
"Mio amato
Con la pace ho depositato i fiori dell’amore
davanti a te
Con la pace
con la pace ho cancellato i mari di sangue
per te
Lascia la rabbia
Lascia il dolore
Lascia le armi
Lascia le armi e vieni
Vieni e viviamo o mio amato
e la nostra coperta sarà la pace
Voglio che canti o mio caro “ occhio mio “ [luce dei miei occhi]
E il tuo canto sarà per la pace
fai sentire al mondo,
o cuore mio e di’ (a questo mondo)
Lascia la rabbia
Lascia il dolore
Lascia le armi
Lascia le armi e vieni
a vivere con la pace".
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21/11/2023 • II [la poesia]
Una citazione da Una trilogia palestinese al giorno
“E cosa scrivi?”
“Balbetto un grido:
Membra sparse, i nostri nomi. No, non c'è scampo
La maschera è caduta dalla maschera della maschera
La maschera è caduta
Non hai fratelli, fratello mio, non hai amici,
amico mio, non hai fortezze,
né acqua, né medicine, né cielo, né sangue, né vela, né avanti, né indietro
Assedia il tuo assedio, non c'è scampo
Ti è caduto un braccio: raccoglilo
e colpisci il tuo nemico. Non c'è scampo.
Ti sono caduto accanto: raccoglimi
e usami per colpire il tuo nemico. Sei libero, adesso,
libero
libero
I tuoi morti o i tuoi feriti sono le tue munizioni, colpisci con quelle. Colpisci il tuo nemico. Non c'è scampo.
Membra sparse, i nostri nomi
I nostri nomi, membra sparse
Assedia il tuo assedio con la pazzia,
con la demenza
con la follia
Andati, quelli che ami, sono andati
Devi essere, dunque,
o non essere
La maschera è caduta dalla maschera
La maschera è caduta
Solo tu, in questo spazio aperto ai nemici e all'oblio
Fa che ogni barricata sia un paese
No, non c'è nessuno
La maschera è caduta
Arabi che hanno ceduto ai loro romani,
arabi che hanno venduto l'anima,
arabi, arabi e perduti
La maschera è caduta
è caduta la maschera.”
Mahmoud Darwish
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colonna-durruti · 11 months
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"La cosa bella di Gaza è che le nostre voci non la raggiungono, niente la distoglie.
Niente allontana il suo pugno dalla faccia del nemico.
Né il modo di spartire le poltrone del Consiglio Nazionale, né la forma di governo palestinese che fonderemo dalla parte est della Luna o nella parte ovest di Marte, quando sarà completamente esplorato.
Niente la distoglie.
E’ dedita al dissenso: fame e dissenso, sete e dissenso, diaspora e dissenso, tortura e dissenso, assedio e dissenso, morte e dissenso.
I nemici possono avere la meglio su Gaza.
Il mare grosso può avere la meglio su una piccola isola.
Possono tagliarle tutti gli alberi.
Possono spezzarle le ossa.
Possono piantare carri armati nelle budella delle sue donne e dei suoi bambini.
Possono gettarla a mare, nella sabbia o nel sangue.
Ma lei: non ripeterà le bugie.
Non dirà sì agli invasori.
Continuerà a farsi esplodere.
Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
Ma è il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere."
(Mahmoud Darwish – poesia scritta nel 1973)
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canesenzafissadimora · 7 months
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Potete legarmi mani e piedi,
togliermi il quaderno e le sigarette,
riempirmi la bocca di terra;
la poesia è sangue
del mio cuore vivo,
sale del mio pane,
luce dei miei occhi.
Sarà scritta con le unghie,
lo sguardo e il ferro.
La canterò nella cella
della mia prigione, al bagno,
sotto la sferza, tra i ceppi,
nello spasimo delle catene.
Ho dentro di me un milione di usignoli
per cantare la mia canzone di lotta.
Mahmoud Darwish, poeta palestinese (1941-2008)
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cutulisci · 11 months
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È morto il Sup Galeano. È morto come è vissuto: infelice.
Questo sì, si preoccupò, prima di morire, di restituire il nome a colui che è carne e ossa ereditati dal maestro Galeano. Ha raccomandato di tenerlo vivo, ovvero, di lottare. È così che Galeano continuerà a camminare su queste montagne
Per il resto, è stato qualcosa di semplice. Ha iniziato a cantilenare qualcosa come “lo so che sono finito, finito, finito”, e, subito prima di spirare disse, o meglio domandò: “I morti starnutiscono?”, e caput. Queste furono le sue ultime parole. Nessuna citazione da lasciare alla storia, né da scolpire su di una lapide, né degna di un aneddoto da raccontare davanti al fuoco. Solamente questa domanda assurda, anacronistica, estemporanea: “I morti starnutiscono?”.
Poi rimase quieto, sospesa la stanca respirazione, gli occhi chiusi, le labbra finalmente ammutolite, le mani logore.
Uscimmo. Quasi al punto di uscire dalla capanna, già sulla soglia della porta, sentimmo uno starnuto. Il SubMoy si voltò per guardarmi e io voltai verso di lui, pronunciando un “salute” appena accennato. Nessuno dei due aveva starnutito. Ci girammo verso dove si trovava il corpo del defunto e nulla. Il SubMoy disse solamente “buona domanda”. Io non pronunciai neanche una parola, però pensai “sicuramente gli sarà finita la luna nell’orbita di Callao” [Citazione della canzone in difesa della follia “Balada para un loco” di Adriana Verela – riferimento alla perdita di senso nel discorso del SupMoy ].
Questo si, ci siamo risparmiati la sepoltura. Anche se ci siamo persi caffè e tamales.
-*-
Lo so che a nessuno interessa l’ennesima morte, e men che tutto quella del defunto SupGaleano. In verità, vi racconto tutto questo perché è lui che ha lasciato quella poesia di Rubén Darío con cui inizia questa serie di testi. Tralasciando l’evidente ammiccamento al Nicaragua che resiste e persiste – che si potrebbe anche vedere come un riferimento all’attuale guerra dello Stato di Israele contro il popolo palestinese, anche se, al momento della sua morte, non era ancora ripreso il terrore che sconvolge il mondo –, lasciò questa poesia come riferimento. O meglio come risposta a qualcuno che domandò come spiegare quello che sta succedendo in Chiapas, in Messico e nel mondo.
E, chiaramente, come un discreto omaggio al maestro Galeano –da cui ereditò il nome–, disse colui che chiamò un “controllo di lettura”:
Chi ha iniziato? Chi è colpevole? Chi è innocente? Chi è buono e chi è cattivo? In che posizione si trova Francesco d’assisi? Perde lui, il lupo, i pastori o tutti? Perché l’Assisi concepisce che si faccia un accordo basandosi sul fatto che i lupo rinunci a essere ciò che è?
Aunque esto fue hace meses, el texto concitó alegatos y discusiones que se mantienen hasta la actualidad. Así que les describo una de ellas:
Anche se questo è successo mesi fa, il testo ha sollevato accuse e discussioni che si mantengono vive nell’attualità. Così che ne descrivo una di queste:
Si tratta di una specie di riunione o di assemblea, o qualcosa come un tavolo di dibattito. C’è il meglio di ogni dove: dotti specialisti tuttologi, militanti e internazionalisti di qualsiasi causa, meno che quella della loro geografia, spontaneisti con dottorati in social network (la maggioranza), e l’uno o l’altro che, vedendo il rumore, si avvicinano a vedere se stanno regalando secchi, cappelli o magliette con il nome del partito che sia. Non in pochi ad essersi avvicinati per scoprire il motivo di tanto clamore.
– Non sei altro che un agente del sionismo imperialista ed espansionista», ha gridato uno di loro.
–»E tu sei solo un propagandista del terrorismo arabo musulmano fondamentalista!” – rispondeva un altro, furioso.
C’erano già stati diversi esordi di rissa, ma ancora non si era andati oltre qualche spintone del tipo: «ci vediamo fuori».
Si è arrivati a questo punto perché si sono messi ad analizzare la poesia di Rubén Darío «Los Motivos del Lobo».
Non era stato tutto uno scambio di aggettivi, frecciatine e smorfie. Era iniziato come tutto il resto da quelle parti: con buone maniere, frasi incisive, «interventi brevi» – spesso della durata di mezz’ora o più – e una profusione di citazioni e note a piè di pagina.
Naturalmente, si trattava di un dibattito tutto per maschi, perché organizzato dal cosiddetto «Hypertextual Toby Club».
«Il Lupo è il buono», ha detto qualcuno, «perché ha ucciso solo per fame, per necessità».
«No», argomenta un altro, «è lui il cattivo perché ha ucciso le pecore, che erano il sostentamento dei pastori». E lui stesso ha riconosciuto che «a volte ha mangiato agnello e pastore».
Un altro: “I cattivi sono gli abitanti, perché non hanno mantenuto l’accordo”.
E un altro: “la colpa è dell’Assisi, che ha ottenuto l’accordo chiedendo al lupo di smettere di essere lupo, fatto di per sè questionabile, e poi non è rimasto per mantenere la promessa”.
O più in là: “Ma l’Assisi sottolinea che l’essere umano è malvagio di natura”.
Si ripetono da una parte dall’altra. Ma si vede che, se in questo momento si facesse un sondaggio, il lupo avrebbe un abbondante vantaggio di due palmi sul villaggio di pastori. Ma un’abile manovra sui social network, ha ottenuto che l’hashtag “lupoassassino” fosse TT molto di sopra a #morteaipastori. Così che la vittoria degli influencer pro pastore è stata netta rispetto ai pro lupo, anche solamente sui social network.
C’è stato qualcuno che ha argomentato a favore di due Stati convivendo sullo stesso territorio: lo Stato Lupo e lo Stato Pastore.
E qualcun altro su di uno Stato Plurinazionale, con lupi e pastori, convivendo sotto lo stesso oppressore, scusate volevo dire lo stesso Stato. Un altro ha risposto che questo era impossibile, visti gli antecedenti di ambo le parti.
Un signore in giacca e cravatta si alza e chiede la parola: “Se Rubén (disse così ovviando al Darío), ha intrapreso la sua strada a partire dalla legenda di Gubbio, noi potremmo fare lo stesso. Diamo seguito alla poesia:
I pastori, avvalendosi del loro legittimo diritto di difendersi, attaccano il lupo. Prima distruggono la sua tana con i bombardamenti, poi entrano con i carri armati e la fanteria. Mi sembra, cari, che la fine sia certa: la violenza terroristica e animale del lupo viene annientata e i pastori possono continuare la loro vita bucolica, tosando le pecore per una potente impresa multinazionale che produce vestiti per un’altra impresa multinazionale altrettanto potente che, a sua volta, è debitrice di un’istituzione finanziaria internazionale ancora più potente; questo porterà i pastori a diventare efficienti lavoratori della propria terra – questo sì con tutti i benefici delle prestazioni lavorative di legge – e a elevare il villaggio a standard da primo mondo, con moderne autostrade, alti edifici e persino un treno turistico dove i visitatori di tutto il mondo potranno ammirare le rovine di quelli che un tempo erano prati, foreste e sorgenti. L’annientamento del lupo porterà pace e prosperità nella regione. Certo, alcuni animali moriranno, indipendentemente dal numero o dalla specie, ma sono solo danni collaterali perfettamente trascurabili. Dopo tutto, non si può chiedere alle bombe di distinguere tra un lupo e una pecora, né di limitare la loro onda d’urto per non danneggiare uccelli e alberi. La pace sarà conquistata e nessuno sentirà la mancanza del lupo».
Qualcun altro si alza e sostiene: “Ma il lupo ha l’appoggio internazionale e abita in quel luogo da prima. Il sistema ha tagliato alberi per far posto ai campi per il pascolo, e questo ha alterato l’equilibrio ecologico, riducendo il numero di specie di animali che il lupo mangiava per vivere. Bisogna aspettare che i discendenti del lupo si prendano la giusta vendetta”.
“Ah, quindi il lupo uccideva anche altri esseri. È uguale ai pastori”, replica qualcuno.
Così hanno continuato, portando delle così buone motivazioni come quelle qui riportate, piene di arguzia, sfarzi di erudizione e molti riferimenti bibliografici.
Ma la moderazione non è durata a lungo: la discussione si è spostata dal lupo e dai pastori alla guerra Netanyahu-Hamas, ed è degenerata fino al punto che è alla base di questo aneddoto, giunto a noi per gentile concessione post mortem dell’ormai defunto SupGaleano.
Ma in quel momento, dal fondo della sala, si è alzata una piccola mano per chiedere la parola. Il moderatore non riusciva a vedere di chi fosse la mano, così concesse la parola “alla persona che sta alzando la mano dal fondo”.
Tutti si girarono a guardare ed erano a punto di lanciare un grido di scandalo e riprovazione. C’era una bambina che teneva in braccio un orso di peluche che quasi la uguagliava in statura, vestita con una camicia bianca con ricami e un pantalone con un gattino vicino al malleolo destro. Ovvero, il classico “outfit” da festa di compleanno o qualcosa di simile.
La sorpresa fu tale che tutti rimasero in silenzio con gli sguardi fissi sulla bambina.
Lei si mise in piedi sopra la sedia, pensando che così la ascoltassero meglio e domandò:
E le creature?
La sorpresa si fece mormorio di condanna: quali creature? Di cosa parla questa bambina? Chi diavolo ha fatto entrare una donna in questo sacro recinto? E peggio ancora una donna bambina!”
La bambina scese dalla sedia e, sempre portando con sé il suo orsetto di peluche con chiari segni di obesità -l’orso si intende-, si diresse verso la porta d’uscita dicendo:
“Le creature. Ovvero, i cuccioli del lupo e i cuccioli dei pastori. I loro piccini. Chi pensa a queste creature?
Con chi parlerò? E dove andremo a giocare?”
Dalle montagne del Sudest Messicano
Capitano Insurgente Marcos.
Messico, ottobre 2023.
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carmenvicinanza · 2 years
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May Sayegh
https://www.unadonnalgiorno.it/may-sayegh/
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May Sayegh è stata poeta e attivista politica femminista palestinese.Convinta che la lotta per la liberazione della Palestina fosse intrinsecamente legata alla lotta per la liberazione della donna, ha scritto poesie sul ruolo di primo piano che le palestinesi hanno avuto nel proprio paese e nei campi profughi all’esterno, per la creazione di strutture e movimenti di unione popolare.Nata a Gaza nel 1940, si è laureata in filosofia e sociologia all’Università del Cairo.
Nel 1954 ha diretto la sezione femminile del partito Ba’th. All’indomani della Guerra dei Sei Giorni  e dell’occupazione della Striscia di Gaza, nel 1967, è fuggita da Gaza per stabilirsi a Beirut.
Si è fatta portavoce dell’inclusione femminile all’interno delle istituzioni politiche palestinesi divenendo Segretaria Generale dell’Unione Generale delle Donne Palestinesi dell’OLP dal 1976 al 1986 e ha fatto parte del Consiglio Nazionale Palestinese (PNC).
È stata relatrice alla Conferenza delle Donne delle Nazioni Unite del 1980 a Copenaghen, il suo intervento sulla promozione della pace, dell’uguaglianza e dello sviluppo riscosse un grande plauso.
Le sue poesie sono state pubblicate in importanti riviste arabe e partecipato a festival di poesia a Beirut, Il Cairo, Baghdad, Kuwait City e in Oman.
Ha ricevuto il premio Ana Betancourt dal presidente cubano Fidel Castro, negli anni ’80.
La sua storia è stata raccontata nel documentario del 2001 Stories from Gaza diretto dal regista libanese Arab Loutfi.
Ha lasciato la terra il 5 febbraio 2023, all’età di 82 anni.
È stata un esempio di lotta, arte, rivendicazione personale e collettiva.
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kalabriatv · 2 years
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Poesie degli emigranti
Darwish e Hikmet, sono tra i grandi poeti orientali, il primo è palestinese e il secondo è turco, esiliato per ragioni evidenti, in più ho aggiunto le più celebre dei canti degli emigranti ADDIO LUGANO BELLA, di Gori. Romano Toppan poesia-toppanDownload
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l-incantatrice · 3 years
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Ho scritto questa poesia,dedicata al popolo palestinese,tanti anni fa,quando ero una ragazzina e frequentavo il liceo. Allora era l’epoca dell’OLP di Arafat,dei fedayn,lo scenario politico internazionale era molto diverso,ma allora come oggi i Palestinesi non hanno una patria,uno Stato in cui vivere come è loro diritto
LA BALLATA DELL’UOMO SENZA TERRA
Avevo una casa,una terra,una donna:
nel mio paese c’era il sole,la luce,la vita,
ora non è rimasto più nulla
se non le mie lacrime amare di solitudine.
La mia casa distrutta,
la mia terra straniera,
la mia donna sepolta.
Prego il mio Dio che la gente che sta sulla mia terra
che ha distrutto ciò che di più caro avevo
sia sommersa dal torrente di lacrime
che sgorga dal cuore della mia gente.
Ho visto morire bambini
con le braccia strette al collo della madre,
ho visto uomini uccisi dall’odio e dalla violenza.
La nostra è una lotta senza quartiere:
non ci importa morire o soffrire.
Ci hanno abbandonato tutti
tra le macerie di una città e di un popolo...
dimentichi del nostro dolore.
Signore non ci lasciarci anche tu.
Resta accanto a noi a combattere,
a sorreggere le nostre anime ormai perdute,
perché i figli dei nostri figli
possano un giorno avere una patria.
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centroscritture · 3 years
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Domani (sabato 30 ottobre) ore 18.30 al Kif Kif di Via Macerata 54 (Pigneto, Roma) presentiamo Ghayath Almadhoun e il suo libro "Adrenalina", tradotto e curato da Jolanda Guardi per il Centro Studi Ilà, all'interno della programmazione di LOGOS | Festa della parola 2021.
Intervengono con l'autore: Jolanda Guardi, arabista e presidente del Centro Studi Ilà Luisa Morgantini, ex-vicepresidente del Parlamento Europeo e presidente di Assopace Palestina
EVENTO LIBERO E APERTO A TUTTI ma si consiglia la prenotazione all'indirizzo:
https://www.centroscritture.it/event-details/ghayath-almadhoun-adrenalina
In collaborazione con Centro Studi Ilà, Assopace Palestina, Kif Kif, Logos Festa della Parola, Csoa eXSnia.
Ghayath Almadhoun è un poeta palestinese nato nel campo di rifugiati di Yarmuk a Damasco nel 1979. Ha studiato letteratura araba all'Università di Damasco e ha lavorato come giornalista culturale per diversi quotidiani in lingua araba. Nel 2006 ha fondato Bayt al-qasid, La casa della poesia, insieme al poeta siriano Lukman Derky a Damasco. Ha pubblicato diverse raccolte poetiche in arabo e il suo lavoro è stato tradotto in molte lingue. La traduzione svedese della raccolta Talab lagiw' (Domanda d'asilo, 2010), Asylansokan, ha ottenuto nel 2012 il premio Klas de Vylders e dell'Unione degli scrittori svedesi. La raccolta Tariq Dimasq (La via per Damasco), tradotta in svedese nel 2014 con il titolo Till Damaskus e scritta in collaborazione con la poeta svedese Marie Silkeberg è stata inclusa nella lista Dagens Nyheter dei migliori libri del 2014 e da essa è stata tratta una pièce per la radio nazionale svedese. Con Silkeberg Almadhoun ha anche realizzato diversi poetry film che possono essere visionati sul sito Moving Poems (movingpoems.com); tra questi The City, sulla distruzione di Damasco, proiettato in oltre 150 festival. Una serie di poesie di Almadhoun è stata proiettata durante il festival For Aarhus, all'interno dell'installazione A postcard from Aleppo, dell'artista americana Jenny Holzer. Nel novembre 2020 il suo poetry film Evian ha vinto il Zebra Poetry Film Festival di Berlino. Almadhoun vive a Stoccolma dal 2008.
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donaruz · 3 years
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POESIA DELLA SERA #PALESTINA
"Con i miei denti
proteggerò ogni centimetro della terra
della mia patria.
Con i miei denti
non mi accontenterò di nessun surrogato,
anche se mi appendono
per le arterie.
Io resto.
Prigioniero del mio amore..
per la siepe di casa,
per la rugiada.. per i gigli ricurvi.
Io resto.
Non mi schiacceranno
le mie croci
Io resto.
Per prendervi.. e prendervi .. e prendervi
a braccia aperte,
con i miei denti.
Proteggerò ogni centimetro della terra della mia patria
con i miei denti."
Tawfiq Zayyad – Poeta palestinese
Noi siamo quelli che credono ancora a queste emozioni fb
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marcogiovenale · 4 months
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17 maggio, roma: concerto e reading per l'infanzia palestinese
cliccare per ingrandire Venerdì 17 maggio, ore 18:00, Concerto per l’infanzia e la Pace in Palestina presso l’aula Magna dell’Università Valdese di Roma. A cura di Yousef Salman. Letture di Ilaria GiovinazzoFatena Al Ghorra Dunia al-Amal IsmailYousef Elqedra Alaa al QatrawiRefaat AlareerMosab Abu Toha Muhammad Tariq al KhadraTraduzioni a cura di Simone Sibilio e Sana Darghmouni Prenotazioni…
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mucillo · 3 years
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Dareen Tatour poetessa e fotografa palestinese,
ecco la poesia che ha portato al suo arresto per ‘incitamento al terrorismo’. È scritta originariamente in arabo, questa è la traduzione della versione inglese che ne ha fatto il poeta Tariq al Haydar:
Resisti, mio popolo, resisti contro di loro.
A Gerusalemme ho indossato le mie ferite,
Ho respirato i miei dolori
E sul palmo della mano ho portato l’anima
Per una Palestina araba.
Io non soccomberò a quella che chiamano “soluzione pacifica”,
Mai ammainerò le mie bandiere
Finché non li avrò cacciati dalla mia terra.
Conservo le bandiere per un tempo che verrà.
Resisti mio popolo, resisti contro di loro.
Resisti ai saccheggi dei coloni
E segui la carovana dei martiri.
Straccia la vergognosa costituzione
Che ci ha imposto degrado e umiliazione
Che ci ha impedito di restaurare la giustizia.
Essi hanno bruciato vivi bambini innocenti;
E ricorda Hadil: i cecchini la colpirono in strada,
La uccisero nella piena luce del giorno.
Resisti, mio popolo, resisti contro di loro.
Resisti al massacro dei colonizzatori.
Non prestare ascolto ai loro agenti in mezzo a noi
Che ci vogliono incatenare con l’illusione della pace.
Non temere le lingue biforcute;
La verità nei nostri cuori sarà più forte
Fintanto che tu resisterai in una terra
Che è sopravvissuta ad attacchi e vittorie.
Così gridava Alì dalla sua tomba:
Resisti, mio popolo ribelle.
Scrivi le mie parole in prosa sul legno di agar;
Voi siete la risposta delle mie spoglie.
Resisti, mio popolo, resisti contro di loro
Resisti, mio popolo, resisti contro di loro.
Ci vuole molta immaginazione per trovare un qualsiasi “incitamento al terrorismo” in questi versi. Semmai ci si trova il legittimo incitamento alla resistenza contro l’occupazione militare. Ma gli israeliani hanno un’idea del terrorismo che è la stessa idea di tutti i regimi invasori e colonizzatori: i terroristi sono i popoli oppressi che oppongono resistenza all’occupazione militare. 
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06/12/2023
Una citazione da Una trilogia palestinese al giorno
Il combattente si meraviglia che il poeta non sia capace di spiegare la propria poesia. Oppure si meraviglia che la poesia, visto che il mare è il mare, sia tanto semplice. Oppure si meraviglia che la realtà sia tanto semplice da poter abitare le parole.
Mahmoud Darwish
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paoloxl · 6 years
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Dagli accordi di Oslo sono stati fatti sistematici tentativi di de-politicizzare l’attivismo per i diritti delle donne in Palestina
Benché la Giornata Internazionale della Donna abbia le proprie radici nei movimenti di base rivoluzionari e anti-capitalisti delle donne, nel Sud del mondo la sua celebrazione è appannaggio di settori dell’ONU e delle Ong. L’occasione è spesso sfruttata per rafforzare certe narrazioni di sviluppo dei diritti delle donne e per raccogliere fondi per i progetti.
In Palestina quest’anno le agenzie ONU, varie organizzazioni internazionali e Ong locali hanno lanciato una campagna durata una settimana chiamata “I miei diritti, il nostro potere”, intesa a “sensibilizzare sui diritti umani fondamentali delle donne” e in particolare sulla violenza domestica. Si è concentrata su cinque aree di interesse: il diritto ad una vita senza violenza, il diritto ad avere giustizia, il diritto a chiedere aiuto, il diritto a pari opportunità e il diritto alla libertà di scelta.
Tuttavia nel messaggio della campagna gli organizzatori hanno fatto una palese omissione: non hanno menzionato l’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza come il principale fattore che contribuisce alle violazioni dei diritti commesse contro le donne palestinesi. Le parole “occupazione” o “Israele” non si trovano da nessuna parte nel comunicato stampa e nei materiali della campagna.
Quindi, dovremmo credere che le donne palestinesi siano in grado di ottenere giustizia e una vita libera dalla violenza nel contesto di un continuo progetto israeliano di pulizia etnica e di cancellazione di una cultura?
Chiaramente questa omissione non è un errore o una svista, ma riflette piuttosto una tendenza evidente nel discorso della comunità internazionale di aiuti e donatori che parla di “problemi” e “barriere” nel campo dei diritti delle donne come se tutto ciò avvenisse in un vuoto politico.
In Palestina questa tendenza si è acuita dopo gli accordi di pace di Oslo, che sono serviti da catalizzatore della de-politicizzazione della Palestina. Venticinque anni fa Oslo introdusse una nuova cornice per la “pace” e la “costruzione dello Stato”, che non solo ha danneggiato il progetto di liberazione dei palestinesi, ma ha anche innescato una fondamentale trasformazione della società civile palestinese.
In base a questa nuova cornice, l’aiuto internazionale è stato convogliato in Palestina e utilizzato per de-politicizzare sistematicamente la società civile, rendendola dipendente da finanziamenti esterni e obbligandola a seguire l’agenda dei donatori stranieri.
Mentre questo processo di “ong-izzazione” ha smobilitato molti gruppi all’interno della società palestinese, le donne sono risultate particolarmente colpite. Anche le tendenze patriarcali all’interno delle istituzioni palestinesi hanno contribuito al processo di esclusione delle donne dalla sfera pubblica, compresa quella politica.
La de-politicizzazione delle donne è particolarmente evidente nell’uso del lessico successivo a Oslo sui diritti delle donne in Palestina. Le agenzie ONU e altre organizzazioni internazionali hanno intenzionalmente attribuito una definizione limitata a molti dei concetti riguardanti i diritti umani e l’attivismo. Un esempio è il termine “empowerment” [emancipazione, autoaffermazione, ndt.], che in apparenza sembra rivoluzionario, ma nel contesto dei progetti guidati dalle Ong e nel dibattito pubblico è quasi sempre limitato alla sfera socio-economica.
In pratica, il settore delle Ong non parla mai di emancipazione politica delle donne palestinesi, che potrebbe rafforzare la loro capacità di resistere alla violenza di genere e colonialista israeliana.
Dalla sua fondazione nel 1948 il regime israeliano ha costantemente e sistematicamente utilizzato l’oppressione di genere contro le donne palestinesi, in particolare contro quelle attive in politica.
La sua strategia include maltrattamenti, minacce di violenza e incarcerazione – quest’ultima è il modo più efficace di punire la politicizzazione.
Le donne palestinesi che sfidano attivamente l’occupazione israeliana e rifiutano di essere cooptate dal sistema politico ufficiale palestinese creato agli accordi di Oslo, come la deputata Khalida Jarrar[membro del parlamento dell’ANP e del gruppo della resistenza marxista FPLP, ndt.], che è stata in carcere per 20 mesi senza processo, e la poetessa Dareen Tartour, condannata a cinque mesi di prigione per aver scritto una poesia, sono presto diventate bersagli delle forze di sicurezza israeliane.
Gli interrogatori da parte di soldati o forze di sicurezza israeliani spesso includono molestie sessuali o minacce di violenza sessuale per fare pressione sulle donne e ragazze affinché firmino confessioni o diano informazioni.
Lo scorso anno un video filtrato clandestinamente ha mostrato l’adolescente palestinese Ahed Tamimi, arrestata per aver preso a schiaffi un soldato israeliano, sottoposta a maltrattamenti durante un interrogatorio.
Sfortunatamente le violazioni dei diritti delle donne palestinesi sono state accettate come una cosa della vita e quelli che dovrebbero garantire che questi diritti vengano rispettati sono diventati complici proprio delle loro violazioni.
Mentre le donne palestinesi dovrebbero essere messe nelle condizioni di combattere il patriarcato interno, soprattutto nella sfera privata, è indubitabile che la violenza di genere è intrinsecamente legata al regime israeliano che controlla la maggior parte degli aspetti della vita palestinese.
La comprensione del ruolo distruttivo che il colonialismo di insediamento israeliano gioca nelle vite delle donne palestinesi non assolve comunque la società palestinese nel suo complesso per il suo ruolo nell’oppressione delle donne.
L’incapacità a riconoscere come le strutture del potere colonialista e patriarcale si sovrappongano e siano al contempo complici nella persecuzione di donne e uomini palestinesi ha notevolmente limitato il progresso dei diritti delle donne in Palestina. In questo contesto faremmo bene a ricordarci che il femminismo radicale è stato fondato da donne di colore che hanno imposto una comprensione articolata e ricca di sfumature dell’oppressione femminile che è insita nel colonialismo, nelle strutture della gerarchia razziale, nella classe e nel capitalismo. È solo con questa consapevolezza in mente che possiamo sperare di smantellare l’oppressione delle donne in Palestina e nel resto del mondo.
Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera.
Yara Hawari è l’esperta di politica palestinese di Al-Shabaka, la rete politica palestinese.
Traduzione per Zeitun.info di Amedeo Rossi
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