Quando ero piccola capitava spesso che mia madre dovesse tenermi con sé al lavoro e, siccome era anestesista in una clinica, mi è successo di vivere situazioni incredibili: prima dei sei anni avevo già visto nascere un bambino dal vivo e avevo visto (e non lo dimenticherò mai) un cuore battere nel petto di un uomo. Sì un bambino non potrebbe stare dentro una camera operatoria, ma io già allora ero mansueta di carattere e curiosa per natura, quindi mi lasciavo volentieri imbacuccare negli indumenti sterili e poi me ne stavo buona buona in un angolo e i colleghi di mia madre - che mi adoravano - chiudevano un occhio e anzi, a volte mi prendevano in braccio su richiesta di mamma per farmi vedere le cose più interessanti e belle. Ma capitava anche che qualche infermiera o portantina affettuosa mi tenessero con sé, così a volte andavo in lavanderia a piegare le pezzette chirurgiche, altre volte potevo stare in quello che per me era il paradiso: il nido. C'erano tutte quelle culle trasparenti, con dentro quei pupotti minuscoli, belli come un miracolo, e io li guardavo incantata per ore e osservavo le ostetriche che li pulivano, cambiavano, allattavano. Il mio sogno, negli anni, diventò quello di averne uno tutto mio, di piccolo miracolo. Non è mai successo, non ho avuto la mia scimmietta urlante e sbavante perennemente attaccata al collo, non ho seguito i suoi esperimenti per imparare a camminare o a parlare, non l' ho mai guardato dormire di notte seguendo ogni suo respiro. Non ho mai baciato musini o manine appiccicose di chissà cosa, non ho risposto ad infinite domande, non mi sono mai sentita chiamare mille volte in un minuto col nome più dolce del mondo: "mamma". Ho fatto tante scelte sbagliate che mi hanno portato a non avere una famiglia e poi a 37 anni mi hanno strappato la possibilità di averne una, anche se è servito a salvarmi la vita. Sono felice di essere viva, è la cosa più bella che possa esistere, ringrazio ogni giorno il Creatore per avermi dato la possibilità di esistere. Però mi porto dentro e nel più profondo, questa cicatrice, che è una ferita aperta che non smetterà mai di fare male. Perché è vero che "Madre è l' altro nome di Dio sulle labbra e nei cuori di tutti i nostri figli".
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La provincia di VM ha laghi, boschi e musei, vero? Perché io me la immagino ricca di verde e grandi spazi dove passeggiare.
La provincia di VM è incredibile, credimi.
Ci si trovano persino gli struzzi, un gelato al pistacchio che è la fine del mondo, fari che pare di stare sull'oceano, una discreta programmazione cinematografica (con distrazioni impellenti), un baobab, un palloncino ad elio e una scimmietta che giocano, poi il volgo e una contessa, gente in canoa che mangia panini smunti e innamorati che se ne va mano con la mano su spuma di burrata fino a fare i Rodin su una panca al rumore dell'acqua che scorre.
Ciao Pep, mica te la so raccontare tutta la provincia di VM, ci vuol tempo e parole per mettere insieme la realtà, fare ordine nel metabolismo lento come l'acqua nei canali d'estate.
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22/05/23
non ho niente di quella sera.
non ho foto, non ho scontrini, non ho biglietti.
ho solo ricordi: nella mente, nel cuore, nella pancia, sulla pelle.
e scriverli su un pezzo di carta mi aiuterà a tenerli vivi.
20:27, viale d'Annunzio 48, fermata dell'autobus, sto aspettando il 23.
eccola, l'ansia, è arrivata.
21:09, ancora viale d'Annunzio 48, ancora alla fermata dell'autobus, ancora aspettando il 23.
l'ansia è ancora qui.
in più è arrivata la decisione di raggiungerla a piedi, 20 minuti, ce la posso fare, no? si.
la luna è così piccola.
21:30, arrivata, piazza Oberdan.
vedo una ragazza, no non è lei.
più avanti ce n'è un'altra, forse un po' le somiglia, ma non tanto.
forse non la riconosco.
21:32, "io attraverso adesso".
mi giro, eccola, la vedo, il cuore sta per scoppiarmi.
faccio pochi passi per andarle incontro.
ce l'ho davanti, la guardo negli occhi per la prima volta, sorrido.
"tu vai di là e io vado di qua"
e poi l'abbraccio.
e il cuore invece di esplodere si tranquillizza.
d'altronde erano 6 anni che aspettava questo momento, il cuore.
d'altronde è sempre stato questo l'effetto.
ci incamminiamo, andiamo a prendere il gelato.
Gelateria Zampolli, via Carlo Ghega.
la guardo negli occhi per la seconda volta.
"ma a me non piace il gelato"
"come non ti piace il gelato? giura"
"giuro"
"e allora perché mi hai detto di si?"
"sto scherzando, ovvio che mi piace il gelato"
e poi all'uscita
"me lo ricordavo che ti piaceva il gelato".
camminiamo mentre mangiamo il gelato e nel mentre parliamo di come mi sembra trieste, dell'università, del lavoro.
Canal grande, statua di James Joyce.
"aspetta aspetta"
"devi fare la foto, giusto, tu sei turista"
prendo la reflex, cade la mia scimmietta portafortuna.
volevo che la scattasse lei la foto.
avrei avuto un suo ricordo, avrei avuto una foto da riguardare nel tempo sapendo l'avesse fatta lei.
niente, non ha voluto.
"domani devi farmi tornare qui per scattarla?"
la guardo per la terza volta negli occhi.
si, la sera dopo sono tornata lì per scattarla.
continuiamo a camminare, mi sto sporcando tutta col gelato.
sapevo sarebbe successo.
succede sempre.
"ti passo un fazzoletto, aspetta"
"ce l'ho ce l'ho, eccoli, no non volevo questi, eccoli, si, questi"
"perché questi?"
"sono più profumati"
"mi piace questa cosa"
pulisco la coppetta del gelato.
"me la tieni un attimo? è pulita ora"
"avrei potuto tenertela anche prima"
mi pulisco anche le mani.
riprendo la mia coppetta.
riprendiamo a camminare.
"non ho un bel ricordo di roma"
"come non hai un bel ricordo di roma, me ne hai sempre parlato benissimo"
ho sbagliato.
non tutti i ricordi associati a roma sono belli.
poi lo esprimo meglio dopo, mentre siamo sedute al molo.
verso il Molo Audace.
"guarda c'è una fontana se vuoi sciacquarti"
apro.
mi sciacquo.
mi bagno.
"sono impedita nel fare determinate cose"
mi avvicino a lei con le mani bagnate come se volessi lanciarle l'acqua addosso.
"no no no, lo sapevo"
cerca di allontanarsi.
cammina dietro di me.
"dai suu che ormai sono asciutte"
molo Audace, ci sono delle scale.
"per me possiamo sederci qua"
scende uno scalino.
"ma perché l'acqua è così alta?"
si siede, mi siedo.
la guardo per la quarta volta negli occhi.
nave da crociera, abitanti di trieste, biglietti che loro studenti non comprano per davvero.
si è fatto tardi, andiamo via.
"mi aiuti ad alzarmi?"
le porgo la mano.
non mi piace chiedere aiuto.
ma mi è piaciuta la sua mano che mi ha tirato su.
mi accompagna fino a quasi metà strada, ci abbracciamo, ci salutiamo.
mi allontano.
"ora quando ci vedremo un'altra volta? tra altri sei anni?"
non risponde, consapevoli, entrambe, che probabilmente sarà stata la prima e l'ultima.
mi giro un'ultima volta.
la guardo negli occhi l'ultima volta.
"ciao"
"ciao"
sono nell'autobus e penso, in ordine:
mi è sembrato di conoscerla da una vita.
beh ovvio, è così, è come se fosse una vita.
sono riuscita a guardarla negli occhi solamente 5 volte.
è l'unica persona al mondo con cui mi è successo.
di solito guardo tanto le persone negli occhi, mi piace.
con lei non riuscivo.
incrociavo i suoi occhi.
troppo forti.
dovevo per forza distogliere lo sguardo.
il mio primo amore.
quel cerchio si è chiuso.
e si è chiuso lì davanti al mare.
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