Tumgik
#soprattutto la Rai del 2017
inkyself · 8 months
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Gli incubi che mi vengono se penso a Skam adattata dalla Rai
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aitan · 3 months
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"Frattamaggiore è una piccola città a Nord di Napoli, un comune di poco più di cinque chilometri quadrati, ma molto densamente popolato, cementificato e trafficato.
A Frattamaggiore ci sono molte banche e poche attività produttive ed è presente un gran numero di istituti scolastici pubblici e privati. Inoltre, a Fratta, ogni giorno si inaugurano nuovi bar, pub, sale giochi, punti scommesse e pizzerie che aumentano la capacità di attrazione di questo piccolo territorio di periferia.
Pochi, invece, gli spazi pubblici di aggregazione culturale, soprattutto per i giovani, che si riversano per le strade con in mano una birra, un cicchetto, una pizzetta o una canna di erba o di fumo e vengono accusati di schiamazzi notturni da una generazione che offre loro scarse alternative e pochi modelli culturali che esulino dalla logica della dipendenza e del consumo.
Eppure, per la sua storia e per la grande quantità di artisti nati in questo territorio, Frattamaggiore potrebbe diventare una autentica *città della musica*, con tutto l’indotto economico e socioculturale che questo potrebbe comportare.
Era di Frattamaggiore un genio dell’armonia come Francesco Durante (1684-1755) precursore della Scuola musicale che fece di Napoli, nel XVIII secolo, uno dei massimi centri operistici mondiali.
E sono o sono stati di Frattamaggiore una lunga serie di musicisti, soprattutto clarinettisti, sassofonisti e batteristi, legati al mondo del jazz, della musica classica, del rock e del pop.
Una lunga serie di cui sono stati antesignani i fratelli Pierino, classe 1927, e Gegè Munari, classe 1934, due meravigliosi diffusori del drumming jazz e del verbo swing in Italia.
Pierino – per anni nella Big Band della RAI e batterista di centinaia di colonne sonore composte da artisti del calibro di Ennio Morricone, Nino Rota e Piero Umiliani – se ne è andato nel 2017; Gegè, invece, è ancora attivo, energico e trascinante alle soglie dei 90 anni che compirà tra un paio di giorni, ed è giustamente considerato uno dei padri fondatori della “musica sincopata” italiana [...]."
Questo lo scrivevo un paio di giorni fa.
Oggi è arrivato il grande giorno del compleanno di Gege Munari. 90 anni compiuti.
Ieri, gli è stato conferito dal Presidente Sergio Mattarella il titolo di "Ufficiale della Repubblica".
Per chi si trovasse a Roma, Gegezz festeggia nel ristorante di Stefano Di Battista e Nicky Nicolai "Da Peppe a Tor Cervara".
Chi, invece, si trova a Frattamaggiore città della musica può venire alla prima serata dell'ottava edizione del Mediterraneo Reading Festival, che si tiene alle 20:30 al civico 27 di Via Lupoli.
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carmenvicinanza · 10 months
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Valeria Della Valle
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Ci sosterrà la speranza che fra qualche anno, una donna che abbia deciso di professare l’architettura, l’avvocatura o la medicina, o che veda nel suo futuro la direzione di un’orchestra, o infine che intenda arruolarsi nell’esercito, dopo aver sfogliato le pagine di questo dizionario, scelga di chiamare se stessa architetta, avvocata, medica, direttrice, soldata anche perché “lo dice il Dizionario Treccani”.
Valeria Della Valle, importante linguista, è la prima donna che ha diretto un dizionario della lingua italiana, per Treccani, dove è entrata, negli anni Settanta da giovane redattrice e oggi è nel consiglio scientifico dell’Enciclopedia Italiana.
Nell’edizione del 2022, co-diretta con Giuseppe Patota, ha messo in atto una rivoluzione. Sfidando regole e convenzioni, per la prima volta, il testo registra aggettivi e sostantivi, prima al femminile e poi al maschile, in successione alfabetica: “Non c’era nessuna motivazione scientifica perché questo non accadesse, solo il prevalere storico della cultura maschile“.
Nata a Roma nel 1944 è cresciuta nell’ambiente artistico e culturale di via Margutta. Sua madre dipingeva e restaurava quadri antichi, suo padre lavorava nell’editoria. Da bambina ha assistito alle dissertazioni di adulti come Renato Guttuso, Alfonso Gatto, Sibilla Aleramo, Giorgio De Chirico, Alberto Burri, Carlo Mazzacurati, Enrico Galassi.
Si è laureata alla Sapienza con Arrigo Castellani, che le ha aperto la strada a una spiegazione razionale al processo di cambiamento della lingua.
Ha pubblicato saggi su antichi testi toscani, sulla storia della lessicografia, sulla terminologia dell’arte, sulla lingua della narrativa contemporanea e sui neologismi.
È stata professoressa associata di Linguistica italiana alla Sapienza Università di Roma fino al 2014.
Ha diretto la terza edizione del Vocabolario Treccani dell’Istituto della Enciclopedia Italiana in cinque volumi (1986-1994) e contribuito ad apportare un cambiamento nella definizione della voce “donna”, nel passato sempre definita come “femmina dell’uomo” e in quell’edizione diventata “Nella specie umana, individuo di sesso femminile, soprattutto dal momento in cui abbia raggiunto la maturità anatomica e quindi l’età adulta”.
È autrice di Dizionari italiani: storia, tipi, struttura (2005) e, con Giovanni Adamo, di Le parole del lessico italiano (2008). Insieme a Giuseppe Patota ha pubblicato tredici manuali di divulgazione dedicati alla lingua italiana.
È protagonista di rubriche giornalistiche, radiofoniche e televisive riguardanti dubbi e curiosità sulla nostra lingua, e consulente scientifica di Rai Educational per la realizzazione di programmi dedicati all’insegnamento della lingua italiana.
È socia corrispondente dell’Accademia della Crusca e socia ordinaria dell’Accademia dell’Arcadia. Fa parte del consiglio di amministrazione e del comitato scientifico della Fondazione Bellonci e del comitato direttivo del Premio Strega, del comitato scientifico del Bollettino di italianistica e del consiglio scientifico del PLIDA (Progetto Lingua Italiana Dante Alighieri) della Società Dante Alighieri.
Presso l’Istituto per il lessico intellettuale europeo e storia delle idee del CNR ha coordinato con Giovanni Adamo, fino al 2019, il progetto di ricerca Osservatorio neologico della lingua italiana (Onli).
Ha scritto soggetto e testo del documentario Me ne frego! Il Fascismo e la lingua italiana, prodotto dall’Istituto Luce Cinecittà, diretto da Vanni Gandolfo e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2014. Nel 2016 ha realizzato il documentario L’arma più forte. L’uomo che inventò Cinecittà, presentato in anteprima alla Festa del cinema di Roma nel 2016, che ha vinto il premio al miglior documentario di cinema Diari di Cineclub 2017.
Dall’ottobre 2020 ha condotto la trasmissione di Raitre Le parole per dirlo.
Nel 2022 ha pubblicato la sua prima opera di narrativa, La strada sognata, una raccolta di racconti ambientati nella comunità artistica che nella prima metà del ‘900 animava Via Margutta a Roma, che le è valso il Premio Settembrini.
C’è una sproporzione tra gli epiteti offensivi presenti accanto a “donna” e quelli che possono essere riferiti a un uomo. I primi hanno a che fare soprattutto con offese scagliate contro la donna  riferite  alla sua  vita sessuale, di donna che vende il proprio corpo dietro pagamento. Ma è la nostra storia, non solo quella italiana, a mancare di parole a proposito dell’uomo, corrispondenti a quelle usate per indicare un costume al quale è stata obbligata per secoli solo la donna. Anche per l’uomo abbiamo insulti che alludono alle sue abitudini sessuali e certamente in misura non paragonabile, ma qui entriamo in questioni che non hanno a che fare con la rappresentazione linguistica, bensì con la copertura eufemistica di tabù millenari. Sono convinta che non sarà invocando un falò (non solo simbolico) per bruciare le parole che ci offendono che riusciremo a difendere  la nostra immagine e il nostro ruolo. Anzi, vorrei che le espressioni più detestabili e superate continuassero ad avere spazio nei dizionari, naturalmente precedute dal doveroso avvertimento che segnala al lettore quando le espressioni o le frasi proverbiali citate corrispondono a un pregiudizio o a un luogo comune tramandato dal passato ma non più condivisibile. Secondo qualcuno i dizionari sono “cimiteri di parole”: credo, al contrario, che il nostro sforzo comune debba essere quello di fare in modo che la lingua del disprezzo esaurisca il suo corso, rimanendo come testimonianza sociale, storica, letteraria, del passato. Con la speranza, questo è il mio augurio, non solo da lessicografa, che la realtà (e poi la lingua) cambi, perché le parole non siano più solo femmine, i fatti non più solo maschi.
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giancarlonicoli · 10 months
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18 nov 2023 15:33
“IO MORIRÒ DAVANTI AL COMPUTER SCRIVENDO SU DAGOSPIA” – IL “TESTAMENTO” DI DAGO: “IL SITO NON L’HO FATTO PER I SOLDI E NON INTENDO VENDERLO. HO SEMPRE CREDUTO CHE LA FELICITÀ SIA FARE LA COSA CHE CI PIACE, E CHE IL LAVORO SIA LA DIGNITÀ DELL’UOMO. IO FACCIO QUELLO CHE MI PIACE. HO UNA REDAZIONE MERAVIGLIOSA, CON IL MIO VICE RICCARDO PANZETTA, E ANDRANNO AVANTI ANCHE DOPO DI ME – MIO FIGLIO ROCCO È UNO SCIENZIATO, AMA QUEL LAVORO E DI DAGOSPIA NON GLI FREGA ASSOLUTAMENTE NULLA. È PADRONE AL 100%, DECIDERÀ LUI IL DA FARSI”
Claudio Plazzotta per “Italia Oggi”
Roberto D’Agostino si gode il successo del suo atto di amore verso la città che adora, il documentario «Roma santa e dannata» distribuito in vari cinema italiani e che, tra qualche settimana, verrà trasmesso pure dalla Rai. «È una cosa bella e malinconica», dice D’Agostino a ItaliaOggi, «senza coatteria. Un racconto dolente sulla nostra città. Perché ovunque andassimo, a Londra, Parigi, New York, Los Angeles, poi però volevamo tornare sempre a Roma, a casa».
Una vita di eccessi, di tatuaggi, di «volevo essere Keith Richards», e poi il contrappasso pure per D’Agostino: il figlio Rocco, 28 anni, laureato in ingegneria civile alla Brunel University di Londra. Tra il 2016 e il 2017 master all'Imperial college sempre di Londra. Un esperto di scienze dei materiali, senza neanche un tatuaggio, che, dopo un'esperienza in Finmeccanica, dal febbraio 2018 vive e lavora a Milano in Pirelli. Niente Roma, quindi, e niente Dagospia, nonostante Rocco sia padrone al 100% del sito di news lanciato da D’Agostino nel 2000.
«Certo, Rocco è uno scienziato, ama quel lavoro e di Dagospia non gli frega assolutamente nulla. È padrone al 100%, deciderà lui il da farsi». Perché Roberto D’Agostino, nonostante la camicia sbottonata d’ordinanza che se lo fa un quarantenne prende la bronchite all’istante, ha compiuto 75 anni, ed è tempo per porsi qualche domanda. Del tipo: una società, come quella di Dago, che nel 2021 ha avuto ricavi per 2,9 milioni di euro con 778 mila euro di utili, e che nel 2022 ha chiuso con 2,6 milioni di ricavi per 680 mila euro di utili, con un rapporto utili/ricavi del 26%, potrebbe essere molto appetibile per tanti investitori.
Vale la pena vendere? «Però», risponde D’Agostino, «il sito l’ho fatto a 52 anni perché fino ad allora lavoravo con capi che mi chiedevano pezzi ma io ne sapevo sempre più di loro. Internet non costava niente, e ho aperto un mio blog perché il contratto che avevo con l’Espresso, all’epoca, non prevedeva esclusive per Internet. Ho lanciato Dagospia perché ero infelice, amareggiato. Non l’ho fatto per i soldi e non intendo venderlo. Ho sempre creduto che la felicità sia fare la cosa che ci piace, e che il lavoro sia la dignità dell’uomo. Io faccio quello che mi piace. Ho una redazione meravigliosa, con il mio vice Riccardo Panzetta, e andranno avanti anche dopo di me. Io morirò davanti al computer scrivendo su Dagospia».
Domanda. Ma è vero che alla prima stesura il documentario si doveva chiamare «Roma santa e puttana»?
Risposta. Sì. Ma poi Google non accetta le parolacce, di questi tempi si deve tenere conto dell’algoritmo. E allora…
D. Nel documentario lei racconta soprattutto la Roma degli anni 60, 70, 80, 90. Quale ha preferito?
R. Di sicuro non ho amato la Roma degli anni 70, degli scontri politici, del terrorismo, della paura, del coprifuoco. Sono stati anni tumultuosi, e oggi i ragazzi si godono libertà che a noi sono costate botte e fughe da casa. Quando uscivo con la pelliccia di mia madre mi sentivo dire di tutto da mio padre. Ma lo capisco, era un uomo che aveva i valori della fine dell’800. Mi piace comunque ricordare sempre che le grandi rivoluzioni non le ha mai fatte la ideologia, ma la farmacia: prima con la pillola anticoncezionale, poi col viagra. Per noi, fino ai primi anni 70, non esisteva un rapporto sessuale tranquillo, c’era il terrore di mettere incinta le ragazze e i profilattici erano una specie di cinturato Pirelli, sensibilità zero.
D. Gli anni 60, invece?
R. A Roma c’è il Vaticano, c’è Dio, c’è Gerusalemme ma c’è pure Babele. A quei tempi tutti i gay stavano a Roma, Gore Vidal, Tennessee Williams, Marlon Brando, tutti a Roma perché qui si scopava. Non c’era il castigo della carne, non c’era il moralismo, tutti facevano la Dolce vita. Pensiamo a Pier Paolo Pasolini che stava coi ragazzini di 14 anni: oggi se accadesse qualcosa del genere ti arrestano. Roma è sempre stata un bordello.
D. Poi, negli anni 80, è arrivato il craxismo, l’edonismo reaganiano…
R. Io ho lavorato con l’assessore Renato Nicolini alla Estate romana. La popolazione romana era divisa, scontri per bande, coprifuoco. E serviva riconciliare tutti, con l’effimero. La cultura dell’Estate romana ha reso possibile la riconciliazione, con i film al cinema Massenzio, io che mettevo la musica a Villa Ada. E non la musica rock anni 70, divisiva. Ma quella dell’età dell’oro, degli anni 60.
D. Lei ama ripetere che i romani sono sempre stati capaci di distinguere bene la storia dalla cronaca. Con un disincanto massimo verso qualsiasi personaggio o fenomeno. Così, però, non si rischia di rimanere fermi, ancorati al passato?
R. Obama era cronaca, Kennedy era cronaca, nessuno se li ricorda più. A Roma svanisce tutto, in testa alla classifica ci sono sempre Cristo, il Vaticano e Roma. Per noi la storia è tutto. Per noi il passato è il nostro percorso, la forza del passato ci rende ancora più forti. Quando arriva una coatta a Palazzo Chigi, il romano si mette sulle sponde del Tevere e aspetta che passi il suo cadavere.
Così come è accaduto per Bossi, Renzi, Salvini o Conte. Roma è una città capitale d’Italia ma detesta l’unità di Italia. È una capitale decisa da Cavour che a Roma non ci era mai stato. Nel mio quartiere comandava il prete, a Roma comandano ancora i preti. E molti romani non hanno metabolizzato la breccia di Porta Pia, non hanno accettato la fine dello stato Pontificio. D’altronde, il più grande poeta di Roma, Gioacchino Belli, lavorava al Vaticano.
D. Meravigliosi, poi, i passaggi nei quali ricorda che i romani che si attovagliano per ore e ore al Moro o al Bolognese non sono parassiti fancazzisti. Sono romani che stanno portando a termine un lavoro, il lavoro più importante: tessere relazioni, allacciare conoscenze, creare rapporti…
R. A Roma il primo grande lavoro è avere relazioni, stare a tavola, avere una propria nomenclatura. Moravia aveva la sua corte, la Morante la sua, il gruppo 63 di Angelo Guglielmi la sua, serve avere una filiera, una rete che ti protegga, perché se stai da solo vai a sbattere. Non è un caso che a Roma ci siano molti circoli, dove è difficile entrare, dall’Aniene a quello della Caccia, degli Scacchi o del Tiro a volo. Sono logge, centri di potere. A Roma non esiste la solidarietà, ma solo la complicità, e tutti stanno zitti.
D. Roma abbraccia tutti, romanizza tutti?
R. Ricordo bene Franco Tatò, che conoscevo perché aveva lavorato alla Mondadori. Quando divenne capo dell’Enel arrivò a Roma. Una sera, a cena, lui iniziò a pontificare su Roma ladrona, una latrina da bonificare, con sua moglie che annuiva. Io ridevo. Dopo tre mesi lo beccai in giro mano nella mano con Sonia Raule. A Roma finisce sempre così.
D. Prima parlava di una coatta a palazzo Chigi. Che ne pensa del governo Meloni? Che fine farà?
R. Se non scoppiava la guerra in Israele le agenzie di rating e pure Bruxelles l’avrebbero già massacrata. Ora, però, non possono farlo, non è consigliabile creare instabilità in un paese al centro del Mediterraneo. Lei, però, si è messa contro tutti, ha perso spagnoli, polacchi, Ursula von der Leyen, ma dove va? Al governo ci sono tre partiti uno contro l’altro, diversissimi. Chiusa la guerra in Israele, secondo me salta. E all’Italia serve una cura greca, con la troika (Commissione europea, Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale, ndr), perché ormai è un legno troppo storto e va spezzato.
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gloriabourne · 5 years
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The one with the reunion in Naples
Non poteva negare di essere più felice di quanto lo fosse stato negli ultimi mesi.
Non poteva negarlo semplicemente perché gli si leggeva in faccia.
Non era solo il fatto di tornare finalmente a esibirsi su un palco. C'era molto di più e ormai Ermal sapeva perfettamente che chiunque se ne sarebbe accorto.
E non gli importava.
Era felice. Assurdamente felice. E non c'era niente di male nell'essere felice a causa di qualcuno, quindi non aveva intenzione di nasconderlo.
Il suo rapporto con Fabrizio lo aveva sempre reso felice.
Confuso, ma felice.
Non c'era mai stato nulla di definito tra loro, nessuna etichetta, nessun nomignolo sdolcinato. Non c'era stato niente, a parte i baci scambiati di nascosto e le notti passate insieme sotto le lenzuola.
Non avrebbero potuto sopportare una relazione con il peso di doversi nascondere e la distanza che tra loro era sempre troppo grande.
Così, fin dalla prima notte insieme trascorsa a Sanremo, avevano preso quel rapporto con leggerezza, godendosi gli attimi insieme e non pretendendo mai niente di più.
Ecco perché Ermal era così felice.
Perché anche prendendo il rapporto con leggerezza, aveva finito per innamorarsi. E non si può non essere felici quando si ha la possibilità di passare del tempo con l'uomo di cui si è innamorati.
La porta del camerino si spalancò mentre Ermal era davanti allo specchio a sistemarsi i capelli, ormai troppo lunghi e indomabili.
Il più giovane sollevò lo sguardo nello specchio vedendo Fabrizio che lo guardava attraverso il riflesso.
Aspettò che chiudesse la porta e lo fissò attraverso lo specchio mentre percorreva i pochi passi che li separavano, fino ad arrivare dietro di lui.
Nell'istante in cui Fabrizio gli circondò i fianchi con un braccio e appoggiò il mento sulla sua spalla, Ermal esalò un sospiro sollevato e si abbandonò completamente nel suo abbraccio.
"Mi sei mancato" mormorò Fabrizio contro il suo orecchio.
"Anche tu, Bizio. Ma ora siamo insieme."
"Già, ma per quanto? Un paio d'ore, e poi?"
Il tono di Fabrizio sembrava stanco, quasi scocciato. Ermal non lo aveva mai sentito così e per un attimo ebbe paura che quello fosse solo l'inizio di un discorso più grande, di una discussione in cui Fabrizio gli diceva quanto fosse insoddisfatto del loro rapporto e in cui gli spiegava per quale motivo fosse meglio per entrambi dare un taglio a ogni cosa.
Ebbe appena il tempo di pensarlo, che Fabrizio disse: "Non so se ce la faccio ancora in questo modo."
"Che vuoi dire?" chiese Ermal ancora tra le sue braccia, osservando il più grande attraverso il loro riflesso.
"Pensi che potremmo mai avere qualcosa di più? Qualcosa di un po' più stabile di qualche serata a un programma televisivo o qualche weekend uno a casa dell'altro?"
"È quello che vuoi?" disse Ermal con voce tremante.
Non era quello che si aspettava.
Tra i due era sempre sembrato lui quello più coinvolto in quella specie di relazione. Fabrizio sembrava semplicemente assecondare i suoi bisogni.
Ma quella confessione faceva intendere tutt'altro.
Fabrizio annuì con un cenno, poi nascose il viso nel collo di Ermal, preoccupato per come avrebbe reagito.
Ermal lo osservò per un attimo attraverso lo specchio.
Sembrava così piccolo e impaurito di fronte a quella confessione così grande.
Gli strinse la mano - ancora stretta sui suoi fianchi - e senza alcun dubbio nella voce disse: "E allora troveremo il modo di farla funzionare."
  La conversazione con Fabrizio aveva contribuito a rendere Ermal più felice di quanto lo fosse appena arrivato a Napoli. Cosa difficile da credere, visto che era euforico praticamente da quando aveva aperto gli occhi quella mattina.
Si sentiva finalmente bene, soprattutto perché sapeva che non sarebbe stata una sensazione temporanea, destinata a svanire al termine di quella serata.
Avevano deciso di provare ad avere di più, di impegnarsi per fare andare bene le cose ed Ermal era certo che ci sarebbero riusciti.
Uscì dal camerino con il cellulare in mano, pronto a metterlo in modalità silenziosa prima di salire sul palco.
Fabrizio era un po' più avanti, stava facendo un video piazzato davanti alla porta del bagno. Ermal sorrise ricordando quante volte si erano trovati in situazioni simili nel periodo dell'Eurovision: entrambi con il cellulare in mano, pronti a scattare una foto o a registrare un video insieme.
Cliccò velocemente sull'icona di Instagram sul suo cellulare e avviò una storia, mentre raggiungeva Fabrizio.
"Bizio, levati dal bagno delle donne. Dai, che non è rispettoso" disse spingendo il più grande lungo il corridoio.
Poi, completamente vittima di tutta la felicità che stava provando, esclamò: "Ho trovato Bizio!"
Era felice come un ragazzino innamorato, come un bambino la mattina di Natale. E vedere sé stesso così felice riflesso in quello schermo gli fece capire davvero quanto dovesse essere grato a Fabrizio per tutta quella felicità.
"Sei consapevole di cosa stiamo provocando, vero?" disse Fabrizio camminando lungo il corridoio, i telefoni ormai rimessi in tasca e un sorrisetto stampato in faccia.
Ermal annuì sorridendo.
Certo che ne era consapevole. Sapeva perfettamente cosa provocava ogni minima interazione tra lui e Fabrizio.
C'era stato un periodo in cui quasi era stato infastidito dalle reazioni dei fan. Era stato il periodo in cui le cose tra lui e Fabrizio avevano iniziato a prendere una piega diversa, il periodo in cui Ermal si era reso conto che la notte trascorsa insieme a Sanremo non era stata solo una casualità, un momento di debolezza passeggero. E rendendosi conto che qualunque cosa ci fosse stata tra loro continuava a esserci, aveva iniziato ad avere paura delle reazioni degli altri, arrivando a reagire male ogni volta che qualcuno parlava di lui e Fabrizio insieme.
Aveva avuto bisogno di un po' di tempo per riuscire e farsi scivolare addosso ogni cosa e, anzi, arrivare al punto di essere contento di condividere parte della sua felicità sui social.
Era per quello che qualche giorno prima non si era fatto scrupoli a commentare la foto di Fabrizio con il soprannome che solo lui usava, seguito da un cuore giallo e uno blu. Ed era per quello che non si era fatto scrupoli a registrare quelle storie insieme su Instagram.
"Non sembra che te ne importi. È una novità" lo prese in giro Fabrizio.
Ma effettivamente era davvero una novità che Ermal fosse così indifferente alle reazioni che sicuramente avrebbe causato tra i loro fan.
"In realtà, credo di aver capito che se noi siamo felici, i nostri fan saranno felici per noi. Quindi onestamente mi fa piacere far vedere quanto mi rendi felice" confessò Ermal.
Poi si fermò in mezzo al corridoio e, prendendo il cellulare, disse: "Anzi, vieni qua che facciamo una foto."
Fabrizio si avvicinò a lui mettendosi in posa, così vicino a Ermal da sentire il suo respiro tra i capelli e il battito del suo cuore, che sembrava volergli uscire dal petto.
C'era qualcosa di diverso quella sera. Era come se finalmente avessero imparato a vivere il loro rapporto con naturalezza, fregandosene di tutto il resto.
"Se ci scrivi sotto che hai rincontrato tuo fratello dopo tanto tempo, questa notte ti faccio dormire sul pavimento" scherzò Fabrizio, mentre vedeva Ermal digitare velocemente qualcosa.
"Sei tu che hai iniziato a chiamarmi fratello. Io mi sono solo adeguato" rispose. Poi voltò il telefono verso Fabrizio facendogli leggere la didascalia dell'immagine e disse: "Va bene?"
Fabrizio sorrise alla vista del suo soprannome seguito da un cuore rosso e annuì.
Andava più che bene ed era fin troppo, considerato quanto si fossero nascosti fino a quel momento.
"La metto anche su Twitter. Lì però ci aggiungo anche un finalmente prima del tuo nome. Su Twitter sono più esigenti" disse Ermal scherzando.
Fabrizio si perse a guardarlo mentre fissava concentrato lo schermo del suo cellulare.
Aveva sempre pensato che Ermal fosse bello, in ogni momento e in ogni circostanza, anche alle 3 del mattino e con i capelli arruffati. Ma Ermal felice era decisamente la sua versione preferita.
Illuminava ogni cosa con il suo sorriso e sapere di essere causa di quella felicità lo faceva stare bene.
"Cosa canti questa sera?" chiese appena Ermal smise di prestare attenzione al telefono.
"Mi avevano chiesto di cantare Amara terra mia ma ho preferito scegliere qualcos'altro" rispose Ermal.
Fabrizio lo guardò stupito. Ermal solitamente non perdeva mai l'occasione di cantare la canzone di Modugno che gli aveva portato fortuna alla serata delle cover del festival del 2017.
"Non guardarmi così, tanto non te lo dico cosa canto. Lo vedrai."
"Non sarò qui quando canterai" gli ricordò Fabrizio.
In effetti secondo la scaletta Fabrizio avrebbe cantato a inizio serata e quindi lui ed Ermal avevano concordato di vedersi direttamente più tardi in albergo, dove Fabrizio lo avrebbe aspettato.
"In camera c'è il televisore. Accendi su Rai 1 e mi vedi" rispose Ermal con un'alzata di spalle.
La performance di quella sera era troppo importante, troppo personale per svelargli la sorpresa prima del tempo.
"Posso dirti solo una cosa" disse notando lo sguardo fintamente offeso di Fabrizio.
"Cosa?"
"Ricordati sempre che sei il mio punto fermo."
  Fabrizio non aveva capito cosa volesse dire la frase di Ermal.
O meglio, aveva capito il significato - era piuttosto ovvio - ma non aveva capito per quale motivo Ermal glielo avesse detto in quel momento.
Aveva anche provato a chiederglielo, ma Ermal aveva scosso la testa e aveva risposto: "Dopo capirai."
Ed effettivamente, quando il dopo era arrivato, aveva capito.
Ermal aveva cantato Almeno tu nell'universo e Fabrizio aveva seguito tutta l'esibizione sul televisore della loro camera d'albergo.
Gli si era stretto lo stomaco a vederlo così preso da quella canzone, così immerso in quelle parole. Gli si era bloccato il respiro quando alla fine della performance aveva visto i suoi occhi lucidi.
E il suo cuore aveva saltato un battito quando, sentendolo parlare con Bianca, aveva capito che per tutto il tempo Ermal aveva cantato per lui.
Aveva parlato di punti fermi, e finalmente Fabrizio aveva capito il perché di quella frase.
Era il suo punto fermo. Era il suo “almeno tu nell'universo”.
Afferrò il cellulare e cercò il numero di Ermal, avviando immediatamente la chiamata.
Ormai l'esibizione era finita, doveva essere sicuramente in camerino.
Il telefono suonò a vuoto per un po' prima che Fabrizio decidesse di riattaccare e inviargli un messaggio.
 Appena puoi chiamami. E muoviti a raggiungermi.
 Non vedeva l'ora di parlargli, di vederlo, di dirgli che ogni cosa di quella canzone la sentiva anche lui.
Che sarebbe sempre stato il punto fermo di Ermal, così come Ermal lo era per lui.
Passarono quasi venti minuti - durante i quali Fabrizio aveva quasi fatto un solco sul pavimento camminando avanti e indietro - quando finalmente Ermal lo richiamò.
"Ehi, finalmente!" disse Fabrizio rispondendo.
Ermal, dall'altra parte, sospirò. "Scusa. Riprendermi ha richiesto più tempo del previsto."
La sua voce era flebile e spezzata, aveva pianto.
"Che è successo?"
"È successo che ho deciso di cantare una delle più belle canzoni al mondo. E non mi sono accontentato di cantarla. L'ho interpretata, perché la sentivo talmente mia che non potevo cantarla e basta. Ed è stato troppo" spiegò Ermal.
"Hai pianto."
Non era una domanda. Conosceva Ermal troppo bene, non aveva bisogno di chiederglielo.
"Un po'."
Fabrizio rimase per un po' in silenzio, cercando di mettere in ordine i pensieri che gli vorticavano in testa.
Sentì Ermal ispirare rumorosamente, cercando di calmarsi dopo la crisi di pianto di qualche minuto prima.
Quando lo sentì finalmente più rilassato, si decise a dire: "Hai parlato di punti fermi prima di salire sul palco."
"Non volevo dirti che canzone avrei cantato, ma volevo che al momento dell'esibizione capissi che era per te."
"L'ho capito. Ma penso che ci sia molto di più dietro."
Ermal sorrise e annuì. "In effetti c'è."
C'erano un sacco di cose dietro quella canzone che Ermal non aveva mai tirato fuori e che ora invece sentiva di dover fare.
"Allora vieni in albergo. Non vedo l'ora di parlarne."
  Quando Fabrizio andò ad aprire la porta della camera e si trovò di fronte Ermal, non gli lasciò nemmeno il tempo di entrare.
Lo abbracciò sulla soglia, senza preoccuparsi che qualcuno potesse vederli.
Lo strinse a sé come non aveva mai fatto prima e sentì Ermal affondare il viso nel suo collo e respirare a fondo.
"Stai bene?" chiese in un sussurro, mentre erano ancora stretti l'uno all'altro.
"Sì, sto bene" rispose Ermal. Poi si scostò da lui e finalmente entrò in camera.
Si sfilò la giacca e la abbandonò sul bordo del letto, poi si passò una mano tra i capelli con un gesto svogliato.
Era stanco. Anzi, esausto.
Tutta la tensione accumulata nei giorni passati finalmente era scemata, lasciando solo una grande sensazione di stanchezza.
"Era una richiesta?" chiese Fabrizio all'improvviso, incapace di trattenersi ancora.
Doveva sapere cosa c'era davvero dietro quella canzone, quale fosse il vero significato che Ermal aveva scelto di attribuire alla sua esibizione di poco prima.
Ermal si voltò verso di lui comprendendo subito di cosa stesse parlando. "In parte. Una richiesta e forse qualche dubbio."
"Che vuoi dire?"
"In quella canzone c'ero io che ti chiedevo di essere il mio punto fermo, di restare con me nonostante tutto e tutti. E poi c'ero io che mi domandavo se sarò in grado di essere lo stesso per te."
Aveva scelto quella canzone perché la sentiva sua, in tutto e per tutto.
Ma quella sera, dopo che lui e Fabrizio avevano finalmente deciso di fare un passo avanti, se la sentiva cucita addosso più del solito.
Sentiva improvvisamente il bisogno di avere delle certezze, di chiedere a Fabrizio di stargli accanto davvero, di non abbandonarlo mai.
E allo stesso tempo si sentiva divorato dai dubbi, perché non era certo di poter dare a Fabrizio ciò che lui invece avrebbe preteso.
Ma Fabrizio, ancor una volta, era pronto a dissipare ogni dubbio è paura.
Raggiunse Ermal e gli prese il viso tra le mani, costringendolo a guardarlo.
Solo quando fu certo che gli occhi di Ermal - seppur leggermente lucidi e offuscati - fossero puntati sui suoi, disse: "Sei il mio punto fermo da quando ti ho conosciuto. Quello che c'è tra noi è il mio punto fermo. Noi siamo un punto fermo."
Ermal chiuse per un attimo le palpebre, costringendo una lacrima che fino a quel momento era rimasta intrappolata tra le sue ciglia a scendere lungo la sua guancia.
Fabrizio la asciugò via con il pollice, prima di aggiungere: "Sarò il tuo punto fermo fino a quando mi vorrai."
"Sempre, Bizio."
Il più grande lo guardò per un attimo, indeciso se rispondere con una battuta sul fatto che fosse improbabile riuscire a sopportarsi per sempre, oppure se dirgli semplicemente che era disposto a regalargli ogni minuto della sua vita.
Sotto lo sguardo lucido di Ermal, però, la risposta possibile poteva essere una sola.
"Allora sempre, Ermal."
"Come abbiamo fatto ad andare avanti così fino a oggi? A credere che ci sarebbe bastato vederci ogni tanto e avere un rapporto senza impegno?"
Fabrizio scosse la testa. Non aveva davvero idea di come avessero fatto.
Si amavano. Era palese ormai.
Quindi anche lui non poteva che chiedersi come avessero fatto a mantenere un rapporto simile per oltre due anni.
Inspiegabilmente ce l'avevano fatta, ma a un certo punto era diventato insostenibile.
Sarebbero crollati da lì a poco, ecco perché Fabrizio quel giorno aveva ceduto.
E vista la reazione di Ermal, era felice di averlo fatto. Se non altro avrebbero provato a portare avanti una relazione normale, ben diversa da ciò che avevano avuto fino a quel momento.
"Comunque, a prescindere dalla crisi che ti ha provocato quella canzone, hai cantato benissimo questa sera" disse Fabrizio dopo qualche attimo, cercando di alleggerire la tensione.
"Sì?"
Fabrizio annuì. "Perfetto. Non che avessi dei dubbi al riguardo..."
"Temevo di combinare un disastro, di rovinare una delle canzoni più belle che siano mai state scritte" confessò Ermal.
Ora che l'esibizione era passata e aveva confessato a Fabrizio le sue paure, si sentiva molto meglio.
Si era tolto un peso che lo tormentava da giorni e finalmente sentiva di poter respirare di nuovo.
"Sei stato bravissimo. Mia Martini sarebbe orgogliosa di te" disse Fabrizio con un sorriso.
Ermal sorrise a sua volta prima di buttarsi di nuovo tra le sue braccia.
Sarebbe stato difficile addormentarsi quella sera, con tutte quelle emozioni che ancora gli scorrevano dentro, ma con Fabrizio accanto non sarebbe stato un problema.
Finalmente si sentiva bene e nemmeno la prospettiva di una notte insonne sembrava spaventarlo.
Tutto era finalmente al posto giusto.
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tarditardi · 5 years
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 Ben Dj - T'Appartengo (E2) L'Official release party del 12/12 fa muovere Cost - Milano
Il nuovo singolo di Ben Dj è "T'appartengo" (E2). Ambra Angiolini, 1994, "Non è la Rai". "T'Appartengo" torna 25 anni dopo con una versione dance/latin firmata dal dj & producer BEN DJ su E2  "Prometto, prometto"… Difficile non muoversi a tempo con un brano così. L'Official Release party del brano è in programma giovedì 12 dicembre al Cost di Milano. Dalle 20 alle 22 e 30, il programma è decisamente interessante: Ben Dj music, sparkling wine and snacks. Evento Facebook: https://www.facebook.com/events/1209850119404348/ RSVP: [email protected] - Pre-aggiungi ora su Apple Music, disponibile dal 13 Dicembre: https://presave.io/t/BenDJ
Cost Milano via Tito Speri 8 Milano . info e prenotazioni  02.62690631 https://www.facebook.com/CostDiscoRestaurantMilano/ https://www.instagram.com/ristorantecost/ http://www.ristorantecost.it
Chi è Ben Dj Ben Abdallah Taoufik aka Ben Dj, è un dj italiano di origini tunisine molto conosciuto a livello nazionale ed internazionale. I suoi dj set lo portano sempre in giro per il mondo da Miami ad Ibiza, dall'Europa all'Asia, passando dall'Arabia Saudita e, ovviamente, per le console dei top club italiani. E' spesso il protagonista musicale delle feste di presentazione del Calendario Pirelli. E' accaduto a New York, ad esempio, il 10 novembre 2017, quando si presentava The Cal 2018 ed è successo a Milano il 5/12/18, quando è stato presentato il calendario del 2019. A Milano, la città in cui vive da tempo, molti degli hot spot della città si affidano alla sua musica: dal Bullona, al Canteen, fino al Cost, dove è resident del giovedì Unconventional Thursday. Come se non bastasse, nell'estate 2019 è stato il dj di riferimento dell'esclusivo Lio Costa Smeralda, a Poltu Quatu, mentre nella primavera e inverno dello stesso anno era spesso in tv, su Canale 5, nel cast di "All Together Now".  Suonano spesso la musica di Ben Dj nei loro dj set e nei loro radioshow leggende del mixer come Steve Aoki, Tiesto, Blasterjaxx, Bob Sinclar, Oliver Heldens, Fat Boy Slim e tanti altri. E soprattutto, la sua musica piace molto su Spotify, oggi la Bibbia della musica: la sua "Thinkin' Bout You" è stata ascoltata 5 milioni e mezzo di volte! Tra le sue tante produzioni, spesso ai vertici di Billboard, Beatport o iTunes, ci sono "Me & Myself", "Sorry", "I'm In Love", "Freedom Call", "Smile" e pure "Hold Tight" (oltre 6 milioni di ascolti su Spotify). Anche "Thinkin' Bout You" ha raggiunto numeri altrettanto importanti, mentre il suo più recente singolo esce a dicembre 2019 su E2: è una cover dance/latin di "T'Appartengo", classico brano pop di Ambra Angiolini uscito nel 1994. https://www.instagram.com/btsound/ https://www.facebook.com/bendjfanpage/
Cos'è Cost Milano Aperto dal giovedì alla domenica, Cost è prima di tutto uno ristorante all'altezza delle aspettative dei più esigenti. In spazi con alti soffitti e grandi vetrate, fra lampadari anni '20 in cristallo e tappezzerie damascate, Ristorante Cost coniuga un ambiente ricercato e una cucina d'eccellenza basata su sapori mediterranei. Già durante la cena, e nel dopo cena, il cibo e cocktail preparati con cura qui fanno rima con stile e divertimento.
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pangeanews · 5 years
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Valentino Zeichen (e se i Diari fossero il suo capolavoro?) ci dimostra che i poeti italiani sono maliziosi e pettegoli. Meglio girare alla larga…
Ho conosciuto l’opera di Valentino Zeichen a Milano, su consiglio del poeta Alberto Pellegatta – un poeta vero, perciò raro. Mi consigliò di leggere, assolutamente, Metafisica tascabile, pubblicato da Mondadori. Quella poesia non mi emozionò, me ne ritrassi, irritato. Il secondo consiglio di Pellegatta, Biografia sommaria, Milo De Angelis, agì in modo contrario, lo trovai più consono, mi vestiva meglio.
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Quando ho conosciuto Valentino Zeichen, in seguito a una picaresca avventura nell’allora Rai Futura, a Roma, ne apprezzai la verve, la battuta salata. “Mi sembrano le poesie di un ottantenne, insomma, mi sembra il libro definitivo di un millenario millenarista che abbia già vissuto tutto”, mi disse, dopo aver letto alcune poesie che avevo raccolto in un libro, L’era del ferro. Avevo 28 anni, lì per lì mi parve un complimento. Il seguito del nostro incontro è stato narrato, con sfoggio grottesco e vespertino cinismo, da Massimiliano Parente, nel romanzo Contronatura, allora pubblicato da Bompiani e ora in Trilogia dell’inumano (La Nave di Teseo, 2017).
*
Valentino Zeichen pareva un santo della poesia: ritenuto tra i poeti più importanti del Paese, fin dall’esordio (Area di rigore, era il 1974, con quella benedizione di Elio Pagliarani che lo definì “Un Gozzano dopo la Scuola di Francoforte”), e pubblicato come tale (con Guanda, Mondadori, Fazi), viveva, lo dicevano tutti, in una casa-baracca. Ascoltando, mi chiedevo perché, al posto di parlare con compiacimento del poeta che viveva in una baracca e che andava a cena da Tizio e da Caio, non lo si aiutasse, qualora avesse voluto, a trovare altra sistemazione. C’era una specie di anacronistica aristocrazia nel poeta che vive in una baracca: una nobiltà vissuta da Zeichen e ancor più goduta dai suoi più o meno apparenti amici.
*
Hanno continuato a non piacermi le poesie di Zeichen, augustee, ironiche, di una intelligenza fuori tempo – più prossima a Domiziano che alla Roma parlamentare – che di certo stuzzicava i pettegoli mecenati del poeta. Mi convinceva, piuttosto, il poeta in sé, la sua presenza, perfino le sbandate narcisistiche, i giudizi decadenti. Per me, voglio dire, i diari di Zeichen – il poeta in cui tutti ammiravano quello che avrebbero voluto essere senza averne il coraggio, basta lui – che Fazi ha cominciato a pubblicare dallo scorso anno sono l’opera autentica, lo zenit del poeta, la sua poetica, lo scintillio del talento.
*
Questo Diario 2000 (Fazi, 2019), ad esempio, si legge con fatale godimento: del giorno il poeta, rapace, sintetizza l’oro e l’ombra, l’ambiguo e il triviale. Vivere da poeta in baracca è a volte imbarazzante, altre divertente. Zeichen, che come i poeti d’epoca imperiale è stipendiato da qualche mecenate, ne ha anche loro: “Mi ha telefonato la mia mecenate e vuole sapere il tono dei commenti dopo la festa data per il mio libro. E anche vedere qualche riscontro della mia notorietà ‘presunto’, sulla stampa quotidiana. Un simile investimento deve avere un tornaconto d’immagine”.
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I giudizi sono ostinatamente frollati nel ricino, per fortuna. “A proposito della poetessa Antonella Anedda; una saprofita letteraria che si nutre dei russi, i più sventurati scrittori e poeti di questo secolo. Ma una poesia fatta, più o meno, di onesto dolore, può bastare?”. A proposito di Alda Merini: “la rastrella-premi, l’ex ospite di manicomi che intenerisce i giurati”. A proposito di Roberto Mussapi: “Un poeta? Forse, ma soprattutto un gran traffichino. Lo osservavo durante lo spoglio delle schede di voto della giuria popolare [si fa riferimento al “premio Camaiore Poesia 2000”, ndr]; aveva un’espressione ancora fiduciosa, distanziato da una lunghezza o due dalla trionfatrice. Ma subito dopo lo spoglio, caduta la speranza di ribaltare il risultato, la sua accurata abbronzatura si è fatta terrea”.
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Al contrario di Alda Merini, Zeichen non riesce a intenerire i giurati. “9 milioni dai troppi zeri, questo era l’ammontare del premio Gatto, assegnato al vincitore Maurizio Cucchi. Mi confida F. Cordelli, giurato e sostenitore del mio libro Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, che fra le motivazioni a sostegno della mia casa c’era anche quella sulle mie condizioni economiche difficili, perciò Franco era per l’assegnazione del premio a me. E Alba Donati ha riferito a Franco la reazione di Cucchi: ‘E che dobbiamo pagare noi per lui perché ha pochi soldi?’”. Al di là della pochezza, lo sketch ci fa capire che ai premi letterari, come supponiamo, di tutto si parla fuorché dei libri. Se uno è miliardario e poeta eccellente, che vinca: non dovrebbe contare il conto in banca ma il genio sovrano.
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Frigna spesso, Zeichen. Quando accusa il premio Viareggio, “banda di mafiosi comunisti, capeggiata da Cesare Garboli e Giovanni Giudici”, ne fa non tanto una questione etica (“non rispetta nessuna oggettività basata sulle valutazioni critiche delle opere, avvalorate dalle recensioni”), ma privata: voleva vincerlo lui. In calce, sputtana De Signoribus, “modesto… onesto poeta delle Marche”. Il livore di Zeichen – espresso, sempre, con una scrittura cristallina, spoglia, da moralista francese – è significativo: non altro è la poesia italica, un piagnisteo di autentici poveracci.
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A volte, ripeto, si assiste alla marziana serenità di un poeta latino, risolto in un insano stoicismo (“Stanotte vado a letto senza cenare. Digiuno dietetico, precauzione igienica, purificazione? Definizioni insensate per un gesto casuale. La verità è che non ho niente da mettere sotto i denti”). Altre volte, a implacabili rivelazioni: “Il destino del poeta è: consegnare le chiavi della perfezione estetica alla morte, che tutela l’immortalità della bellezza delle forme, respingendo le logoranti ingiurie del tempo. La morte è la banca della bellezza, vedasi le banche divenute vere e proprie pinacoteche”.
*
Verso i mecenati era gentile, ma mai inchinato, Zaichen. Sapeva che sono loro, i benestanti, a essere in debito con lui, con il poeta. Egli nutre la loro vuota esistenza, loro non fanno che riempirgli, a volte, lo stomaco.
*
Quando scrive del suicidio della sua mecenate, Lita, ne scrive come chi sa che si muore per una voluttà, per uno sfarfallio di disperazione, per una gioia malriposta, per una cattiva interpretazione: e chi te lo fa fare? “Domenica, nelle prime ore pomeridiane, è mancata l’amica Lita, la mia cara mecenate si è sparata alla tempia un colpo di calibro 38, ha ucciso quello che era rimasto vivo di lei. A seconda dell’età in cui ci si uccide, tenuto conto della durata di una vita media, si ammazza solo una percentuale variabile della propria vita. Lei ricercava in ogni cosa la compiutezza formale, ed esigeva un perfezionismo attivo da tutte le persone che le erano vicine; dal vestiario all’espressione verbale, era un continuo invito a superarsi”. Ci si supera fino al supremo sparo.
*
L’editore, in calce, pubblica Ogni cosa a ogni cosa ha detto addio, il libro poetico del 2000. Forse a conferma che la vera opera di Zeichen, che anche quando è crudele lo è con serenità narrativa, è il diario.
*
Pensieri che paiono scritti da Orazio, quasi a dire che la poesia uncina i millenni, il poeta è un fiume. “Ho nuovamente riparato il tetto, e provvidenzialmente viene a piovere per collaudare la tenuta. Giorni fa c’era già stato un breve acquazzone, e l’acqua gocciava dal tetto. Adesso piove insistentemente, è una pioggia fitta e regolare che si infiltra là dove ho riparato; è un’acqua che ha tutto il tempo per pensare”.
*
Più che altro, viene fuori una idea della poesia italiana come una cattedrale di gossip, una milizia di malizie, una folla di mercenari proni al proprio tornaconto. Un inferno volgare, un artificio di melma, dove Zeichen sguazza con la sagacia di Marziale, ricco – va detto – della propria povertà, brandita ad ascia. Viene da pensare – e di questo sono grato, post-mortem, a Valentino – che se è questa la poesia italiana e il suo sotterfugio e il suo sobborgo, meglio adempiere l’esilio, scrivere su frontoni di pietra e condividere il verbo con gli alberi, la luce, il vento. (d.b.)
*In copertina: Valentino Zeichen (1938-2016) secondo Eric Toccaceli
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ll peggiore dei mondi possibile
Può sembrare paradossale, ma il peggiore dei mondi possibili ci affascina: la fantascienza cosiddetta distopica è, infatti, uno dei filoni che vanno per la maggiore. Tanto che buona parte dei romanzi del genere sono stati trasposti in film di successo.
Ma cos’è la distopia? Una società immaginaria altamente indesiderabile o spaventosa. Il termine è stato coniato in contrapposizione ad utopia, e viene utilizzato soprattutto per descrivere un'ipotetica società (spesso collocata nel futuro) nella quale alcune tendenze sociali, politiche e tecnologiche, percepite come negative o pericolose, sono portate al loro limite estremo.
Tra le opere di rilievo vi sono le narrazioni fantapolitiche della prima metà del Novecento, tra cui Il padrone del mondo di Robert Hugh Benson - ambientato intorno all'anno 2000, quando il mondo è diviso politicamente in tre grandi stati, ed in cui la religione, in particolare la religione cattolica, è perseguitata globalmente in tutto l'emisfero, preannunciando l'imminente avvento dell'apocalisse - Il tallone di ferro di Jack London, appartenente al filone anti-totalitario, ed Il mondo nuovo di Aldous Huxley.
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Fra i padri del genere annoveriamo sicuramente H.G.Wells, con i suoi Il risveglio del dormiente e La macchina del tempo. Wells è autore anche di La guerra dei mondi, pubblicato a Londra nel 1897 e considerato uno dei primi romanzi di fantascienza. L'avvio è lento, con una riflessione, a metà tra il filosofico e l'umoristico, sulle false certezze umane nell'epoca dell'illusione positivista. Subito, però, la storia si anima e, in un crescendo di suspense, viene descritto l'arrivo sulla Terra di terrificanti marziani che seminano distruzione e minacciano di cancellare ogni traccia di vita sul pianeta. Un gioco della fantasia ed una lente di ingrandimento sulle paure della società post industriale inglese, ancora oggi attuale grazie a uno stile che coniuga con intelligenza gli ingredienti del racconto fantastico e del romanzo dell'orrore.
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Una delle più celebri distopie a sfondo anti-totalitario, da cui sono stati tratti due film, una serie televisiva ed un adattamento radiofonico è 1984 di George Orwell.
Famosissimo è anche Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Ambientato in un imprecisato futuro posteriore al 1960, vi si descrive una società distopica in cui leggere o possedere libri è considerato un reato, per contrastare il quale è stato istituito un apposito corpo di vigili del fuoco impegnato a bruciare ogni tipo di volume. Nel 1966 il libro è stato trasposto in un omonimo film per la regia di François Truffaut.
Come non citare poi Il pianeta delle scimmie, di Pierre Boulle? Il romanzo, datato 1963, è diventato un vero e proprio cult, la cui l’ultima trasposizione cinematografica è The War – il pianeta delle scimmie , del 2017.
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Altro scrittore di punta del genere è Philip Dick, autore di, per citarne solo alcuni, Cronache del dopobomba, La svastica sul sole e Ma gli androidi sognano pecore elettriche? a cui Ridley Scott si è ispirato per il suo Blade Runner.
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Più recente è Il racconto dell’ancella, di Margaret Atwood. Ambientato in un futuro prossimo, in una teocrazia totalitaria che ha rovesciato il governo degli Stati Uniti, Il racconto esplora i temi della sottomissione della donna e dei vari mezzi che la politica impiega per asservire il corpo femminile e le sue funzioni riproduttive ai propri scopi. Da quest’opera è stata tratta l’omonima serie televisiva, considerata da molti la migliore dello scorso anno.
Anna, di Niccolò Ammaniti , ci racconta le avventure di una tredicenne cocciuta e coraggiosa che parte alla ricerca del fratellino in una Sicilia diventata un’immensa rovina.
La Voragine, di Andrea Esposito è ai margini di una città assediata e distrutta. Una terra incendiata dal gelo e accasciata, dove uomini ciechi si divorano l’un l’altro. E’ la fiaba nera di un passato in macerie, di un millennio in disfacimento, di un presente orfano.
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Chiudiamo infine con due recenti saghe, apprezzatissime dai giovani: il mondo degli Hunger games di Suzanne Collins. Una specie di barbaro reality show ambientato in un mondo futuro ed in cui vige una sola legge: o uccidi o muori. Ma La ragazza di fuoco protagonista della saga, Katnis Everdeen, riuscirà infine a far risuonare il canto della rivolta.
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Nel mondo futuristico descritto in Divergent di Veronica Roth, invece, le persone sono divise in fazioni sulla base delle loro personalità. Beatrice Tris Prior è una "divergente" e non può essere inserita in nessuno dei gruppi esistenti. Nei capitoli successivi della trilogia – Insurgent e Allegiant -  la protagonista scoprirà una cospirazione per eliminare tutti i divergenti e dovrà capire perché essere diversi è così pericoloso e temibile, prima che sia troppo tardi.
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buonista · 6 years
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Den Gamle By
La cultura della Danimarca è in generale molto legata a quella della Germania. Questo vale anche per la canzone tradizionale danese, la cui origine può essere ricondotta a influenze esterne e soprattutto a quella tedesca (in particolare quella di J.P.A. Schultz, vissuto tra il 1747 e il 1800).
La rinascita di questa canzone nazionale danese è avvenuta nel corso del XX secolo, per opera di autori come Carl Nielsen e i suoi allievi Oluf Ring, Thorvald Aagaard, Otto Mortensen.
Testimonianza di questo piccolo fenomeno culturale si trova in un nuovo disco di musiche corali pubblicato da Naxos il 20 luglio 2018, che si intitola Forar Og Sommer I Den Gamle By.
Nella raccolta, oltre a diversi brani di Nielsen e degli allievi già citati, compaiono vari altri musicisti danesi vissuti tra la seconda metà dell’800 e i giorni nostri.
19 canzoni in tutto, che hanno fatto da sfondo alla vita vissuta in passato nelle vie del centro storico.
Il significato del titolo infatti è La primavera e l’estate nella Città Vecchia. E teniamo conto che “Città Vecchia”, come mi ha fatto notare Alessia, non è una espressione generica. Si chiama proprio Den Gamle By ed è un’attrazione turistica di Aarhus: come in un viaggio indietro nel tempo, il visitatore si ritrova in questo ambiente perfettamente ricostruito dell’antica Danimarca, suddiviso in varie epoche. La parte più antica è ambientata a prima del 1900, in una cittadina mercantile, completa con case, giardini, negozi, laboratori. Le persone che vi si incontrano sono figuranti vestiti come all’epoca.
Più moderna è la parte ambientata nel 1927, che si è arricchita di strade, automobili, asfalto, lampioni, annunci pubblicitari murali e telefoni pubblici.
Ancora più recente il quartiere degli anni 70, con parrucchieri, cliniche ginecologiche, supermercati, minimarket, asili pubblici e radio private. Oltre alle famiglie tradizionali, c’è una comune. Le automobili sono il Maggiolino e la Citroen.
Aarhus è la seconda città della Danimarca, situata nella regione dello Jutland Centrale. È stata capitale europea della cultura nel 2017 (insieme a Paphos, Cipro).
Da quanto mi ha raccontato Alessia, a Den Gamle By tutto è perfetto e assolutamente finto. Una città immaginaria.
Questo mi ricorda varie cose: l’Italia in Miniatura dove andavo da piccolo a Viserba di Rimini, e gli altri parchi di divertimenti nati per ricostruire un ambiente del passato (il Far West per esempio).
La Betlemme in miniatura, comunemente chiamata “presepe”.
Le città che costruivo io con i Lego.
L’idea borgesiana di una mappa grande quanto la realtà.
Il set di un film o una serie tv ambientata nel passato. O in cui i personaggi viaggiano nel tempo.
Via Fondazza a Bologna, che è un luogo reale e attuale, ma talmente perfetto con la sua serie di botteghe tradizionali da sembrare costruito a tavolino.
I giochi sul modello di Dungeons & Dragons (“Segrete e Draghi”), che prevedono ampie e dettagliate rievocazioni storiche. Nell'agosto 2018, una puntata di Wikiradio su Radio3 Rai raccontava proprio la nascita e l’importanza di Dungeons & Dragons per il mondo dei giochi.
Quest’anno ho imparato quanto sia utile praticare i giochi di ogni tipo per comprendere la vita e il mondo, ma non è questo il prossimo argomento. Adesso parliamo della
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carmenvicinanza · 2 years
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Biancamaria Frabotta
https://www.unadonnalgiorno.it/biancamaria-frabotta/
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Ero considerata troppo donna, troppo femminista, troppo intelligente, troppo viscerale, troppo accademica, troppo poco accademica, troppo bella, perfino troppo alta. Insomma ero «troppo» tutto, per essere «solo» poeta.
Biancamaria Frabotta è stata scrittrice, poeta, traduttrice, giornalista, accademica e un’importante rappresentante del femminismo separatista.
Il suo impegno si è focalizzato soprattutto sulle rivendicazioni femminili e la lotta di classe.
Nata l’11 giugno 1946 a Roma, dal padre aveva appreso l’amore per i libri, che aveva iniziato  a leggere sin da piccolissima. Al liceo si era appassionata al pensiero di Marx che l’ha portata a militare nel Movimento Studentesco del ’68. Si è laureata in Lettere con una tesi su Carlo Cattaneo, è stata assistente di Walter Binni con cui ha collaborato all’antologia Ideologie politiche del Risorgimento italiano.
Dai primi anni ’70 ha fatto parte del Movimento delle Donne, a cui ha apportato preziosi contributi.
È stata anche molto attiva nel Partito di Unità Proletaria.
È stata autrice di una ventina di libri di poesia, ma anche di saggi sulla letteratura e di atti unici per il teatro.
Nel 1976 ha pubblicato Donne in poesia, con la prefazione di Dacia Maraini in cui sono antologizzate ventisei autrici, alcune già famose come Amelia Rosselli e altre agli esordi come Patrizia Cavalli e Vivian Lamarque. Il libro, che aveva suscitato un vivace dibattito, tratta il tema della specificità del linguaggio poetico femminile, ripreso e ampliato in Letteratura al femminile, del 1980, che indaga le tracce del femminile anche nella letteratura maschile.
Nel 1989 ha pubblicato il romanzo, Velocità di fuga, vincitore del Premio Tropea.
È stata docente di Letteratura Moderna e Contemporanea a La Sapienza di Roma.
Nel 1994 ha condotto un ciclo di trasmissioni Rai dedicato al Canzoniere di Petrarca. Ha fatto parte degli Amici della Domenica per l’attribuzione del Premio Strega e ha scritto, per il teatro, una serie di atti unici raccolti in Trittico dell’obbedienza del 1996.
Ha collaborato, tra gli altri, con Il Manifesto e  L’Orsaminore, mensile di cultura e politica nato nel 1981 nel contesto dei collettivi femministi romani.
Nel 2013 è stata nominata socia onoraria della Società Italiana delle Letterate.
Il 31 maggio 2016 ha tenuto la sua ultima lezione universitaria alla Sapienza.
Nel 2018 è uscita la raccolta Tutte le poesie 1971-2017 di Biancamaria Frabotta che raccoglie quasi cinquant’anni della sua attività poetica.
La sua poesia si è distinta, fin dagli esordi, per una peculiare limpidezza dello sguardo e un’acutissima capacità di osservazione.
Un linguaggio poetico che si addentra nella contemporaneità, cogliendone luci e ombre nel tentativo di farsi voce attiva, civile, narrando le ragioni individuali e collettive di un intero Paese.
Nei suoi versi sembra raccogliere il dono offerto dalla natura e anche il suo limite mortale.
Si è spenta il 2 maggio 2022 a Roma.
Di lei colpisce la sensibile determinazione di chi ha vissuto con limpidezza le scelte e le circostanze, con un perenne stupore della vita.  La sua opera le ha coinciso.
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giancarlonicoli · 1 year
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16 mag 2023 20:01
ALTRO CHE EPURAZIONE, FABIO FAZIO HA LASCIATO LA RAI PER SOLDI: AVEVA UN BIENNALE DA 3,3 MILIONI (1,6 ALL’ANNO), DISCOVERY GLI GARANTIRA’ UN QUADRIENNALE DA 2,5 MILIONI ALL’ANNO - FAZIO E CASCHETTO HANNO ANNUNCIATO L’ADDIO A VIALE MAZZINI SENZA NEANCHE ASPETTARE L’INSEDIAMENTO DEI NUOVI VERTICI: L’AD ROBERTO SERGIO (CHE HA SUBITO CONFERMATO LA MESSA IN ONDA DEL BEN PIU’ URTICANTE “REPORT”) AVREBBE AVUTO TUTTO IL TEMPO PER PROPORRE UN RINNOVO, SOLO CHE IL CONDUTTORE LIGURE AVREBBE DOVUTO LIMARE LE SUE PRETESE E ACCONTENTARSI DI MENO SOLDI (E INFATTI E' SCAPPATO)
DAGONOTA
Che allocchi quei sinistrelli convinti che Fabio Fazio sia stato giubilato dalla Rai dal randello catodico dei cattivoni fascisti. Non sanno, i fessacchiotti, che il conduttore ligure non solo non è un martire della libertà d’informazione, ma è talmente abile a far di conto che ha badato solo alle sue tasche.
Il suo contratto con la Rai, in scadenza il 30 giugno 2023, prevedeva un accordo biennale da 3 milioni e 330mila euro (più di 1,6 milioni l’anno).
Fabiolo non ha neanche aspettato l’insediamento dei nuovi vertici Rai e ha annunciato il nuovo accordo con il gruppo Discovery, per l’approdo al canale Nove. Lui e il suo scaltrissimo agente, Beppe Caschetto, porteranno a casa un quadriennale da 2,5 milioni l’anno (quasi 900mila euro in più ogni 12 mesi rispetto a quanto garantito da Viale Mazzini).
Una mossa che dimostra quanta poca voglia avesse Fazio di mettersi a trattare il rinnovo del contratto. Come scrive Maurizio Caverzan sulla “Verità”: “Aspettare avrebbe voluto dire valutare un’offerta verosimilmente al ribasso che lo avrebbe posto di fronte al bivio: i danè o la Rai? Meglio rompere prima gli indugi e non farsi scappare l’allettante offerta di Warner Bros”.
Non solo c’era un ampio margine di tempo (oltre un mese e mezzo) per un eventuale rinnovo, ma Fazio avrebbe incontrato la disponibilità del nuovo amministratore delegato, il super democristiano Roberto Sergio, che si è affrettato a confermare la messa in onda del ben più urticante “Report”, non così amato a destra, e “Mezz’ora in più”, la striscia settimanale della sinistratissima Lucia Annunziata.
Quel che fa sorridere è che la zampata del tandem Fazio-Caschetto, che ha puntato dritto alla pecunia impipandosene di tutto il resto, viene raccontata dai giornali d’area (Pd) come un colpo di mano dei censori di destra. Lo stesso Fazio racconta il suo addio alla Rai in modo ambiguo: prima ha minimizzato sostenendo di non avere “alcuna vocazione a sentirsi vittima”, e poi, nella sua rubrica su “Oggi”, ha tirato la bordata (“la politica si sente legittimata a comportarsi con una strabordante ingordigia”; “Negli anni scorsi ho sperimentato sulla mia pelle che cosa vuol dire essere adoperato come terreno di scontro”). Ma alla fine cosa resta? Che Fazio andrà a guadagnare una barca di soldi che la Rai non gli avrebbe mai potuto garantire. E lo fa passando pure per “vittima” del governo Meloni. Fesso chi ci casca ma a lui…chapeau.
FAZIO LASCIA LA RAI E SI FREGA LE MANI DISCOVERY LO BLINDA CON 10 MILIONI
Estratto dell’articolo di Maurizio Caverzan per “la Verità”
A seguire il flusso dei soldi non si sbaglia. Soprattutto se il beneficiario è Fabio Fazio, nativo di Savona. Nessun martirio, nessuna censura. Ci mancherebbe. L’addio alla Rai «dopo quarant’anni di onorata carriera», tra folle di vedove inconsolabili e sodali de sinistra in servizio permanente, è una faccenda di mercato editoriale. Una questione di danè. Altro che vittime della democrazia. […]
Nella nuova casa della Warner Bros Discovery Italia, Fazio guadagnerà 2,5 milioni all’anno che, moltiplicati per quattro, fanno 10 milioni tondi tondi. […] Rispetto al milione e 900.000 percepito in Rai con l’ultimo contratto […] Il miglioramento è ancora più ragguardevole considerando la durata del nuovo accordo che la Rai di sicuro non avrebbe potuto garantirgli.
[…] senza contare quanto incasserà Officina, la società fondata nel 2017 e di cui ora è socio al 50% con Banijay. Nell’ultimo biennio, per la produzione delle trenta puntate del talk show di Rai 3, l’incasso è stato di 10,6 milioni. Se la percentuale d’incremento fosse la stessa, si sfiorerebbe la cifra di 14 milioni, sempre all’anno. Ma questa è solo un’ipotesi […]
[…] «Io e Luciana (Littizzetto ndr) non abbiamo nessuna vocazione a sentirci vittime né martiri», ha assicurato, bontà sua, tentando poco convintamente di sedare i piagnistei della tifoseria desiderosa di buttarla in politica. «Siamo persone fortunatissime e avremo occasione di continuare altrove il nostro lavoro», ha ribadito. […] Ieri, con il solito gioco di prestigio tra narrazione e fatti reali, i giornaloni fiancheggiatori hanno dato il meglio per pilotare sul conto del governo di Giorgia Meloni il clamoroso divorzio. […]
[…] Fazio non ha voluto aspettare che, giusto ieri, la nuova governance s’insediasse in Viale Mazzini e Roberto Sergio, amministratore delegato, e Giampaolo Rossi, direttore generale, prendessero possesso degli uffici, firmando il giorno prima con Discovery. Anche in questo caso la tempistica è rivelatrice. Aspettare avrebbe voluto dire valutare un’offerta verosimilmente al ribasso che lo avrebbe posto di fronte al bivio: i danè o la Rai?
Meglio rompere prima gli indugi e non farsi scappare l’allettante offerta di Warner Bros.
L’unica rimasta sul tavolo dopo che anche Urbano Cairo, patron di La7 con la quale il conduttore aveva già flirtato, si è defilato quando Fazio ha chiesto di contrattualizzare anche la squadra di autori e il gruppo di Officina. […] Ma per i bilanci controllatissimi del parsimonioso Cairo arruolare tutti avrebbe potuto essere un colpo mortale. Come quello che, nel 2001, portò alla fine precoce del tentativo di creare dall’ex Telemontecarlo di Vittorio Cecchi Gori ceduta a Roberto Colaninno l’agognato terzo polo tv. Anche allora c’erano Fabio Fazio e Luciana Littizzetto tra i volti della nuova emittente. Ma i debiti accumulati e il nuovo cambio di proprietà fecero abortire il progetto in poche settimane.
Che, tuttavia, valsero a Fazio una liquidazione di 28 miliardi di vecchie lire, utili per prestigiosi investimenti immobiliari. Ci vollero due anni prima che il conduttore di Savona tornasse nella tv pubblica, nel 2003, ricominciando da Che tempo che fa. […]
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bongianimuseum · 3 years
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Dal 19 Febbraio 2022 al 16 Aprile 2022
SALERNO
LUOGO: SANDRO BONGIANI VRSPACE
INDIRIZZO: Via S. Calenda 105/D
ORARI:  tutti i giorni dalle 18.00 alle 24.00
CURATORI: Sandro  Bongiani
TELEFONO PER INFORMAZIONI: +39 3937380225
E-MAIL INFO: [email protected]
SITO UFFICIALE: https://www.sandrobongianivrspace.it/
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 Sandro Bongiani Vrspace è lieta di inaugurare la mostra antologica di RCBz, l’arte tra ironia, satira e immaginazione, una mostra a cura di Sandro  Bongiani con opere inedite del 1970 - 2021. Dopo  decenni  di ricerca artistica  di digital art e teoria dell’arte,  nell’era del fenomeno  dei NFT sottovalutiamo  ancora oggi il  ruolo svolto dagli artisti che dagli anni 70 in poi, come nel caso di RCBz, che per un desiderio di autonomia, hanno svolto ricerche e proposte alternative utilizzando la tecnologia e il computer  assai poco concilianti rispetto alle ipotesi prospettate dal  sistema ufficiale dell’arte. L’artista americano RCBz ha sempre vissuto nell'anonimato nonostante sia considerato uno dei migliori creatori di collage digitali in circolazione al mondo. Da diversi decenni RCBz utilizza l’immagine e la stampa digitale per creare l’opera utilizzando una sorta di eterotopia trascorrente tra spazio reale e spazio mentale, tra sintesi e essenza poetica. 72 opere in mostra che abbracciano gran parte del suo lavoro, dai collage degli anni 70’ fino alle opere poetiche del 2021 con una visione sempre tesa a rappresentare la realtà tra ironia, satira e storia dell’arte.
Una indagine originale nata negli anni 70 sotto forma di collage, evoluta  successivamente con il digitale tra materialità e immaterialità.  Interessato al surrealismo, dal 2007 in poi ha formulato una sua personale weltanschauung carica di relazioni e di accostamenti inconsueti. Proprio in questi anni nascono opere di grande bellezza e fascino come per esempio “Count and Mrs Masque”, del 2008, “Anita Berber del  2011, oppure, la serie di opere “Tictac Fin” del 2014. Sono del 2017 le opere digitali in cui ironizza sui politici americani e soprattutto su Trumph rappresentato in tante opere del 2017 a oggi. In questa sua antologica per la prima volta in Italia, sono presenti 13 opere inedite del 2021 create appositamente in omaggio al grande artista americano Ray Johnson.
#RCBzLa sua arte “super-realista” tratta la realtà frammentando e ricomponendo l’opera in modo altamente visionaria. Una rappresentazione del tutto originale della realtà, con una straordinaria carica visionaria delle cose raccontata in modo poetico tra fantasia, ironia e immaginazione. Non si tratta semplicemente di puro e semplice riporto d’immagini digitali perché non rappresenta la pelle semplicistica del mondo esterno, gli oggetti, le cose, ma il non visto s/velato attraverso frammenti di immagini  volutamente recuperati e  interpretati per mezzo l’elaborazione  combinatoria digitale. Il risultato ottenuto è aver prodotto nel corso di diversi anni di lavoro nuove situazioni di tipo immaginifico destrutturate e nel contempo ricomposte del tutto nuove. Alla fine sta solo allo spettatore saper decifrare e decriptare le immagini prodotte dall’artista. Un chiaro atteggiamento decisamente visionario della realtà in una commistione di elementi che di fatto alterano il normale rapporto delle cose trasformandosi in qualcosa di altro, mai esistito  e molto più concreto. Queste  riflessioni mentali nascono e vivono in questo anestetizzato contesto storico-sociale carico di grande incertezza e disumanità in cui si confezionano incomprensioni, ingiustizie e reiterati condizionamenti sociali.  
 Si ringrazia l’Archivio RCBz del Minnesota,  e la Collezione Bongiani Art Museum di Salerno per aver permesso la realizzazione di questa importante mostra antologica.
Opening sabato 19 febbraio 2022 h. 18:00
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usmaradiomagazine · 3 years
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𝐋𝐀 𝐌𝐔𝐒𝐈𝐂𝐀 𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐏𝐑𝐀𝐓𝐈𝐂𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋'𝐈𝐌𝐏𝐎𝐒𝐒𝐈𝐁𝐈𝐋𝐄 - Monografie oltre ai generi 𝗜 𝗴𝗲𝘀𝘁𝗶 𝘁𝗿𝗮 𝗶 𝘀𝘂𝗼𝗻𝗶: 𝗹𝗲 𝗳𝗼𝗿𝗺𝗲 𝗱𝗶 𝗟𝘂𝗰𝗶𝗮𝗻𝗼 𝗕𝗲𝗿𝗶𝗼
🎧 𝐀𝐒𝐂𝐎𝐋𝐓𝐀 𝐈𝐋 𝐏𝐎𝐃𝐂𝐀𝐒𝐓
Dopo la pausa estiva, ritornano le monografie in musica di Michele Selva in La Musica come Pratica dell’Impossibile, al centro del nuovo episodio il compositore italiano Luciano Berio. Tra i più importanti esponenti dell’avanguardia musicale europea nonché pioniere nel campo della musica elettronica, Berio è stato testimone durante la seconda metà del XX secolo di una profonda trasformazione del mondo musicale: “la musica è tutto ciò che si ascolta con l'intenzione di ascoltare musica, l'esperienza musicale si è liberata in mille ramificazioni, ognuna delle quali ha una propria direzione che deve venir compresa e scandagliata senza cedere al rischio di semplificazioni”, pensava il compositore. Dopo gli studi classici al conservatorio, nel 1954 ha fondato e diretto con Bruno Maderna (qui la puntata dedicata al Maestro veneziano: bit.ly/mcpdi-maderna) lo Studio di Fonologia Musicale presso gli studi della Rai di Milano, dove con Alfredo Lietti e Marino Zuccheri ha dato vita una fucina di sperimentazione e creatività unica nel panorama italiano e non solo. Queste modalità d’interazione tra strumenti acustici e suoni prodotti elettronicamente, lo portarono ad esplorare soluzioni inedite nel rapporto tra suono e parola. Berio ha fondato inoltre nel 1987 a Firenze Tempo Reale, centro di ricerca, produzione e didattica musicale di cui Usmaradio è partner dal 2017 (area podcast qui: bit.ly/usma_temporeale). L’intenzione di Berio era quella di investigare nell'ambito delle applicazioni delle nuove tecnologie al campo musicale. Un posto rilevante nella sua produzione è infine occupato dal teatro musicale, genere in cui trova piena espressione la drammaturgia implicita anche nelle composizioni non sceniche, soprattutto vocali: oltre alla collaborazione con Italo Calvino, il quale firmò i libretti per tre opere teatrali di Berio, fondamentale fu l’incontro con lo scrittore Edoardo Sanguineti, autore dei testi di diversi suoi lavori non solo di genere rappresentativo. Questi sono solo alcuni dei passaggi biografici della carriera di un compositore che ha saputo innovare e affermare il suo stile con un senso di concretezza fonica e con un attenzione particolare al mezzo sonoro. Un programma a cura di Michele Selva Regia di Alessandro Renzi Grafica elaborata da un disegno di Micah Fluellen - tutti i diritti riservati 🎧 𝐀𝐒𝐂𝐎𝐋𝐓𝐀 𝐈𝐋 𝐏𝐎𝐃𝐂𝐀𝐒𝐓 🎶 𝐒𝐂𝐎𝐏𝐑𝐈 𝐈𝐋 𝐂𝐀𝐍𝐀𝐋𝐄 - La Musica come Pratica dell'Impossibile
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tarditardi · 5 years
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Si rinnova Crotto Valtellina a Malnate (Varese): tradizione, innovazione e passione per le cose buone
Tradizione, innovazione e passione per le cose buone a Varese: il Crotto Valtellina a Malnate. Cinquanta giorni di lavori di ristrutturazione e un look completamente rinnovato nei colori e negli arredi. Pareti interne dai colori caldi, pavimenti in gres porcellanato, la facciata esterna che, da uno spento giallo è stata portata ad un morbido color tortora, una nuova suggestiva illuminazione, sono solo alcuni dei lavori di ristrutturazione che hanno tenuto chiuso temporaneamente il celebre ristorante a conduzione familiare con chiusura il 23 luglio e riapertura il 12 settembre. L'obiettivo che ci si è posti è quello di innovare, mantenendo una continuità con il passato. Un mix eclettico tra materiali antichi, come il legno e il cotto e sofisticati dai decori di ispirazione Decò. Come dichiara Maria Vittoria Ferreani, moglie del proprietario Leonardo Valbuzzi: "Una storia di 45 anni di attività attualizzata al 2019. Tutto nel rispetto della storicità del locale, abbinando rustico e moderno, due stili che dialogano insieme per dare un aspetto più contemporaneo al locale".
Lo stile Industrial Decò che si è voluto ricreare con le ceramiche pregiate di Tagina, gli arredi dal design industriale, minimale e moderno firmato Damiano Latini e le illuminazioni artigianali di Panzeri, ha attirato, con l'inaugurazione di settembre, numerosi nuovi visitatori, rimasti incantati oltre che dal locale anche dalla caratteristica ex cava di pietra molera del '400 a ridosso delristorante, citata anche in diversi documenti topografici del Vaticano.
In questa aria di novità debutta una nuova carta che viaggia in parallelo a quella storica, ma offre piatti con prodotti varesini che seguono la stagionalità, ma soprattutto il territorio, come le pesche di Monate, la formaggella del Luinese, le castagne del Brinzio, i porcini della Forcora. La famiglia Valbuzzi, che è sensibile alle problematiche dell'ambiente, ha introdotto un'altra novità, un punto di ricarica per le auto elettriche dei clienti del ristorante completamente gratuito.
TRADIZIONI E QUALITA ' "Crediamo nella terra, nel cibo, nella famiglia. Crediamo nei semplici valori che ogni giorno portiamo in tavola." ci confida Roberto Valbuzzi, figlio del proprietario.
Non sono facili da trovare i ristoranti che possano permettersi di mantenere la propria tradizione di qualità per quarantacinque anni e nello stesso tempo riescano ad innovare ricette, idee, look e immagine di contemporaneità. Il Crotto Valtellina è uno di questi. Alla tradizione valtellinese siamo debitori non solo per gli imperdibili pizzoccheri e per una squisita gamma di formaggi, ma anche per le specialità di carne, di vini, di salumi... E ad un tempo all'alta scuola dell'ultimo erede della tradizione famigliare, lo chef Roberto Valbuzzi, dobbiamo la scoperta di piatti e sapori innovativi e coinvolgenti, quelli che tutti noi cerchiamo di scoprire nei nostri viaggi gastronomici.
Roberto Valbuzzi, oltre che chef e ristoratore è giudice televisivo di Cortesie per gli ospiti (real time tutte le sere alle 20.30) in cui ha modo di stare a contatto con le vere cucine italiane che sono fatte direttamente a casa di tutti noi. L'avventura televisiva di Roberto parte dal programma "Una cucina per due" (Gambero Rosso Channel, Sky) poi come conduttore di "Il bello del Gruyère" e anche su Vero Tv e Alice. Tra le sue tantissime collaborazioni televisive si possono citare programmi su La5 con Emanuela Foliero, Alice, Rai 2 nella rubrica dei "I fatti vostri"dedicata alla cucina, "La prova del cuoco" su Rai 1. Il 18 novembre andrà in onda la prima puntata del suo nuovo programma "Uno chef in Fattoria" su Food Network (Canale 33) che racconta della sua vita: dalla coltivazione insieme ai nonni, ai viaggi  in Valtellina dei prodotti che vengono serviti al ristorante e alle visite ai produttori locali di Varese per la nuova carta del territorio. Nel programma ci sarà anche tutta una puntata dedicata al makeover del ristorante.
Roberto è famoso anche per aver scritto il libro "Tutti Frutti" edito da Eri – Rai, dove la protagonista è la frutta, ma non si trovano solo ricette di dolci e dessert, Valbuzzi spiega come scoprirne degli usi originali in primi, secondi, piatti unici. Così, frutti familiari come mele, pere, uva e albicocche, o più esotici come papaya, mango e ananas, s'incontrano con risotti, filetti di carne e pesce, crostacei, formaggi, millefoglie, tagliatelle, creando piatti dal sapore raffinato e dagli splendidi colori. Non si tratta però di un ricettario puro: è anche il racconto di una storia familiare che richiama alla consapevolezza di ciò che significa cucinare, servire, mangiare. Un'attività intensamente umana fatta di lavoro e cicli naturali,  tempo e amore. Il libro si può acquistare nelle librerie, al ristorante e su amazon. La cucina di Roberto non si è fermata solo al Crotto Valtellina ma ha fondato nel luglio 2017 in collaborazione con Chef Express un nuovo ristorante sull'ex ponte Pavesi in provincia di Novara "Oltregusto"; e da quest'anno, viste le numerose richieste per eventi privati, ha creato insieme alla moglie Eleonora Laurito NOC Not Ordinary Catering per soddisfare le esigenze dei loro clienti.
Per ulteriori informazioni: https://www.robertovalbuzzi.com
CROTTO VALTELLINA
Ristorante Crotto Valtellina Via Fiume, 11 - 21046 Malnate (VA) Per le prenotazioni chiamare : +39 0332 427258 Fax: +39 0332 482536
Aperti tutte le sere, escluso il martedì Sabato: aperto pranzo e cena Domenica: aperto pranzo e cena Email: [email protected]
UN PO' DI STORIA
Una storia lunga tre generazioni quella del Crotto: fu acquistato dal nonno di Roberto Valbuzzi nel 1973 quando era una cooperativa di alimentari e granaglie. Il padre Leonardo ha creato l'attuale ristorante a ridosso della grotta di Molera, luogo suggestivo e unico nel suo genere dove la tradizione culinaria valtellinese portata dalla famiglia incontra l'attualizzazione e la grande ricerca nelle materie prime.
Il ristorante è situato a ridosso di una cava dismessa di "Arenaria di Malnate" o pietra molera, utilizzata in epoca medioevale: ancor oggi la cava è il fondale davanti al quale si rappresenta ogni giorno il piacere della cucina valtellinese. Ai primi del Novecento nacque il Grotto Valcabrina, ben conosciuto dai malnatesi prima, e dagli abitanti dei paesi limitrofi poi, per la frescura che vi si trovava nei caldi giorni d'estate. Il nome ha origine da "Grotto o Crotto", termine usato nel Canton Ticino e nel Varesotto per definire una cavità naturale: era una trattoria con alloggio e stallazzo, dove le carrozze che si dirigevano nella vicina Svizzera sostavano per rifocillare i cavalli e godere della frescura del luogo. A mano a mano il Crotto si abbellì di oleandri, disposti in grossi mastelli di legno ai lati della grotta. Durante i soleggiati pomeriggi, oltre al gioco delle carte si potevano fare quattro tiri con le bocce nell'adiacente e odierno parcheggio. Nel 1973 fu acquistato dagli attuali proprietari provenienti da Sondrio e prese il nome "Crotto Valtellina".
I GRISSINI VALBUZZI Nel 2012 nascono i grissini "I RUSTICI" a lievitazione naturale a base di cereali per il ristorante che hanno soddisfatto i palati esigenti di amici e clienti del Crotto Valtellina. Negli ultimi anni molte richieste sono arrivate anche dalla grande distribuzione. La gamma dei grissini Valbuzzi è molto varia: ce ne sono anche al Grano Saraceno e Farro e alla Segale e Carbone, e tanti altri. Oltre che al ristorante I Rustici Valbuzzi si trovano presso "Il Gigante" di: Castellanza (Va), Castano PRIMO  (Mi), Somma Lombardo (Va), Montanaso Lombardo (Lo), Usmate Velate (Mb), Curtatone (Mn), Daverio (Va), Cesano Maderno (Mb) , Cinisello (Mi), Villasanta (Mb), Ornato (Mi), Sesto san Giovanni (Mi), Bellinzago Lombardo (Mi), Erbusco (Bs) "Carrefour" in tutta la Lombardia. "Iper" di Varese, Solbiate, Arese "Granmercato" in tutta la provincia di Como "Crai" di Albizzate e nei mercati esteri di Belgio e Olanda.
Maria Vittoria Ferreani oltre che proprietaria del Crotto Valtellina ha una grande passione per il vino che l'ha portata a ricevere l'incarico di vice delegata de "Le donne del vino" per la Lombardia, ruolo che le ha permesso di essere sempre aggiornata sulle novità del mondo vinicolo. Ma non è impegnata solo nel mondo della ristorazione, si dedica anche alla tutela ambientale con l'incarico di coordinatore interregionale area centro-nord di Fare Ambiente, Movimento Ecologista Europeo. Maria Vittoria Ferreani è una delle fondatrici di Aime Donna (iniziativa dell'Associazione imprenditori europei) che sostiene l'imprenditoria femminile nel Varesotto. L'associazione tra le tante attività sul territorio organizza e sostiene eventi benefici.
DIFFUSO da ltc x Francesca Lovatelli Caetani
special adv by ltc - lorenzo tiezzi comunicazione
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lamilanomagazine · 3 years
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Livorno, "Martingala": l'incontro “Carlo Magno. Il potere di una corona” con Alessandro Vanoli
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Livorno, martedì 27 luglio, alle ore 21.30, all'ippodromo Federico Caprilli, per la rassegna Martingala, sezione “Pensieri in corsa”, è in programma l'incontro con lo storico e scrittore Alessandro Vanoli. Titolo dell'appuntamento che darà il via al ciclo di incontri dedicati alle origini del pensiero moderno è “Carlo Magno. Il potere di una corona”. Nell’immaginario la figura di Carlo Magno è legata all’imperatore che nel Natale dell’anno Ottocento viene incoronato da Papa Leone III. «Su di lui – dice Alessandro Vanoli – c’è molto altro da dire, tutto quello che precede questo avvenimento e tutto quello che segue. Da una parte c’è un re, prima che imperatore, che incarna una nuova idea politica, quella che mescola tradizione romana, tradizione germanica e l’apporto del Cristianesimo. Quindi un re che assume un volto sacrale nuovo, molto legato alla forza e alla violenza che sono così presenti del mondo germanico; un re che però guarda anche al mondo latino, del quale si ritiene un erede. Tutto questo Carlo Magno lo fa ancor prima di diventare imperatore: è un uomo che parla latino, che anche se illetterato è raffinato e che curiosamente ha di sé un’idea di origine più latina che germanica. Questa è la parte che precede l’incoronazione: quella che segue è il mito di sé che contribuirà a costruire». Alessandro Vanoli (Bologna, 1969). Dopo una laurea a Bologna in Storia della Filosofia medievale, consegue il dottorato a Venezia, Ca' Foscari, in Storia Sociale europea. In quei primi anni si è occupato soprattutto di Spagna medievale e di rapporti tra cristiani e musulmani nel mondo iberico. Dal 2002 al 2012 ha insegnato presso l’Università di Bologna - e per un breve periodo anche presso l’Università Statale di Milano - specializzandosi in storia del Mediterraneo e lavorando in particolare sulla storia della medicina araba e sulla presenza islamica in Sicilia. Dal 2008, anche attraverso la collaborazione con la Universidad de Tres de Febrero di Buenos Aires, la UNAM di Città del Messico e la Pennsylvania University, si è occupato del rapporto tra mondo mediterraneo e spazio atlantico, studiando in particolare la presenza islamica nel Nuovo Mondo nella prima età Moderna. Dal 2012 ha cominciato ad affiancare l'attività di saggista a un sempre maggiore interesse nei confronti della comunicazione e della divulgazione, collaborando con alcuni festival culturali e con l'editore il Mulino. In tal senso si è dedicato tanto a progetti teatrali quanto ad attività didattiche legate alla conoscenza del mondo islamico e alla promozione della storia come parte irrinunciabile del rapporto tra culture differenti. Nel 2015 ha pubblicato Quando guidavano le stelle, il racconto, in parte autobiografico, di un viaggio mediterraneo sviluppato nel tempo e nello spazio. Ad esso ha fatto seguire L'ignoto davanti a noi, in cui riprendeva lo stile narrativo del precedente lavoro, affrontando il tema della scoperta geografica e della fine dello spazio esplorabile. Sulla base di Quando guidavano le stelle e del saggio Storie di parole arabe, ha scritto il reading teatrale Le Parole e il mare, portato in scena dal 2017 assieme a Lino Guanciale e a Marco Morandi. Dal 2017 collabora anche con lo storico Amedeo Feniello in varie attività teatrali e divulgative. Ha curato la mostra Goccia a goccia dal cielo cade la vita. Acqua, Islam e Arte, dal 13 Aprile al 1 Settembre 2019 presso il Museo d'arte orientale (Torino). Collabora attualmente con Radio RAI 3 e con il quotidiano Il Corriere della Sera. Read the full article
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veronicasaeko · 4 years
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Recensione 2 - “Un karma pesante” di Daria Bignardi
Autore: Daria Bignardi
Titolo originale: Un karma pesante
Anno: 2010
Tipo di opera: Romanzo
Edizione utilizzata per la lettura: Edizione Mondadori
Brevi cenni sull’autrice:  nata nel 1961, giornalista, conduttrice e scrittrice italiana.
Giornalista in attività dagli anni ottanta, esordì in Rai con Gad Lerner nel 1991 nella trasmissione Milano, Italia. Nel 1995 lavorò in Mediaset, diventando conduttrice, tra l'altro, di talk show di costume e reality show, tra i quali Tempi moderni e Grande Fratello. Su LA7 condusse Le invasioni barbariche, talk show dedicato a interviste di personaggi della politica, dello spettacolo e della cultura. Come giornalista ha collaborato con Vanity Fair, ha diretto Donna dal dicembre 2002 al marzo 2005 e nel 2009 ha esordito come scrittrice (i suoi romanzi sono tutti editi Mondadori). È stata direttrice di Rai 3 dal 18 febbraio 2016 al 26 luglio 2017.
Curiosità della giovinezza: dopo un periodo di studio e lavoro a Londra nel 1984 si trasferì a Milano, dove collaborò con il settimanale Panorama. Nel 1988 entrò a Chorus, mensile di Leonardo Mondadori.
Altre opere di successo: “Non vi lascerò orfani”.
Trama dell’opera scelta: Eugenia Viola è una donna di quarant'anni, regista di successo che nel romanzo ripercorre la sua vita. È nata a Verona, dove trascorre l'infanzia e la prima parte dell'adolescenza, ma ne fugge quasi ogni weekend per andare a Venezia con il pretesto di andare a trovare gli zii.
A soli tredici anni Eugenia legge Il demone meschino di Sologub, restandone affascinata; in seguito comincia a frequentare compagnie legate al mondo della droga (si fidanza con "Il Conte", pusher del quartiere), ma a diciotto anni si trasferisce per alcuni mesi a Londra dopo aver saputo che il padre è malato di cancro. Tornata in Italia per assistere il genitore negli ultimi giorni di vita, Eugenia comincia a lavorare nel mondo della pubblicità presso alcune agenzie milanesi grazie all'aiuto dell'amica Adriana.
Quasi per sfida a sé stessa, Eugenia gira uno spot di una pomata contro le emorroidi e dopo aver preso coscienza del successo ottenuto comincia a credere di essere tagliata per fare la regista. E’ così che parte alla volta degli Stati Uniti su suggerimento di Rossana Kamuranis, ricca moglie di un noto produttore conosciuta per caso nel bagno del Festival della Pubblicità a Cannes.
Alla vita professionale in crescita, Eugenia non riesce tuttavia ad affiancare a vita sentimentale sana: si trova coinvolta in varie relazioni nessuna delle quali risulta essere quella definitiva; la svolta arriva quando si sposa con Pietro Lagrecacolonna dal quale avrà le due figlie Rosa e Lucia.
Stile: Lo stile è frammentario, caratterizzato dall’uso della prima persona, e ha come caratteristica principale il flusso di coscienza, che rende in alcuni tratti cupo il romanzo – soprattutto nelle parti che descrivono l’ansia della protagonista.
Commento alla storia: Ricordo di aver comprato questo libro nel 2010, un mese dopo la sua uscita; non ricordo bene perché lo feci, ma ricordo che il titolo mi attirò molto; in quel momento vivevo un periodo particolare, ero in prima liceo classico e avevo cominciato a odiare le mie compagne di classe, poiché non mi sentivo molto a mio agio fra di loro, anzi, in realtà non lo ero mai stata: una classe di quasi sole donne, che non facevano altro che lanciarsi frecciatine l’una con l’altra, fingendosi poi le migliori amiche di sempre.
Credo di essere sempre stata allergica all'ipocrisia.
Comunque, tornando al racconto, non posso dire di averlo trovato particolarmente avvincente (tutt'altro, la storia non sembra degna di nota, in quanto riportata come semplice flusso di eventi anche abbastanza comuni) o di essermi riconosciuta nella protagonista, Eugenia Viola.
Tuttavia, forse proprio il flusso di pensieri che la Bignardi aveva immesso nel suo profluvio di parole, sembrava rappresentare alla perfezione il mio stato d’animo del momento: il karma pesante di Eugenia era il mio, le sue insicurezze le mie, le sue attitudini le mie; non erano miei i suoi modi di pensare e reagire, eppure, quelle situazioni in cui veniva coinvolta la protagonista sembravano così verosimili da sembrare naturali (ad esempio, anche Eugenia, nel racconto, ha visitato Londra esattamente come ho fatto io, respirandone l’aria di continuo cambiamento, facendone sua ogni singola particella).
Non posso dire di aver amato il libro, ma certamente ho gradito la sua compagnia, perché per leggere si è anche guidati da un istinto tutto nostro, che è in grado di farci trovare ciò che è più consono al nostro animo al momento del bisogno.
Il bello sta nel fatto che le parole di quel racconto hanno capito il mio karma, il karma di una che nel karma non ci ha mai seriamente creduto.
VeronicaSaeko
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