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Niky Dalloway
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Just not young enough to know everything. I love Poetry, Women and Photography. I love Alcohol, Cigarettes and Hourglasses. I hate Maths, Rationality and Blurred images.
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nikdalloway · 3 years ago
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Ricordi di te.
Come si può smettere di amare il ricordo di un sentimento radicato nell’anima? E’ autunno oramai, e vorrei che tutti questi ricordi del mio grande amore cadessero a terra come le foglie degli alberi; che appassissero e andassero bruciate nel falò di un qualche uomo di montagna. 
Voglio e non voglio. Come posso io, sola con me stessa, arrivare a questo dunque? Il vento soffia, ma non porta via questo sciame di dolci immagini che io mi porto addosso.
Te la ricordi la donna che eri? Con la pelle profumata di polvere e i boccoli spettinati in controluce, sotto i lampioni fiochi che mi guidarono alla tua bocca senza sapore. E il calore forte che mi scaldava le labbra ogni volta che, abbracciandoti, le poggiavo nell’incavo tra il tuo collo e le tue spalle coperte di lentiggini. E tu sorridevi, beata, mentre i tuoi occhi lucidi nuotavano nei miei. Ora ridi, con la gola piena di voce, e gli occhi vuoti, persi nei colori di qualche slogan pubblicitario.
Forse non ricordi più il valore inestimabile di quel sorriso silenzioso. E forse sì, hai perso anche me, il prezzo di ciò che siamo state. Ma ricordi quei pomeriggi d’autunno, perse a passeggiare nei sentieri umidi senza vestiti, nude e felici come due bambine di campagna? Ricordi quelle domeniche pomeriggio quando, con le lacrime agli occhi, non riuscivamo a salutarsi per paura di perderci dovendo stare lontane per qualche giorno soltanto?
Ora siamo due sconosciute. Chi sei tu?
Vorrei incontrarti di nuovo e stringerti la mano, e ricominciare con la nuova te, con la nuova me. Eppure non capisco, come posso sentirmi nuova se tutto ciò a cui sono legata è il ricordo di te, ormai così lontano seppur mai sbiadito?
Vorrei tanto sapere chi sei.
E, allo stesso tempo, vorrei tanto sapere chi sono io. Dove sta scritto? Esiste qualcuno che mi possa aiutare a trovare lo scaffale giusto in questa biblioteca così dinamica e colma di libri che si scambiano continuamente? Se solo il destino mi desse la possibilità di incontrarti ancora, di farmi stringere la mano e di guardarti negli occhi come la prima volta. E parlarti così, in silenzio, con i soli riflessi delle pupille al sole. Te lo ricordi l’odore del grano? Ogni estate, quando cammino nei campi, sento il suo profumo caldo e subito ricordo quella notte limpida in cui abbiamo fatto l’amore sotto le stelle, in quel campo di grano che tante volte ci ha viste piangere dal dolore, rapite in litigi così banali ma così profondi da stringerci il petto. Lo sai? Tante cose sarebbero diverse, ora. Sarebbero, non saranno. E lo so, io lo so che dovrei dimenticarti e andare avanti, come ho provato a fare in questi anni lontana da te. Ma tutto l’amore che avevo l’ho lasciato lì, in quei ricordi che ho di te.
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nikdalloway · 5 years ago
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Avec les noisettes!
Sei passata davanti al mio ufficio e ti sei fermata davanti al tavolino su cui un collega aveva posato una barretta di cioccolato incartata d’argento. L’hai vista e con la tua voce setosa hai gridato “avec les noisettes!”, come se quello fosse il momento più bello dell’intera giornata. Poi ti sei dileguata, piano piano, mentre io ascoltavo il rumore dei tuoi passi allontanarsi su quei tacchi severi. C’era qualcosa di poetico nel modo in cui sceglievi di mostrarti al mondo. I tuoi vestiti oltremodo femminili entravano in un contrasto continuo con la scelta del tuo taglio di capelli; capelli grigi, per aver accettato lo scorrere del tempo senza curarti troppo delle sue conseguenze; capelli corti, corti per davvero, come a volerti scontrare a tutti i costi contro i canoni dell’uomo e della donna, perché a te non interessa, tu sei un genere a parte, una donna diversa da qualsiasi altra donna, sei solo Isabelle. E poi ti sei andata a rifugiare dietro la tua scrivania, rialzata come fosse il trono di una regina. Ti sei accoccolata nella tua tana e con dolcezza infinita hai avvicinato il pezzo di cioccolata alla tua bocca delicata, circondata da anni di increspature sensuali.
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nikdalloway · 5 years ago
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Questa notte ti ho vissuta, di nuovo.
Alcuni giorni fa ti ho scritto, chiedendoti se saresti venuta volentieri a vedere uno spettacolo a teatro. “Sisisi” mi hai risposto, nient’altro. E io ho sorriso, pensando ai tuoi momenti d’ansia, di paura per la mancanza di tempo e di spazio in un mondo che a noi sta ancora troppo stretto. Non per chissà quali ambizioni, se non quelle di vivere una vita degna dei sentimenti e delle sensazioni che sappiamo provare. 
Sono arrivata nel parcheggio e ti ho vista da lontano, ancora nella macchina, piegata verso lo specchietto retrovisore per specchiarti meglio. Stavi cercando di pitturare quelle splendide ciglia nere, nella convinzione di apparire inadatta ad un mondo che farebbe fatica a resisterti, ma senza che tu lo sappia. Ho aperto la portiera, spaventandoti, e subito è sopraggiunto quel tuo odore inconfondibile. Non parlo di profumi Chanel o di chissà quale fragranza, parlo di quel meraviglioso profumo che ha la tua pelle e che si sprigiona ogni volta che scosti i tuoi lunghi capelli mossi da un lato, scoprendo il tuo collo definito e sensuale. Poi sei scesa, in quei rossi pantaloni orientali e arieggianti, come fossi una vera e propria dea indiana. Il mondo non poteva resisterti, ma tu non lo sapevi. Ti ho abbracciata, non solo con braccia e petto, ma anche con il resto del corpo, volevo che tutta me stessa potesse aderire anche solo per un attimo all’opera d’arte in cui sei nata. Non so se sia un’illusione, ma è come se in quei momenti il mio corpo si spegnesse e ricominciasse da capo, senza dolori e senza fatiche, tutto scompare quando ci sei tu. Ci siamo sedute a un tavolino del bar, abbiamo brindato a noi stesse, e mentre vedevo la luce scendere piano piano sul tuo volto, abbiamo parlato per ore, senza fermarci. Abbiamo parlato della vita, del lavoro che esisterà per sempre, della mancanza di quello spazio e quel tempo di cui dicevo prima. E mentre parlavo, pensavo a quanto tempo, invece, vorrei dedicare solo a te. “Scusami, sto straparlando e forse sto anche dicendo cose poco comprensibili, un po confuse” ti ho detto “Ma no amica, guarda che ti capisco, è esattamente così anche per me, solo che cerco di dimenticarmene a volte. Teniamo duro, ce la faremo, troveremo il nostro posto nel mondo. Pensaci, se io non fossi andata per caso e senza meta in Germania, ora non sarei qui a bere una birra con te, non ti avrei mai trovata. Siamo anime gemelle io e te, era destino che ci incontrassimo, solo che le strade per arrivarci sono tante e tutte diverse, dipende da noi quale prendiamo. E soprattutto, le strade non esistono se nessuno le percorre, sta tutto in noi”. Era vero, era tutto vero. Hai saputo che cosa dirmi soltanto perché sei riuscita a capirmi, a capirmi in generale, a capire chi sono e come vedo il mondo e me stessa. I miei occhi brillavano, avrei voluto nasconderli dietro al riflesso degli occhiali, era troppa commozione da poter essere mostrata.
Siamo entrate nel teatro, abbiamo preso le nostre poltrone rosse e ci siamo coperte gli occhi con le maschere della realtà aumentata. Sono entrata in una dimensione diversa da quella che il mio tatto percepiva. Ma poi sono uscita subito, la mia mente ha immediatamente iniziato a vederti, dentro i miei occhi, come se avessi potuto toccarti. Avrei potuto indovinare la tua posizione, il colore delle vene sui tuoi piedi segnati dai sandali, la tua lingua che bagnava le labbra. E sono rimasta lì, immobile, sentendoti incredibilmente vicina, mia, come se mi appartenessi pienamente in quel momento, mia e di nessun altro. Alla fine dello spettacolo ho tolto la maschera e ci siamo subito guardate, scoppiando a ridere, quasi con le lacrime agli occhi. Eri bellissima in quella luce da palcoscenico, in quel colore ovattato, lì davanti a me, occhi dentro occhi. Non potevo più aspettare, avrei voluto portarti fuori e prenderti di nuovo, tutta per me. Perciò, poi, siamo scappate, e dopo la breve intervista, ti ho presa per un braccio e, con due bottiglie di birra in mano, ti ho portata al santuario, dove ogni volta immagino erigersi una statua di marmo scolpita sulle tue forme. Abbiamo parlato di nuovo, in balia della brezza notturna, in quella luce malinconica che in quel momento non poteva essere per me che felice. Mi hai parlato del tuo paese d’origine, spiegandomi la tua chiara distinzione tra passato e presente. Tu sei qui, nel presente, un’altra vita. E mi hai anche detto quanto fosse stato emozionante e strano per te portare noi (del presente), in quel regno del passato che hai tanto vissuto. Forse allora, anche se vuoi distinguerli, adori mescolarli. Ti abbraccio di nuovo, vorrei stare legata a te per ore, senza mai staccarmi, senza mai dimenticarmi di contare i tuoi respiri contro il mio petto.
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nikdalloway · 5 years ago
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Questa notte ti ho sognata
Questa notte ti ho sognata, di nuovo. Nelle scorse settimane non l’ho mai fatto, forse soltanto perchè il mio subconscio mi impediva di ricordarmi di te. Ti chiederai perchè, forse. Ebbene, dovresti saperlo. Sono sicura che tu ancora non te ne sia resa conto, ma ogni volta che passo del tempo con te, penso sempre che vorrei passarci tutta la vita, che saresti la persona perfetta per le mie pretese di un amore fiabesco e al tempo stesso drammatico. “Siamo quasi compatibili dai”, ti ho detto ieri sera parlando dei futuri viaggi che ci piacerebbe fare insieme. Marocco, Algarve, Trieste, Turchia, Napoli, Atene. Insieme ovunque. “Quasi? Io direi che lo siamo per davvero, completamente”, hai risposto. E continuamente mi chiedo se il tuo amore per l’uomo che hai ora accanto sia vero amore, amore passionale, o soltanto una forma di profondo affetto che ti è, purtroppo, venuto a mancare in giovane età? Evito di nutrire la mia speranza, sia chiaro, anche se a volte mi sbaglio e le lancio una briciola di mollica, forse proprio per l’energia che mi trasmetti ogni volta che stiamo insieme. Qualcosa però è cambiato. All’inizio provavo per te quella folle attrazione fisica che mi faceva disconnettere ogni neurone non appena ci si sfiorava. Mentre ora, quello è l’ultimo dei miei pensieri. Questo mi spaventa, perchè va oltre la questione incontrollata della passione ormonale e sfocia in modo trionfante nell’attrazione puramente mentale, energetica. Come dicevi sempre ieri sera, il fatto che tu sia capitata sulla mia strada è stato a causa di un totale mescolamento di coincidenze, di scelte prese allo sbaraglio. Quale sarà il significato di tutto questo? Perchè il destino avrebbe dovuto metterti davanti a me per poi impedirmi di sfruttarti a mio desiderio? 
Spesso ti immagino a letto, completamente abbandonata ai tuoi impulsi non selvaggi ma primitivi nell’aspetto sensuale del termine. I tuoi lunghissimi capelli ondulati che sfiorano i tuoi piedi ogni volta che ti inarchi all’indietro, in una convulsione di piacere. Gli occhi chiusi, che in quell’istante raccolgono tutti gli sguardi accuratamente osservati durante le tue giornate. E di conseguenza tu stessa ti senti osservata, e ti piace. Ti piace sentire di essere al centro dell’attenzione, perché in quel momento non sei quella che sei costretta ad interpretare ogni giorno. E’ come se le lenzuola fossero la tenda che si apre sul tuo palcoscenico, ombreggiato ma saturo di borgogna, come le tue labbra quanto durante l’inverno corri nel gelo. E le tue dita affusolate, con le unghie mangiate dallo stress della vita, che di giorno paiono quelle di una ragazzina, nella notte prendono la forma di artigli che sanno trasformare quel lieve dolore dei graffi in uno stimolo piacevole che fa rabbrividire. Hai il corpo gracile, si sa, ma dentro hai una forza virile che spesso dimentichi di avere e che, ancora, usi come arma per distruggere in un momento chi anela al tuo piacere. 
Fino a questa notte pensavo di essere io ad osservare te. E, invece, mi hai dimostrato altro. Mi hai detto di essere andata ad una cena di lavoro, il tuo nuovo lavoro. E tutta la sera l’hai passata ad osservare questa ragazza, che ti ricordava “troppo” me. “Non parlava molto, se ne stava lì ad ascoltare. Poi, appena apriva bocca, faceva ridere tutti. Aveva i capelli neri e mossi come i tuoi, la pelle scura, le mani con la stessa forma delle tue e tanti anelli sottili a ricoprirle, proprio come te!”, hai detto, e non riuscivi a non sorridere, nonostante io non abbia reagito in alcun modo. Dentro, però, sorridevo eccome. Ho pensato che forse, nonostante la mia rara presenza fisica nella tua vita, qualcosa ti faccia ricordare me, di tanto in tanto.
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nikdalloway · 5 years ago
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Mi mancano i sussulti del cuore.
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nikdalloway · 5 years ago
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Maggio 2020.
Il tempo passa, e nemmeno me ne accorgo. Tutta questa situazione mi sta impedendo di ricordare quanto fosse stimolante correre da un impegno all’altro con l’acqua alla gola per gli infiniti ritardi. Sto dimenticando la sensazione di svegliarsi la mattina con quella leggera tensione che il programma fatto il giorno precedente ti crea nelle vene. Svegliarsi in fretta e furia, con la voglia di tornare sotto le coperte ancora bollenti e profumate di pelle. La mattina con il caffè freddo della sera precedente e il latte congelato mescolati in una patetica tazza di qualche squadra di calcio, distrutta dalle cadute fatte nel corso del tempo. La musica a tutto volume per trovare l’energia che durante la notte si era nascosta chissà dove nel tuo corpo e mezzo muffin al cioccolato che si sbriciola ovunque sul pavimento della casa, mentre corri da una stanza all’altra per recuperare prima un paio di scarpe e poi le sigarette lasciate in salotto il giorno prima. Raggiungere la porta di casa con zaino, chiavi della macchina, borraccia, ancora con il sapore di menta in bocca e il profumo che ancora stordisce dopo tutti gli spruzzi appena indirizzati sul collo. Salire in macchina dopo aver salutato il fruttivendolo che, come ogni mattina, scarica ceste di frutta freschissima dal suo camioncino appena tornato. Girare la chiave e rendersi conto che il pomeriggio prima, quando avevi parcheggiato la macchina, avevi la musica troppo alta per essere sopportata alle sette della mattina; abbassarla per cercare di mantenere giovani i tuoi già provati timpani e avviare il riscaldamento per tornare a vedere attraverso il vetro. E partire, incominciare la giornata chiedendosi come abbia passato la notte quella ragazza, ferma nel traffico di fianco a te, che si lava i denti usando l’acqua di una bottiglietta lasciata in macchina da mesi. Aspettare davanti alla porta principale dell’università con la giacca di pelle ben chiusa, a quell’ora il fresco della notte non è ancora scomparso e, nonostante l’odore caldo dei primi caffè nei bar, i brividi si fanno sentire; allora accendersi la prima sigaretta e guardare l’ombra del duomo che si accorcia velocemente. E poi, finalmente veder arrivare le prime facce familiari, chi in un’auto-inflitta corsa contro il tempo, la sciarpa scivolata da un lato della spalla per l’eccessiva velocità, e chi, invece, accompagnato da due ruote di bicicletta, arriva con gli occhi gonfi ma un sorriso che finalmente ti toglie tutti i brividi di freddo. Attraversare insieme quel corridoio aperto come ombre disegnate nel riflesso del pavimento forse antico e raccontare tutte quelle cose successe nelle ultime quindici ore, come se fossero poche. E pensare che, ora come ora, passino pure cinque giorni, ma non si ha quasi nulla da raccontare. Forse perché le nostre “esperienze” attuali sono completamente interiori, incondivisibili. Come posso condividere con qualcuno l’emozione forte che provo quando, in piena notte, esco in giardino armata di musica alle orecchie, luna nelle pupille e qualche goccia di whiskey sulle labbra? Non ho nemmeno bisogno di chiudere gli occhi per immaginare di essere circondata da un mucchio di persone, comprese quelle che amo di più, che mi ballano attorno in silenzio, solo la musica, il cielo stellato, la brezza notturna che ti sfiora la pelle e ti regala gli stessi brividi che può regalare l’amore. Non persone, non cose mi hanno aiutato a sopravvivere a tutto questo, solamente la notte. Forse è per quello che non riesco – o forse non voglio – prendere sonno; vorrei che il giorno durasse molto meno e avere più tempo per vivere nelle ore del buio. Forse perché il buio mi nasconde, il buio lascia tutto in silenzio, bloccato. E io mi sento potente, sento di poter davvero avere controllo sulla mia vita, che durante il giorno mi spaventa così tanto e spesso mi ferisce. Persino la musica è diversa di notte. I bassi ti invadono il corpo e lo lasciano solo quando torni nel silenzio, la voce dei cantanti sembra suonare soltanto per te, come in una serenata, e non puoi sentirti solo. Nel buio puoi disegnare tutto quello che preferisci: persone amate lontane da tempo, una spiaggia sulla quale non hai mai camminato ma che è sempre stata l’idea che avevi di posto felice, le nuvole viste dall’alto attraverso il piccolo oblò appannato di un aereo, le vie di ciottoli bagnati dalla pioggia di una città inventata nella quale vorresti scappare ogni volta che la vita si fa un po’ più stretta. Questa alienazione prolungata mi ha fatto ricordare della mia timida passione per la fotografia, quasi me ne dimenticavo. D’altronde i soggetti più belli ho sempre pensato fossero le persone e i luoghi fuori dalla norma, ma in questo caso mi è impossibile fotografarli. Ho immaginato quanto siano diventate potenti le grandi e bellissime città di tutto il mondo, le metropoli brulicanti di persone in corsa continua. Quanto si sia raddoppiata la loro bellezza ora che sono quasi completamente desolate, autonome, perfettamente intatte nonostante l’assenza dell’uomo moderno. E mi immagino di uscire di casa prima che spunti l’alba, prendere una bicicletta, attraversare tutti i vicoli silenziosi, incontrare solo qualche spazzino e qualche gatto in cerca di una colazione, e arrivare in una piazza sconfinata, davanti a una cattedrale trionfante e frastagliata dalle prime luci e dalle ultime ombre, con la certezza che si sia raddoppiata in grandezza dall’ultima volta che l’avevi vista quel giorno di fine dicembre quando ancora il mondo era in movimento e scalpitava per raggiungere il punto successivo della loro lista. Fatico a comprendere se la mia ricerca interiore sia volta verso la solitudine estrema o verso la vita, il calore umano. Non sono nemmeno sicura di volerlo sapere. Ogni volta che il mio cuore si riempie di sangue, sento la passione per la vita mentre, il secondo successivo, quando il cuore si sgonfia, mi sembra di voler rinunciare a tutto ciò che abbia a che fare con questo mondo.
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nikdalloway · 8 years ago
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Sono un bottone blu.
Nessuno di voi umani ricorda il momento della propria nascita, l’istante in cui una donna “vi dà alla luce”, come siete soliti dire. Eppure per noi “cose” è tutto diverso. Io, ad esempio, sono un bottone blu.
Ricordo di essere stato una miscela di plastica sciolta, bollente, prima di essere pressato sotto quella che sarebbe diventata un giorno la mia forma di oggi.
Ricordo di aver passato i miei primissimi mesi, quando ancora ero scombussolato dal fragore di questo nuovo mondo, in una scatola di latta. Sul rivestimento erano disegnati dolcetti e scritte corsive, che come dice la parola correvano tutt’attorno la superficie arrotondata, perciò pensavo sempre che nessuno si sarebbe ricordato che proprio lì dentro stavo io, assieme agli altri bottoni, aggrovigliati senza alcuna logica in una meravigliosa trama del disordine. E l’idea di restare in incognita per tutta la vita, detto tra noi, non mi dispiaceva.
Ricordo di aver passato anni interi a fissare quella fascia di luce che con il passare delle ore si spostava e penetrava da quel bordo di metallo che era diventato la mia casa. Provavo ad immaginare la terra fuori, dipinta di quei guizzi di luce che facevano innamorare persino i miei occhi, rinchiusi in un mondo millimetrico.
Ma il momento che ricordo meglio, sarà per sempre quella mattina di primavera, quando, tra i profumi dei boccioli e i tremori della rugiada al vento, tra le voci di un vinile graffiato e quelle delle rondini, una mano fece sobbalzare il nostro piccolo rifugio. Ciò che ci teneva al buio diede spazio a miliardi di colori, di bagliori… credevo che il cuore non potesse reggere questo tumulto vorticoso di sensi.
La pelle delle sue dita era molto chiara, e l’intensità dello smalto con cui erano state laccate le sue unghie curate accentuava la loro purezza cromata. Ricordo che scorse i polpastrelli caldi su ognuno di noi, come ci accarezzasse. Ora, che sono io a raccontare con le lacrime agli occhi, risulterà ovvio che scelse me, ma io mai me lo sarei aspettato. Non sono mai stato in attesa nella mia vita, prima di quel momento, ho soltanto riposato e spinto la mente su altalene di immagini inventate.
Lei, però, scelse me. Mi prese fra le sue mani, e per la prima volta vidi i suoi occhi, quegli occhi che con il tempo sarebbero diventati anche i miei, di giorno in giorno, di viaggio in viaggio, di sguardo in sguardo. Mi posò sul bracciolo di una poltrona color porpora, prese un filo di cotone bianco e con delicatezza chiese all’ago di farle spazio per lasciar passare la fibra sottile attraverso il mio corpo, per unirci in un legame di solo contatto. Nel tempo di un brivido facevo già parte di qualcosa di più grande.
La donna dalla quale ero stato scelto, aveva deciso che la mia nuova dimora sarebbe stato il suo petto, legato ad una blusa candida. Da quel momento sarei per sempre restato, protetto dall’abbraccio di un’asola spaziosa.
Incominciai a conoscere di chi era il corpo che mi aveva accolto; ogni mattina, le sue mani ancora calde di sogni e di caffè, mi avvolgevano per ripormi nuovamente al mio posto. Il momento che preferisco, prima che si esca di casa per andare a lavoro, è l’ultimo sguardo sfuggevole che si dà allo specchio, per mettere a posto qualche capello fuori posto o per accarezzare le lunghe ciglia nere come a pettinarle. D’altronde, durante la giornata, lo specchio è l’unico mezzo che ho per guardare i suoi occhi, il suo viso, solitamente vedo soltanto quello che è lei a vedere. Stiamo dalla stessa parte.
Con il tempo ho imparato a capire anche i movimenti della sua anima. Le ansie, le paure, gli amori, le felicità, le riflessioni… ognuno di essi possiede un ritmo proprio, e il suo petto si muove, sotto il mio corpo, secondo la frequenza dei propri battiti.
In questi anni ho sempre adorato l’inverno insieme a lei. Passavamo le giornate avvolti in cappotti roventi del suo profumato calore, seppure non potessi mostrare quasi a nessuno il mio bel colore acceso.
Niente, però, mi ha mai fatto tremare quanto i suoi innamoramenti fugaci. Ricordo la prima volta che successe, nel bel mezzo di un parco, quello proprio nel centro della città. Era autunno, e ogni foglia aveva già iniziato da un po’ la sua metamorfosi cromatica, in un vortice di baleni tenui. La mia donna aveva deciso di voler alzare un po’ di più lo sguardo, e così si era incamminata tra le vie di ciottoli bagnati, osservando la biancheria stesa alle finestre del centro, dalle magliette di bambini a  bande rosse e bianche, alle vestaglie in pizzo nero di spose annoiate. Comprò un caffè, velocemente, con un debole sorriso soltanto accennato, dissolto tra quei pensieri che la sopraffacevano. Arrivata al parco scelse una panchina, quella priva del terzo asse in legno, sfilò il cappotto e ne estrasse un libricino dalla copertina bianca, con soltanto alcune parole scritte sopra. Mentre lei leggeva, io seguivo i fluttui che le lettere, una accanto all’altra, creavano. Era poesia, posso assicurarlo, non tanto perchè io sapessi estrarne un qualche significato, quanto perchè le frasi, sovrapposte, costruivano una scala; erano le sue preferite.
Non ho mai amato la musica perchè, solitamente, ogni volta che Lei ascoltava una melodia, il ritmo del suo petto, che io sentivo così forte, scombussolava l’andamento dei battiti provenienti dal giradischi. Eppure, quel giorno, ogni vibrazione che arrivava a me, sembrava essere in sintonia. In lontananza, l’eco delle corde di una chitarra dal corpo umido, rifletteva su ogni tronco d’albero, su ogni velo d’acqua, per poi giungere a noi, quasi amplificato.
E’ stato proprio in quell’atmosfera mistica, intrisa di stimoli sensoriali, che quella prima figura d’amore avanzò verso la mia donna. Con il suo energico incedere, si scoprì alla luce un giovane uomo flessibile, dalle lunghe dita affusolate che sembravano appoggiarsi all’aria ad ogni passo. La sua barba mora e quasi folta si scostò dalle sue labbra per fare spazio ad alcune parole, con le quali avrebbe poi convinto Lei a regalargli un po’ di quella preziosa poesia bianca.
Da quel giorno lo vedemmo spesso, Lei parlava alle sue orecchie e io mi dondolavo su quella serenità. Ricordo la tenerezza delle prime volte. Ricordo le sere passate davanti al camino, tra calici di vino rosso e incenso, il calore che mi bruciava il corpo ogni volta che si avvicinava al fuoco per aggiungere della legna. I suoi occhi ed io avevamo lo stesso riflesso lucido al fronte delle fiamme, io a causa della mia vernice lucida, e loro a causa delle emozioni che si nascondevano appena sotto le palpebre. Ricordo anche quando rimaneva nuda di fronte a lui, coperta soltanto da me e dalla blusa bianca, quasi trasparente. Quando lui la stringeva a sè, sentivo attorno a me una confusione inverosimile, incomprensibile. Si mescolavano, ed io, appoggiato tra i suoi capezzoli turgidi che sporgevano dal tessuto, riposavo palpitante, felice delle sue sensazioni forti.
Così finisco di raccontare quel poco di vita che la mia Donna è stata capace di regalarmi fin’ora. Nonostante io sia soltanto un oggetto silenzioso, immobile. E’ giusto, credo, che vi ricordiate della mia quieta presenza, che vi ricordiate di darmi uno sguardo, ogni tanto, quando attraverso i viali appoggiato alla mia blusa, sul corpo della mia Donna. E soprattutto che ripensiate a questa mia breve esistenza, raccontata in poche righe, che ho visto da questo petto caldo.
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nikdalloway · 9 years ago
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Eccomi di nuovo qui, insieme a me, sola su un vecchio divano porpora, fra le note di un’estate che estate non è. 
E’ passato tanto tempo dall’ultimo incontro. Questo per la dolce colpa dell’amore. Sì, esatto, proprio quell’amore che ha deciso di prendere fra le sue mani il mio tempo, il mio destino, ma soprattutto ha saputo clonare su se stesso ogni mio pensiero, come se la mia mente avesse cambiato i propri caratteri di stampa, come se anche il mio passato avesse trasformato la sua ombra in una sfumatura diversa. Ora so che nulla potrebbe mai tornare come prima. Sono stata cambiata io e tutto quello che mi apparteneva. 
Ho compreso, con ogni certezza, che la lancetta del tempo è, in fin dei conti, molto simile a quella di una banalissima bilancia; infatti, anch’essa, si sposta su un numero più alto soltanto quando vi sali sopra, quando decidi tu stesso di vedere come stanno andando le cose, a quale velocità e, soprattutto, se ti stavi rendendo conto di quanto fosse veloce quel cambiamento che avevi temuto fino al momento prima che iniziasse. So quanto sia difficile capire fino all’ultimo goccio le parole e le idee di un’altra persona, come lo è per chiunque stia leggendo queste mie parole, così confuse, quasi opache e nascoste dalla luce di ciò che tutti chiamano ragione. Non è la mia ragione a parlare, sono i miei polpastrelli a farlo, guidati da chissà quale corrente che mi passa sotto gli occhi. Quante cose ho sfiorato con queste dita, quante volte ho accarezzato quella pelle che amo così tanto, che ho desiderato e ottenuto. E’ proprio ciò che sta sotto quella pelle, sotto quelle giovani rughe nate in un tempo non poi tanto remoto, che ho imparato a capire, nonostante tutte le contraddizioni, le particolarità, le stranezze di quell’anima intrecciata così profondamente alla mia. 
E’ estremamente strano passare dall’essere una persona sola all’essere una doppia intimità, una doppia vita, sullo stesso percorso, studiato per filo e per segno da qualcuno che nemmeno voglio conoscere. Da chi mi ha dato questa vita senza che fossi io a chiederla, lasciandomene ogni responsabilità. E’ talmente strano vivere. Un giorno desideri che ogni forza presente nel tuo corpo scivoli via, come una sabbia fine portata da un vento caldo di un Paese che non vedrai mai. Il giorno successivo ti svegli e realizzi di essere vivo, di dover ricominciare di nuovo tutto ciò che il giorno precedente avevi portato a termine con fatica e desideri regalare quella tua vita al primo passante che incontri per strada, con la convinzione che quello sia tutt’altro che un dono, bensì un peso enorme, dal quale nessuno puo’ più liberarsi una volta fatto proprio. La cosa ironica è che, magari, il giorno seguente, come fosse stato tutto uno scherzo, incontri una persona, una persona qualunque, che forse aveva già vissuto nel tuo passato, ma che entra nel tuo stomaco e decide di scompigliare tutto, di capovolgere ogni tuo organo e rimetterlo in una posizione nuova, che pero’ a te piace, e ti piace molto. E magari quella nuova disposizione interiore, quell’arredamento innovativo dei tuoi organi logorati dai pensieri, cambia anche il modo in cui ti sei svegliato tutte quelle mattine, con le lacrime dentro, che non riescono ad uscire e che ti affogano senza che tu possa smettere di respirare nemmeno un secondo. Magari io l’ho trovata quella nuova disposizione, o meglio, è arrivata da sola. E le persone dicono che si dica “innamoramento”.. a me piace questa parola, e tutto ciò che si porta dentro, soprattutto da quando è stata una persona a farmela conoscere così bene, come se mi fosse sempre appartenuta. Non potrei mai tornare indietro, ci sono cose che ti sconvolgono la vita, e tu non puoi più riportarla all’ordine originario. E pensare che io non lo voglio nemmeno quell’ordine. Oramai sono dipendente da questo uragano che mi porto dietro, insieme alla persona che amo.  
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nikdalloway · 9 years ago
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VIRGINIA WOOLF'S BEAUTIFUL MIND.
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nikdalloway · 10 years ago
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Le conseguenze dell’amore 🌈
Mi sono innamorata, questa volta per davvero. Sono qui, in Italia, seduta sul mio letto, accanto alle dispense universitarie aperte. Questo pomeriggio non riesco a studiare, forse perché attorno e dentro di me sento una gran confusione.
Tutti, qui, parlano dell’amore e di come si possano risolvere tutte le sue conseguenze, all’insaputa di gran parte di noi, esclusivamente positive, idilliache. In giro si racconta, di generazione in generazione, di quanto risulti impossibile che due anime con lo stesso corpo, comunque differente nelle sue fattezze più intime, non possano per niente al mondo legarsi e trascinarsi con tutte le loro forze, costantemente raddoppiate, nel corso di una vita che desiderano soltanto trascorrere insieme, unite, potenti e invulnerabili come fossero centomila. Eppure, la mia anima ingenua, è ora convinta di aver trovato la sua ineffabile gemella, gemella di spirito, più che di sangue. Infatti io e lei siamo così differenti che nessuno mai avrebbe pensato potessimo avere la capacità innata di incuneare a vicenda i nostri limiti fino a bloccarli, a completare i loro confini in qualcosa di perfetto, che di confini non ne abbia più. E’ stato il caso, dopotutto, a far sì che io scegliessi proprio quei confini così appuntiti da levigare, fino a farli diventare docili e morbidi sotto la pressione delle mie dita. E’ stato per caso che quella notte di fine luglio io abbia scelto proprio le sue labbra da baciare e i suoi occhi da guardare fissamente senza alcuna vergogna, senza alcun timore che proprio lei potesse scorgere dentro di me ogni mio difetto, ogni mia debolezza che soltanto lei, ora, è in grado di trasformare in forza, proprio perché ha potuto guardarla da ogni parte. Stiamo vivendo questa nostra giovinezza insieme, giorno per giorno, senza alcun rimpianto. Cerchiamo di vivere pienamente il presente, ma soprattutto di pensare al nostro futuro come ancora migliore di ciò che abbiamo ora, vogliamo guadagnarcelo, lottare per averlo. Infatti, sì, io in quel futuro che vedo così nitido sotto le mie palpebre, voglio sposarla, voglio poter avere un figlio insieme a lei, che abbia i suoi occhi, i suoi capelli, le sue bellissime mani potenti, che abbia la mia bocca e le mie gambe, che parli veloce come lei, che sia ottimista come lei, che ami la vita come lei, perché saremo noi ad avergliela data, ad aver desiderato quella nuova vita nelle nostre due vite unite tra di loro. Voglio poter camminare per la strada con le sue dita intrecciate alle mie e la piccola manina di nostro figlio appoggiata nel mio palmo. Voglio poter baciare le sue labbra all’aria aperta, come quella prima volta, ma alla luce del sole, davanti agli occhi di altri che possano amare quel bacio e quell’immagine reale e unica. Voglio avere lei, per tutta la vita, nessun altro al riparo sul mio petto. E da nessun altro voglio essere protetta e guardata. Soltanto una cosa desidero veramente, e so che le cose cambieranno per me, per noi, perché so che prima o poi la giustizia arriva anche dove sembrerebbe non avere speranza.
Io la amo, e voglio poterla amare e lasciarmi amare da lei.
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nikdalloway · 10 years ago
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23 gennaio
“Sai Francesca, a volte succede che ai maschietti piaccia un maschietto e che alle femminucce piaccia una femminuccia.” Avevi uno sguardo serio quel giorno. Seduto affianco a te c'era lui, zio, a sostenerti in quell'audace impresa. “Sai, a me piacciono i maschietti. E lo zio Roberto, non è un amico. Noi stiamo insieme proprio come la tua mamma e il tuo papá. Lo capisci?” Vi ho guardato con uno sguardo incredulo. “Perché me lo state dicendo? Lo so che state insieme. Perché non fate un bambino piuttosto?” Avete riso fortissimo e mi avete stretto. Ho capito quel gesto solo anni dopo. Sono passati (quasi) 11 anni da quel dialogo. Sono passati undici anni da quando, con il naso premuto sulla vetrina del negozio all'angolo di casa vostra, vi ho urlato che mi sarei messa quel vestito al vostro matrimonio. Sono passati cinque anni da quando vi è stato rifiutato il ruolo di miei padrini alla cresima forzata. Sono passati 26 anni da quando condividete ogni respiro, ogni attimo, ogni cosa. È passata un'eternità quando, oggi, vi ho preso la mano e ci siamo sorpresi con gli occhi lucidi. Avrei voluto solo dirvi grazie mentre vi siete baciati tra la folla, vi ho guardati con la stessa meraviglia con cui mi immergo in un quadro di Klimt. Avrei voluto urlarvi grazie per avermi insegnato cosa significa amare, nel senso più completo e generale del termine. Grazie per avermi insegnato che amare è l'esperienza più straordinaria che esista, un esperienza che va oltre tutto: etnia, religione, sesso. Non vi ho detto nulla di tutto ciò. Ero così estasiata da così tanta bellezza. Ho pensato solo che vorrei davvero potermi fermare all'angolo di casa vostra, indicare uno di quei vestiti e indossarlo al vostro matrimonio.
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nikdalloway · 10 years ago
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Someone has to die in order that the rest of us should value life more. It's a contrast.
Virginia Woolf
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nikdalloway · 10 years ago
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These nights when you can't understand if you see the moon moving around in the sky or if the clouds are moving against it.
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nikdalloway · 10 years ago
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Complimenti davvero, scrivi in maniera sublime!
Oddio grazie! Davvero! Pero’ non restare in anonimo, vorrei sapere chi è che ha il coraggio di farmi un complimento del genere! Ti abbraccio, Anonymous.
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nikdalloway · 10 years ago
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Prof Sophie
Ebbene, è terminato tutto. 
Sono finiti questi cinque anni di Liceo, in cui ho avuto, fino alla fine, la speranza di poterti rivedere in quei corridoi, o dietro quella cattedra che ti faceva sembrare così imponente, nonostante il tuo corpo così snello e gracile. Soltanto per due anni ho avuto la possibilità di ascoltarti per ore intere entro quei muri che soltanto tu sapevi ancora ammaliare con le tue parole. Anche quest’anno ti ho scritto una lettera, come due anni fa. Questa volta, però, tutto ciò che essa conteneva era molto più maturo, più consapevole del fatto che fra noi non potrà mai e poi mai esserci davvero qualcosa che vada oltre la stima, oltre la conoscenza superficiale. Io credo tu abbia capito quanto il mio amore per te tenda a crescere, continuamente, senza sosta. Quasi ogni notte la mia fantasia decide di sognarti, di vederti come effettivamente ti vorrei: amorevole, appassionata, cedevole; e non distaccata, impaurita, razionale e sfuggevole come sei nella realtà. Proprio questa notte ho sognato una passione che mai e poi mai potrebbe esistere nella realtà. Erano gli ultimi giorni di scuola e, insieme ad altri professori e studenti, si stavano controllando i programmi di fine anno. L’ambientazione però era ben più strana del solito: eravamo infatti in una piscina, nonostante ci fossero anche i banchi e il proiettore rivolto verso le pareti azzurre. Al centro dell’edificio vi era un lungo tavolo laccato in un colore avorio e tutti eravamo attorno ad esso per discutere. Alla mia sinistra, toccava la mia spalla proprio il corpo della prof Sophie. Ci avvicinavamo sempre di più, e io avvicinavo il mio viso al suo collo per sentirne il profumo. Una volta accortasi di questo, si protese in avanti sul tavolo per prendere un foglio e, facendo questo, strusciò il suo corpo contro il mio viso inebriato dal suo odore ovattato. Tornata al suo posto, allungò il braccio sul mio fianco e cercò la mia mano, prendendola e nascondendola dietro la sua schiena. Era evidente che tutti avrebbero potuto vederci, e io cercai di coprire questo gesto, nonostante lo stessi adorando. Ma a lei non importava e continuava a stringermi il polso, guardandomi con gli occhi quasi chiusi. Si sedette. Le sue gambe erano protese verso di me, portava dei pantaloni a quadri rossi e neri. Così, presa dalla foga, mi feci verso di lei e, facendo finta di nulla, mi strusciai sulla sua gamba avvicinandomi al suo petto, per poi lasciare il tavolo insieme agli altri. Alcune amiche erano sul bordo della piscina, con l’accappatoio ben disteso sul corpo. Corsi verso di loro e feci per buttare in acqua la bionda, ma, al contrario, fui io a finire nella vasca. Ero vestita elegante, anche se con uno stile piuttosto maschile: camicia bianca con colletto rialzato, jeans stretti a sigaretta e scarpe nere di pelle. La camicia, bagnata, diventò quasi trasparente e, una volta uscita, vidi la professoressa che mi guardava con uno sguardo di rimprovero, ma sapevo che nascondeva anche una scintilla di provocazione. Andai verso le docce insieme ad una mia compagna, la ballerina. Ogni doccia era stata assegnata ad una classe, perciò noi dovemmo andare nella stessa. Finito di risciacquarci, decisi che il suo accappatoio blu sarebbe stato molto più provocatorio del mio rosso, così decisi di scambiarlo con il suo per poter andare a parlare con la prof. Uscendo vidi che alla mia sinistra, in lontananza, lei stava parlando con un uomo, forse il proprietario della piscina. Finito di parlare venne verso di noi e mi fece un gesto che non capii: con il pollice indicò se stessa e con l’indice della stessa mano si rivolse verso di me. Purtroppo il sogno finisce qui, perchè la sveglia mi ha interrotto. 
Tu mi hai detto che, una volta finito il mio orale, risponderai alla mia lettera che non hai ancora voluto leggere. La aspetto con ansia, voglio che sia un momento perfetto. E soprattutto, non voglio che sia il nostro ultimo momento. Ho e avrò sempre bisogno di te. 
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nikdalloway · 10 years ago
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Poetessa dalle corte mani avorio Protese sul dilemma d'esser Sola o esser morta, Cospira davanti a me L'ombra dei palazzi, Agonizzante sui marciapiedi Come tumulto di povertà. Tu che del mondo Ti fai gioco e redenzione, Bile e contrappunto, Contagia La mia molta infermità Col dono del tuo eremo sostare. [...]
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nikdalloway · 10 years ago
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Estate liquida. 2
Il tramonto arrivò prima di quanto pensassi, là le ore passavano in un modo diverso da quello reale, divincolandosi tra i grani di una clessidra inumidita. Sul promontorio la croce latina distendeva la sua ombra sul morbido ventre infuocato, come a volersi imporre sulla radura che piano piano sbiadiva nell'ombra scura. Le nuvole sfumavano le une sulle altre, gareggiando, per prendersi più tarda luce possibile, in questo modo i loro contorni si delineavano come tagli sanguinanti in una carne aranciata. Nessuno si accorse dell'arrivo della sera, macchiata di sfere lattiginose, che invece di cullare al sonno la città, la risvegliava rendendole una vita nuova. Le gocce che bagnavano i cactus erano le uniche ad essere rimasta visibili sopra i campi aridi. Un lampione arrugginito proiettava l'ombra di un geco che, spavaldo, mostrava i suoi movimenti elastici e fulminei. I vicoli del centro storico brulicavano di pensieri, lasciati da qualcuno ad aleggiare nell'aria, per esserne liberi. I ciottoli profumavano di giglio, melassa, magnolia. Un artista di strada calcava la sua penna arroventata su legni d'acero schiariti da mani esperte e vi creava sottili cunicoli in figure differenti. Posava sotto una palma verdeggiante che con la sua fattezza dava forma alle nuvole semi-dissolte in un bagliore offuscato di luna. Al fianco di una colonna candida scanalata nel marmo, un timpano di metallo parlava alle intime strade, come a volerle riportare nella realtà mortale, sotto i colpi di un giovane enfatico. La brezza scostava gli zampilli di una fontana, così come i lineamenti lucidi del porto che parevano neon. Persino nella notte il mare voleva rendersi omaggio, lasciandosi sentire anche in lontananza, simile ad una pioggia violenta, su tutta la città. Nessuno sapeva celarne il fragore.
La mattina presto ci destò con un silenzio impressionante, con una frescura che dava vita a brividi piacevoli. Le navi dei pescatori si muovevano già tornando a riva, lente e soddisfatte. Il profumo del caffè caldo scatenava nuovamente in noi una sregolatezza dei sensi che ci lasciò abbandonare la fame per poi sostituirla con il solo desiderio di immergersi in quell'abisso vitreo. Una medusa danzava sotto i nostri occhi come a volerci mostrare la sua eleganza nel fluttuo liquido. Sapeva mimetizzarsi nella trasparenza. Nel frattempo uno stormo di pesci alati scorreva repentino sotto i raggi molli, come uno scudo argenteo. La sabbia iniziava ad essere bollente, come a difendersi da chi avesse voluto calpestarla.
Tutto aveva ripreso il suo corso. Come se i pescatori non avessero colto la vita di molti esseri come loro. Tutto ritornava ciclicamente alla normalità, nel silenzio della soddisfazione, nel fragore dei flutti rimbombante nelle caverne da loro scavate negli scogli. E il sole splendeva, imperterrito.
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