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#Il Profumo dell Signora in Nero
fourorfivemovements · 7 years
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Films watched in 2018:
20 -  Il Profumo della Signora in Nero/The Perfume of the Lady in Black (1974) - Dir. Francesco Barilli
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Il profumo della signora in nero (1974) by Francesco Barilli
Book title: Alice nel paese delle meraviglie (Alice’s Adventures in Wonderland in English; 1865) by Lewis Carroll
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camdentown-library · 3 years
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Hai le fiamme negli occhi|| ITA ver. Ethan Torchio x reader
Capitolo Uno
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❝ 𝐌𝐚𝐫𝐥𝐞𝐧𝐚 𝐝𝐞𝐜𝐢𝐝𝐞 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐝𝐢 𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐞 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐭𝐞 𝐞𝐝 𝐚𝐜𝐜𝐞𝐭𝐭𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐥’𝐢𝐧𝐯𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐧𝐨𝐧𝐧𝐢, 𝐚𝐧𝐝𝐫𝐚̀  𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐯𝐚𝐜𝐚𝐧𝐳𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚 𝐚𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐞.
𝐒𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐞𝐬𝐭𝐚𝐭𝐞 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐞, 𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐚̀  𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐢𝐧𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐨 𝐫𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐨, 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐨𝐫𝐢𝐠𝐢𝐧𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀  𝐥𝐞 𝐟𝐚𝐫𝐚̀  𝐧𝐨𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐧𝐭𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨❞
I fatti raccontati sono puramente frutto della mia immaginazione, non è mia intenzione fare un torto a nessuna persona citata, e soprattutto il carattere di Ethan potrebbe (sicuramente) non rispecchiare la persona nella realtà.
Buona lettura a tutti voi!
I primi raggi di Luglio erano colati sui tetti delle case di Roma, donando agli intonaci bianco sporco e le tegole rosee un riflesso dorato che sapeva il miele. I glicini erano in fiore, così come l'albero di nespole sotto casa di Marlena; il profumo della vita nel pieno atto del suo ciclo, bussava sempre alla finestra della sua sala da pranzo, riempiendolo di dolci fragranze.
La ragazza era solita prendere posto a tavola durante le ore della tarda mattina, circondata da libri e tomi abbastanza vecchi e rosicchiati dalla polvere, con il buon proposito che anche quel giorno avrebbe letto e studiato quelle pagine tanto noiose, di quell'altrettanto noioso esame di Egittologia. La sessione estiva era ormai iniziata, ella aveva appena sostenuto un paio di esami lo scorso Giugno e ora ne stava preparando altri due che avrebbe affrontato nelle prime settimane di Settembre.
Che il tempo potesse sembrare apparentemente poco a Marlena non importava più di tanto, cosa avrebbe potuto mai distoglierla dal proprio lavoro? Di amici non ne aveva, e ormai nonostante avesse in autunno varcato la soglia dei 21 anni, la ragazza trovava ormai del tutto estinta la sua ingenua gioventù, così come la sua voglia di oziare.
Il suono stonato ed inatteso del citofono fece scattare il capo chino sui libri della giovane, la quale dopo aver tirato un sospiro forse un poco contrariato, decise di alzarsi dalla sedia, uscire dalla sala da pranzo e varcare il largo e non troppo lungo corridoio a “L” del suo appartamento, arrivando infine a passo svelto verso l'apparecchio che aveva gracchiato per poter rispondere.
"Si?" chiese con tono abbastanza deciso ma non troppo cordiale.
"Sono il postino, mi apre?" rispose uno sconosciuto, mentre ella spinse il bottone per aprire il cancello.
Marlena aprì dunque la pesante vecchia porta di casa sua, rimanendo paziente ad attendere l'arrivo dell'uomo sull’uscio. Nonostante ella vivesse in quel condominio con il padre da quando ne avesse avuto memoria, non aveva ancora trovato una spiegazione razionale al fatto che esso fosse sprovvisto di cassette per la posta. Forse perché era un palazzo costruito negli anni venti? Beh questo spiegherebbe l'assenza anche di un ascensore, ma una dannata cassetta della posta non sarebbe stata difficile da aggiungere.
Il fiato affannato dell'uomo la riportò alla realtà, quando i suoi occhi lo videro fare capolino dalla rampa delle scale. Era già così stanco dopo neanche aver varcato il secondo piano? Si chiese la giovane donna un poco delusa.
"Siete la signora Levavi?" Chiese allora il postino riprendendo fiato e rovistando nella sua borsa. Marlena storse il naso d'istinto.
"Ahm...signorina, comunque si" Rispose lei scuotendo il capo, cosa poteva mai importare a quel postino se fosse stata "signorina" o "signora"? La ragazza si morse leggermente l’interno della guancia come rimprovero.
"Ecco a lei. Quanti piani ci sono ancora?" Chiese l'uomo asciugandosi con un fazzoletto la fronte sudaticcia.
"Altri due..." Rispose Marlena disinteressata mentre chiudeva la porta di casa, osservando le lettere.
Bollette della luce, dell'acqua, la tassa da pagare per il prossimo anno universitario e...una lettera?
Beh, sicuramente non era da parte di suo padre...
"Cara Marlena,
So perfettamente che forse sarebbe stato più facile telefonarti, ma sai che mi è sempre piaciuto scriverti delle lettere.
Ho notato purtroppo che nelle ultime che ti ho recapitato non hai risposto, immagino sia perché l'università ti tiene molto impegnata...
Comunque ho saputo che tuo padre è fuori Italia per un viaggio di lavoro e starà via fino alla fine di Agosto; Mi sembrava doveroso invitarti a trascorrere questi ultimi mesi d'estate nella nostra casa fuori città.
Lo so che da quando tua mamma se n'è andata, non hai più avuto il desiderio di venire a trovarci, ma credo ti farebbe bene cambiare aria per un po'. Il posto è tranquillo, c'è il mare e anche una grande ed estesa campagna con una pineta e la gente del posto è davvero cordiale e disponibile.
Puoi portare anche Lapo se vuoi, so che siete molto legati.
Ad ogni modo, fammi sapere il tuo verdetto.
Un forte abbraccio.
Nonna Agata.
La ragazza osservò ancora una volta il testo di quella lettera, rileggendolo e rileggendolo più volte, avvolta in un silenzio che probabilmente era insito di ricordi che le offuscavano il buonsenso, mentre lentamente dopo aver fatto alcuni passi indietro, posò delicatamente la schiena alla parete.
Aveva ricordi lontani di quella casa, lontani ma pur sempre felici. Ricordava quando si svegliava la mattina presto assieme a nonna Agata e a nonno Laerte per poter andare al mare e le sue piccole mani mentre cercava paguri e conchiglie in riva alla spiaggia, come ricordava le musiche in piazza e le risate rieccheggiare allo stesso modo delle campane della chiesa la domenica, tutti erano felici...e la vita sembrava essere meno ingiusta con chi se lo meritava meno, aveva il sapore di marmellata e di gelatine alla frutta, di sale sulle labbra e di api che svolazzavano.
Il petto di Marlena si gonfió di aria, come se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato...forse perché immergersi nella propria infanzia era come annaspare in un mare in tempesta con la pretesa di rimanere a galla.
L’abbaiare allegro del suo cane Lapo riportò la giovane al presente, la quale decise di posare le lettere su un davanzale poco distante dalla porta d’ingresso ed avviarsi assieme al giocoso animale verso la cucina. Lapo era un simpatico Bovaro del Bernese, dal manto nero, marroncino e bianco. Le era stato regalato cinque anni fa, forse perchè suo padre aveva intuito che anche la sua assenza aveva creato nel cuore dell’unica figlia, un senso di angosciante solitudine, che l’aveva consumata sino all’osso rendendola totalmente apatica per certi versi.
Ma Lapo, Lapo l’aveva salvata, con Lapo parlava e condivideva gesti di affetto, come carezze e piccole leccate tra le dita ed i capelli. A volte Marlena si addormentava nel suo letto, con l’ingombrante cane addosso, perchè sentire il suo fiato caldo ed umido sulle sue coperte le ricordava nel sonno che non era sola nel buio della notte. Finchè il cuore di Lapo avesse battuto la giovane ragazza non aveva timore di doversi svegliare, né di dormire.
“Lo so che dovrei rispondere...” mormorò lei mentre era intenta a lavare la buccia di una mela rossa nel lavandino della cucina. Il cane intanto si mise seduto guardandola con fare intenso mentre sconndinzolava in attesa.
“...E’ solo che, quel posto...e poi dovrei finire di studiare, ho un esame da dare a fine estate, Lapo” ma il cane inclinò la testa deluso per poi alzarsi e trotterellare via dalla stanza, in cerca di chissà quale svago, lasciando Marlena ai suoi pensieri, mentre addentava il frutto appena asciugato con il canavaccio.
Nonostante ella cercasse di autoconvincersi che sostare nella sua comfort-zone sarebbe stato più facile, piuttosto che rispondere di “si” alla richiesta della nonna, una parte di lei la stava di nuovo attirando a quella lettera; il suo sguardo fu catturato dall’orizzonte della sua mente, mentre in lontananza poteva quasi udire i suoni ed i sapori di un luogo quasi troppo fiabesco per essere parte del mondo materiale.
Era solo per poco più di un mese e mezzo, solo un mese e mezzo e poi avrebbe lasciato di nuovo tutto alle sue spalle, come fece molto tempo fa.
Marlena dopo aver posato la lettera di nuovo accanto al proprio comodino, afferrò il cellulare poco distante e digitando i modo non troppo convincente alcuni numeri sullo schermo, per poi portare l’oggetto all’orecchio.
Ci furono quei dieci secondi di attesa che le parvero lo scoccare di mezzo secolo, finchè una voce non disse “Pronto?”.
“Pronto nonna. Sono Marlena...”
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Ci vollero due giorni prima che la piccola ed esageratamente arretrata FIAT Punto di nonno Laerte facesse la sua impareggiabile entrata accanto al cancello color verde bottiglia del piccolo chiostro del palazzo di Marlena.
L’uomo aveva impiegato più o meno dieci minuti solo per parcheggiare, la nipote si era chiesta quanto egli avrebbe impiegato poi per riuscire e ripartire.
Marlena aveva portato ben due capienti borsoni con sé. Uno per i vestiti e l’altro pieno di cianfrusaglie come: libri, oggetti per il cane, trucchi e tutto quello che per la sua mente non così famigliare con i viaggi, reputava indispensabili. Non era così convinta che entrambi sarebbero entrati nel portabagagli, ma l’esemplare capacità di sapersi adattare ed arrangiarsi del nonno la lasciava sempre con lo stupore a fior di labbra.
La giovane era seduta ai posti dietro, assieme a Lapo. Teneva tra le mani un piccolo mazzetto di tulipani che Laerte le aveva portato, fatto da sé. Egli le disse:
“Sono andato a fare due passi nella campagna e ho cercato di cogliere i più belli tra tutti, come la mia nipotina!” seguito da un orgogliosa e gracchiante risata. Laerte era sempre stato un fiero ed inguaribile romantico, senza mai rinunciare ad un po’ della sua drammaticità, nonna Agata non faceva altro che rammentarglielo nelle lettere.
Come quando Marlena gli fece notare, che il volante dell’auto era troppo rovinato per far sì che quest’ultima fosse considerata a norma, ma lui aveva sempre risposto che un bravo soldato e partigiano avrebbe fatto appello alla sua esperienza alla guida ed un po’ d’olio di gomito, per poter avere la certezza che l’itinerario del viaggio sarebbe stato tranquillo e senza spiacevoli intoppi.
Lo sguardo di lei fissava assente ciò che scorreva, come il nastro in una cinepresa, fuori dal finestrino; Vedeva i palazzi della città farsi meno presenti, così come la puzza dello smog, ci fu poi un lungo tratto di autostrada, immersa nei campi di grano ed ogni tanto sbucava qualche piccola fattoria o industria di ricambi o altre mansioni.
Nella macchina avrebbe regnato del tutto il silenzio, se non fosse stato per la vecchia radio che riproduceva un disco intero di tutti i capolavori di Lucio Dalla; al nonno di Marlena piaceva quel cantante, ma non allo stesso modo chiacchierare mentre guidava, perchè secondo lui avrebbe aumentato le possibilità di incidenti stradali del 50%, e sinceramente, alla nipote non dispiacque affatto questa presa d’atto...non sapeva neanche da dove avrebbe dovuto cominciare e per quanto i suoi parenti cercavano di farla sentire a proprio agio, ella si immaginava come uno straniero, un estraneo, che aveva bussato alla loro porta ed ora stava solo cercando di imparare e ricordare le loro comuni maniere.
Lapo cacciò un abbaio entusiasta quando la gracchiante auto si era lasciata alle spalle il cemento infinito dell’autostrada, per poi imboccare una stradina tutta di curve ed in salita che li avrebbe condotti al piccolo paese.
“Se ti affacci a destra vedrai il mare, Marlena” la informò Laerte, mentre faticava con il volante ad ogni curva, ma non si azzardò a fare neanche un lamento sotto sforzo. La ragazza decise di accogliere quelle parole, ed affacciandosi (dopo aver tirato giù il finestrino) una frizzante aria di sale le pervase le narici come il balsamo di una mentina. I suoi occhi cercarono di mostrare il meno possibile la sconfitta di uno stupore che l’aveva travolta come un’onda in piena, facendole scalpitare il cuore.
Il mare. Marlena adorava il mare. E da qualche istante si stava chiedendo cosa l’aveva costretta a chiudersi in casa per tutto quel tempo, ma poi la mente tornò statica e lucida. Lei sapeva perché, e non vi era bisogno di altra motivazione per farla ricomporre, anche se a fatica.
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Ormai erano quasi passate le due del pomeriggio quando l’automobile di Laerte sorpassò la soglia della piazza del piccolo paese, mentre lo sguardo attento (anche se apparentemente perso) della nipote osservava tutto nei minimi dettagli.
Nulla sembra esser cambiato di quel posto dall’ultima che vi si era recata. La strada era sempre ricoperta delle solite, vecchie e grossolane lastre di pietra bianca ed erosa dalle intemperie, così come i vari negozi che circondavano la piazza e le piccole case accostate, smaltate di un fresco intonaco bianco sporco e tetti marrone scuro, la fontana al centro, ed il piccolo ristorante con il suo balcone che affacciava verso la lunga pineta che si estendeva ai piedi della modesta altura che sorreggeva il paese.
Eppure sembrava esserci ancora poca gente in giro per le strade, forse perchè a quell’orario chiunque con un minimo di arguzia si sarebbe rintanato nelle fresche quattro pareti della propria casa, pur di sfuggire al torrido caldo che non cedeva fino allo scoccare delle cinque del pomeriggio.
Un sussulto scosse d’un tratto Marlena, quando il nonno decise di accostare e tirare su il freno a mano della propria FIAT, provocando così un lieve rinculo abbastanza inaspettato da svegliare bruscamente la ragazza dai propri pensieri. Ella si schiarì la gola, mentre apriva la propria portiera, così che Lapo potesse finalmente trotterellare e scodinzolare emozionato in giro, d’altronde non lo biasimava, doveva essere dura per un cane starsene buono in macchina per così tante ore.
“Eccoci arrivati!” proclamò l’anziano uomo mettendosi le chiavi della vettura in tasca per poi suonare al campanello della piccola casa che affiancava la FIAT “Tua nonna sarà così felice di vederti, scommetto che avrà preparato le ciambelle con il vino rosso per festeggiare la tua rimpatriata” aggiunse mentre aspettava che la donna da lui menzionata gli aprisse, pregustandosi già sulle labbra il sapore pungente e dolciastro di quei dolci che lui tanto amava.
“Allora suppongo ne abbia fatte minimo trenta” commentò ironica la giovane donna, mentre trascinava fuori i due borsoni con estrema difficoltà, attirando l’attenzione di Laerte il quale aggiustandosi frettolosamente i capelli crespi e bianchi, si affrettò a raggiungere la nipote per darle il proprio supporto.
“Ah non ti preoccupare, amore di nonno. Ci penso io, tu magari risuona alla porta, tua nonna ormai è divenuta sorda come una campana...” disse mentre tirò un leggero sbuffo per poi borbottare qualcosa.
“Suvvia nonno...” rispose allora Marlena alzando gli occhi al cielo cercando di non sorridere, quanto poteva essere melodrammatico quell’uomo?
Dopo aver pigiato nuovamente il dito dul campanello, la ragazza attese che qualcuno rispondesse e l’udire l’avvicinarsi di alcuni passi veloci assieme allo strusciare di infradito sul pavimento, le fece intuire che finalmente Agata aveva sentito il loro arrivo. Marlena non fece in tempo neanche a salutare l’anziana signora, che ella la prese tra le sue braccia, avvolgendola in un abbraccio che la colse impreparata ed a cui non rispose immediatamente.
“Oh amore mio! Sono così felice di rivederti! Ma guarda come sei cresciuta! Sembra solo ieri quando mi arrivavi a metà coscia e ora...” le mani un po’ nodose, ma dai polpastrelli morbidi della donna presero delicatamente il volto della nipote a mo di coppa, come per tastare se la sua presenza fosse solo fantasia o realtà “...Sei una donna a tutti gli effetti” sussurrò per poi spupazzarla di baci per tutto il viso, mentre Marlena mugolava pretendendo di esserne in qualche modo infastidita.
Dopo aver salito una breve rampa di scale che portava alla casa situata al piano superiore, le narici e la coscienza della ragazza furono inondate di ricordi e sensazioni già assaporate. Osservò il pavimento ormai vecchio dell’abitazione, mattonelle di granito che si alternava a una dipinta a mano ed un’altra no; Marlena rimebrò con una punta di divertimento quando da piccola passava i pomeriggi noiosi a giocare su di esse, saltando solo su quelle decorate perchè secondo la sua immaginazione quelle spoglie erano fatte di lava incandescente.
Le pareti erano sempre le stesse, ricoperte da una vernice celestina e lievemente grumosa a tratti, lo poteva percepire, quando l’indice ed il medio della sua mano destra ne sfiorarono assentemente la superficie.
La casa dei nonni di Marlena era assai semplice e forse apparentemente un pochino angusta. Aperta la porta di ingresso di legno, dopo aver passato il pianerottolo e le scale si aveva di fronte a se un corrdioio che si estendeva lungo alla propria destra, scandendo così le varie porte di ogni stanza che la casa raccoglieva al proprio interno. Quasi parallela all’ingresso vi era l’uscio della cucina alla parete opposta, senza ante, accanto ad essa la porta del bagno, e poi successivamente la porta della stanza dei due coniugi anziani. Alla fine del corridoio vi era un piccolo balconcino con la ringhiera ricoperta di vasi pensili dove come una cascata variopinta fuori usciva una fitta ramificazione di bucanville rosso corallo che oltre a lasciarsi poeticamente cadere dalla piccola nicchia, si arrampicava elegante e leggiadra sul corrimano della ringhiera per poi abbracciare le pareti esterne della casa.
Marlena ne approfittò, per potervi fare capolino, mentre a pieni polmoni respiro il fragrante e vellutato profumo di quei petali, misto alla brezza marina che veniva da oltre la pineta che circondava il paese. Ella osservò le piccole case attornò a sé, mentre strizzando gli occhi poteva distinguere la linea netta del mare piatto e calmo che si fondeva in una perfetta alchimia con il cielo limpido all’orizzonte.
La giovane cercava in tutti i modi di autoconvincersi che quel luogo incantato, quel piccolo angolo di paradiso non le era mai mancato...ma ad un tratto si autoproclamò stolta di aver minimamente pensato una cosa tanto cinica.
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TO BE CONTINUED . . .
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sciatu · 4 years
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MOMENTI DI FELICITA'
Prese il suo piccolo quaderno nero e aprì la prima pagina. Aveva riportato con attenzione quello che aveva visto.
Felicità N°1 – Una spiaggia vuota nel caldo pomeriggio d’Agosto, il mare quieto, poche nuvole, il rumore del vento tra le felci e i cardi gialli, il canto dei cardellini, lo sciacquio delle onde. Il silenzio pieno di ricordi e di sogni.
Felicità N°2 – Campo di grano smosso dal vento. Il fruscio costante del grano, l’ondeggiare degli alberi, l’esplosione dei papaveri rossi in grandi macchie perse all’infinito. Il sole dominante, il canto delle cicale continuo, vento leggero dal sapore africano.
Felicità N°3 – Il bosco silenzioso, coperto di neve e senza foglie, il gracchiare delle cornacchie, il rumore lontano dei campanacci di un gregge, la nera signora imbiancata di neve che il tramonto colora di rosa. Il silenzio è come il cielo puro. Il sole accarezza la montagna e lentamente scivola via, portandosene con se la grandezza.
Felicità N°4 – L’odore del prezzemolo appena tagliato sulla pasta, il senso di mare delle cozze fresche, il profumo intenso del pomodoro, l’odore che sale lentamente e spargendosi nella cucina porta ovunque un senso di pace e piacere.
Felicità N°5 – Un balcone antico tutto fiorito, un fuoco nella natura del deserto della città, una macchia di gioia che riempie il cuore e a tutti ricorda che quelle mura e quei palazzi fatti dagli uomini, non possono essere la felicità degli uomini stessi se non sono vestiti dalla natura stessa.
Felicità N°6 – Il volo di uno stormo di merli prima del tramonto, il loro volare liberi nel cielo, oscillare, salire, scendere, scartare di lato e risalire, senza limiti e pericoli, tutti insieme; una danza infinita che continua felice nel cielo finchè la luce non muore.
Felicità N°7 – L’erba nuova dal verde intenso, piccoli fiori gialli che a volte appaiono solitari, i roveti che riprendono vita, i rami degli alberi da frutta in fiore, l’infinito chiuso dai muretti di pietra bianca e le nuvole nel cielo che si inseguono preannunciando la prossima pioggia.
Felicità N°8 – Il sole che entra nella grotta sottomarina e illumina l’acqua trasparenze. Il rumore delle onde contro le rocce, il calore dell’acqua, la sua trasparenza turchese, il sapore di sale, il silenzio che rende quella grotta magica e protettiva.
Felicità N°9 – Il suo sorriso quando arrivano le granite, la sofficità della panna che si piega e si adagia nella soffice brioscia. Il sottile gusto di vaniglia, il gusto intenso e forte del caffè, le voci intorno della gente, il rumore delle macchine lontane, i passeri che si avvicinano per raccogliere le briciole e muovendo la testa ci guardano, ora con un occhio, ora con l’altro.
Felicità N°10 – Il mare infinito che si perde nell’orizzonte, il suo azzurro che muta lungo la costa o vicino agli scogli, le onde e la loro bianca schiuma, il vento che porta voci lontane, il giallo delle ginestre, il verde delle felci, il silenzio che riempie tutto il mondo che vedi.
Chiuse il libretto e sorrise.
Felice.
She took her little black notebook and opened the first page.  Happiness N ° 1 - An empty beach in the hot August afternoon, the calm sea, few clouds, the sound of the wind between the ferns and the yellow thistles, the singing of the goldfinches, the rinsing of the waves. The silence full of memories and dreams. Happiness N ° 2 - Wheat field moved by the wind. The constant rustling of wheat, the swaying of trees, the explosion of red poppies in large spots lost to infinity. The dominant sun, the song of the cicadas continuous, a light wind with an African flavor. Happiness N ° 3 - The silent forest, covered with snow and without leaves, the croaking of crows, the distant noise of the bells of a flock, the black lady whitewashed with snow that the sunset turns pink. Silence is like pure sky. The sun caresses the mountain and slowly slips away, taking the size with it. Happiness No. 4 - The smell of freshly cut parsley on pasta, the sense of sea of ​​fresh mussels, the intense aroma of tomato, the smell that rises slowly and spreading in the kitchen brings a sense of peace and pleasure everywhere. Happiness N ° 5 - An ancient balcony full of flowers, a fire in the nature of the desert of the city, a stain of joy that fills the heart and everyone remembers that those walls and those buildings made by men, cannot be the happiness of men themselves if they are not dressed by nature itself. Happiness N ° 6 - The flight of a flock of blackbirds before sunset, their free flight in the sky, swinging, going up, down, discarding sideways and going up, without limits and dangers, all together; an infinite dance that continues happily in the sky until the light dies. Happiness N ° 7 - The new grass with intense green, small yellow flowers that sometimes appear solitary, the bushes that come back to life, the branches of fruit trees in bloom, the infinite closed by the white stone walls and the clouds in the heaven chasing each other announcing the next rain. Happiness N ° 8 - The sun entering the underwater cave and illuminating the water transparencies. The sound of the waves against the rocks, the heat of the water, its turquoise transparency, the taste of salt, the silence that makes that cave magical and protective. Happiness N ° 9 - His smile when slushes arrive, the softness of the cream that folds and lays down in the soft brioche. The subtle vanilla flavor, the intense and strong taste of coffee, the voices of people around, the noise of distant machines, the sparrows who come to pick up the crumbs and moving their heads look at us, now with one eye, now with the ‘other. Happiness N ° 10 - The infinite sea that is lost in the horizon, its blue that changes along the coast or near the rocks, the waves and their white foam, the wind that brings distant voices, the yellow of the gorse, the green ferns, the silence that fills the whole world you see. She closed the book and smiled. Happy.
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luigidelia · 4 years
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Una signora anziana percorre sempre lo stesso tratto di strada alla stessa ora. Da una casa all'altra lungo il mare. Oggi l'ho vista citofonare ad un cancello. Ogni volta la guardo camminare. Porta ciabatte di gomma blu elettrico. Un'altra signora con un piumino abbondante e lungo dal colore smorto fotografa il mare con il cellulare. Manderà a qualcuno quella foto? Un signore anziano porta dietro la bicicletta una cassetta di rape. Le foglie svolazzano a destra e sinistra. Due signori di spalle passeggiano sul lungomare. Si voltano all'unisono, in un tempo perfetto, e prendono a passeggiare nel senso opposto. Verso di me. Mi infilo in un tratto di pista ciclabile. C'è una ragazza che cammina. Si sposta sul marciapiede. Ci sono sempre più lupi cecoslovacchi al guinzaglio. Sono ipnotici. Le foto dei polpi arrosto e delle fritture di mare sono scolorite. Mi chiedo se le cambieranno per l'estate. Supero un ragazzo dai tratti indiani che corre. Oggi niente gabbiani. Forse il mare è grosso e i pescherecci non sono usciti. Pedalo. E mentre pedalo scrivo. C'è una donna che lavora in strada. A volte ci salutiamo. Oggi passo dalla sua sedia vuota. Sopra c'è solo un fazzoletto, credo, nero. Da una strada sterrata più avanti vedo spuntare piano un auto. Si ferma al mio passaggio. Controlla se vengono macchine. Alla guida c'è un uomo con la mascherina. La donna è dietro a piedi. Cammina. Si sistema la gonna stretta. A volte c'è un profumo di primavera. Ma è ancora presto non ti fare illusioni. 
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lanottediamsterdam · 4 years
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Ieri sera, uscendo di casa, ho alzato gli occhi al cielo, come faccio ogni volta che mi chiudo alle spalle il portone e mi dirigo verso l'automobile. Ogni volta alzo gli occhi al cielo, automaticamente, senza nemmeno pensarci, ogni volta nello stesso punto dell'orizzonte, nella stessa conca che si crea tra due montagne. Ieri sera era proprio quella sera, quel tramonto, quelle nuvole rosa, quel cielo blu dall'altra parte dell'orizzonte, ché la montagna sta già andando a dormire. Quella morsa allo stomaco, di un autunno che è arrivato, di giornate che si accorciano, di una brezza che ha un profumo dolciastro, di una temperatura che è fresca e ti permette di battere i denti il giusto e sentirti coccolato dal cardigan il giusto, di un anno che finisce, di capitoli chiusi e libri conclusi, di narrazzioni che sono appassite come girasoli che si lasciano andare al mese di Ottobre seccando e restando lì immobili  inermi dinanzi al passare inesorabile del tempo e al rinnovamento del solito ciclo annuale. Le nuvole sbiadiscono verso il grigio, e il cielo volge dall'indaco al blu intenso, scuro, notturno, cieco. Le luci artificiali sorgono e quelle naturali periscono e questa morsa allo stomaco stringe ancor più forte.
Un anno fa circa, in macchina, in un breve spostamento descrivevo quest'orario, questa sensazione. Ne descrivevo gli effetti sul mio essere più intimo, quella morsa che è più una voragine alla bocca dello stomaco, ma che è più un buco nero, poiché l'effetto è quello dell'inghiottimento da parte di una non materia della sostanza circostante lasciando meno di un buco, una non esistenza dell'essere in quei pochi centimetri di diametro di questa stretta allo stomaco. In quel momento ricevevo una carezza sulla testa che terminava sulla nuca, la mano era calda e profumava di zucchero filato ed il rosa delle nuvole leggere che decoravano le cime delle montagne erano pizzo ricamato da un'anziana signora che delicata crea centritavola per i nipoti, ed anche quei centritavola profumavano di zucchero filato in quel momento ed il tutto era un po' più dolce. Tutto questo si sprigiona come una supernova nella mia mente, sbocciando come un girasole alle prime luci del mattino e lasciando dietro di sé il calore dell'esplosione che si fa peso sullo sterno, gli occhi senza indugiare scivolano dalle nuvole grigiastre e tornano sulla chiave della macchina mentre la mia mano si posa sul petto in prossimità del buco nero come fa un paramedico che tampona una ferita grave senza troppo successo. Accendendo una sigaretta e sbuffando il primo soffio di fumo cerco inutilmente di spazzare via tutto, di soffiare via questa sensazione angosciante, questo vuoto incolmabile, questo malessere e tutti i pensieri che gli orbitano attorno. L'inizio dell'autunno è paradossale, ti lascia prendere il sole a petto nudo alle quattro del pomeriggio e ti strazia con un tramonto che richiede un cardigan più pesante. Ottobre è crudele.
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olstansoul · 4 years
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Sacrifice, Chapter 13
PAIRING: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
"Oh andiamo Natasha! Hai avuto il tuo tempo con Wanda ieri, ora lasciala a me"disse James dal lato opposto della scuola, vicino al cancello.
"Le stavo solo parlando di come sarebbe bello il nostro cartellone appeso nella classe del signor Barton, non sono come la tua ex..."
"Ed io non sono una pallina da ping pong che va avanti e indietro"disse Wanda fingendosi offesa.
"Lo so, tu e Sharon siete molto diverse Natasha. E scusami Wanda, non volevo intendere quello..."
"Sto scherzando tranquillo, non me la sono presa..."disse lei dandogli un leggero colpetto sulle spalle.
Entrambi sorrisero e James provò persino a fermarla ma riuscì solo a prendere la sua mano sinistra fra la sua destra e stringendola di poco.
"Sai che pugni come i tuoi non mi fanno nulla?"
"Io ci provo lo stesso, lasciami provare..."
"Braccio di ferro appena arriviamo a casa?"
"Te lo scordi, ti sei dimenticato che il signor Stark vorrebbe sentirmi domani sul primo capitolo di fisica ed io non ne ho studiato neanche la metà?"
"Ehi, ehi, ehi frena...chi hai come tutor?"
"Il capitano Barnes, ma cosa c'entra con questo?"
"Sono anche il primo della classe di fisica, te ne sei dimenticata?"
"Non me ne sono dimenticata, ti chiedo di muoverti sennò finisco di non dirgli niente a quello..."ma fu zittita dal dito di lui sulla sua bocca.
"Non dire cose cattive che pensi sulla gente, è maleducato..."disse mentre Wanda cercava di togliersi il suo dito da sopra la sua bocca.
"Disse colui che aveva mandato la sua ex fidanzata a fanculo dinanzi a mezza scuola"
"Lì è diverso e mi sono sfogato anche parecchio"
"Non è diverso, sei stato maleducato tu e non io"
"Preferisci camminare oppure vuoi che ti zittisca in un'altra maniera?"
Appena disse quelle parole lei si fermò in mezzo alla folla di studenti che stava uscendo dalla scuola mentre lui si maledisse interamente. Qualcun'altro la poteva facilmente interpretare in una maniera completamente sbagliata, ma non era così e James sapeva di aver fatto la sua prima figura di niente con Wanda,  forse il suo subconscio lo stava già prendendo a schiaffi se non fosse per il fatto che non era solo. Certo, c'era un modo per fare questo ma James non si spiegava ancora il perché voleva farlo.
Insomma Wanda era carina, gentile e anche simpatica. Aveva quel sorriso che gli mandava in fumo il cervello e quando la vedeva non aveva abbastanza autocontrollo da potere pensare alla cosa giusta da dire.
"Scusa, non..."
"No, va tutto bene...proseguiamo?"
Lui annuì e per tutto il tragitto non smetteva di pensare alle parole che gli aveva detto. Perché era rimasta ferma? Perché non aveva detto una parola subito? Perché lo guardava come se fosse un pazzo? Da quando in qua James Barnes era nervoso con una ragazza? Beh, da oggi o forse da quando aveva visto per la prima volta Wanda Maximoff.
Certo non che lo fosse stato anche quando di fianco a lui c'era Sharon Carter, ma sappiamo tutti che il rapporto con lei non era dei migliori e per fortuna che è terminato.
"Saremo soli?"sbottò lei e subito si girò a guardarla.
"Si, si certo. Mio padre è in ufficio mentre mia madre ha il turno di mattina all'ospedale"
"Tua madre è un'infermiera? Non me l'avevi detto la volta scorsa che mi accompagnasti a casa"
"Beh...non avevo trovato motivo"
"Mh, okay. E tua sorella?"
"Tornerà a momenti, sperando che non sia arrivata prima"
Arrivarono ad un cancello di legno massiccio, abbastanza grande e messo orizzontalmente e con il mazzo di chiavi James aprì quello piccolo messo di fianco, dello stesso materiale ma messo verticalmente.
"Vivi qui? È tutto così bello ma anche..."
"Troppo eccessivo, lo so. Mi piacerebbe davvero vivere in un bel appartamento di Brooklyn senza tutto questo eccesso ma purtroppo..."
"Beh, sembra che hai davvero tutto ciò di cui hai bisogno..."disse lei mentre lui la faceva entrare nella sua casa.
"È davvero bella"disse lei iniziando a camminare nel grande living.
C'erano due divani bianchi, uno messo a destra delle scale e l'altro alle spalle della sala da pranzo. Di fronte alla porta scorrevole a sinistra, dello studio di suo padre, c'era una poltrona girevole dello stesso colore.
Un camino e di fianco ad esso c'era persino una tv. La sala da pranzo affacciava sulla cucina, da dove proveniva un profumo parecchio invitante.
"James sei tu?"una voce la fece girare dove c'era James e vide, dalla porta della cucina vicino a quella di casa, uscire una donna che a lei sembrava familiare.
"Si, mamma sono qui ma potrei farti la stessa domanda..."disse lui rivolgendo uno sguardo alla sua destra.
"Ho finito prima questa mattina e visto che le tue lamentele sono infinite quando non trovi nulla da mangiare ho pensato di cucinare qualcosa...ma non sei da solo!"disse sua madre vedendo poi Wanda.
Aveva un sorriso timido sulle labbra e le mani giunte, la sua pelle bianca faceva da contrasto al colore che aveva spalmato sulle sue unghie, il nero.
"Salve,sono..."
"La ragazza del burro d'arachidi?"chiese la donna e James, suo figlio, la guardò con un'espressione confusa.
"Esatto, ma all'anagrafe sarei Wanda"
"Già vi conoscete?"chiese James con un sorriso tutto rivolto a Wanda.
"Beh...di vista"disse la castana allargando di poco le braccia.
"L'ho incontrata l'altro ieri al Walmart, avevo chiesto a tuo padre di prendere del burro di arachidi ma come sempre era a telefono. Cosi mi sono sacrificata io e l'ho preso anche per lei..."
"Io direi che è tutta sfortuna, visto che sono bassa..."
"Oh, ma non è vero! Nella botte piccola c'è il vino buono, io sono Winnifred"
"Lei è la ragazza di cui ti parlavo, quella delle ripetizioni..."disse James.
"Si, me lo avevi detto! Ma non avevi accennato al fatto che fosse davvero così bella"
A quella affermazione, un leggero rossore si impossessò delle guance di entrambi, ma soprattutto James che per la prima volta non sapeva cosa fare.
"Beh, grazie signora Barnes"
"Oh, tesoro chiamami Winnifred, tranquilla"
"Va bene...mh, andiamo?"chiese lei infine guardando James.
"Si, ci vediamo dopo..."disse lui e contemporaneamente Wanda prese il suo zaino e insieme a James si diressero al piano di sopra, nella stanza di lui.
Lui aprì la porta e un miscuglio di bianco e nero le saltò subito agli occhi. C'era un'enorme finestra che affacciava sulla strada e messa di fronte ad essa c'era una scrivania, sulla sinistra c'era il suo letto e tanti altri mobiletti sempre sul bianco e sul nero.
"Davvero una bella stanza"disse lei e poggiò la sua borsa sul letto.
"Iniziamo?"chiese lui sorridendole e lei annuì.
Anche stavolta, nel giro di soli due giorni, si ritrovò in una stanza di una persona che aveva conosciuto da poco ma che, chissà per quale motivo, sembrava di conoscere da una vita intera. Era davvero strano, ma nella stranezza generale lei ci trovava qualcosa di bello, anche se non sapeva ancora cosa.
"La cosiddetta scomposizione armonica è un'onda periodica che si può sempre scomporre come combinazione di funzioni sinusoidali..."
"Okay, non dimenticarti di dire che il luogo dei punti in cui l'onda ha la stessa fase e la stessa ampiezza si chiama fronte d'onda. Nel caso bidimensionale è un elemento di famiglia di curve, in caso tridimensionale è un un elemento di famiglia di superfici"
"Okay, sembra facile"disse lei guardando gli appunti presi
"Facile? Credevo che per te fosse arabo"
"Si, ma tu sai spiegarti molto bene..."disse lei alzando lo sguardo.
Lei era seduta con le gambe incrociate sul tappeto bianco e nero della sua stanza, insieme a lui.
Bel modo di fare ripetizioni insieme, giusto? Beh a James non importava molto, visto che in quello stesso istante si trovava con Wanda e qualsiasi posto sarebbe stato perfetto per poter rimanere con lei.
Rimase interdetto, non sapeva cosa rispondere. Se fosse stata un'altra ragazza lui avrebbe trovato subito la risposta adatta ma diciamo che non aveva ancora ben chiaro il motivo per cui non riusciva a dire una sola parola quando si trovava di fronte a lei.
Era strano, non riusciva a spiegarselo.
Solo il tempo gli avrebbe dato le risposte giuste...
"È un complimento?"chiese lui ma Wanda non riuscì a rispondere, interrotta dal bussare della porta di camera.
James fece entrare nella sua stanza una piccola bambina, con dei capelli castani e una maglia rosa sgargiante. Lei corse verso di lui e Wanda guardava la scena parecchio divertita.
"Tu sei Wanda?"la voce piccola di Rebecca la fece sorridere di più e le rispose annuendo.
"Finalmente James si è dato da fare, quella bionda che avevi portato a casa l'altra volta non mi è piaciuta per niente"
Wanda rise e James guardava sua sorella anche lui con un sorriso.
"Ti piace prendere in giro il fratellone?"chiese Wanda alla piccola Rebecca e lei annuì.
"Ehi, io ti sto aiutando! E tu piccolo mostriciattolo, se continui a prendermi in giro non giocherò più con le tue Barbie e i loro mille vestiti"
Gli occhi di Wanda erano fissi sulla scena radiosa e piena di gioia che le si presentava dinanzi agli occhi. Due fratelli che si volevano bene e soprattutto il grande sorriso di James mentre faceva il solletico alla sua sorellina.
Sorriso che forse non avrebbe più scordato, insieme a quegli occhi.
"Okay, okay pace! Sono solo venuta a dirvi che la mamma ha preparato la torta al cioccolato"
"Cioccolato? Sembra essere buona!"disse lei guadagnandosi l'attenzione della piccola Reb.
"Si, il fondente è buonissimo!"disse la piccola scendendo dalle ginocchia di suo fratello.
"Ed anche il mio preferito!"disse Wanda.
"Allora vieni, sarai la giudice della mamma"disse la piccola stendendo la mano di fronte al viso di Wanda e lei si alzò quasi subito.
La seguì fino all'uscio della porta di camera, fin quando non si girò e vide James che la guardava per l'ennesima volta dalla testa ai piedi, estasiato più che mai.
"Tu non scendi?"chiese lei voltandosi e facendo ondeggiare i suoi lunghi capelli castani.
"Si, si...arrivo subito"disse lui tornando alla realtà dopo un lungo sogno ad occhi aperti.
Chi c'era in quel sogno? La stessa persona che avrebbe voluto per tutta la vita. Ma ancora non sapeva che prima di averla per sempre fra le sue braccia, avrebbe dovuto sacrificare qualsiasi cosa, persino se stesso.
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giallofever2 · 6 years
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HAPPY BIRTHDAY BUON COMPLEANNO.... Mimsy Farmer
Born Merle Farmer
February 28, 1945 (age 74)
Chicago, Illinois, U.S.
🇬🇧 ... Farmer played in Spencer's Mountain (1963) and More (1969). After a brief film career in the United States, mostly portraying "party-girl" types in films such as Hot Rods to Hell (1967), Riot on Sunset Strip (1967), and The Wild Racers (1968), Farmer moved to Italy. Most of her career has been spent in Europe, including a giallo movie with Dario Argento.
🇮🇹 In Italia Lavora con diversi autori come i fratelli Taviani, Marco Ferreri, Claude Goretta. Gira alcuni film horror che le danno grande popolarità presso il pubblico degli appassionati del genere, divenendo nota soprattutto per le interpretazioni in thriller come Quattro mosche di velluto grigio di Dario Argento e Il profumo della signora in nero di Francesco Barilli Macchie solari di Armando Crispino e Il Camping del Terrore di Ruggero Deodato...
Gli appassionati la ricordano soprattutto come una delle icone del giallo/thriller anni Settanta. Nei primi anni ottanta diminuiscono le sue apparizioni cinematografiche, con un ultimo ruolo degno di nota in Don Camillo di Terence Hill.
#mimsyfarmer #4moschedivellutogrigio #fourfliesongreyvelvet #4fliesongreyvelvet #quattromoschedivellutogrigio #ilprofumodellasignorainnero #darioargento #theperfumeoftheladyinblack
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paoloxl · 6 years
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C’era il caffè da preparare ogni sera. Due, tre, quattro moke grandi per riempire i termos. E poi il the e la cioccolata. Quanto odiavo la cioccolata, si bruciava sempre dentro la pentola e faceva comunque un profumo buonissimo, che ti invogliava a berla ma ti lasciava un retrogusto terribile. Insieme alle merendine, dopo tre mesi finivi per intossicarti.
E poi i letti da preparare per chi faceva il turno di notte. E sistemare le coperte da distribuire in furgone. E la guerra per la giacchetta arancione da operaio stradale: di taglie piccole ce n’erano sempre poche e si finiva sempre per strapparsele a vicenda.
Il balsamo di tigre o il sapone delle lavanderie automatiche, sempre a portata di naso perché a volte l’olfatto era messo a dura prova. Fazzoletti e guanti in lattice in caso di necessità, cappello e guanti spessi per proteggersi dal freddo.
E poi si partiva, il ducato rosso de me nono ci metteva una vita a scaldarsi e nelle fredde e umide serate mestrine non era certo il più confortevole dei mezzi.
Il tempo di mangiare un boccone e di finire di guardare i Simpson e poi iniziava il giro. A Venezia tra calli e campielli, a Marghera sotto i cavalcavia e soprattutto a Mestre, alla stazione dei treni.
Quanti disperati, quanti sfortunati, quanto disagio, quanta umanità sconfitta. Tanta disperazione ma anche tanta dignità. A volte anche tanta pazzia. E a volte pure dei pezzi di merda. Ogni persona una storia, una vita da raccontare:
- Sergio, tu sei vecchio, la notte devi riposarti.
- Vecia mia, go fatto el marinaio in Australia che non eri ancora nata… la notte è fatta per amare!
- L’altro giorno sono andato a Parigi.
- Ah si, Trouffaut? E come ci sei andato?
- È semplice, ho pensato intensamente che volevo andare a Parigi e ci sono arrivato. Io viaggio sempre così!
Momenti felici, altri meno, tensioni, minacce per un posto letto non dato, disperazione e rassegnazione e pure lei, la nera signora, a strappare il sorriso a un uomo che proprio quella mattina avrebbe ricominciato a vivere.
Sono flash, scatti in bianco e nero nella memoria che fanno fatica a sbiadire. E non potrebbe essere altrimenti, un’esperienza unica, irripetibile, emozionante. Senza dubbio la più giusta ed etica, a fianco degli ultimi, a fianco di chi lotta per la sopravvivenza.
Perché ogni persona ha diritto a un tetto sopra la testa.
Perché ogni persona ha diritto alla dignità.
Perché ogni persona ha diritto a non morire di freddo, da sola e in strada.
È da un po’ che non torno in strada nelle fredde notti d’inverno.
E mi manca.
Ma sono felice che al mio posto altre compagne, altri compagni, riscaldino la Siberia di diritti, umanità, accoglienza e solidarietà.
(alla faccia di quei quattro stronzi razzisti che spiano, denunciano e molestano chi vive in strada e che pensano di risolvere il problema dei senza dimora allontanandoli dalla loro sporca vista).
Buon lavoro compagne/i
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taccuindivino · 6 years
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Il mio Benvenuto Brunello 2018, ossia l’elogio della lentezza.
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Il mio quint'anno a Benvenuto Brunello; e ci son voluti quasi 5 mesi per metterlo nero su bianco: il tempo di una lentezza per decantare idee, sensazioni, emozioni vecchie e nuove, profonde e molto intime; un sentimento rarefatto che ha pervaso anche quelle mie giornate montalcinesi: non solo, ormai, dedicate  all'assaggio di vini -sia detto- buonissimi, ma  al godere calmo e adagio delle relazioni umane dei silenzi notturni, dell'aria pura, delle passeggiate mattutine odorando i profumi della campagna e rifacendomi lo sguardo su quel paesaggio benedetto dal Signore. Beata solitudo, sola beatitudo. Tuttavia mi rimase l'esigenza quest'anno di tornare di lì ad una dozzina di giorni, per vivere Montalcino e respirarla, approfondendone territori e  aziende che avevo da tempo nel cuore,  vedendo visi e stringendo mani, passeggiando le vigne e gli uliveti. Vino, olio e pane: elementi sacri della vita e, guarda caso, del cristianesimo, che qui trovano consacrazione eccelsa (ho in mente ancora il profumo intensissimo e quasi floreale dell'olio giovane di Fattoi, sul pane fresco e soffice del forno Lambardi). Perciò ritorno a Montalcino fu soprattutto un'occasione privatissima, voluta e cercata, di condivisione; e una messa mattutina a Sant'Antimo, seppure orfana dei canti gregoriani che un tempo ne risuonavano le arcate, assunse un carattere di profondità particolare. Gioia e dolore, sole e nuvole, colle e piano: l'armonia della vita è una ricomposizione di dualismi.
Quindi, se la mia presenza a Benvenuto Brunello 2018 si è ridotta, in realtà, a una giornata di assaggi ai Chiostri del Museo Civico e Diocesano, in realtà si è estesa idealmente per una ventina di giorni; e si riverbera nella memoria ad ogni sorso del Sangiovese di quelle zone fino al prossimo anno.
Finalmente, ora che inizio a scrivere guardando l'immensità marina del Tirreno, ho la serenità per chiudere gli occhi e ricordare.
“ È sera, ma sembra già quasi notte per il buio di quest'inverno che sembra quasi non finire mai. Giungo a Montalcino per il mio quinto Benvenuto Brunello. La città giace sotto il cielo nero, nel quale nubi gravi si intuiscono minacciose; eppure essa è sospesa, magicamente silenziosa e deserta, malgrado simultaneamente si tenga la cena di gala della manifestazione; specie lassù dove ho preso stanza, intorno al solitario Duomo ottocentesco, col suo protiro di colonne di ordine tuscanico, possenti e slanciate, che ripara i colombi; dove i pochi lecci maestosi fan da sipario ai tetti di cotto delle case, digradanti a cascata verso la Val d'Orcia. Là in alto, isolato, mi beo dove il vento gioca sul crinale del colle.
Il quint'anno: quando andavo alle scuole elementari, quello preludeva all'esamino che doveva introdurci alle classi delle medie: chiudeva un ciclo, ci insegnava a dire la signora maestra. Similmente alle superiori: cinque anni in totale, col bienno del ginnasio seguito dal liceo propriamente detto, il glorioso classico; poi c'era la maturità. Me ne accorgo forse all'ultimo, ma per tanti motivi  il mio Benvenuto Brunello 2018, rientra in questa regola. Ripenso - mentre percorro nel freddo della sera, verso l'Albergo il Giglio,  le rughe familiari-  al mio stato dello scorso anno e lo paragono all'attuale: quanto cammino e quanta salita!
Ho studiato a lungo quest'anno, ho letto e ascoltato su Montalcino e sul sangiovese, tanto ho assaggiato:  oggi posseggo  miglior cognizione delle terre, dei versanti, dei microclimi; e dell'uva conosco meglio le bizze e il capriccio e l'espressione, secondo la mano di chi lo coltivi e lo vinifichi, e secondo il territorio; perché, a Montalcino il Sangiovese venga diverso rispetto alle terre del Morellino, ed ancora  differente nel Chianti, alla Rufina, in Romagna e, naturalmente, a  Montepulciano dirimpettaia. C'è insomma in me una maturità nuova nel mio modo di rapportarmi alla manifestazione, ed una mia, nuova, personale disposizione di spirito. Anche la formula di Benvenuto Brunello è cambiata, aprendosi al pubblico appassionato, ferme restando le necessarie sale separate per la critica:  così si promuovono il territorio e il vino, sottolineando come siano intrinsecamente legati.
Parla da sé quel territorio; però, perché lo capisca e fino in fondo l'apprezzi, il pubblico bisogna portarlo fin qui: basta affacciarsi da uno dei numerosi balconi panoramici della città, dal lato della chiesa della Madonna del Soccorso, ad esempio, oppure dagli spalti della Fortezza, per restare senza fiato. Risalga il colle e i suoi tortuosi tornanti, il viaggiatore, traversi i boschi, veda e tocchi con mano le vigne, respiri l'aria delle nuvole che corrono sopra la torre del comune;  scenda nei fondi, scorra i menù, scega una fiorentina di chianina perfettamente frollata che abbondi l'etto, o una terrina di fagiano, o una selezione di caci locali, assaggi un Brunello di almeno una quindicina d'anni; solo allora potrà intimamente capire.
Come s'è fatto il mio amico Stefano ed io, al Giglio. Due bottiglie di Brunello in due. Prima il 2003 di Fuligni, poi il 2003 di Conti Costanti: ampio, avvolgente e maestoso il primo, composto splendente e solenne il secondo; entrambi finissimi, elegantissimi, superbi, caratterizzati da un frutto sì molto maturo, ma anche da una freschezza ed un'equilibrio sorprendente, sin nelle più minute trame della tessitura: ecco la tenuta del Sangiovese di Montalcino, anche in un'annata caldissima (tanti scommisero che l'annata 2003 avrebbe dato dato vini stanchi, cotti, non longevi).
E tuttavia, per stupire l'ipotetico viaggiatore che passasse di qui nei giorni di Benvenuto Brunello,  basterebbe la qualità espressa dal buffet della manifestazione, allietato dai prodotti locali e da tradizionalissime preparazioni, acconciato vieppiù da una dozzina di oli e grappe montalcinesi,  (ecco, magari un po’ più di riflettori li avrebbero meritati i mieli, per i qual Montalcino va famosa). Peraltro, malgrado la notevole affluenza di visitatori, ci sono  aria e spazio per tutti, anche ai banchi d'assaggio: ottima organizzazione.
Poi  c'è la passeggiata sentimentale e suggestiva che snoda attraverso il meraviglioso museo cittadino, con la scenografica  disposizione di statue lignee, terrecotte robbiane, tele e pale d'altare, Madonne, santi, angeli, Cristi, a formare un'unica danza spiraliforme di pose e colori, come se le opere d'arte prendessero vita, gesto, favella. Solo dopo un colloquio muto con esse si può  iniziare a discorrere col vino e sul vino.
 E sul  Brunello e sul Rosso di Montalcino, ce ne sarebbero discorsi: "territorialità” e “maturità” i termini che ricorrono nella mia mente, intrinsecamente legati: maturità dei vigneti, che più in profondità affondano le radici nella terra; maturità dei produttori.  Ecco, pur col caveat di assaggiare in piedi ai banchetti, in chiacchiera rilassata come mai prima, mi formo a poco a poco  l'idea che  una larga parte dei produttori abbia raggiunta la consapevolezza stilistica, perché nel calice parlano soprattutto territorio e sangiovese, tra trasparenze visive e profondità aromatiche e strutturali. Persino certi produttori che per semplificare chiamerò “modernisti” e “internazionali” , mostrano nelle ultimissime annate un benvenuto ripensamento di rotta verso una tipicità più autentica, evidente - per motivi anagrafici e fors'anche per una più misurata ambizione- soprattutto nel più giovane Rosso, 2015 o 2016 che sia.
Quest'anno si presentano annate favorevolissime: il 2013 ha propiziato Brunello di compostezza e proporzione classica, spesso da attendere perché si raggiunga il picco di equilibrio e complessità,  come è giusto per la tipologia; i Rosso 2015 (in uscita ritardata) sono vini di forza, polpa, spalle larghe: giustificano ambizioni da piccoli Brunello; i Rosso 2016, sono golosissimi: potenti anch'essi, snob più eleganti, profumati, freschi e beverini; i Brunello di Montalcino Riserva 2012, spesso, giustificano appieno la denominazione: perché l'annata calda, ma relativamente equilibrata, ha generato nei casi migliori vini ricchi, di  carattere deciso, avvolgenti e signorili.
Procedendo con gli assaggi penso che l'equilibrio dell'annata 2013 -insieme magari all'accresciuta consapevolezza produttiva- abbia in qualche modo ridotto la diversità tra i Brunello di un produttore o dell'altro: piuttosto si può discriminare i vini raggruppandoli  per area di provenienza: quelli del nord della denominazione, ad esempio (con molte ottime riuscite),  rispetto a quelli del quadrante sud, o quelli di Tavernelle e de “La villa”. Perciò gli assaggi richiedono un ascolto assai attento, giacché il gioco è tutto nel cogliere le sfumature; gioco difficile, se svolto in piedi tra i banchetti. Mi scuserai pertanto, amica o amico che mi leggi, se sarò qui e là un po’ generico nelle mie descrizioni.
Vorrei cominciare a raccontarti i miei assaggi (l'ordine dei quali segue pedissequamente quello proposto dal quadernuccio di appunti offerto dal Consorzio) proprio da un vino che trae la sua bellezza dalle sfumature: il Brunello di Montalcino 2013 di Fuligni, sicuramente tra i miei preferiti. Un vino di gran classe, ispirato: netto il profumo tra fiori, ciliegie e richiami boschivi; pieno al sorso, caldo, ampio, potente, ma soprattutto setoso, soffice addirittura, dai tannini finissimi, con una lunghezza gustosa e intensa. L'azienda, che come molte altre realtà storiche si trova poco fuori le mura di Montalcino, in questo caso sul lato orientale, ha prodotto 23.000 bottiglie di questo vino: anno dopo anno, per la mia esperienza, una rara costanza nell'eccellenza.
Un filo rosso unisce i tutti i vini presentati oggi da Gianni Brunelli - Le Chiuse di Sotto; qualcosa che definirei “stile aziendale”, propiziato forse dal possesso di appezzamenti in zone diametralmente opposte della denominazione: l'uno nel più fresco quadrante di nord-est, l'altro nel più caldo sud-ovest, dai quali consegue una possibilità piuttosto ampia di bilanciare i vini con tagli opportuni, secondo l'annata. Sia il Rosso di Montalcino 2016 che il Brunello di Montalcino 2013 si porgono con precisione, sulla frutta e su una struttura importante, quasi nervosa in questa fase. Nelle mie note segno “scheletro”, ad significare un'ossatura tannico-acida forte e in evidenza. In realtà rimango quasi sorpreso, perché in precedenza i vini di questa firma mi erano sembrati più risolti, più riposati e in equilibrio, al debutto;  magari è solo una mia sensazione o, semplicemente, debbono affidarsi ancora un po’ in bottiglia. Viene presentato anche il Brunello di Montalcino Riserva 2012, dove rintraccio il filo rosso aziendale. Mi piace perché più fresco di altri di pari tipologia, anche se mi sembra di sentirvi qualche nota un po’ amara sul finale.
Si vola alto, coi vini de Il Marroneto. Il Rosso di Montalcino 2015 ha un colore che tende all'aranciato e il suo profumo, se non particolarmente intenso, è tuttavia raffinato; al pari del sorso, che potenza ne ha, eccome, con un tannino superiore alla media ed un'alta acidità. Il Brunello di Montalcino 2013 è bellissimo; ha una grande personalità: nel suo profumo, erbe e spezie fini, mineralità, note sottilmente evolute ed eleganti, quali arancia e corbezzolo, senza rinunciare alla fragranza; gode al sorso del sostegno di una decisa acidità. La selezione, il celebre Brunello di Montalcino “Madonna delle Grazie”, anche  nell'annata 2013 è all'altezza della sua fama: esemplare per raffinata concentrazione, aromi terziari, sensazione tattile, in bocca, nobilmente soffice. Fosse un quadro, sarebbe un primitivo su fondo oro, richiamare così una vecchia e celebre descrizione che il Principe Boncompagni Ludovisi inviò a Tancredi Biondi Santi a proposito di un Brunello Riserva di quest'ultimo.
La mia affinità verso i vini de Il Paradiso di Manfredi è stata nel tempo altalenante, perché li ho trovati spesso scontrosi (mentre  la famiglia Guerrini, a cominciare dal Signor Florio, sono persone deliziose, garbate e gentili); quest'anno, però, mi conquistano: mi avvisa il produttore che andranno in commercio qualche anno dopo la presentazione, secondo la filosofia della firma, ma  io li trovo già buonissimi . Il Rosso di Montalcino 2016 è succosissimo: tutto fiori, fragole, ciliegie; pieno ed estremamente fresco; con un gran tannino, un'acidità verticale ed un'anima minerale che lo rende elegantissimo. Il Brunello di Montalcino 2013, che andrà in commercio tra due anni, mi sorprende: pieno, concentrato, fresco, futuribile per la sua forza pervasiva, già oggi si distende in una notevole eleganza; con un gran carattere, così marcato dal sale sulla bocca, che ne contrappunta il gusto; infine la speziatura, il tannino importante. A mio vedere, il miglior Brunello de Il Paradiso di Manfredi che ho assaggiato in questi 5 anni di Benvenuto Brunello.
Coi vini di Fattoria il Pino, invece, la mia immedesimazione  è stata immediata ai primi assaggi di qualche anno addietro ed è anzi cresciuta anno dopo anno. Credo questa sia oggi tra le più belle realtà artigiane di Montalcino ed i vini presentati ne mostrano continuità qualitativa. Rossi passionali, dalla timbrica scura, dall'espressività  profonda e calda;  figli del nord del comune, mantengono però un profilo slanciato . Il Rosso di Montalcino 2015 è squillante: profumi centratissimi di ciliegia e amarena, circonfusi di spezie; con corpo medio, tannino finissimo, acidità a sufficienza, sul palato è setoso, addirittura soffice. Il Brunello di Montalcino 2013 possiede, oltre alle caratteristiche timbriche ed espressive tipiche della firma, un equilibrio declinato in finezza, nitore, misura, rotondità, ed una personalità quasi viscerale.
L'assaggio dei vini de La Fiorita è sintomatico di un certo cambiamento in atto in azienda e in tutto il comprensorio,  che io reputo benvenuto. I vini, coprendo lo spazio di 5 annate, lo testimoniano bene: inizialmente paradigmatici di un certo stile internazionale, modernista e interventista, disegnati per svolgere una certa tesi, piuttosto che per esprimere in trasparenza il territorio, evolvono verso uno stile più sciolto, misurato, puro. Difatti il Brunello di Montalcino Riserva 2012 è molto marcato dai toni del legno di invecchiamento e da una certa ricerca di concentrazione. Il Brunello di Montalcino 2013 sembra già ispirato da un cambiamento di rotta: permangono i toni boisè, ma è ben evidente la bellezza della materia di base, che riesce quasi a sovrastarli. Il Rosso di Montalcino 2016, invece, ha già tutto un altro passo: caratterizzato da un certo elegante profumo agrumato, è più caldo di altri Rosso dell'annata, ma più liberamente espressivo dei precedenti: sapido, rotondo, fitto più che sussurrato, ma spaziato, riesce un vino equilibrato e piacevole. Bene: spero che si continui su questa linea.
Le Chiuse si è distinta negli anni per il rispetto di una certa ortodossia tradizionale: rossi severi, talvolta severissimi quelli della firma, che ha - com'è noto - vigne che erano utilizzate da Biondi Santi nel taglio per le Riserve: ogni anno un bel bere, accettandone la maestosa introversione. Il Rosso di Montalcino 2016, in realtà, balza subito incontro con profumi aperti, netti di ciliegia e floreali; e poi conquista con una succosità che mimetizza appena una struttura ed una potenza notevoli: sorprendente e davvero buono. D'altra parte il Brunello di Montalcino 2013, benché abbia anch'esso similmente note di frutta, principalmente è composto, rigoroso, austero, verticale, di saldissima struttura. Molto completo nelle sensazioni olfattive e gustative, dispiega un carattere da Sangiovese senza compromessi. Buonissimo.
C'è sempre la fila davanti al banchetto de Le Ragnaie; a ragione: secondo me, qui si trovano alcuni tra gli assaggi più personali e identitari della manifestazione, che individuano perfettamente la peculiarità delle annate e del genius loci, articolato su corpi vitati molto alti e freschi, ed altri più bassi e caldi, di età assai differenti. Si spazia dalla zona elevata del Passo del Lume Spento, a quella intermedia e boschiva di Petroso, fino a quella meridionale di Castelnuovo dell'Abate. Ne risultano vini diversissimi, tutti però di gran classe, eleganza, rifinitura. Il Rosso di Montalcino 2015 - uscita ritardata- ha un gran profumo: sfaccettato, speziato; mentre al sorso si giova di un bellissimo e vivido  contrasto acido-tannico. Il Brunello di Montalcino 2013 è simile, ma ha dalla sua una maggior concentrazione, che vieppiù risalta la speziatura aromatica e gustativa, la finezza tannica, l'acidità  notevolissima. Il Brunello di Montalcino “Vecchie Vigne” 2013 non deflette dai capisaldi di eleganza espressi dagli altri vini, ma ha un frutto assai più scuro, un tannino di diversa e maggiore imponenza, un fiato più più profondo, a costo di essere, ancora un po’ contratto e di richiedere presumibilmente  tempo per dispiegare davvero le ali. Gioca, per così dire, un altro campionato:  lo stesso del Brunello di Montalcino “Fornace” 2013, che ha un frutto ancora più scuro, se possibile quasi nero, e si impone anch'esso per presenza tannica.
Per limiti di tempo e di resistenza dei miei organi sensoriali, assaggio di Mastrojanni soltanto il Brunello di Montalcino “Vigna Loreto” 2013. Sarà stata appunto la mia stanchezza, ma lo trovo al di sotto delle mie aspettative: il suo frutto scuro, il suo tannino importante e in evidenza, mi sembrano frenati da una confezione enologica assai pensata. Vista anche la sua fama, meriterebbe un riassaggio a palato riposato, ma purtroppo non ne ho modo.
Assaggio per la prima volta -  con grande curiosità- i vini di Padelletti, un produttore storico, perché tra quella manciata di nomi che incominciarono a produrre ed imbottigliare Brunello tra la fine dell'Ottocento ed i primi del Novecento. La firma negli anni si è mantenuta ipertradizionale, al punto che è l'unica (per quel che so) ad avere ancora la cantina di vinificazione all'interno delle mura del borgo in un edificio storico, con tutte le difficoltà produttive immaginabili. C'è fermento, però, perché si sta predisponendo una nuova cantina e si nota un certo nuovo corso anche nella comunicazione. Bisognerà tenerla d'occhio, quest'azienda. Intanto, il Rosso di Montalcino 2015  presentato quest'anno (un'uscita ritardata), è classicissimo, trasparente alla vista, molto profumato, tra fiori, frutta e vernice. Un po’ scomposto ancora all'assaggio, scisso tra  un tannino ed un'acidità piacevolmente decisi, che si ricompongono in un finale lungo e di bell'equilibrio. Piacevole, a mio gusto. Il Brunello di Montalcino 2013 del mio assaggio, invece, si offre ancora poco decifrabile: non nitidissimo, un po’ chiuso, marca il ricordo per una mineralità spiccata, per forza salina e per una certa decisione acido-tannica. Il Brunello di Montalcino Riserva 2012 si pone con un profilo d'antan, non per tutti forse, ma assai affascinante: etereo, con profumi classici di frutta rossa e spezie, insieme e paralleli a quelli più evoluti di solvente, di pellami, di bosco, di castagne; con un sorso molto asciutto e sorretto da un tannino potente.
Pietroso produce vini ch'io trovo sempre affascinanti ed affidabili, nel senso che colgono in qualunque annata il segno di uno stile tipico, tradizionale, accurato, con un'identificazione netta del loro territorio di provenienza, consistente in alcune parcelle alte subito ad ovest del borgo, contornate di boschi. Sarà anche suggestione, ma quei sentori boschivi a me pare di ritrovarli nei loro vini, come nel Rosso di Montalcino 2016, che dispiega un profumo di media intensità dove la frutta rossa di sposa a sentori nettamente balsamici, di sempreverdi, e di terra umida. Un vino fresco, succoso, contrastato, con un bel tannino ed un'acidità notevole. Qualche sbuffo d'alcol sul finale disegna forse una piccola ruga nella sua bella armonia. Il Brunello di Montalcino 2013 è molto elegante, con profumi profondi, ancora centrati su frutta rossa e bosco, ma vi si sovrappongono note di solvente e minerali, come di pietra focaia. La mineralità ritorna al sorso sotto forma di sale, che è assai presente e contribuisce a renderlo un vino fresco ed equilibratissimo nelle sue componenti, più morbide e più dure.
Ritorno ad assaggiare i vini di un mio vecchio amore: Poggio di Sotto. Sono cambiate tante cose in questa azienda, ma si continuano a produrre vini eccellenti. Ecco, manca loro quella antica magia, direi; la vita però va avanti,  bisogna farsene una ragione. Apprezzo perciò il Rosso di Montalcino 2015, un'uscita ritardata: un vino eccezionale, della statura di un Brunello, com'è tradizione per questa firma: complessità e struttura ottime, e possiede quella caratteristica tattile impalpabile che io trovo tipica di tanti vini di Castelnuovo dell'Abate. Il Brunello di Montalcino 2013 è molto bello fin dal colore, con un profilo aromatico elegante, assai agrumato, speziato e ricco di umori della terra. Al sorso l'acidità è vivida ed il tannino eccezionale per quantità e qualità.
Salvioni: anno dopo anno, sempre eccellenza. Il Brunello di Montalcino 2013: sulle prime il suo profumo mi pare un po’ ritroso, ma è come se ribollisse sottile sotto la superficie, toccando tutti i registri, compreso quello ematico e speziato, da norcineria. Il vino al sorso è classico: proporzionato, strutturato, composto, con un'acidità notevolissima.
San Giacomo non è magari tra le firme più note, ma la seguo da qualche anno e credo che abbia raggiunto una certa maturità interpretativa, con una bella progressione: i vini presentati quest'anno parlano da soli. È un nome, credo, da segnarsi per gli anni a venire. Il Rosso di Montalcino 2015 (un'uscita ritardata, a dimostrare che ci sono certe ambizioni, qui) ha un profumo puro, con una bella ciliegiona in evidenza, e spezie: a gran voce canta: “Sangiovese”! Al sorso è polposo più che teso, ma ha nerbo a sufficienza ed un finale piacevole dove scorgo note di terra e e cenni di ruta. Il Brunello di Montlacino 2013 mi pare un bel vino elegante che al naso  già prelude alla sapidità del sorso, con fiori, frutti e sentori ematici. Al palato è gustoso, originale rispondente ai profumi: mi ricorda il mallegato con l'uvetta. Non è equilibratissimo, però: credo che sia in cerca di una definizione che verrà col tempo e mi sento di scommettere su di lui. Il Brunello di Montalcino Riserva 2012 è anch'esso molto buono: profumi puliti di frutta e di vernice, un sorso setoso, pieno, sentito, capace di un intimo melodiare malgrado forza e corpo.
L'assaggio dei vini di Sanlorenzo, ossia del mio caro amico Luciano Ciolfi, è sempre un bell'esercizio, perché; sono quelli che conosco meglio, avendoli incontrati relativamente spesso ed in tempi diversi, dalla botte alla bottiglia al…bicchiere; anche dopo diversi anni dall'uscita in commercio. Ho imparato qualche cosa del loro percorso nel tempo e di come abbiano fotografato l'annata. Il suo Rosso di Montalcino 2015 è un miracolo di equilibrio: ha un profumo intenso, accattivante, caloroso, con frutta rossa e fiori in evidenza; ma già baluginano, discretamente, i terziari figli dell'evoluzione. Guarda, amica o amico che mi leggi, il grado alcolico in etichetta: 15,5 gradi; il sorso però è fresco e con un'acidità vivida e ben integrata. È un vino di sferica proporzione; chissà che cosa sarà il Brunello di quell'annata! Il Brunello di Montalcino 2013 di Luciano è un vino essenzialmente verticale: un po’ chiuso forse in questa fase, è  raffinato, con profumi di fiori che si alternano all'eleganza dell'arancia, del melograno, del corbezzolo. La medesima classe si trova al sorso: amalgamato, setoso, col tannino potente ed un'acidità importante, ben mascherata nella fittezza del suo corpo.
Santa Giulia è un'azienda che non conoscevo, situata a  Torrenieri, all'estremo nord-ovest della denominazione. Nella zona i terreni sono, per quel che ne so, tendenzialmente argillosi, tuttavia alcuni vini ultimamente stanno riuscendo interessanti. Il Rosso di Montalcino 2016 è molto profumato (anche se - ma posso sbagliarmi- sento forse un po’ di tannino enologico in evidenza), sorprendentemente maturo all'olfatto, con tanta frutta rossa e cenni di fieno. Il sorso è largo e morbido, con un'acidità discreta. Il Brunello di Montalcino 2013 mi pare abbia un profumo con striature verdi, di erbe officinali, ed al sorso lo direi pieno, tannico, tendenzialmente morbido, ma con un'acidità più che buona. Mi sembrano vini riusciti, forse più da bersi nell'immediato che per una lunga vita di virtuosa evoluzione.
Non conoscevo nemmeno Sassodisole, anch'essa è di Torrenieri. Mi pare che lo stile della casa si orienti sulla rotondità o, magari, è caratteristica dei loro vigneti. Il Rosso di Montalcino 2016 profuma con intensità armoniosa, di incenso e spezie. Al sorso è cremoso, con un alcool un po’ aggressivo ed un'acidità di intensità media, che me ne suggerisce un consumo piuttosto immediato. Il Brunello di Montalcino 2013 mi pare più riuscito, perché  arioso e più contrastato, coniugando la morbidezza con un'acidità notevole. Il Brunello di Montalcino Riserva 2012 ha un profumo più maturo, evoluto e sfaccettato, su note di solvente, di arancia e di menta; al sorso, non rinuncia ad una certa rotondità.
Si cambia scenario con i vini di Sesti, perché da Torrenieri, superando idealmente a volo d'aquila il colle cittadino e le sue torri, ci si spinge quasi all'estremo opposto della denominazione, verso  zone più classiche, un'area mediana tra quelle più calde, meridionali, e quelle più fresche a settentrione della città. Il Rosso di Montalcino 2016 porge subito una notevole apertura di profumi, che arriva già a toccare  tutti i registri, compresi i terziari, indugiando sulle spezie. In bocca sembra più giovanile che al naso: è intenso, croccante, con un bel contrasto tannico-acido. Il Brunello di Montalcino 2013 mi sembra un conseguimento raro: un vino splendente, dai profumi finissimi e completissimi, intensissimo al sorso, radioso, in un contrasto caldo-fresco estremamente appagante. Richiama certi esempi borgognoni per finezza, ma declinati secondo le forme della struttura forte del Sangiovese. Inoltre, benché si offra già oggi piacevolissimo alla beva, credo che abbia ottime prospettive di invecchiamento. Il Brunello di Montalcino Riserva “ Phenomena ” 2012, invece, mi delude un poco: sarà il mio palato, ma in questa fase lo trovo assai frenato dal legno di affinamento, però ha tantissima materia e molto probabilmente sarà in grado di riassorbirlo in un disegno coerente.
Con i vini di Tenuta Le Potazzine siamo nel solco dei vini classici, che preferiscono il sussurro, l'agilità e la sveltezza alla pura forza, che tuttavia non manca. Vini donatelliani, se pensiamo al tipo di energia espressa dal David bronzeo del Maestro fiorentino. Il Rosso di Montalcino 2016 è fresco, con profumi di arancia, lampone, spezie fini, toni ematici e minerali. Al palato è succoso, saldo di struttura, ma delicato nelle sue movenze, come danzante. Il Brunello di Montalcino 2013 è semplicemente buonissimo. I suoi profumi ariosi, molto intensi, con fiori, frutta, spezie in evidenza, trascolorano l'uno nell'altro con naturalezza estrema. Pur strutturato, al sorso è comunicativo, invitante. La riprova concentrandosi sul calice vuoto: quel che rimane è un profumo pulitissimo, floreale, l'ultimo bacio di questo vino seducente.
Terre Nere di Campigli Vallone è un'azienda che meriterebbe più rinomanza: rientra nel gruppo di quelle locate a Castelnuovo dell'Abate, giovandosi della particolare tessitura che, a mio avviso, la zona regala ai vini; inoltre, la coscienza produttiva è notevole: si lascia parlare il territorio, originando vini precisi ed equilibrati. Il Rosso di Montalcino 2016 è complessissimo: tocca tutti i registri, ma in primo piano pone l'evocazione degli spazi aperti di un campo d'estate, ed i fiori macerati. Al sorso, è salato, fresco, lungo, con un tannino rotondo. Il Brunello di Montalcino 2013 è in qualche misura simile: fresco e complesso, è più strutturato e, pur con la frutta rossa in evidenza, si declina su sfumature maggiormente minerali, al limite di un tocco austero. Nel Brunello di Montalcino Riserva 2012 c'è più polpa ed una struttura ancora più imponente, mentre gli spunti di frutta rossa si fanno imperiosi. Indubbiamente c'è qui tanta materia, ma modellata elegantemente.
Di fronte Enzo e Monica Tiezzi, mi tolgo sempre il cappello: padre e figlia, anime di un'azienda che lavora secondo un'artigianalità vera e con tecniche di minimo intervento, ottenendo vini rigorosi e senza rete: significa che certe bottiglie vanno  attese diversi minuti dall'apertura nel calice, mentre altre risultano subito perfette e smaglianti: sono vini vivi, imprevedibili, ma sanno ripagare chi ha la pazienza di capirli. Ciò detto, il Rosso di Montalcino “Poggio Cerrino” 2016 mi pare ancora offuscato da note fermentative, ma se ne distingue già il disegno asciutto, lieve, essenziale, sospinto da una certa bella acidità (lo riassaggerò in verità qualche mese dopo al Vinitaly, è già sarà trasfigurato e più compiuto). Il Brunello di Montacino “Poggio Cerrino” 2013 ha già al naso un profumo stupendo, puro, dove convivono ciliegie, amarene, spezie dolci, i segreti del bosco e le aldeidi. Al sorso è accogliente e essenziale insieme: ha la stessa grazia minuta ed elegante di certi schizzi leonardeschi ed è, si può dire, già pronto per essere gustato con piacere. Il Brunello di Montalcino “Vigna Soccorso” 2013 è senz'altro meno pronto, ma è radioso, luminoso, con una notevolissima qualità tannica, quasi mozzafiato al sorso. Il Brunello di Montalcino “Vigna Soccorso” Riserva 2012, richiede un po’ di ossigenazione per dispiegare il suo straordinario potenziale: ha una bocca soffice e potente e un allungo straordinario verso un finale a coda di pavone, dove balugina, come lumeggiatura, persino il cioccolato.
Lo scorso anno avevo assaggiato per la prima volta i vini di Ventolaio, rimanendone favorevolissimamente impressionato. La medesima impressione nell'autunno passato a Sangiovese Purosangue, a Siena; tuttavia con l'assaggio delle annate in presentazione a Benvenuto Brunello sono completamente conquistato. Il Rosso di Montalcino 2016 è piccola gemma. Molto aromatico e puro, sfaccettato: ciliegia, erbe aromatiche da cucina, persino fieno; ed è assai fresco al sorso, soffice, setoso, glicerico, con un'acidità alta e ottimamente integrata. Il Brunello di Montalcino 2013 ha un bellissimo colore, quasi corallo: forse la veste più bella di tutta la manifestazione. Ha tanto aroma, e variegato: in ordine sparso, spezie dolci, fiori appassiti, più sfumata sta la frutta rossa. Vista ed olfatto invogliano decisamente al sorso, bellissimo anch'esso: puro, fresco, lungo, equilibrato, risolto e quintessenziale: una giusta misura lo regola sovrano. Il Brunello di Montalcino Riserva 2012 ha un colore più nettamente rubino. Meno definito olfattivamente, gioca maggiormente sui toni della frutta matura, più scuri e carnali. Più potente, più alcolico del Brunello 2013, al momento è contratto e rivendica l'attesa.
Fattoria dei Barbi presenta ancora una volta una batteria di vini classici e di alto livello, nei quali la cura artigianale si sposa con numeriche produttive importanti. Che  riesca ogni anno nell'impresa basterebbe a far notizia, tuttavia ogni anno c'è  qualche acuto ragguardevolissimo del quale compiacersi. Il Rosso di Montalcino 2016 è estremamente profumato e ammiccante, perché già suggerisce di essere saporitissimo: in effetti, tocca tutti i registri aromatici, a ventaglio. Al sorso mantiene quasi tutte le promesse; è rotondo, con un'acidità e forza tannica discrete. Il Brunello di Montalcino 2013 (quello con la mitica etichetta blu) incarna una certa idea di classicità, sul filo di un'evoluzione controllata e col passo sicuro al palato che esprime la calma dei forti. Il Brunello di Montalcino  "Vigna del Fiore" 2013, al confronto, ha più polpa, più struttura, più tannino ed una maggiore integrità, nel senso che è meno evoluto. Il vero asso della batteria, però, è il Brunello di Montalcino Riserva 2012: campione di uno stile antico, è un vino estremamente signorile, possente ma più ancora posato, di grande sostanza: vigorosamente chiaroscurato all'olfatto, dove lascia emergere note di frutta, vincontrappone un sorso setoso, lungo e profondo, con un'alta acidità a sostenerlo.
L'unica azienda che a mio parere possa accostarsi a Fattoria dei Barbi in termini di stile tradizionale, cura e costanza qualitativa nell'ambito delle numerosissime bottiglie prodotte è Col d'Orcia. Io, per risparmiare un po’ i miei sensi, che ad un certo punto della giornata di assaggi risentono della fatica, assaggio solo il celebre Brunello di Montalcino Riserva Poggio al Vento 2010: ancora una volta lascia me (e l'amico Stefano) senza parole. Profumo di eccezionale forza e concentrazione; prestanza statuaria: tannini, acidità, corpo, alcol “eroici”; eppure riesce infiltrante, godibile, quasi - mi verrebbe da dire - leggero. A trovargli un difetto, forse ancora un po’ in fieri rispetto ad altre annate che ho precedentemente assaggiate.
Per la prima volta ho occasione di assaggiare la proposta completa dei vini di Corte dei Venti, un produttore del quale si è fatto un certo parlare recentemente. Il Rosso di Montalcino 2016 mi è sembrato buonissimo: da un altopiano posto a circa 300 metri sul livello del mare, all'estremità più meridionale della denominazione, ma rinfrescato da venti continui, si ottiene questo Sangiovese paradigmatico, che sa di sale persino al naso, e dispiega profumi campestri, di paglia e di fieno. Lo assaggio, ed al sorso è lieve e salino, saporito e pulitissimo. Il Brunello di Montalcino 2013 ha eleganti profumi di arancia, ma trovo l'espressione un po’ frenata dal legno di affinamento, almeno in questa fase; un peccato, perché al sorso è bello, gustoso, carezzevole, equilibrato. Mi pare più riuscito il Brunello di Montalcino Riserva “Donna Elena”  2012: racconta la larghezza dell'annata calda, ma riesce comunque fresco, dinamico e molto succoso. A margine, l'assaggio del Sant'Antimo “Poggio ai Lecci”, un taglio di Syrah, Cabernet Sauvignon e Merlot. Viene da una vigna affacciata sulla Val d'Orcia, soggetta al l'influsso del Monte Amiata. L'apprezzo, pur non amando particolarmente il genere: con profumi giocati tra frutta nera e rossa e nitidi spunti minerali, in bocca è ben teso tra una più che discreta acidità ed un tannino di buon livello.
Che meraviglia, anche quest'anno, gli assaggi di Fattoi: nella mia piccola esperienza sempre tra i migliori, se si apprezzano vini appassionati e di spirito artigiano. Quello, difatti, sono. A partire dal Rosso di Montalcino 2016: “divino”, segno per l'entusiasmo e la foga della sintesi nelle mie note. È profumato, con note nitidissime ed evocative di ciliegia. Al sorso è succoso, caldo-fresco, vivido, dal tannino fine ed acidità decisa. Un vino di bellezza viscerale. Nel Brunello di Montalcino 2013 ritrovo quei toni gravi e baritonali che tanto amo in questa firma. I profumi di frutta, in lui, già trascolorano evolvendo nelle spezie e negli incensi. Un vino di struttura potente, apparentemente morbido, ma con le giuste durezze nascoste: quelle che rendono il sorso narrativo e rilevante. Di fronte al Brunello di Montalcino Riserva 2012 per un attimo taccio. Il profumo è molto intenso, dipinge composizioni di frutta matura; ma la bocca è potentissima, carnosissima, quasi una bestia selvaggia che aspetta ancora di essere domata. Stefano, l'amico che assaggia con me, commenta: “È una pornostar”; ridiamo, ma credo che colga nel segno. 
Non avevo mai assaggiato prima i vini di Ferrero ed è forse un peccato che io li accosti solo quest'anno, viste le recenti e tristi vicissitudini familiari. Però è l'occasione di rendere merito a chi questi vini pensava e faceva. Il Rosso di Montalcino 2016 è molto integro, anche al colore, rubino e luminoso. Ha un profumo definitissimo di amarena matura e scura, che ritorna anche all'assaggio: elegante, con un'acidità viva ed un tannino raffinato. Il Brunello di Montalcino 2013 ha un profilo diverso: un po'aranciato alla vista, più viscerale, con note terrose di farmyard (come dicono gli inglesi) al naso. L'assaggio ed è equilibrato, rinfrescato da una buona acidità, con un tannino importante ma fine, maturo, e lungo su un retrogusto ematico e terroso.
Qui finiscono gli assaggi: sono le 5 e mezzo, la mia bocca e il mio naso satolli di bellezza non rispondono più. Eppure chissà  quanti altri vini meravigliosi potrei assaggiare oggi, in questo Benvenuto Brunello dal livello medio altissimo, vetrina di annate assai diverse, ma tutte fortunate. Stasera ci sarà la cena con gli amici produttori, debbo recuperare lucidità per i miei sensi. Pausa. Posso ripensare ai calici  e ai volti di oggi. Già la mente però va lontana, vola al prossimo anno: immagina e sogna i futuri regali della terra di Montalcino".
La cena ci fu: andammo da “Il Pozzo”, celebre trattoria di Sant'Angelo in Colle. Amici e conoscenti: Luciano, Stefano, Jessica, Alessia, Raffaella. Buon cibo rustico di tradizione Toscana e tanti buoni vini, che ciascun commensale aveva portato: vini locali e vini foresti, annate vecchie e recenti. Molti, splendidi. La mia bottiglia fu il  Nebbiolo d'Alba Valmaggiore di Marengo, rifinito e gustoso. Però la sorpresa venne con le vecchie annate di Rosso di Montalcino, ancora scattanti eppure tanto complessi. Il 2006 di Luciano, che vino! Resta di allora  nella memoria soprattutto il clima rilassato, allegro, conviviale, umano; il rientro a Montalcino nella notte fonda, arrampicando l'auto sui fianchi bruni del colle, con la pioggia e la nebbia ad avvolgerci in una dimensione conclusa, intima.
Rientrai a Milano con il nome di Montalcino già segnato sul l'agenda e la prenotazione in tasca, per tornarvi di lì a due settimane e rivedere gli amici e stringerne di nuovi; per camminare ancora quella terra  e meglio conoscerla . Ne visitai  il nord,  fresco e cristallino nelle sue geometrie, a Montosoli, da Baricci; là trovai vini che hanno la grazia essenziale e composta della primavera fiorita di un maestro del Quattrocento o della prosa lirica di Idilio dell'Era, quando racconta dei Santi eremiti e fanciulli, come fossero novelle popolari. Là trovai giovinezza e sapienza insieme unite, un'anello orgoglioso tra le generazioni. Di lì si vede il Montalcino ergersi imperiosa sul suo colle -visto di sotto, drammatico e ripido come una balza - visione grifagna e quasi dantesca. Poi andai a sud-ovest, percorrendo i fianchi del colle come quelli di una grande madre, godendomi l'apertura assolata delle colline che stanno dove il bosco cede il passo alle colture e guarda - come dovesse tuffarsi in mare, la fronte battuta dal vento - la calma distesa ondeggiante, gialla e verde di spighe e di fieno, che sta tra l'Orcia e l'Ombrone. Finalmente passeggiai le vigne di Fattoi, toccai la terra, respirai l'aria, vidi la cantina: ecco la culla di quei vini viscerali, terrestri e splendenti. Là trovai l'orgoglio contadino in una dimensione distesa, schietta, confidenziale. Poi restai dipresso le mura antiche della città, da Tiezzi: là trovai l’antico che guarda al futuro, i vecchi attrezzi e la nuovissima cantina, i vecchi Cru con le viti giovani, e l’equilibrio sovrano dei vini. Poi andai a sud, sotto un cielo grigio e nero ed aria di tempesta, vento forte che scuoteva le nubi, gli alberi, le erbe; salendo sempre più in alto una lunga sterrata, traversando un paesaggio di pascoli verdi e colli deserti, solitari, tenebrosi nel loro silenzio; fino a giungere tra le vigne di Ventolaio, che pare scivolino a precipizio verso Sant'Antimo, piccola di lassù come un giocattolo e candida come una pietra preziosa. Là trovai vini profumati come quelli di montagna ed un'ospitalità calda, familiare: la sensazione immediata di sentirsi a casa.
Queste, però, sono altre storie, che un loro tempo e un loro spazio vogliono per essere narrate: l'avranno. Intanto, mentre scrivo queste ultime righe, già la nostalgia di Montalcino mi chiama: poche ore, e vi ritornerò.
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cloudwine9 · 5 years
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A Siena nell’occasione della quinta edizione del Wine&Siena, mi ha fatto molto piacere trovare l’Azienda vitivinicola Prime Alture, e  mi sono presentato volentieri  al banco d’assaggio per ridegustare i vini portati per la Kermesse.  L’ azienda si trova a Casteggio nel cuore della zona vinicola Oltrepo’ Pavese. I loro 4 vini portati per l’occasione sono stati selezionati dall’ attentissima commissione di  The Wine Hunter, capitanata da Helmuth Köcher, patron del Merano WineFestival. Ho  potuto conversare tranquillamente  con il Sig. Roberto Lechiancole, titolare dell’omonima azienda, la quale possiede anche un bellissimo Wine Resort. Nell’ occasione della mia visità in Oltrepò Pavese, di qualche anno fa, ho soggiornato a Prime Alture, un  Wine Resort molto elegante e charming.
Il Wine Resort è immerso tra vigneti in queste colline di straordinaria bellezza, oltre ad avere delle bellissime,  spaziose e confortevoli junior suite, ognuna è arredata a tema e personalizzate ciascuna con il nome di un vino,  ha anche un Ristorante ove la cucina è di alto livello, con vista sul Monterosa. A disposizione degli ospiti, una piscina all’aperto, con vista digradante verso  gli splendidi  vigneti di questo bellissimo lembo di terra in provincia di Pavia. Il Sig. Roberto Lechiancole e signora sono molto ospitali e gentili, trasmettono calore e passione nel proprio lavoro. Ti mettono a proprio agio.
E’ nella parte più bassa  che trovano dimora botti per l’ affinamento dei vini qui prodotti. Era d’ obbligo  durante il mio soggiorno, prima  di degustare i loro vini, fare una visita in cantina. L’areale si trova  nella fascia del 45° parallelo, ed uno dei vitigni maggiormente coltivati è il Pinot Nero, impiegato per la produzione di vini Rossi e anche per il Metodo Classico.
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Bordo Bosco Pinot Nero Igp 2018
Questo Vino si presenta nel calice con una tonalità rosso rubino brillante, dal profumo franco e piacevole, con sentori delicatamente eleganti di piccoli frutti di bosco, rosa e ciliegia, ed una leggera speziatura vanno a completare lo spettro olfattivo. Al gusto è pieno, ben equilibrato, di buona stoffa e persistente.
IO PER TE Metodo Classico
Ottenuto con Pinot Nero. Questo Metodo Classico si presenta nel calice con una bellissima tonalità giallo paglierino,brillante.Il suo equilibrio nasce da questo vitigno. Dopo un lungo affinamento in bottiglia è una sintesi di eleganza, perfetto l’equilibrio tra note fruttate di pesca a polpa bianca, pera e sentori di frutta secca tostata e pane fresco. Al gusto possiede una elegante cremosità con retro-olfattiva lunga e persistente.
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http://www.primealture.it
Prime Alture A Siena nell'occasione della quinta edizione del Wine&Siena, mi ha fatto molto piacere trovare l'Azienda vitivinicola…
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r-roiben-r-blog · 7 years
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Samfuin
Samfuin
Gli ultimi, rosseggianti bagliori del tiepido sole autunnale si stanno in quel momento ritirando oltre l’orizzonte scuro del villaggio. Socchiude gli occhi, inspirando con calma il profumo dolce dell’aria circostante. Lentamente, poco per volta, le finestre si illuminano fiocamente e la notte avanza, portando con sé un venticello frizzante. In lontananza può già scorgere i primi chiarori del fuoco. “Strane usanze umane, dopo tutto” si sofferma a pensare, osservando con curiosità i sentieri, un attimo prima deserti, tornare ad accogliere nuova vita.
«Notte strana, sì, ma notte infine» mormora, abbozzando un ghigno pigro.
Con passi lenti e cadenzati varca i confini del villaggio e si addentra nelle vie ricolme di umani, scivolando agevolmente fra i corpi mortali di passaggio come un’ombra impalpabile. Non ha desiderio di mostrarsi, non in quel momento per lo meno. Ci sarà tempo più tardi, forse. Ora è il momento di godersi la tensione dell’attesa, la seduzione dell’anticipazione, il brivido della caccia. “Oh, sì. Delizioso” riflette fra sé, estasiato. Ridacchia divertito, procedendo senza fretta e osservando l’evolversi di un rituale che si perpetra di anno in anno. Gli sfugge un sorriso compiaciuto, nemmeno se ne rende conto, e se anche così fosse, perché preoccuparsi? Non è certo tenuto a mantenere un contegno serioso; è perfettamente libero di agire come meglio crede e, in quel momento, crede di potersi permettere di bearsi un po’ della follia umana, perché no?
Molti degli abitanti di quel villaggio si sono ormai radunati attorno alla modesta piazza, nel centro della quale arde un grande falò alimentato dalle scorte accumulate durante gli ultimi mesi. Il chiarore dorato dardeggia bruciante sui volti di uomini e donne, perfino di bambini, che fissano entusiasti il crepitio sinistro e selvaggio delle fiamme riflesse nei loro occhi brillanti.
Si gode tutto questo dal tetto spiovente di una delle case adiacenti la piazza, mantenendosi in parte nell’ombra senza mai perdere d’occhio l’evolversi della serata, ma gustando ogni momento come un buon vino. Lo scoppiettio ardente induce i più piccoli a strillare, sgomenti e soddisfatti insieme, e le sue labbra si schiudono lasciando che i bagliori facciano scintillare una chiostra di affilati denti candidi come la neve appena caduta.
Perdersi una nottata proficua e interessante come quella sarebbe stato un orrendo spreco, un vero crimine per lui. Purtroppo non può essere presente a ogni singola cerimonia, ma si cura ugualmente di far visita a un villaggio differente ogni anno, così da non doversi mai annoiare. Dalla sua gola scivola un piccolo sbuffo divertito, riflettendo che la sua presenza possa ben essere considerata una sorta di onore, per quegli umani che celebrano gli spiriti con il fuoco; probabilmente un qualche tipo di ospite d’eccezione e, in fondo, ciò che loro offrono a lui non può che essere l’adeguata contropartita a ciò che lui porta loro.
Socchiude gli occhi, individuando l’apparire fugace di un bagliore argenteo nel mezzo del falò. Nessun altro, a parte lui, sembra averlo notato. Poco dopo una figura eterea prende il posto del bagliore, spostandosi con ammirevole grazia fra i ceppi ardenti e poi fra la folla concentrata.
Uno sbuffo stranito accompagna lo scuotersi della sua testa. L’apparizione solleva il volto e punta i suoi occhi perlescenti direttamente su di lui, senza dar segno della minima sorpresa per altro. Le sue labbra sottili e delicate si arricciano in un grazioso sorriso divertito e i suoi piccoli piedi nudi si muovono agili nella direzione dello spirito oscuro. I suoi lunghi capelli argentati brillano, alla luce delle fiamme, più dell’esile spicchio di luna calante che si muove lentamente nel cielo notturno.
Nel momento in cui lei gli si accosta, lui solleva un sopracciglio e soffia una mezza risata.
«Da quando te ne vai a spasso fra i mortali?» le chiede, suo malgrado incuriosito.
Il sorriso di lei diviene enigmatico. Accosta una mano diafana, sfiorando distrattamente una manica scura della veste dell’altro, poi solleva lo sguardo al cielo nero.
«È una bella serata» si limita a mormorare.
La fissa con cipiglio critico, spostando di tanto in tanto gli occhi sulla cerimonia in corso alle spalle di lei.
«Indubbiamente. Ma ciò non ha mai costituito un valido motivo per abbandonare il tuo castello. Che cos’ha per te di speciale questa serata, rispetto alle altre?».
Lei si volta appena, soffermandosi per qualche lungo istante sullo splendore del falò. Muove un polso, creando un cerchio che per un breve momento brilla argenteo ma che scompare presto nell’oscurità.
«Ci sarà uno scambio di anime importante. Era mio dovere essere presente».
«Lavoro, quindi» borbotta lui, un pizzico deluso.
«Che altro?» domanda lei, divertita.
La scruta brevemente e di nuovo scuote la testa, stavolta perplesso.
«Secondo il mio parere dovresti svagarti di più, Arianrhod. Non esci mai dal tuo regno e quelle rare volte in cui lo fai è unicamente per seguire personalmente qualche noioso processo di scambio d’anime. A che scopo essere immortale se passi l’eternità a sgobbare?» lamenta lo spirito oscuro.
Lei sorride. Non ha mai smesso in effetti, ma ora è decisamente un sorriso ilare.
«Pitch, non tutti siamo perdigiorno come te» lo sbeffeggia.
Lui sgrana gli occhi e le lancia uno sguardo urticante.
«Non sono affatto un perdigiorno!» protesta con veemenza.
«Certo che sì. Esci quasi esclusivamente la notte. In che altro modo dovrei definirti?» scherza beatamente lei.
Lo scoppiettio del falò copre il suo ringhio irritato. Picchietta nervosamente un piede sulla parete dell’abitazione e incrocia rigidamente le braccia al petto.
«Creatura dell’oscurità sarebbe più che accettabile. O, ancora meglio, Signore delle tenebre» annuisce, compiaciuto.
Lei, per tutta risposta, soffia una risatina. «Molto divertente, Pitch. Ma temo che siano titoli già presi» rimarca con un ghigno perfido.
Al che lo spirito oscuro si imbroncia e distoglie lo sguardo, tornando a concentrarsi sul fuoco e sui volti degli umani raccolti attorno a esso.
«Solo perché sono l’ultimo arrivato, ciò non ti dà il diritto di burlarti di me» soffia piccato e piuttosto offeso, senza distogliere lo sguardo dalla cerimonia.
«No, è vero. Sono stata scortese, perdonami» ammette con voce lieve.
«Mhf» soffia, ancora imbronciato.
Il silenzio cala tranquillo. Perfino gli strilli elettrizzati dei bambini si sono acquietati. Entrambi gli spiriti sono intenti a seguire lo svolgersi dell’annuale rito officiato da uno dei druidi dell’isola.
«Che cosa senti?» mormora appena Arianrhod rivolta all’altro spirito nonostante stia ancora seguendo le parole del celebrante.
Un soffice fremito scuote la scura figura di Pitch. Chiude gli occhi e può quasi avvertirla sulla sua pelle.
«Angoscia ed eccitazione. Paura e speranza. Impregna l’aria e mozza il respiro. È… stordente, ma è l’unica cosa che mi fa sentire vivo» ammette, rabbrividendo ancora.
«È bello?» si accerta.
L’adocchia un solo momento, tornando in fretta sulla piccola folla assiepata in piazza.
«Sì» soffia, un po’ perso, «lo è».
La falce di luna è da poco tramontata e le fiamme si stanno ormai esaurendo. Ogni famiglia ha ora con sé una piccola fiaccola con un poco di quel nuovo fuoco che riscalderà le loro case per l’ormai prossimo inverno.
«Un pochino ti invidio, in effetti» esordisce Arianrhod rompendo il protrarsi del silenzio.
Lui distoglie a fatica lo sguardo dalle fiamme morenti e la guarda interdetto.
«Perché mai? Mi sembrava d’aver inteso ch’io fossi poco più di un fastidioso moscerino per te e gli altri» sibila seccato.
«Non lo sei» replica, appoggiandosi contro la sua spalla e facendo ondeggiare i piedi nel vuoto sotto il tetto sul quale sono seduti. «Invece credo tu sia uno spirito molto particolare. Tu non ti limiti ad avvertire le emozioni altrui, le provi anche».
«E con questo?» borbotta, arricciando il naso un po’ infastidito.
«Non sono molti quelli di noi che possono farlo» cerca di spiegare, pacata. «Provare emozioni, sentimenti umani, intendo» specifica.
Lui scuote la testa, incerto, fissando le proprie mani con la fronte aggrottata.
«Non è poi nulla di eclatante, te l’assicuro. Potendo, ne farei felicemente a meno».
«No» sibila seccamente lei, facendolo sussultare per la sorpresa e lo sconcerto (per non parlare del tono, non comune nella voce solitamente dolce ed eterea di lei).
«Come?» chiede incerto.
Lo sguardo di lei, poco prima metallico, torna a essere sereno.
«Non ne farai a meno. È quello che sei e non puoi cambiarlo, non senza cambiare te stesso» ragiona tranquilla.
Pitch sbuffa una risata incredula e solleva lo sguardo al cielo d’inchiostro.
«Scommetto che vi divertite pazzamente a uscirvene con certe frasi così disgustosamente filosofeggianti» bercia stizzito.
«Non sai quanto» ridacchia Arianrhod.
«Allora, dove sono queste anime tanto speciali da costringere la Signora della morte ad abbandonare il suo castello?».
Lo osserva con curiosità, soffermandosi sui suoi occhi concentrati ancora sulla piazza che va svuotandosi.
«È ancora presto. Saranno qui prima dell’alba» annuncia serena. «Mentre aspettiamo, che ne dici di accompagnarmi a fare una passeggiata?» propone allegra.
Distolto ancora una volta lo sguardo dagli umani, Pitch lo volge lentamente su di lei e solleva un sopracciglio, scettico.
«Ma che romanticismo» soffia sarcastico. «Una passeggiata sotto le stelle».
Lei gli sorride, sorniona, e gli dà una leggera spinta con la spalla.
«Avanti. Cos’hai da fare qui, in fondo? La cerimonia è conclusa, ormai».
Pitch sbuffa ma, seppur recalcitrante, annuisce.
«Mai, mai, mai contrariare uno spirito dimensionale» scherza con una sfrontata vena critica. «O si corre il rischio di ritrovarsi ingabbiati in qualche mondo alternativo e senza uscite di sicurezza».
«Oh, polemico!» lo rimprovera bonariamente Arianrhod. «Non lo farei. Al massimo potrei pensare di chiuderti in una gabbietta e conservarti sul comodino della mia camera da letto» ridacchia, facendo strabuzzare gli occhi del suo accompagnatore che, inquietato, rabbrividisce involontariamente.
«Sei abbastanza spaventosa, lasciatelo dire» borbotta offeso, con una sfumatura grigiastra e malaticcia sul volto.
«Sì? Beh, grazie. Detto da te dev’essere un vero complimento» lo prende amichevolmente in giro.
Di tanto in tanto Pitch sposta lo sguardo sull’esile figura eterea e a tratti evanescente che lo affianca sul cammino e si chiede quale possa essere il reale motivo della sua presenza lì quella notte. Se avesse semplicemente dovuto occuparsi di quelle anime sarebbe comparsa qualche istante prima del trapasso per scomparire nuovamente qualche istante dopo. È già accaduto in passato, dopo tutto. Invece si trova a passeggiare tranquillamente nella notte buia, apparentemente ignara dei crucci di lui e perfettamente a suo agio in un mondo che non le appartiene.
«Perché?» mormora confuso.
Lei si volta al suono della sua voce e lo osserva incuriosita.
«Come hai detto?» domanda gentile.
Scuote la testa, soffermandosi sui suoi capelli argentei che a tratti sembrano fluttuare, quasi fossero più leggeri dell’aria stessa.
«Mi chiedevo solo perché sei qui, realmente?».
Lei sorride di un sorriso un poco triste e reclina appena il capo di lato. «C’è qualche motivo preciso per cui non potrei godermi una serata di pace, di tanto in tanto?».
Pitch soffia una ristata soffocata e un po’ vuota. «Pace, dici? Sono certo che tu abbia notato che per la tua seratina di pace, amore e armonia con l’universo hai scelto giusto la notte in cui gli umani celebrano gli spiriti, mortali e immortali».
«L’ho notato, in effetti» annuisce, senza preoccuparsi di nascondere un sorrisetto birbante.
«E…?» insiste lui.
«E nulla. Ne avevo voglia, tutto qui».
«Tutto qui» ripete lui in un mormorio pensieroso.
«La mia presenza ti infastidisce, Pitch? Forse ho rovinato il tuo momento di svago?».
Il ghigno che si apre sul volto dello spirito oscuro è tutt’altro che piacevole.
«Se così fosse?» sibila. «Ma no» sbuffa, allargando appena le braccia. «Ogni tanto mi piace condividere» ammette con leggerezza. «Tuttavia devi concedermi che è piuttosto strana la tua presenza qui, in una notte come questa, per di più con la luna calante» si incaponisce.
«Forse» concede con un piccolo sospiro. «Desideri che ti lasci solo?» si accerta.
Le fa un cenno di diniego e avanza di qualche passo, invitandola silenziosamente a riprendere la passeggiata.
«Come ti trovi qui nel mondo degli umani?» riprende d’un tratto la parola lei.
Lui si prende qualche minuto per riflettere, mentre inspira l’aria della notte e si perde a scrutare le stelle lontane.
«Non poi così male come temevo, in effetti. A volte mi mancano gli spazi infiniti oltre questo pianeta, ma devo ammettere che le creature che lo popolano concorrono a tenere vivo il mio interesse e a non permettermi di annoiarmi con facilità».
«Ti capita mai di sentirti solo?» mormora esitante.
Pitch abbassa rapidamente lo sguardo e lo incrocia con quello di Arianrhod, non del tutto sicuro di ciò che ha appena sentito.
«Parli sul serio?» si accerta.
«Sì».
Arriccia il naso e socchiude gli occhi affilando lo sguardo. «Ho scelta, forse? Pensi che cambierebbe qualcosa se lo ammettessi?» ringhia, fermando i suoi passi. «La risposta è no, a entrambe le domande».
«Pitch…» tenta, incerta.
«Che cosa vuoi?» sibila.
«Nulla, era solo…».
«Curiosità?» la interrompe bruscamente. «Te la puoi tenere. Puoi prendere la tua futile filosofia e tutti i tuoi bei propositi e ficcarteli…».
«Pitch!» sbotta Arianrhod, ottenendo uno sbuffo decisamente irritato in risposta. Sospira, passandosi nervosamente le dita fra i capelli in un gesto frustrato. «Che sciocchezza. Non intendevo offenderti. Era solo… solo un innocente scambio di opinioni» prova.
«Innocente, come no» bercia stizzito, riprendendo a camminare, o forse, dato il passo sostenuto, sarebbe più corretto dire marciare attraverso i declivi erbosi che circondano il villaggio.
Per stargli dietro lei è costretta a spiccare una breve corsa che la fa somigliare a una farfalla, dato che quasi i suoi piedi non toccano il terreno.
«Avanti, non ti arrabbiare» lo blandisce, pacata. «Le rughe non donano per nulla al tuo viso» scherza, strappandogli uno sbuffo suo malgrado divertito.
«Evita di insistere sull’argomento, se desideri che non me la prenda» l’ammonisce, più tranquillo, osservandola annuire.
Improvvisamente, nel bel mezzo di un lungo momento di tranquillo silenzio, Arianrhod ridacchia, palesemente divertita da qualche particolare che evidentemente sfugge al suo accompagnatore, al momento. “Sembra una bambina felice” si ritrova a pensare lo spirito oscuro.
«Che succede?» si informa incuriosito.
«Oh, nulla di importante, in verità. È solo che, in effetti, un paio di conoscenti me ne avevano parlato precedentemente, ma non sapevo se crederci o meno. Devo invece ammettere che avevano ragione».
Pitch aggrotta la fronte, perplesso, e scuote piano la testa senza riuscire a dare un senso al discorso di lei.
«Di cosa stai parlando? Non ti seguo» riconosce.
Arianrhod lo occhieggia con malizia e ghigna divertita, prima di saltellare, agile e leggera, un poco più distante.
«Del tuo pessimo carattere. Prendi fuoco come paglia secca sotto il sole d’agosto» soffia, allargando il ghigno.
Gli occhi di Pitch si sgranano, attoniti. Inspira bruscamente una boccata d’aria e ringhia. Ma lei si è già allontanata con pochi balzi e una rapidità sconcertante e a lui non rimane che pestare stizzosamente un piede a terra e sbuffare sonoramente il proprio disgusto.
«Me la paghi» minaccia risentito. «Vedrai se non è così».
«Non vedo l’ora» bisbiglia al suo orecchio, prima di sparire nell’aria fresca, lasciandolo nuovamente solo.
Sospira e, suo malgrado, stiracchia un piccolo sorriso poco convinto.
Riprende a camminare lentamente, senza avere ben in mente dove andare. Il mare, vicino, porta fino a lui l’aria salmastra che ha l’effetto di placare un po’ la sua agitazione. Ancora una volta solleva lo sguardo sulla volta celeste e osserva le stelle. Così lontane, troppo oltre la sua portata, ormai irraggiungibili.
Chiude gli occhi, scivola fra le ombre e un momento dopo è nuovamente a ridosso della piazza. Del falò non rimangono che pochi tizzoni ardenti, ma al loro fianco c’è ancora qualcuno: un essere umano dai capelli grigi e dalla lunga tunica verde scuro; uno di quei sacerdoti che officiano le cerimonie per il popolo. Sembra incantato a osservare le braci morenti. Pitch reclina il capo, incuriosito, e si fa più vicino, così da poterlo osservare con più agio. Quando il bordo della sua veste d’ombra entra nel raggio del fioco bagliore ancora presente, lo sguardo dell’uomo si solleva lentamente e si ferma su di lui, fissandolo diritto negli occhi senza apparente sorpresa.
«Sei uno spirito?» chiede pacato.
«Così dicono» commenta Pitch, senza particolari inflessioni nella voce.
L’uomo rimane in silenzio per qualche tempo, come intento a studiare l’apparizione e a trarne le dovute conclusioni.
«Non sei qui per farci del male».
Non è una domanda, la sua. Pitch aggrotta un sopracciglio, incerto.
«La vostra vita non rientra nei miei interessi. Sono qui per le vostre emozioni».
Non sa perché gli sta parlando. Forse perché non sono molti gli esseri umani che possono vederlo. A volte gli altri spiriti si rivelano un po’ troppo pieni di sé, tanto che trova difficoltoso tenere a bada quello che Arianrhod ha poco diplomaticamente definito un pessimo carattere.
«Emozioni…» mormora l’uomo, pensieroso. «La cerimonia. È per questo che sei qui. Le persone sono eccitate e spaventate, e tu… puoi sentirlo».
Un angolo delle labbra di Pitch si solleva appena, mostrando un po’ del suo compiacimento. “Un mortale piuttosto intelligente e percettivo: interessante”.
«È così» conferma.
L’uomo lo soqquadra, incuriosito, ma senza mai muoversi dalla posizione in cui si trova.
«E l’altra creatura, quella bianca comparsa dal fuoco?».
Pitch socchiude di poco le labbra e sgrana impercettibilmente gli occhi, suo malgrado intrigato. Annuisce, a mostrare di aver compreso a chi si stia riferendo.
«Era qui per il medesimo motivo?» conclude l’uomo.
Lo spirito scuote lentamente il capo e si mordicchia discretamente un labbro, indeciso.
L’uomo sembra tuttavia comprendere la sua reticenza e gli indirizza un discreto cenno di accettazione con il capo. Non è necessario che gli parli dell’altra creatura, se non lo crede prudente.
Piano, Pitch arretra, uscendo dal vago chiarore e tornando nelle tenebre, ancora seguito dallo sguardo brillante del mortale. Volta le spalle e svanisce nel nulla, lasciando l’uomo solo ai suoi pensieri.
Fine
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katrinelillianwarren · 11 years
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Happy Birthday
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10.07.2069
K: Sta nel camerino, tutta ricoperta di piume nere come se fosse un pulcino, «mi pizzica» ripete tirando la calza «e se inciampo?!» si riguarda allo specchio e non sembra neanche lei, il tubino rosso-nero non sembra neanche starle troppo male, anzi; ma descriviamola per bene, i capelli sono boccolosi e ricadono lungo le spalle, un cerchietto sulla fronte che sorregge una piuma nera, il tubino finisce in una gonna con molti voulet-van rossi con bordi neri, calze a rete e reggi calze neri guanti neri e scarpe col tacco spropositato nere. Due enormi ventagli sono appoggiati lì vicino «che ore sono!?!?!?» urla per tutto il corridoio, correndo a destra e manca senza sosta «lo sanno vero che deve partire la musica a mezzanotte?!» una voce, una donna paffuta e bionda la insegue aggiustandole il vestito "stai ferma tesoro" le aggiusta e la rincorre "è mezzanotte meno cinque" intanto lo spettacolo di cabaret sul palco finisce e rimane il silenzio per un po'. Tutto buio, fino alle 23:59, quando un faro non si piazza sul povero Adam,e...
A: E' il compleanno Adam, i 18 anni ci sono e la maturità è già stata raggiunta da tempo. Avete cominciato a rivedervi con Katrine dopo mesi di astinenza per la sua lontananza e riesce a stento a stare calmo di essere uscito con lei dopo tanto tempo. Hanno cenato tre ore fa proprio con Margaret ed Eduard Wilson in Scozia e dopo il pasto hanno usato la metropolvere per raggiungere poi un pub per maghi in Inghilterra, ha consigliato Katrine dove andare. Ad Adam non piace molto, sembra così vecchio e dimenticato. Lo stupisce comunque il fatto che sia popolato da gente giovane e anche da belle ragazze, tutte con i loro fidanzati e vestite in maniera poco dignitosa per essere in un buco di cemento pieno di gente che beve alcool per mandare giù i sensi di colpa. Adam si trova addosso un paio di jeans che cascano a pennello su quelle esili gambe che si ritrova e abbracciano il piccolo vitino; Camicia bianca sagomata dalle spalle in giù, colletto rigorosamente alzato, profumo alle erbe al collo; ricci gellati; Scarpe da ginnastica. Il suo boccale di birra è pieno a metà, ma ha appena smesso di bere dopo che Katrine si è allontanata per andare in bagno. Solo che è lì da tempo e comincia ad annoiarsi, donne... Scorre il dito indice sull'orla del bicchiere e il rumore prodotto dallo sfregamento e coperto meravigliosamente dalla musica del pianoforte e dagli strumenti musicali incantati. Toglie il dito dall'orlo del bicchiere e sbuffando rumorosamente, si lascia cadere con la schiena sulla spalliera della sedia, non molto vicina al tavolo e sbraca le gambe come una persona priva di galateo. Si è messo comodo come il maiale che è di come sta seduto. Sta per finire l'aria dello «SBUFF!» quando un'occhio di bue si accende sopra di lui. Resta abbagliato come se fosse appena stato svegliato. La mano destra si porta davanti agli occhi mentre tentano di osservare da dove venga la luce, dall'alto evidentemente. La magia, può fare di tutto. Si accorge che ora che è stato messo in evidenza deve sedersi in un modo un po più dignitoso. Tira su la schiena e si guarda attorno. Alza le sopracciglia ad ogni persona che lo fissa e porta dentro le labbra. La mano destra abbandona la postazione iniziale e va a grattare la testa. Starà per entrare un comico che lo prenderà in giro per fare cabaret? Poggia i gomiti sulle ginocchia e guarda verso il palco sperando che il comico faccia davvero la sua comparsa. *https://youtu.be/-wmq7Ent6Ck*
K: Posizione centrale un ventaglio di piume davanti e uno dietro, di spalle al pubblico, altre quattro ragazze con ventagli rossi, e vestite a negativo di lei,un telo rosso davanti e quando la musica parte, per il momento delle parole si vede solo l'ombra delle ragazze, ma la voce di Katrine, è ben riconoscibile ad un'orecchio attento. Il terrore divampa dentro di lei, e finché non inizia a parlare la mano sinistra, quella che tiene il ventaglio davanti a lei trema un po'. Parte la musica vera e propria e la fanciulla continuando a cantare, si muove avanzando mentre un mucchio di coriandoli rossi e neri scendono sul palco, senza intralciarla,avanza aprendo i ventagli, seguita dalle altre ballerine che faranno pressappoco la stessa cosa sua, la camminata va a tempo per poi lasciare cadere i due ventagli posare le mani sulle gambe e scivolare in basso di poco; un passo indietro e gira su stessa, mentre due ballerini entrano in sala per prenderla, farla girare, tira la testa indietro per poi riscende e lasciar scendere i due scalini, arrivando fino ad Adam,un giro intorno al tavolino, e avvicinarsi a stampargli un bacio sulle labbra con la fomentazione del pubblico, torna sul palco e le viene lanciato un bastone, il gioco inizia e Kat non smette di cantare, e se non fosse per la musica e la concentrazione, si vedrebbe tutta la sua agitazione; fa roteare il bastone fino a mandare una bacio con la mano e a fare l'occhiolino..
A: E' con la schiena china e una sottile voce comincia a canticchiare a bassa voce. *E' la voce di Katrine non c'è dubbio* pensa mentre si tira su con la schiena e vede una scostumata lì a centro di palco con un'altro schianto di ragazze vestite scostumate come lei. Gli piace molto questa cosa ad Adam, da cosa si vede? E' saltato in ginocchio sulla sedia e, agitando il pugno della mano destra in aria, ulula «AUH, AUH, AUH. WOOOOOOOH» ultima esclamazione quando Katrine si abbassa. Sta con la lingua di fuori, Normale, ormai di umano in lui c'è poco. Nota tra la folla due ballerini che la raggiungono e la prendono in braccio «EHI, FEMMINUCCIE, GIU' LE MANI» punta il dito contro uno di loro irritato, ma poi gli passa. Katrine sta venendo da lui. Si slaccia i due bottoni del colletto della camicia e dopo che Kat ha fatto il giro del tavolo «Tu sei tutta matta!» quando viene zittito da un bacio. Ha tutto il muso sporco di rossetto adesso e la lingua ritorna a penzolare fuori. Si rialza da quella sedia e si mette in ginocchio sul tavolo continuando ad urlare agitando in aria il pugno «WHOOOOOO».
K: Si piega sul bastone sculettando un po, per poi tenerlo tra le mani e fare due piroette, il bastone viene portato in alto mentre i fianchi si muovo a destra e sinistra, «I'm living in the material world; Living in the material world» tornano i due fanciulli a riprenderla e tirarla su facendola roteare da sdraiata, per poi farla scendere con una ruota alle loro spalle; qualche passo di tip tap e torna a fare le solite moine sculettanti.Continua a cantare, le hanno insegnato quali passe seguire, visto che lei, non avrebbe saputo muoversi meglio, ma mentre parliamo la musica continua, lo sguardo non cade da dove Adam ormai non ha più un contegno umano/mago/babbano che sia, insomma non c'è più nulla di normale in lui, torna a scendere, a fare un paio di moine, prima di arrivare da lui, che nel frattempo si spera si sia riseduto o nel caso lo porta le a sedersi,non sto a elencare la quantità di complimenti e sguardi che si ritrova sul posteriore, visto che non si sta preoccupando di quello; una volta seduto Adam si andrebbe a sedere sulle gambe per poi scendere con la schiena e risalire lentamente passandogli il pollice sulle labbra e sussurragli «Auguri». torna dunque sul palco per il gran finale, in un'unico movimento le lanciano i ventagli e lei si toglie il corpetto rimanendo in intimo, ma coprendosi rapidamente con i ventagli neri e finendo con un'occhiolino.
A: Mettete un corpetto anche a lui fatelo ballare. Punta il dito contro di lei tutto rosso, o sarà l'alcool o perché la situazione si fa caldo, e canta insieme a lei «DIAMONDS ARE THE GIRL BEST FRIEND! WHOOOOOOO!» Katrine sembra ritornare mentre gli altri testosteroni in sala prendono a controllo le menti dei loro portatori. La maggior parte di loro fischia quando Katrine sculetta qua e là e Adam guarda male uno di loro e punto il dito contro di lui irritato «EHI, TAPPATI LA BOCCA AMICO!». Katrine si avvicina e non sa cosa fare, come mettersi. Gattona sul tavolo in circolo cercando un punto dove stare fermo. Sembra davvero un cane. Katrine lo afferra per la camicia e lo tira a se. Lui la asseconda, scende dal tavolo e si siede. Lei fa lo stesso sulle gambe e le posizione è abbastanza vantaggiosa se intendono procreare in fretta, per il luogo è poco consona. Le mani Adam e lo porta ai capelli volendoli strappare e sta per dare un morso piuttosto volgare «RARW» al pollice di Katrine, ma lei lo porta via in anticipo e ritorna sul palco. Dove fa quello che fa e tenta di nascondere le sue colpe con i ventagli di struzzo che sono ritornati tra le sue mani. Scatta l'applauso spontaneo e all'occhiolino di Katrine, dedicato al pubblico, Adam non riesce a restare seduto e lo si vede correre sfrenatamente a schiena bassa tra i tavoli, come un treno in corsa e nulla lo fermerà. Raggiunge la Toilette maschile, poggia le mani sul lavello e si guarda allo specchio. Il suo volto è irriconoscibile, la mano sinistra gira al massimo la manopola del rubinetto e l'acqua esce a grande pressione. Entrambe le mani adesso raccolgono un po d'acqua e la sbattono in faccia al ragazzo. Stavolta sembra essere messo male. Chiude il rubinetto e cerca di raggiungere le quinte del palco. Il corpo ballonzola qua e là mentre le mani cercano di farlo camminare al centro di corridoio spingendo le pareti una volta ciascuno.
K: La musica si ferma e il sipario cala, la signorotta di prima a luci spente raggiunge Katrine e le porge un'accappatoio «grazie» risponde col fiato corto togliendosi la piuma «è stato imbarazzante..» la signorotta scuote la testa "sei stata perfetta cara, sono impazziti" sbuffa Kat «l'avevo immaginato meno..» esce dal palco e nel corridoio si toglie le scarpe «uauuu», il soave contatto con terreno "meno sconcio?!" domanda la signorotta, e kat annuisce «non sono abituata, ho fatto la cheerleader a scuola.. ma era diverso..» la signora annuisce e la porta nel camerino "lo spettacolo è diverso dalla scuola signorina mia..", kat annuisce ed entra nel camerino togliendosi l'accappatoio e prendendo un paio di jeans dalla borsa incantata «per stasera niente più tacchi» commenta mettendosi i jeans e prendendo una camicetta nera sempre dalla borsa, con tanto di paperine nere «Spero che Ade, stia bene.. l'ho visto..» una pausa e la signorotta chiude la porta "l'ho visto andare verso i bagni" commenta mentre Kat si veste, e si strucca dai brillantini «Avevo scritto che avrei voluto dare un po' di pepe alla storia, ma..» scuote la testa togliendosi il rossetto «non avevo immaginato questo» ruota sulla sedia mentre la signorotta ripone il tubino nella borsa di Katrine, si, perché il tubino l'ha proprio comprato "sarà una storia solo vostra tesoro, vedrai.." si avvicina dietro Katrine spazzolandole i capelli boccolosi «Mi sa che è meglio che vada a cercarlo..» dopo aver ringraziato la signorotta esce dal camerino andando dal corridoio verso i bagni,
A: Si sente bollire dentro come una grossa pentola a pressione. La pelle scotta e insomma abbiamo capito di cosa si tratta. E' stato "ingrifato" e non è un incantesimo. Papà lo aveva avvertito o forse glielo aveva augurato tale stato, Adam non aveva capito bene quale fosse l'augurio del padre. Barcolla tra le pareti quando gira l'angolo e BOM, addosso a Katrine. Gli occhi di Adam si spalancano come avesse visto chissà cosa, forse un bene desiderato. Le mani tentano di poggiarsi sulle guance di Katrine e mentre tenta di baciarla in modo piuttosto sconcio diverse volte, tra un bacio e l'altro direbbe «Ho qualcosa dentro... Devi fare qualcosa... Tu l'hai appiccato... Devi sapere... Come... Aiutami... Ti prego» lo dice quasi in uno stato di trans, ma boh. La parte buona di Adam cerca di salvare la situazione o forse anche la parte buona è in contrasto con quella dominata dal testosterone e dice quello che il testosterone vuole. Solo Katrine può salvare questa situazione. Adam in volto è tutto rosso mentre con le labbra cerca ogni angolo del collo della ragazza sussurrando «Smaterializziamoci via di quì... Presto».
K: Non può farcela, ha creato un mostro e non lo sa neanche, corre nei corridoi, gira a destra e BOM contro Adam che li si appolipa come una cozza allo scoglio (?) «Hey, Hey..» rispondere al bacio posando le mani anch'ella sulle guance di lui «respira Ade..» cercherebbe forse in vano di calmarlo, «respira, perfavore..» si sente in colpa e lo si vede palesemente dal viso, anche se Adam in questo momento credo abbia scollegato il cervello «Ok..ma così mi fai paura..» un posto tranquillo, all'aria aperta, l'immagine le si palesa nella mente e se tutto andasse bene in un "CRAK!" sparirebbe con Adam annesso, per ritrovarsi nella casetta sull'albero di lui.Povera cucciola, voleva solo fargli un regalino.. non far esplodere una bomba..
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drjadj · 4 years
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Il tuo amore mi ha insegnato a essere triste,
ed io, da secoli, cercavo una donna che mi rendesse triste
una donna tra le cui braccia ho potuto piangere come un passero
una donna che avrebbe raccolto i miei pezzi, i miei frammenti di cristallo.
Il tuo amore, signora, mi ha spinto ad adottare cattive abitudini
a cercare di prevedere il futuro, sul fondo della mia tazza, migliaia di volte nella notte
a provare i rimedi dei guaritori e a bussare alla porta dei veggenti,
mi ha spinto ad uscire di casa per pettinare i marciapiedi,
e inseguire il tuo viso ovunque, sotto la pioggia,
nelle luci delle auto, negli abiti sconosciuti,
e a rincorrere il tuo spettro
nei manifesti della pubblicità,
a raccogliere dai tuoi occhi milioni di stelle.
Il tuo amore mi ha insegnato a girovagare, per ore,
alla ricerca di una chioma selvaggia
invidiata da tutti gli zingari,
di un volto, di una voce
che sono tutti i volti e tutte le voci…
Il tuo amore, signora, mi ha introdotto nelle città della tristezza
e prima del tuo amore non sapevo cosa fosse la tristezza,
non ho mai saputo che le lacrime sono l’Umano
e che l’Umano, senza tristezza non è che la parvenza di un essere umano.
Il tuo amore mi ha insegnato a comportarmi da bambino
a disegnare il tuo viso col gesso sui muri,
sulle vele dei pescherecci,
sulle campane della chiesa, sui crocifissi.
Il tuo amore mi ha insegnato che può cambiare la mappa del tempo,
mi ha permesso di capire che quando si ama, la terra smette di girare
il tuo amore mi ha insegnato cose che non avrei mai considerato.
Ho letto fiabe per bambini,
sono entrato nei palazzi dei re Geni,
ho sognato di sposare la figlia del Sultano,
i cui occhi sono più blu dell’acqua di una laguna,
le cui labbra sono più seducenti dei fiori di melograno.
Ho sognato di portarla via come un cavaliere,
di offrirle collane di perle e corallo.
Il tuo amore mi ha insegnato cos’è il delirio,
mi ha insegnato come la vita si consuma
senza che giunga la figlia del sultano.
Il tuo amore mi ha insegnato
come amarti in tutte le cose,
negli alberi nudi, nelle foglie ingiallite e secche,
in un giorno piovoso, nelle tempeste,
nel più piccolo Caffè in cui beviamo,
alla sera, il nostro caffè nero.
Il tuo amore mi ha insegnato
a cercare rifugio in alberghi senza nome,
in chiese senza nome,
in caffè senza nome.
Il tuo amore mi ha insegnato
come la notte può ingrandire
il dolore degli stranieri;
mi ha insegnato a contemplare Beirut,
una donna, tiranna e tentatrice,
una donna che indossa ogni sera
i più begli abiti che possiede
e spruzza profumo sul suo seno,
per il pescatore e i principi.
Il tuo amore mi ha insegnato
a piangere senza ragione,
mi ha insegnato gli incubi,
come un ragazzo con i piedi amputati
tra le strade di Rouche e Hamra.
Il tuo amore mi ha insegnato a essere triste,
ed io, da secoli, cercavo una donna che mi rendesse triste,
una donna tra le cui braccia ho potuto piangere come un passero,
una donna che avrebbe raccolto i miei pezzi, i miei frammenti di cristallo.
Nizar Qabbani
A SCUOLA DELL’AMORE – Opere selvagge (1970)
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sciatu · 6 years
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TAORMINA - GRAND HOTEL SAN DOMENICO-RISTORANTE PRINCIPE CERAMI.
NON CI INDURRE IN TENTAZIONE
L’albergo San Domenico a Taormina è un hotel a cinque stelle realizzato in quello che era un vecchio convento Domenicano, per cui entrando si accede ad un primo lato di un corpo quadrato che era un lungo porticato con colonne che si affacciavano su un grande cortile interno ora occupato da splendide buganvillee fucsia, grandi cespugli di profumati gelsomini e da palme altissime. Dal colonnato opposto a quello dove è situato l’ingresso si esce verso il giardino interno che è costituito da vari terrazzamenti di cui l’ultimo, il più grande, si protende verso il golfo di Giardini Naxos. In primavera quando è sera e la luna si specchiava nel golfo, la visione delle luci di Giardini e dell’Etna protesa verso il cielo stellato con il suo rossetto di fuoco è bellissima. L’albergo ha un ristorante (il Principe Cerami) premiato con stelle e forchette dagli esperti della guida Michelin e del Gambero Rosso ma, oltre al cibo, quello che lo contraddistingue è la terrazza che si affaccia sul golfo di Giardini-Naxos da cui si può osservare il bellissimo panorama. Quella sera in particolare di cui ti parlo i tavoli non erano pieni. In un lato della terrazza c’era seduto il Dr Poldo Sbarozzi, ispettore di area per una nota società farmaceutica, poi, più in là ma sempre sul suo lato, due pensionati americani, mentre dal lato opposto, su tavolo tondo riccamente addobbato, l’ing S, presidente di una grande acciaieria di Brembana al Lago (provincia di Bergamo) aveva riunito attorno a se i sei maggiori dirigenti della filiale produttiva di Catania per festeggiare il revamping della linea di colata che avrebbe aumentato la produzione della società. Benché socievole e preso dai festeggiamenti l’ing. S. era interiormente in preda ad una grande ansia per un fatto disdicevole che gli era capitato. Aveva fatto la follia di far venire con sé l’ing. Rachele Valsecchi, responsabile dell’ufficio tecnico della sua ditta e da lungo tempo sua segreta amante. La follia si era evidenziata quando la segretaria direzionale della filiale di Catania, a sua insaputa e pensando di fare cosa a lui gradita, aveva prenotato la cena per i festeggiamenti nell’albergo dove i due amanti pensavano di essersi appartati, il San Domenico per l’appunto. Ora anche se il personale della filiale non conosceva l’ing. Valsecchi, all’ing.S. apparve subito come reale e tangibile il pericolo che i suoi dipendenti catanesi incontrandola, potessero far scaturire quel spettegolare aziendale, fastidioso e corrosivo, che mina rapporti personali e societari. Senza tener conto che sua moglie era anche la proprietaria della società di cui era presidente e pericolosamente e fraternamente amica di alcune segretarie aziendali, tutte quante pettegole e malelingue. L’ing. S, con una decisione creativa degna del manager che era, aveva cercato di salvare il salvabile prenotando a Rachele un tavolo al Granduca, il ristorante sul viale di Taormina (e quindi lontano dal San Domenico) dalla cui terrazza poteva vedere lo stesso panorama che si aveva dalla terrazza dell’albergo. Questa idea l’aveva presa e realizzata da solo, senza minimamente discuterne con lei che già si aspettava una serata romantica a due. Ora però Rachele non era una donna prevedibile ed ubbidiente. Le cicatrici invisibili che la vita avevano lasciato nella sua anima, l’avevano portata a credere solo nella certezza che non aveva bisogno di nessuno, e questa autosufficienza sentimentale le aveva permesso di evitare di trovarsi prigioniera, anche se amabilmente, di qualsiasi forma di affetto coercitivo, quegli affetti cioè che ci impongono dei doveri o un assoluta ubidienza, per il semplice fatto che siamo amati. Lei aveva scelto di non essere ne moglie ne fidanzata, per la libertà ed indipendenza che così aveva e provava e non perché fosse per lei necessario esserlo a causa delle sue lunghe permanenza all’estero per lavoro. Questo suo credo profondo nella sua libertà l’aveva portata in passato a collezionare diversi amanti in quanto, come diceva lei stessa “l’amore non è una torta che dividi a fette con questo o con quello. È solo uno stato d’animo a cui il sesso non è collegato in modo univoco, per cui amare qualcuno e far sesso con un altro non era peccato ma una scelta di vita“ Per questo motivo, collezionava uomini così come gli uomini collezionano le cravatte, esibendole finché non li stancano e se ne disfano con benevola indifferenza. La definizione di Rachele dell’amore era tornata in mente all’ing S. quando le aveva parlato del ristorante e della convenienza che lei vi andasse a cenare almeno quella sera. Lei lo aveva gelato con un’occhiata delle sue ed i suoi occhi scuri gli erano penetrati, duri e taglienti, fino in fondo all’anima. Aveva capito immediatamente, come a volte gli capitava, che ancora una volta con lei aveva sbagliato approccio: l’aveva trattata come la sporcizia che si nasconde sotto il tappeto quando improvvisamente arrivano gli ospiti. Per questo l’ing. S ora era estremamente nervoso e rideva forse in modo esagerato alle battute aziendali dei suoi collaboratori e beveva forse un tantino troppo rispetto all’usuale, ma dentro di sé sapeva che come sempre Rachele avrebbe fatto di testa sua non solo per affermare la sua indipendenza ma soprattutto perché non era scesa dalla nebbiosa Brembana al Lago fin nella solare Taormina solo per finire nascosta in un angolo. Perciò, quando Rachele apparve sulla porta che dall’hotel dava sul terrazzo del ristorante, un brivido percorse la sua schiena ed un senso di impotenza lo assali, anche se doveva ammettere che questa sua incontrollabile libera e determinata volontà era uno dei motivi per cui l’amava. Anche se non la conoscevano, il quartetto che suonava sul lato del ristorante vicino al tavolo dell’ ing. S. si fermò stupito per il suo arrivo. Lei osservò tutti i tavoli come un aquila che dall’alto del monte osserva un gregge, poi lentamente incominciò a dirigersi verso i tavoli avvolta nel suo vestito di seta nera che ondeggiava seguendo e richiamando tutte quelle sue forme che vibravano ad ogni suo passo; altera ed elegante, appariva circondata dal suo profumo che non era quello di un famoso stilista, ma la sua dominante sensualità, perché anche se non era più giovanissima e il suo corpo  non rispondeva ai canoni delle grandi modelle della moda, emanava un misto di innocente lussuria e peccaminosa sensualità che insieme all’ intelligenza dello sguardo colpiva gli uomini che la guardavano come con uno schiaffo e seduceva come un bacio promesso L’ing S guardò con fastidio i suoi collaboratori siciliani fermarsi nella discussione per osservarla apprezzandone le forme, l’incedere e quella sensualità decisa e vogliosa che emanava. Lui stesso, che quella sensualità aveva spesso cercato, apprezzato e subito, non riuscì a non restarne ammirato e soggiogato. Lei avanzò sicura e decisa tra i tavoli finchè un cameriere risorse dalla sorpresa di vederla e si avvicino indicandole uno dei tavoli vicino ai turisti americani. Lei lo guardò con sufficienza e senza considerarlo si diresse verso il dottor Poldo che la stava osservando con un lungo grissino che gli usciva dalla bocca, stupito e incuriosito. Lei si avvicinò e sorridendo lo salutò sedendosi sl suo tavolo “Buonasera, è tanto che aspetta?” chiese con voce alta e chiara Il dott. Poldo, con il grissino in bocca si alzò come deve fare ogni gentleman quando arriva una signora, ma visto che lei si era già seduta si sedette di nuovo e cercò di salutare accorgendosi solo allora del grissino che gli usciva dalla bocca “Buonasera, io veramente…. “ “Lo so non mi conosce – disse Rachele per aiutarlo sottovoce – ma devo fare ingelosire una persona… mi aiuti per favore – e rivolta al cameriere disse velocemente - mi porti il calamaro farcito di gambero di nassa e pane nero di seppia con avocado e la bottiglia più cara di spumante siciliano per favore” Il dott. Poldo la guardò sconcertato ed il cameriere stava per chiederle il numero di camera ma lei, come suo solito, stupì tutti e due “Metta tutto sul conto dell’ing. S, quello laggiù, anche la cena del signore. Non si preoccupi, siamo suoi ospiti” Il cameriere, che conosceva bene l’ing. S, fece un leggero inchino e scomparve tornando dopo pochi minuti con una bottiglia fredda di uno spumante di cui il dott. Poldo aveva visto sulla lista dei vini il prezzo a tre cifre. Fece comunque una faccia sorpresa e si senti orgoglioso che lei lo avesse scelto per far ingelosire qualcuno. “Oh – fece con tono da uomo di mondo – capisco” “lei è sposato?” “Si vede “rispose mostrando l’anello al dito Lei lo guardò con uno sguardo che a lui sembrava indifferente “Le sta ancora largo, vuol dire che è sposato da poco. Se fosse sposato tanto quanto la persona di cui sono l’amante avrebbe il dito stretto intorno all’anello, perché il matrimonio è così: prima ti da un grande senso di libertà e ti sembra che ti stia largo tanto che fai quello che vuoi, poi invece anno dopo anno, vedi che ti stringe e ti soffoca il dito come la vita. Per questo io sono un amante, da sempre, dal primo momento in cui ho scoperto la differenza tra il cane e una moglie…” Il dott. Poldo la guardò stupito “e qual è?” “nessuna – rispose Rachele sorridendo – tutti e due restano sempre fedeli all’ uomo che li tradisce. Io sono fedele solo a me stessa ed è già troppo – e poi guardandolo – …e lei è fedele?” “si certo, sicuro!” “Solo perché è sposato da poco ed è nel periodo in cui la moglie è ancora un amante, avete ancora passione e complicità, faccia passare un po’ di tempo e vedrà che sua moglie non sarà più la sua amante e allora lei penserà ad allargare il suo amore a qualche altra donna” “A tradire…?” “Che brutto sinonimo per amare - bevve un sorso guardando l’ing S che fingeva malamente di ignorarla – vede, quando si ama un'altra donna che non è la propria moglie lo si fa mettendo in gioco qualcosa che ha un enorme valore: la propria vita intesa come moglie, figli e tranquillità. Per questo, se si ama si ama veramente in un modo che deve giustificare il tradimento o magari una nuova vita, altrimenti si è solo idioti. – e lanciò un'altra occhiata severa all’ ing. S. - Io non sono sposata e quindi non faccio testo, ma i miei amanti spesso lo sono e quindi il loro amore deve essere vero altrimenti non rischierebbero la loro vita per amare. Quindi tradire per amare veramente, non è tradire ma scegliere un'altra strada, ma se non si sceglie, si tradisce soltanto e quindi non vi è nessun obbligo per l’amante, nessun bisogno di essere fedeli” e guardò l’ing S. socchiudendo gli occhi come fanno i cacciatori quando prendono la mira. Arrivarono i piatti che avevano ordinato. Rachele incominciò a mangiare lentamente e continuò sentendo su di se lo sguardo di fuoco dell’ingegnere “Vede tutti si ricordano di Cleopatra come l’amante di Cesare ma nessuno si ricorda chi era sua moglie, senza le amanti di Enrico VIII la storia sarebbe stata completamente diversa e senza la Dama Nera, Shakespeare non avrebbe scritto tutti i suoi sonetti o Romeo e Giulietta; Luigi XIV, il re Sole, sarebbe stato tale senza tutte le donne che ha amato? A un amante si concede di essere bella, più intelligente del suo amato, di essere divertente e di amare il sesso come lo amano gli uomini; per le mogli tutto questo viene considerato non opportuno o viene loro rimproverato. Le amanti hanno fatto la storia, le mogli solo figli per padri che tradivano senza pensarci. Dopo tutto Adamo diede il nome di Eva alla sua compagna quando furono cacciati dal paradiso, prima non aveva bisogno di chiamarla: era una sua parte, intimamente e gioiosamente unita a lui. È questo ricordo del paradiso che noi amanti portiamo ai nostri uomini e quando ne diventiamo le mogli non lo dimentichiamo” Rachele finì sorridendo ed osservando l’ingegnere la cui gamba destra sotto il tavolo si muoveva nervosamente. Poldo la osservava stupito e, sentendosi pur convinto di quanto affermava, anche se di fronte alla logica di Rachele poteva apparire uno stupido le disse timidamente “io però vorrei essere sempre fedele a mia moglie” Rachele lo osservò sorridendo e rispose arricciando la radice del naso come quando diceva qualcosa di sexy e sincero “ci provi, è importante esserlo, ma per sua informazione: io non ho mai conosciuto un uomo fedele e non ho mai capito se conosco solo gli uomini sbagliati o se invece nessuno di voi è fedele. Infatti c’è un motivo se il Padre Nostro finisce con “ non ci indurre in tentazione….” Perché nessuno di voi, con il cervello pendulo che avete in mezzo alle gambe, sa resistere ad una tentazione, specialmente se è più intelligente di voi…” e finì il suo bicchiere di spumante che tenne alto accanto a sé così che il cameriere, materializzandosi dal nulla, lo riempì. Il quartetto incominciò a suonare “A Modo Mio” e subito gli americani si alzarono e posizionandosi vicino all’orchestra incominciarono a ballare anche se in verità il terrazzo era troppo piccolo per muoversi. “Venga – fece Rachele alzandosi e prendendo per mano Poldo – andiamo a ballare” “Ma io …” cercò di rispondere Poldo poi, quando si ritrovò Rachele tra le braccia lasciò stare, troppo preso dalla sua sensuale forza vitale e dal seguire i suoi passi del ballo che non conosceva.
L’ing S la guardò mentre inondava la pista con il suo provocante danzare e sentendo i commenti piccanti dei suoi collaboratori, si voltò ad osservarli e, sicuramente per via del vino, li considerò come ombre, senza peso e spessore, anzi no, pupi mossi solo dai fili della mera quotidianità, dalla necessità di sopravvivere che hanno gli animali di quella giungla che si chiama vita, dove le uniche cose importanti erano fottere, mangiare e tirare avanti. Capì che senza di lei che attraverso il suo amore dava alla vita un senso compiuto, senza il suo sorriso che gli riempiva i giorni di sogni e desideri e le notti di passione e fuoco, anche lui sarebbe stato come loro. Tornò a guardare Rachele che cercava di spiegare a quell’essere inutile che stringeva tra le braccia come muoversi e fu preso da una vampata di folle gelosia. Si alzò tirando verso il basso la giacca blu e si sistemo la cravatta Marinella che lei gli aveva regalato e con passo deciso si diresse verso di loro. Arrivato vicino guardò Poldo tutto serio e quasi minaccioso chiedendogli “Permette?” e gli scippò Rachele dalle mani incominciando a ballare così come quella musica doveva essere ballata con gioia e passione, mentre Poldo, salvato da una figuraccia, se ne tornò al suo tavolo bevendo d’un fiato il bicchiere di spumante per vincere quell’ondata di bruciante carnalità che lo aveva assalito stringendo Rachele.
“Sei un strega – esordì sottovoce l’Ing S. Cercando di non far vedere che parlava – una terribile dolcissima strega” Rachele fingeva di non guardarlo e di seguire con indifferenza la musica ma rispose “Ricordati, un amante non è mai per sempre….” “Se i colleghi ti riconoscono io neanche arrivo a domani figurati al sempre” “Forse avranno visto qualche foto sul sito, ma ho sempre l’elmetto e gli occhialoni scuri di sicurezza: neanch’io mi riconosco, quindi non hai motivo di preoccuparti” Lui pensò un attimo e capì che come sempre aveva ragione, non c’erano contatti tra gli stabilimenti e sul sito le foto dei dirigenti non erano riportate. Si rilassò concentrandosi solo su di lei. “Dopo aspettami in camera che vengo a trovarti” le disse sottovoce “Chi ti dice che ci sia….?” “Non fare colpi di testa” “tu fai colpi di testa, io vivo e per vivere il sesso e l’amore sono fondamentali, se mi hai portato qui per chiudermi in una camera hai sbagliato” “Ti ho portato qui perché ti amo” “Non mi sembra: amare vuol dire mettere chi si ama davanti a tutto pronti ad accettarne ogni conseguenza. Per te sono solo un progetto a lunga scadenza, qualcosa tipo la Salerno-Reggio Calabria: piano piano fra vent’anni forse sarò la tua unica donna ” “È che devi essere realista, se comprendessero che siamo insieme…” rispose l’ingegnere cercando di cambiare argomento “Ti invidierebbero e mi compatirebbero! Io però non ho bisogno di te…” “Che vuoi dire – la guardò serio capendo che la sua vendetta non era finita – quello lì non è nessuno” disse indicando Poldo che da lontano li saluto con un sorriso idiota. Lei non rispose perché la musica era finita. Lui le fece un piccolo baciamano guardandola seriamente e se ne tornò al tavolo ricevendo i complimenti degli altri commensali ammirati dalla sua audacia nell’approcciare una donna che loro avrebbero solo desiderato. Lei se ne andò via mostrando una superficiale indifferenza “lei balla benissimo – le disse ammirato Poldo – era quella la persona che voleva ingelosire?” Lei lo guardò mentre beveva “Può darsi, mi accompagna all’uscita?” gli chiese sorridendo. Lui non si fece pregare e la seguì nel porticato e poi all’ingresso dove lei chiese un taxi che aspettarono insieme. All’arrivo del mezzo lo salutò calorosamente ringraziandolo e baciandolo su una guancia. Lui rientrò contento dell’esperienza imprevista e gradevole sentendo nell’aria ancora il suo profumo. Mentre era nel porticato apparve l’ing. S che vedendolo si diresse verso di lui “Scusi la sua amica …. - fece l’ingegnere con una certa ironia – non sa dov’è” Lui lo guardò e sorridendo rispose “Ha preso un taxi, ho sentito che ha detto al tassista di portarla dove c’erano degli uomini belli e prestanti…” Lesse per un secondo sconcerto e preoccupazione mista a rabbia negli occhi dell’uomo, un lampo che rivelò la tempesta che aveva dentro a cui segui immediatamente una freddezza forzata e controllata “Ah, fa nulla, volevo chiederle … se voleva fare un altro ballo… sarà per la prossima volta… grazie” e si allontanò dopo aver fatto un simbolico inchino Poldo lo vide dirigersi verso le camere contrariato proprio come aveva detto lei quando gli aveva suggerito la risposta da dargli. Poi Poldo prese il telefono e chiamò la moglie per sentirla, perché in fondo il “non ci indurre in tentazione” valeva anche per lui e lui sentiva di essere stato tentato troppo per quella sera.
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pangeanews · 6 years
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Iniziare l’anno a Londra, indimenticabile Milf. Tra Peter Pan, i migliori cessi pubblici al mondo, troppe pinte in corpo e i cani (che in Italia sbraitano ma in UK hanno una aristocratica eleganza)
La mia prima volta. Succede, ed è questo il bello della vita: puoi stare con lei per una vita intera, inseguirla, raggiungerla, sedurla (o farti sedurre) e poi abbandonarla per 20 volte e più in 13 anni. Perché è sempre bellissima, sia quando si veste di bianco e nero sia quando azzarda i suoi colori fluo e improbabili. La Vecchia Signora è una MILF alle volte fredda, distratta, ma che quando apre le sue porte, te le spalanca davanti agli occhi, senti l’impulso di infilarti dentro, viverla, giocarla, comprarla. Lei si chiama Londra. E ho deciso di vederla a Capodanno assieme a due fedeli ronzini, Johnny e Marta. Sono ronzini non perché ronzano (non siamo andati a Mosca) ma perché scarpinano, non conoscono la fatica del camminare, e hanno suole, fiato e gambe da grimpeur.
Il volo Italia-UK si stacca dal suolo marchignolo (Ancona) il 28 dicembre. Ryanair, per questioni di costi e orari, è sempre una certezza. Partenza programmata per le 16:45, partenza di ritorno in calendario il primo giorno dell’anno alle 11:40. Sulla carta. E di fatto.
In aereo penso all’abbraccio con la MILF. Non so se è capitato anche ad altri ma Londra – la sua aria, la sua alimentazione, la sua essenza british – ha effetti anche diuretici. Non che faccia cagare, ovvio, ma stimola. Sull’argomento ci gioca molto anche “La zanzara” di Giuseppe Cruciani e David Parenzo, uno dei programmi di punta di Radio 24. A fine novembre li ho chiamati per dire la mia sui migliori cessi pubblici della città. I due conduttori mi hanno ascoltato ma soprattutto non mi hanno insultato (visto l’argomento, potevano mandarmi a cagare sempre problemi). Il top? British Library. Gabinetti sempre puliti, forse perché chi la frequenta ne fa poca e quella che fa è profumata e non lascia sgommate…
29 dicembre. Sei di Londra se. Quello che era un gioco di quando ero piccolo, da una manciata di anni è diventato anche uno spot pubblicitario. Averci pensato prima. Comunque. Sei stato a Londra se. Dipende dalle volte che hai preso il volo e l’hai raggiunta. La prima deve essere turistica: Buckingham Palace, Big Ben, Trafalgar Square, Piccadilly. Quattro posti must e puoi dire di esserci stato. La mia 21esima volta parte dal mercatino di Portobello Road e si conclude con una serata al Sadler’s Wells Theatre. Sveglia mattutina quindi. A Londra ti devi svegliare presto per poter respirare la città prima del suo risveglio. Passeggiata a Kensington Gardens, qualcuno corre con le cuffiette e, nonostante la temperatura seria, riesce a sudare. Fanno footing all’alba e poi si devastano di pinte di birre o di prosecco (già, vanno di bianco frizzante o di rosato. E una pinta equivale a poco più di mezzo litro) dalle 17.30 in poi, ma solo sino alle 23 quando la tradizionale campanella avverte gli avventori che le spine vengono chiuse. Non c’è bisogno di fare tardi come in Italia, che si esce alle 23. Gli inglesi partono prima, si piantano sugli sgabelli dei pub e quando sono cotti “come dei sardoni” alzano il culo e tornano a casa. È nei locali che servono birra che tocchi con mano (e senti con il naso) il meltin’ pot di razze e generazioni, la perfetta sintonia tra giovani e meno giovani. Al pub si beve in compagnia e se entri da solo esci accompagnato. Talvolta anche a braccio, ma solo quando superi un tot di pinte, generalmente almeno 6. Se ti fermi prima, riesci anche a intavolare un discorso sui massimi sistemi. Esco dal “The Swan”, fermata Lancaster Gate. Sono le 16. Mike, un ragazzotto nordico, mi chiede da accendere. Parliamo di Brexit, di donne, di birre e di politica. Viene dalla Scozia, fa il manager di un’azienda. E, con un certo stupore, esordisce su Berlusconi. In Italia è quasi scomparso, ma nella Big Smoke è ancora un nome che parla di Italia, scappatelle, corna nelle foto e in parte politica. Per Mike l’ex Cavaliere si è dato alla politica per salvaguardare i suoi affari imprenditoriali: scendere in campo significa chiudere il portafoglio, significa smettere di dare soldi ai partiti. Ordina un’altra pinta. Ma non è birra inglese: è europea. “Le nostre birre non hanno le bollicine e sono tiepide. E hanno pochi gradi. Le vostre hanno l’anidride carbonica che ti dà la botta in testa. Per sentirti leggero ne servono meno”. Lezione di economia domestica, ma anche pratica. Saluto, hotel per una rinfrescata e poi a teatro. Prendo la linea rossa e poi la nera, fermata “Angel”, la più vicina al Sadlers’. Danno “Swan Lake” di Matthew Bourne. Andare a vedere uno spettacolo è un obbligo se vai a Londra. Anche di danza, se serve. Una rivisitazione del celebre “Lago dei cigni” fresco e contemporaneo, trasgressivo per la chiave di lettura omosessuale dell’amore tra il Principe e il Cigno. In scena tutti i linguaggi dell’arte, teatro, movimento, musica, scenografia e alcuni accenti comici, quasi a voler ricordare alla platea che la serietà è pesantezza e che per saltare più in alto e fare i zompi bisogna ridere: primo atto micidiale, con alcune “quentintarantinate” di una bellezza che fanno quasi male agli occhi (sul palco, oltre alla vamp svampita, anche il “cane della Regina giocattolo” con tanto di ruote al posto delle zampe). Il secondo invece classico, nell’accezione più nobile e alta del termine.
Poco prima dell’inizio dello spettacolo una ragazza mi chiede se il posto vicino al mio, quello libero, è il numero… Rispondo in inglese con la parola più semplice e meno scivolosa, anche nella pronuncia. “Yes, of course”. “Are you italian?” mi chiede. Peggio di una doccia gelata, di una birra analcolica, di sentirti dire dalla tua compagna che sono anni che non ti ama più e che finge ogni volta che avete un accenno di intimità: si fa di tutto per mescolarsi gli inglesi e poi basta aprire bocca che i 1.600 e passa chilometri che separano Ancona da Londra vengono immediatamente annullati. Osservo il suo outfit. Diverso dal mio, anche perché lei è donna e io uomo. Nonostante il freddo, indossa ai piedi le scarpine basse senza tacco – le ballerine, del resto siamo a vedere uno spettacolo di danza – e un vestito leggero a fiori. È “succosa” pur non essendo niente di che. E va a teatro da sola. Una “Alessandro Carli” al femminile in salsa inglese. La saluto alla fine del primo atto, sicuro di rivederla poco dopo. Odora di gin e prosecco, di profumo e cipria. Mi dice “bye” e sorride, ma so già che ha la musicalità di un “Farewell”. Addio cigno romagnolo che bevi e sorridi, che te ne freghi delle diete, che sfidi l’inverno indossando la primavera. “Nice job” azzardo, ma si è già messa a camminare. Passo veloce e frequente, forse per il baricentro basso, forse perché è sbronza: si è ingollata una pinta di prosecco e una di gin lemon. Con la rapidità di un levriero in gara, zampetta, lieve, e penso a quanto è bello e banale andare a teatro in coppia quando poi, una volta che si fa buio in sala, si è sempre soli. Tu e lo spettacolo. Non c’è altro.  Soprattutto se il secondo atto diventa più spazioso, con due posti liberi, uno alla mia destra e uno alla mia sinistra.
Chi è davvero Peter Pan? Alessandro Carli a Kensington
30 dicembre. Drin driiin alle sette in punto. Doccia, colazione alle 7.30. Alle 8 mi aspetta Peter Pan a Kensington. Passeggiata all’alba, sono già 12 gradi. Raggiungo i due poderosi compagni di viaggio a Holborn per andare a vedere il British Museum. File di orientali composti, più indietro un gruppo di giovanotti con lo zaino dell’Invicta. Sono italiani, ovviamente. Invicta è più di una bandiera: un distintivo piantato sulla schiena, a ricordare il tricolore. Mummie, Partenone, grecità, papiri, l’immancabile shop per i gadget. Poi si esce, in cerca d’aria. Due panini al “Pret a manger”, tappa in hotel per scaricare gli zaini, cambio delle scarpe e si riesce: loro “non so dove”, io Baker Street. La fila davanti al museo dell’investigatore è degna di nota. Viro per lo shop, un modo per raccontare di aver visitato le stanze che profumano di tabacco da pipa senza essere entrato. Prendo due cose due, al bancone una ragazza italiana capisce che sono italiano e mi parla in italiano. È gentile, ha una cadenza del centro Italia ma mescolata alla pronuncia inglese. Una coppia giapponese mi chiede indicazioni per la fermata della metro. Mi dicono che amano viaggiare, che l’Italia è un posto bellissimo e che Firenze è splendida. Non conoscono Rimini. Spiego che è la città di Federico Fellini, “the videomaker”. Ridono, perché gli orientali, nel dubbio, ridono. “Amarcord”, “Otto e mezzo”. “Yes, yes”, più per gentilezza che per altro. Metro e via verso i Docks: cena al “Prospect of Whitby”. Esco a “Tower Hill”, Johnny e Marta mi aspettano. Lei è provata, l’acido lattico si fa sentire. Johnny è un diesel, fresco come una rosa. La passeggiata a Santa Caterina è deliziosa, poi prendiamo la direzione “Wapping” per raggiungere il pub. Una ragazza fuma una sigaretta sulla panchina davanti all’entrata. Le chiedo se vuole fare un selfie con me. Accetta. Penso che ci vedremo dentro al pub. Ovviamente non ci incontriamo più. Il piatto della domenica è grande e variegato, e scende assieme a due pinte di birra. Cambio dell’acqua al merlo prima di uscire e mi appare la vera essenza dell’Inghilterra: un ragazzo fa la pipì con una mano in basso e una che attanaglia il bicchiere della birra. Superiore a ogni fantasia più azzardata.
31 dicembre. “Hide park” alle 7.30 della mattina è il miglior modo per salutare l’ultimo giorno dell’anno. Qualche coraggioso fa il bagno nel “Serpentine lake” e ha tutta la mia ammirazione. Al bar prendo una tazza di tè, e attacco pezzo con un lord che sta leggendo un libro. Maledice i contadini che hanno votato la Brexit, e si dice sicuro che la “Dancing queen” May non avrà vita politica lunga. Gli scozzesi si staccheranno perché hanno la vista lunga e non intendono perdere la locomotiva UE. Raggiungo i compagni di viaggio davanti ad “Harrods” per poi separarci di nuovo: hanno in programma il Museo delle Scienze, io invece un giro in metro senza meta. “Royal Albert Hall”, poi “Barbican”, poi ancora “Maida Vale” a vedere “Abbey Road”. Sui muri le firme dei fans dei Beatles, qualcuno attraversa la strada e si fa immortalare per rivivere la copertina dell’omonimo album. Ci si vede allo “Shakespeare’s head” di “Holborn” alle 19. A Capodanno è meglio anticipare la cena. Non siamo gli unici ad aver avuto la pensata, ma con una certa botta di culo troviamo un tavolo. Hamburger farcito di salse strane e una “London pride”. Il pub è pieno, sfilano ragazzette tirate a lucido, poppe in bella vista e gambe nude. Bevono, mammamia se bevono: birre con le bollicine ma soprattutto prosecco. Caraffe di prosecco, pinte di prosecco. Si truccano, parlano e ridono. A 20 anni la vita ha la leggerezza di una bolla di sapone. A 40 e un po’, per creare una bolla di sapone ci devi soffiare dentro.
Pol, un caro amico di Rimini che è britannico dentro, prima di partire mi ha ammonito: “Evitate il centro e ‘Trafalgar square’, volano bottiglie e ubriachi”. Ci rifugiamo allo “Swan” di “Lancaster Gate”: un ragazzo suona, i tavoli sono liberi, ordiniamo sei pinte di “London pride” e aspettiamo mezzanotte. L’hotel ci aspetta, la strada che ci separa dal letto ha il retrogusto delle birre a cascata. Ondulata, forse in salita. Poi capisco che erano i gradini dell’hotel…
1 gennaio. Londra è una città operativa: l’1 gennaio funziona tutto. Metro e treno in orario, il volo è fissato per le 11.40. Dentro al “tube” persone che stanno tornando a casa avvolta in sciarpe che odorano di marijuana, ragazze con il trucco sbafato e le calze rotte, i bicchieri di caffè, gli sguardi da deposizione di Cristo. Occhiali scuri. Qualcuna dorme sdraiata e fa intravvedere lembi di cosce e tette. Unghie lunghissime e capelli cotonati. Coroncine in testa. Lo stato dell’incosciente, innocente e giovanile stordimento. Ancona ci accoglie in orario assieme alla sua umidità. L’effetto sonoro è devastante: tutti parlano italiano. La sintonizzazione richiede qualche minuto, poi capisco di essere ritornato. Cani che abbaiano (quelli inglesi sono silenziosi), litigate e urla, vociare alto e disturbante. Londra è già un Altrove, una “fatamorgana” che inizia a essere meno recente. Ho voglia di piadina, del mio letto, di ricordare il viaggio. Perché si parte sempre per ritornare e poi ripartire. Destinazione Londra.
Alessandro Carli
L'articolo Iniziare l’anno a Londra, indimenticabile Milf. Tra Peter Pan, i migliori cessi pubblici al mondo, troppe pinte in corpo e i cani (che in Italia sbraitano ma in UK hanno una aristocratica eleganza) proviene da Pangea.
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