Tumgik
#avrei dato il colpo di grazia così
omarfor-orchestra · 1 year
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Comunque quando sono andata a fare il colloquio per la scuola di recitazione mi sono rifiutata di dire che ormai guardo solo fiction perché avevo paura mi avrebbe cacciata
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romyy999 · 3 months
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Mi pareresti del tuo dolore?
Io ti parlerò del mio
Ciao, ho toccato con mano il tuo stesso dolore da quello che ho letto sul tuo blog. Quando ero più piccola a causa di una serie di eventi troppo grandi per me da riuscire a gestire tutti insieme, troppo grandi per l'età che avevo, troppi per una sola persona, troppi da affrontare da sola, in silenzio, di nascosto, ecco vedi questa serie di situazioni molto tragiche e difficili da accettare mi hanno aperto la porta a uno dei dolori più grandi che ho vissuto. All'inizio ancora non sapevo bene cosa mi stesse succedendo e nemmeno le persone intorno a me lo sapevano, ma poi con il tempo ho capito che quel male, quel grande inferno nel quale ero caduta perché per troppo tempo ero stata la roccia per gli altri, avevo dovuto aiutarli a superare cose molto dolorose e ne erano arrivate molte altre all'improvviso, essere stata per anni la roccia della famiglia, per troppo tempo, tutto ciò mi ha fatto cadere in depressione. Il primo anno è andata anche benino, ma l'anno dopo è arrivato il colpo di grazia e ho davvero visto in faccia il dolore più crudo e violento che si possa provare. Ovviamente insieme alla depressione ho vissuto anche l'anoressia, l'insonnia, i pensieri costanti su come farla finita, su come sparire e tutto ciò che essa comporta. Ho passato degli anni davvero orribili perché le persone che ti sono accanto non sono pronte a vederti stare così male e molte sono andate via proprio quando ne avevo più bisogno. È stata davvero dura e per assurdo non mi sono tolta la vita proprio perché pensavo a quanto dolore avrei creato alla mia famiglia. E alla fine è arrivata la mia luce nel tunnel, ho conosciuto il mio ragazzo che con amore e pazienza mi ha dato una mano enorme per riuscire a rimettermi in piedi e tornare a vivere, a mangiare senza viverla così male, a sorridere, a piangere, a fare tutte le cose che una persona in vita e in salute fa. Magari senza di lui non sarei riuscita ad avere la forza di raccogliere tutti i pezzi e rimettermi in piedi, ma per fortuna è arrivato nel momento giusto e sono consapevole che questa non è una fortuna che capita a tutti. Poi ovviamente dipende anche tutto da te, dalla tua volontà di rialzarti, di decidere per te e non lasciare che siano i tuoi pensieri intrusivi a farlo. Quindi anche se sono rimaste le cicatrici ho vinto questa battaglia, anche se capita ogni tanto di avere qualche ricaduta, ma ora so come difendermi, so cosa fare a differenza di anni fa. Non posso raccontarti per filo e segno tutto perché ne sono successe davvero troppe di cose in quegli anni ma riassumendo al massimo è questo ciò che mi è successo, tu invece con che demoni combatti?
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ilmerlomaschio · 3 years
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Racconti di Aliantis/WordPress
La giovane mamma mia vicina di casa
Ogni giorno ormai non ho altro pensiero in testa che rivederti. Vivi con tuo marito da quando vi siete sposati, un anno e mezzo circa, nell’appartamento vicino al mio. La notte vi ascolto sempre, mentre vi amate. Dall’altra parte del sottilissimo muro che divide la vostra camera da letto dalla mia mi arrivano dei mugugni indistinti ma inequivocabili. Immagino le vostre frasi sommesse e adoro in modo assoluto sentire quando venite, visto che le nostre teste sono comunque a forse meno di un metro di distanza. Meglio di qualsiasi film o racconto. Ho sempre sospettato che malgrado la tua aria educata, composta e molto discreta, tu fossi un vero vulcano di femminilità e sensualità. Infatti un giorno qualsiasi di due mesi fa, in tarda mattinata hai suonato a casa mia e hai chiesto aiuto in lacrime. Io lavoro a turni e alle sette e un quarto avevo smontato dalla notte. Era circa l’una e sebbene fossi ancora rincoglionito dalle sole quattro ore di sonno fatte, t’ho chiesto immediatamente e preoccupato cosa ti fosse successo.
M’hai detto, un po’ rossa in viso e imbarazzata, che il tuo seno generava una enorme quantità di latte ma che il tuo piccolo, all’epoca nato da sole due settimane, ne beveva solo una parte e poi s’addormentava. Poi che secondo il pediatra e le sue stime, il nutrimento era comunque momentaneamente sufficiente per lui, ma non avresti mai voluto che il latte smettesse di scendere, per questo suo scarso stimolare le tue ghiandole mammarie. Avevate quindi comperato un tiralatte per prendere tutto il latte rimanente nel tuo seno dopo la magra poppata, ma non riuscivi a usarlo in modo appropriato: ti scappava sempre, non riuscivi a farlo funzionare correttamente perché è un aggeggio di difficile gestione. E che il tiraggio va effettuato meglio se entro un’ora dalla poppata. Quindi era proprio necessario farlo in quel momento. A tuo marito avevi detto che conoscevi l’aggeggio, “che ci vuole, è una passeggiata” e poi non volevi fargli vedere che non eri riuscita a farcela. Ti seccava molto.
“Mi aiuti, per favore? Scusami se ti disturbo a quest’ora, Marco: forse stavi pranzando…”
”Guarda, non stavo pranzando: tranquilla. E comunque Federica: per te e il tuo bambino lo sai, qualsiasi cosa… se riusciremo, mi basterà uno dei tuoi dolcissimi sorrisi…”
Sei diventata ancor più rossa, hai abbassato gli occhi e hai sorriso. Dio quant’eri sexy, con le spalle completamente nude. Stupenda ninfa, dea dell’amore.
Siamo quindi entrati in casa tua. Ci sarebbe mancato che non avessi voluto aiutarti! Tu, bellissima come solo una ragazza di ventitré anni può essere, avevi indosso solo un comodo e casalingo prendisole di cotone leggero arancione a fiorellini, che lasciava scoperta tutta la parte superiore del corpo al disopra delle areole. Visione meravigliosa per me che ero un maschio a digiuno di una femmina da tempo. Eri stupenda soprattutto se vista in controluce. Si delineava la silhouette perfetta e sensuale del tuo corpo sottile, malgrado il parto recente. Un vero sogno erotico. Cercavo di non pensarci. Ritrovati un minimo di dignità e un comportamento appena serio, da buon vicino e presa la necessaria confidenza con l’attrezzo, t’ho chiesto il permesso e t’ho sceso un po’ il bordo dell’abitino sul lato sinistro. Ho applicato il tiralatte al capezzolo del tuo seno sinistro. Con un po’ di buona volontà e qualche tentativo ripetuto, infine l’abbiamo fatto lavorare a dovere e abbiamo iniziato finalmente a riempire delle bottigliette da mettere in frigo.
Finito col seno sinistro, siamo passati a quello destro. Allora tu, visto che la cosa funzionava bene, ti sei finalmente rilassata e abbiamo preso anche a chiacchierare in relax. Ci conosciamo, oramai: io sono un quarantacinquenne ben tenuto. Separato da qualche anno. Mia moglie è andata via portando con sé nostra figlia adolescente. Tuo marito invece ha una trentina d’anni, fa il rappresentante di commercio e spesso resta fuori per lavoro anche due o tre giorni. Intanto, verso la fine del tiraggio effettuato sul seno destro, mentre stavo finendo di riempire la bottiglietta, ho visto che dal seno sinistro, lasciato ancora scoperto a esclusivo beneficio dei miei occhi, ne ero certo e anche per una comprensibile tua civettuola voglia di donna di farti ammirare, scendeva ancora del latte. Infatti senza le coppe di protezione, colando t’aveva macchiato un po’ la stoffa del prendisole.
Visto che avevo il viso vicinissimo al tuo petto, m’è venuto spontaneo scherzare con te e dirti sorridendo che mi sarebbe piaciuto assaggiare quel ben di Dio, per non farlo andare sprecato e anche per pulirti. Tu m’hai detto ridendo: “ma che dici, scemo…” però mi guardavi fisso negli occhi e ormai mi carezzavi già teneramente la testa. Ho azzardato – o la va o la spacca – e sono sceso rapidamente sul seno sinistro. Ho dapprima dato una leccata rapida, guardandoti e aspettando magari un ceffone. Tu invece eri in estasi, a occhi chiusi. M’hai solo detto con un fil di voce ma stringendomi a te: “ma che fai, no… non farlo, smetti…” allora deciso, per l’evidente desiderio che provavi, ho incollato le mie labbra a quel capezzolo gocciolante e gonfio. Quindi con trasporto ho iniziato a succhiare, tirando forte. Era un nostro momento di assoluta comunione e il latte era buonissimo!
Ma la cosa sorprendente è stata la tua reazione. Con voce dal tono basso, calda, piena d’amore e passione, mentre ti succhiavo mi hai detto solo: “no… caro, caro…confesso che mi attrai, ma non dobbiamo… non possiamo fare questo, io e te… a mio marito, poi… nooo…” intanto mi tenevi la testa ben premuta contro di te. Ti sentivo mentre gemevi a occhi socchiusi. Piangevi calde lacrime, forse per un pizzico di rimorso, ma intanto godevi: mi era evidentissimo. E mi stringevi forte al tuo petto: mi allattavi letteralmente e io a momenti soffocavo! Mentre succhiavo ingoiavo e leccavo tutta quella grazia di Dio, t’ho infilato pian piano una mano sotto il prendisole: non me l’hai bloccata. Ho proseguito fino ad arrivare alla tua fica di giovane sposa e ho sentito chiaramente che era già completamente bagnata. Un paradiso di moglie.
Sotto il prendisole infatti non avevi nulla: neppure gli slip! Una macchina per il puro piacere, questo eri. Una giovane mamma desiderosa solo del godimento sessuale, pretendendolo in quel momento da me in qualsiasi modo. Questa cosa m’ha fatto ingrifare come un toro. Senza più alcun ritegno ormai, hai allargato le gambe e scendendo un po’ più sulla poltrona hai fatto entrare nella tua passera ben dilatata tutta la mia mano con le dita chiuse senza alcun problema o dolore. Pazzo di te, ti baciavo il collo, le spalle e il petto, leccandoti i capezzoli e ovunque potessi arrivare con la bocca per assaporarti, per gustare egoisticamente e appieno una femmina giovane, di gran classe. Un inaspettato dono del cielo solo per me. Leccavo e godevo della tua pelle profumata. Mordicchiavo i lobi delle tue belle orecchie e infine, massima conquista tra noi, ti baciavo la bocca, infilandovi la mia lingua e giocando con te nel modo più intimo possibile, tra un uomo e una donna.
Ti stimolavo, muovendo la mano totalmente immersa nella tua fica, facendole fare continuamente e rapidamente avanti e indietro. Ti dicevo parole oscene, ti chiamavo “troia, grande puttana, femmina vogliosa solo di cazzo”. Tu, solo un po’ arrossita e accaldata, mi sorridevi irresistibile. Gemevi roca, sussurrandomi all’orecchio dei tenerissimi: “si dai, siiii… ancora, fallo ancora… entra di più dentro di me… dimmelo ancora… e poi dammi il tuo cazzo… ora lo voglio proprio. Ne ho bisogno!“ Così, mentre il pupo dormiva sereno dopo aver bevuto, in un solo colpo ho sfilato la mia mano, t’ho tolto l’abitino tirandotelo su dalle spalle. Tu eri ancora seduta, ma ti sei sollevata quel tanto che bastava per farlo scivolar via e m’hai detto: “oh, caro, caro… succhia ancora un po’ dal seno e poi bevi dalla mia fica. Adesso sto producendo il mio liquore di donna. Lo sto facendo solo per te. Leccamela, lo voglio tanto.”
Ho eseguito alla lettera. Dapprima onorando il seno sinistro, poi il destro. Leccandoti al centro del tuo corpo nudo senza fermarmi sono sceso piano a baciarti a lungo la fica: la tua pelle sapeva di buono, di pulito. Ho leccato a lungo e per la prima volta anche il tuo ano. Fino a qualche ora prima, mai avrei immaginato che la mia lingua avrebbe potuto godere di tanto privilegio. Oh, il tuo ano: meraviglioso protagonista dei nostri giochi, ormai. A un certo punto proprio non ho resistito più. T’ho tirata a me sul bordo poltrona e ho infilato il mio cazzo già durissimo dentro di te con veemenza: erano molti mesi che non scopavo. E poi poter fottere una sposina, una mamma giovanissima, non capita tutti i giorni. T’ho detto che stavo per venire e tu m’hai dato il via libera, perché da dopo il parto avevi rimesso la spirale. Volevi moltissimo che sborrassi dentro di te. E a lungo. Me l’hai chiesto esplicitamente: “sborra a lungo quanto ti pare dentro di me.” Quella prima volta t’ho fatta venire ben tre volte prima di riempirti col mio seme mentre ti baciavo le labbra teneramente. Mi ero completamente innamorato, ero ormai cotto di te; non c’è da scherzare con queste cose. Le tue labbra sapevano di miele puro. Mi hai confessato che da quando hai partorito, il tuo desiderio sessuale è inspiegabilmente aumentato a dismisura. Che obblighi tuo marito a scoparti a lungo al mattino presto prima di andare al lavoro, poi appena torna a casa la sera e infine di notte, se ti svegli con una grande voglia di essere amata, posseduta.
E poi mi hai detto piangendo e mordendoti le deliziose labbra, che quando lui sta via due o tre giorni, per te la mancanza del sesso con lui è un problema anche serio. Mi hai chiesto se sarei stato disposto ad aiutarti, con la massima discrezione, ovviamente. Cara: sei un tesoro di mammina e la vicina più dolce che abbia mai avuto! Ormai scopiamo con regolarità, Almeno una volta nel mezzo della settimana, quando lui è di sicuro lontano da casa almeno cento chilometri o per i soliti due-tre giorni di seguito. Mi allatti sempre ed è una cosa che mi piace da morire, un tuo vezzo dolcissimo per me. Poi mi accogli in culo senza lamentarti o in bocca con gran gioia. Quando vengo mi ingoi che è un vero piacere. Ti chiedo: “la vuoi la mia sborra?” E tu, staccandoti un attimo rispondi: “si… fammene bere tanta!” Non penso di aver mai prodotto tanto seme come da quando ti conosco. In queste poche settimane penso di aver sborrato più di quanto abbia mai fatto in undici anni di matrimonio. Ci si aiuta a vicenda, quindi. Se posso, quando sono libero dal lavoro ti reggo il bambino mentre esci per la spesa o magari per distrarti un attimo. In compenso, tu a volte mi prepari deliziosi manicaretti. Con tuo marito siamo sempre grandi amici, ovviamente. Adoro vedervi la domenica mattina andare in chiesa: tu rilassata, soddisfatta e vestita in modo molto castigato. Lui felice, col bimbo in carrozzina e la donna più onesta, pura e fedele del mondo al suo braccio. Farebbe di tutto per te, difenderebbe il tuo onore da chiunque osasse mancarti di rispetto o solo pensare a toccarti. Vi adoro! Quando si dice avere rapporti di buon vicinato!
RDA
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omgtimeto · 4 years
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È stato nel pomeriggio di una domenica di giugno di quasi sei anni fa che mio figlio, a diciotto anni, si è suicidato. C’era caldo e verso le due del pomeriggio, uscendo, ha detto: “Scendo un attimo, mamma”. Ho risposto: “Va bene”. Abitiamo in un condominio di cinque piani di appartamenti, con le soffitte e il terrazzo al sesto piano, lui è salito fino al sesto piano e si è gettato. La prima a vederlo sono stata io, chiamata da un vicino che da sotto suonò il campanello. Ricordo che appena lo vidi, non pensai che fosse morto, pensai a un colpo di sole…, quando capii, lo baciai dolcemente e restai un po’ vicino. Lo guardai e gli dissi “Adesso tu puoi capire i miei pensieri, le mie mancanze verso di te, le mie tristezze… e anch’io purtroppo adesso capisco le tue mentre prima non avevo capito che potessero arrivare a tal punto…”. Nei giorni successivi “ero in uno stato di grazia”, ricordo che ero lucida, avevo sempre la parola giusta per i miei cari, i suoi compagni di classe (frequentava la V^ liceo), i vicini di casa, che portavano chi un arrosto, chi un dolce, chi la pasta fatta in casa. Al funerale, alla fine della messa, sono salita vicino all’altare, cosa mai fatta prima, e al microfono ho letto una preghiera per mio figlio. Mi ero prefissa di non andare tutti i giorni al cimitero, vicino a casa mia, ma solo 3 volte a settimana, di salire ancora sul terrazzone del mio palazzo per stendere la biancheria e guardare le montagne e l’ultimo panorama che lui aveva visto… Mentre i primi giorni dormivo e alla mattina mi svegliavo serena (forse facevo sogni meravigliosi, ma non li ricordo), ho cominciato a svegliarmi la notte e per riaddormentarmi pregavo, pregavo…. A poco, a poco ho cominciato a piangere, ma sempre da sola, in casa, e soprattutto in bicicletta nel tragitto poco trafficato per andare al cimitero. Cominciavo a vedere le colpe: della scuola con i professori, dei suoi compagni, di mio marito, dei miei figli e soprattutto le mie… Ho chiesto al mio parroco se conosceva una mamma che aveva avuto un figlio suicida, mi fece conoscere una signora che aveva avuto una figlia suicida per amore a 32 anni come avevo “capito” era stato per mio figlio. Mi è stata e mi è tuttora di grande aiuto: ci siamo raccontate i nostri pensieri riguardo i nostri figli e le speranze per i rimasti… A settembre qualcuno ha messo nella cassetta della posta un invito a una scuola di preghiera “Figli in Cielo”, tenuta dalla nostra Diocesi, come da altre in Italia. Gli incontri sono un sabato pomeriggio al mese, ognuno racconta la propria esperienza e il sacerdote che coordina aiuta ad indirizzare i pensieri alla accettazione e alla fiducia in Dio. Alla fine dell’incontro viene celebrata la S: Messa con libera partecipazione. Ho frequentato con la mia amica e abbiamo conosciuto altre mamme e qualche papà. Gli incontri mi hanno fatto bene perché mi hanno aiutato a considerarmi in compagnia, con altre mamme che avevano perso un figlio, o a seguito di un incidente stradale o per suicidio o anche per malattia o addirittura droga… Ho frequentato per sei, sette mesi, però in me ormai stava salendo sempre più la consapevolezza delle mie mancanze nei confronti di quel mio figlio così sfortunato. A sette anni aveva avuto un tumore, un sarcoma che aveva colpito il femore, aveva “fatto” la chemioterapia, la radioterapia e infine gli era stata fatta una protesi all’anca. C’erano poi stati interventi di allungamento della protesi (il ragazzo cresceva), una infezione e anche delle lussazioni. Malgrado il tempo trascorso purtroppo a letto, ingessato dalla vita in giù, non aveva perso nessun anno scolastico. Quell’anno l’avevo visto dimagrire, mangiare poco e non avevo capito niente…. continuavo a ripetergli di studiare di meno, ma lui non poteva correre e saltare come gli altri per “quella gamba”, allora studiava, speravo che la scuola finisse presto “per tirarlo su” e invece forse lui non voleva finisse, a scuola era il più bravo, si sentiva utile (era stato ammesso a sostenere gli esami finali con la media del nove malgrado il sette in ginnastica) e i suoi compagni ricorrevano a lui. Si era innamorato e io non avevo capito a che punto … anzi una volta quando mi aveva detto “Chi vuoi che mi voglia con questa gamba!” io non ero stata molto convincente a rispondendogli::”Tu hai molto di più, vedrai che più avanti, quando le ragazze cresceranno, sapranno apprezzare quello che tu sei dentro…”, lui ne aveva avuto bisogno in quel momento, ma le ragazze, a quell’età, cercano il ragazzo forte e sano e mio figlio era un po’ zoppo. Ero disperata perché mi rendevo conto che non ero riuscita a dargli la speranza, la fiducia nel futuro, forse perché ne avevo poca anch’io… Il dolore mi saliva dentro assieme alla consapevolezza di non essere stata capace di aiutare quel mio figlio così forte da superare tante difficoltà, ma così buono e fragile di fronte alla vita… io, come madre, avevo creduto di far bene a rispettare i suoi silenzi invece di indagare, di aiutare…. Si faceva strada in me forte la certezza di non essere capace di educare e aiutare i figli rimasti, come non lo ero stata con lui e di essere colpevole anche nei confronti di mio marito perché come madre ero più presente a casa e quindi avrei dovuto accorgermi….. Tutti continuavano i loro doveri quotidiani fuori casa e io i miei di pensionata casalinga… In casa c’era tanto silenzio e io non mi sentivo più capace di dare nulla, non ero riuscita a dare nulla, ho avuto paura di me, dei miei pensieri… Il mio medico di base, poco dopo la morte di mio figlio, mi aveva dato un numero di telefono dicendomi di chiamare perché avrei trovato aiuto psicologico, chiamai progetto SOPRoxi e iniziai un “percorso”. Ad aprile ho avuto la comunicazione da parte del Comune che mi era stato assegnato un piccolo appezzamento di terreno nell’ambito degli orti urbani vicini a casa mia. Avevo fatto la domanda molto tempo prima, prima del mio lutto. Non volevo più accettare, mio marito mi ha convinta. Ho conosciuto altre cinque persone di altrettanti orti e ho iniziato il mio lavoro. Sarebbe troppo lungo dire… ora posso dire soltanto che l’orto mi ha aiutato ad “accettare”. Il ritmo delle stagioni e il rinnovarsi, sempre e comunque, mi hanno dato sicurezza e nello stesso tempo forza e fiducia. I miei errori di “ortolana” dell’ultima ora sono accolti e anche a volte trasformati in qualcosa di positivo. Insomma mi sento “accettata” dal mio orto, che in cambio di poche cure, mi dona i suoi frutti e mi da’ la sensazione che nulla va perduto, tutto è prezioso. Ho pianto molto in orto, quando ero sola, ma anche di consolazione. Sono riaffiorati pensieri, ricordi, frasi dette da persone a me care, che erano morte, ma che mi avevano voluto bene. Frasi che credevo dimenticate e che mi avevano aiutato per il passato… Ho sentito Dio, che, attraverso l’orto, voleva dirmi che mi vuole bene, che dovevo cercare di essere felice perché avevo avuto un figlio eccezionale che aveva sparso tanto bene con il suo impegno e le fatiche di ogni giorno. Ora mio figlio era con Lui finalmente sereno e in pace. Sicuramente non era vissuto invano. In orto mi faceva anche bene essere con altre persone, che di me non sapevano nulla e che erano tanto diverse da me. Un po’ alla volta, lentamente ho cominciato a interessarmi degli altri e ad ascoltare, mi sono accorta che potevo rasserenare anche solo con un sorriso. Fra i tanti consigli ricevuti mi sono ricordata che mia cognata, appena morto mio figlio, mi aveva consigliato di “fare” le cose che mi piacevano davvero. Ho cominciato ad andare al cinema il venerdì pomeriggio (cinema offerto dal Comune a prezzo agevolato per gli anziani) da sola. Ho ripreso i contatti con una mia amica del periodo dell’adolescenza e che era rimasta vedova. Ci siamo aiutate a vicenda e ora andiamo al cinema insieme. Ultimamente ho ripreso a “lavorare a ferri” e mi gratifica vedere che riesco a confezionare qualcosa di bello… Ho tentato di diventare volontaria ospedaliera chiedendo di andare in un reparto dove ci fossero anziani, però dopo un po’ di tempo ho dovuto rinunciare perché mi sentivo inadatta a consolare. Da circa un anno insegno italiano e le altre materie in un doposcuola per bambini extracomunitari, che non conoscono bene la nostra lingua e questo mi ha aiutato a riconciliarmi con i bambini sani.
Io credo che il percorso psicologico con SOPRoxi e l’orto siano entrati nella mia vita nel momento giusto e assieme mi hanno aiutato ad avere ancora pensieri positivi. Sento che spesso sono felice e ringrazio, ringrazio per questa serenità che mai avrei pensato di poter recuperare.
Maria
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svartjugend · 6 years
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La luna rossa era uno squarcio aperto sull’inferno.
Come se non fossi abbastanza nauseato dall’ennesima estate che aveva scelto di lasciarmi fuori dalla festa dell’esistenza, abbandonato sulla statale del disprezzo come un cane vecchio e abbruttito da anni di incurie, dovetti accettare anche un’altra notte di eclissi.
Anche quest’anno infatti studio aperto aveva annunciato l’eclissi più lunga del secolo e di telegiornale in telegiornale rimbalzavano ovunque, a mo’ di mantra, servizi che descrivevano cosa sarebbe stato e come avrebbe funzionato lo spettacolino: eclissi, eclissi, un povero cristo si dà fuoco, eclissi, continua nel mondo la caccia al nero, eclissi, crocifissi nelle scuole, eclissi, pubblicità di occhialini per l’eclissi, interviste sull’eclissi a gente in vacanza, eclissi, dati personali venduti ad Amazon e alla Russia (meglio che alla Spagna, eh) e Facebook che apre una app di incontri poco dopo Cambridge Analitica, ma la buona notizia è che con questa app puoi trovare sicuramente qualcuno da limonare mentre guardi l’eclissi così che potrai alimentare con ricordi del genere la tua autostima quando sarai vecchio e inizierai a pensare alla morte. Questo era il palinsesto.
“Alla fine la luna è stata catturata delle fiamme, sembra un enorme occhio rosso piantato nel cielo nero e terso che quest’estate poco afosa ci ha offerto fino ad oggi. L’ombra che pian piano l’ha coperta sembrava comandata da forze oscure, signori lo ammetto era quasi inquietante ma come possiamo pensare che una simile meraviglia possa entrarci qualcosa con il male che c’è nel mondo? Spero di riuscire a comunicare quello che sto provando e le immagini che vedo a voi che non siete altrettanto fortunati e che magari state lavorando al chiuso anche alle 22 di questa nottata unica...” Il tono della parlata e il suo stile all’inizio mi avevano sinceramente incuriosito, costretto com’ero da mesi a leggere testi di lavoro con la loro sintassi rigida e spigolosa, ma poi ruotai in senso antiorario la manopola del volume della vecchia radio panasonic che avevo preso da camera dei miei e la ridussi al silenzio. “Forze oscure, si, e chi cazzo le comanderebbe in questo mondo di ritardati?” pensavo tra me e me mentre mangiavo una fetta di fesa di tacchino decisamente poco invitante e qualche foglia di insalata che probabilmente, al netto del sapore amaro lasciatomi in bocca e del tempo che aveva trascorso in fondo al frigo, non era più commestibile e che per di più era bagnata di un’acqua opaca nella quale spero si annidassero colture di batteri potenzialmente letali per l’umanità intera.
In caso interessasse a qualcuno, non è che me ne stessi chiuso in casa a mangiare come una donna in crisi di mezza età per convincermi che avrei potuto fare una vita sana, non ci credevo e nemmeno avevo di queste pretese, semplicemente avevo deciso di seguire gli insegnamenti della grande letteratura e dei suoi personaggi più ignorati e maltrattati: ignorare tutto e (soprattutto) tutti, perché di speranza veramente non c’è ne è mai stata e non ce ne sarà più [e non provate a convincermi che Dostoevskij veramente credesse negli spiragli di luce che decideva di inserire in alcune sue opere, perché ormai si è capito che lo ha fatto solo per evitare i rimorsi di coscienza che sarebbero spuntati come fiori in primavera dopo la trafila di suicidi che avrebbe potuto causare la sua letteratura. Che poi in Russia comunque non è che se la passino troppo meglio visto che il quarto sport nazionale dopo “ammazza la spia estera”, a quanto ne sappiamo, è morire di overdose.].
Quando mi guardavo intorno o diventavo compassionevole oppure mi incattivivo, perché ad essere onesti la mia disillusione nel poter apportare un qualche contributo a questa merda di commedia umana non era ancora totalmente cancellata, ma la strada verso cui ci avviavamo era sostanzialmente quella, quella del nascondersi dietro a carte, pratiche, autorità e altri contenitori vuoti come la realizzazione e la famiglia, perché tutto il resto ci aveva deluso e basta. Non riuscivo, ad esempio, ad essere pienamente d’accordo con chi sosteneva che l’uomo fosse un’animale ipocrita ed egoista, in primo luogo perché per essere ipocriti bisognerebbe comunque avere dei principi e degli ideali da tradire (che già non sarebbe poco, sia averli sia avere le palle di tradirli con la consapevolezza di andare incontro ad una piccola-grande gogna sociale), in secondo luogo perché l’egoismo è razionale, lucido e calcolato, o al più si rivela azzardato se la persona ha determinate inclinazioni, qui invece ognuno fa quello che cazzo gli pare nell’illusione di fare meglio per sé; per di più pochi hanno l’onestà di ammetter di aver fatto una cazzata, ma preferiscono rifuggire questa vergogna e anzi quasi se ne vantano, soddisfatti di aver dato ascolto alla loro parte emotiva, soddisfatti di aver espresso i propri sentimenti (che, ricordiamocelo, vanno espressi per forza, non vanno mai trattenuti, tipo un bisogno corporale, a prescindere dall’impatto che potrebbero avere sugli altri e su di noi stessi!).
Parlavo con quelle poche persone che ancora mi suscitavano un po’ di pietà, che mi inducevano al contatto umano e partecipavo alle loro conquiste e ai loro drammi, sapendo sempre dove saremmo andati a parare ma senza riuscire mai a smettere di stupirmi.
La ragazza che insiste con una storia che è destinata a morire e a farle del male  nonostante non abbia motivi per credere che questa volta ne uscirà incolume, l’amico che non riesce a stare da solo e come una tossico non riesce a stare senza qualcuno vicino, legandosi morbosamente alla prima disgraziata che vuole solo farsi due risate, l’amica che è consapevole del fatto che siano avventure di una notte e che più andranno avanti e più difficile sarà accettare che un vero legame non c’è (a meno che non si voglia chiamare legame un rapporto di convenienza, dove una scopata serve solo a distrarsi, a rilassare i nervi), un conoscente che litiga con la moglie e si sfoga andando a puttane, un altro amico che si è licenziato dal sesto lavoro in un mese perché non accetta che a un certo punto l’adolescenza è finita, che avviandoti verso i 30 iniziano a sopprimerti, ogni giorno una goccia di veleno, anestetizzante, di modo che non ti renda nemmeno conto dei momenti che bruci e che perdi, dei dolori che causi e dei torti che subisci.  
Tutti questi pensieri mi turbinavano attorno, con le loro immagini e le loro storie a seguirli in coda, decisi di aprire una birra presa al discount per rallentarli e disperderli un po’, sapevo che il tappo della bottiglia saltando in aria avrebbe fatto un rumore sordo che mi rilassava, feci forza con il manico di un coltello e il tappo schizzò in alto, tesi le orecchie attendendo quel botto rassicurante ma il suono venne coperto da un fastidioso brusio proveniente da fuori la finestra. Mi affaccio quanto basta per osservare quanto succede senza farmi vedere e scopro di essere stato catapultato in un girone dantesco: tutti i terrazzini in cemento dei palazzi del quartiere sono illuminati dalle stesse luci installate negli anni ‘80 e tutti brulicano di donne, uomini e bambini che ridono e chiacchierano con i vicini, sentendosi costretti a dimostrare che abbiano rapporti di civiltà con i loro dirimpettai, “Probabilmente degli assassini o degli stupratori”, “Il figlio è un tossico, mi mette  paura...” direbbero a cena, al riparo da orecchie indiscrete , ma fa nulla, in pubblico è un’altra storia. Il mio cervello collega i pezzi del puzzle e realizza di non essere all’inferno “ah, già… l’eclissi” penso mentre scelgo di manifestare nel modo più discreto possibile il mio disprezzo: non solo non accendo la luce del terrazzo che resta l’unica spenta e sembra un livido su un lembo di pelle bianca, ma spengo anche la luce della stanza: è un pungo nell’occhio da fuori, proprio come volevo, per di più la luce sanguigna della luna viene attirata dal marmo che compone il pavimento e si lascia riflettere per la sala, diffondendo una soffusa aura rossiccia che alimenta la mia passione in questo momento infinito.
Mi stendo sul pavimento e mi lascio torturare da un bombardamento di frasi di circostanza, di falsi complimenti e, come colpo di grazia, di promesse dei genitori in risposta alle domande dei bambini: “Come è andato quell’affare di cui mi parlava? Ah, male? Mi dispiace ma sono certo che si rifarà, in fondo lei è uno del mestiere...” “Si, caro nel 2030 saremo sicuramente liberi di andare su Marte.”, “Ma certo che puoi fare l’astronauta da grande, basta impegnarsi e volerlo!”…. Ma smettetela! Siate realisti! Smettetela di promettere futuri dolci, di inculcare l’illusione che tutto è raggiungibile, che otterremo quello che ci meritiamo perché si, perché il mondo è giusto e le ambizioni sono sempre ripagate. Parlate ai vostri figli di un futuro nero, pieno di violenza, stagnazioni sociali e lotte per la supremazia (non si sa bene supremazia su cosa, ma comunque lotte), fate in modo che arrivino ai vent’anni con la fame negli occhi come i ragazzini della ex-jugoslavia, pronti a costruire delle fondamenta contro gli incubi che i nonni raccontavano loro da bambini, fate in modo che nella continua lotta per arrivare a posizioni sempre migliori i ricordi della vostra famiglia siano veramente percepiti come qualcosa di prezioso e non come un incidente di percorso nella strada per un futuro arido di quelle promesse che ci venivano fatte e per le quali esistono poche possibilità di realizzazione. Dite che si vivrà male per stimolare lo spirito di chi vorrebbe un futuro migliore, non fate come focus, vi ricordate Focus, la rivista, che faceva le copertine con i robot e le auto volanti e asseriva spavalda “Ecco come sarà nel 2018!”? Poi il 2018 è arrivato, e siamo solo morti di fame e ci litighiamo il rame con gli zingari [cit.] e dobbiamo lottare per convincere la gente a vaccinarsi; ecco Focus ha formato una generazione che si aspettava il drone per volare gratis a 18 anni, mentre i droni oggi li usano per attaccare guerriglieri nazionalisti e eserciti di terroristi islamici e i bambini con la fame negli occhi.
Prendo la moto ed esco, il motore fabbricato negli anni ‘90 copre ogni rumore, e dentro al casco riprendo a pensare che sono dieci anni che vedo le stesse storie, ormai so già come finiranno, aspetto solo di capire come arriveranno al finale, tragico o glorioso (raramente, a dire il vero) che sia. Come nelle infinite serie di remake e spin-off che l’industria cinematografica dà periodicamente in pasto a orde di fan sempre più affamati, insensibili alla qualità, ingordi e crudeli, in perfetta simbiosi con l’industria che nutre sulle loro spalle.
Penso che sono un pessimo spettatore che da dieci anni vede le stesse storie, sente gli stessi racconti e che vede le stesse eclissi, ma che dopo tutto questo tempo non sono ancora sicuro sui pensieri che dovrebbero ispirarmi e sulla funzione che dovrei avere in tutto questo.
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libero-de-mente · 6 years
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I DIALOGHI DI ALBERTO ANGELA:
Capitolo 11 - Alberto Angela e Mister Wolf.
Questo dialogo di Alberto Angela è dedicato a tutti coloro che sanno risolvere in maniera brillante e sicura i problemi e le emergenze italiane. Ingegneri strutturali, medici, scienziati, politici, allenatori e nutrizionisti che hanno studiato nella scuola della strada; arrivando all’Università della vita e laureandosi con la lode massima possibile. Insomma a tutti i Mr. Wolf che sanno come risolvere ogni cosa e che nei social proliferano con le loro strategie e post grondanti di verità assolute e accertate che Adam Kadmon levati proprio.
La strada della vita, una strada che ognuno di noi sta percorrendo, chi con sufficiente facilità chi con sufficiente difficoltà, dove si incontrano confrontandosi tanti individui diversi. Su questa strada lastricata dagli antichi romani, perché LUI percorre spesso questo tipo di strade, Alberto Angela incontra uno strano personaggio. Egli in realtà è una figura un po’ mitologica, perché raggruppa molteplici personalità, ed è un po’ virtuale perché si è abituati a leggerla con i suoi post ricchi di sentenze sul web: Imparato Sapienza classico esempio di analfabeta funzionale... andiamo, chi di voi tra i propri contatti non ha un Mr Wolf/Imparato Sapienza, eh? Ecco cosa accade quando si incontrano due menti opposte:
I- Mi scusi, ma lei è Alberto Angela vero? A- Salve, si sono io mi ha proprio riconosciuto. I- Si certo, lei è quello che fa la televisione, che fa libri e fa tante cose la vedo spesso sui giornali. A- Si… sì in effetti, mi tolga una curiosità… lei sa esattamente quello che faccio e cosa sono? I- Certo, che domande, lei fa televisione. A- Si d’accordo su questo non ci piove, ma in televisione cosa dico e cosa faccio, lei lo sa? I- Come piove, le previsioni del tempo dicevano bel tempo. Eh ma con questa geo ingegneria oramai tutto è comandato . A- Interessante, lei è un esperto in materia. I- Guardi non bisogna essere esperti in materia basta vedere la faccia del Giuliacci, quello delle previsioni per capire che è un complotto. Altre emittenti hanno messo delle signorine disinibite alle previsioni, cosi con tette e culi gli ascoltatori non capiscono niente. A- Le do un consiglio, mi permetta, se lei regola il suo orologio un’ora avanti, lei saprà sempre che tempo farà in anticipo. I- Le metto un “Mi piace” cavoli, lo devo dire a mio cuGGino questa si che è una dritta giusta. Che poi la geo ingegneria la usano anche per scatenare i fulmini. Fanno pure crollare i ponti sa? Per quello che è successo a Genova hanno cancellato i video online di denuncia dove si vedeva un fulmine colpire il ponte. Capisce, sono crolli comandati. Basta informarsi. A- Dove posso apprendere queste informazioni e prove? I- Come dove, ma su Facebook… ci sono gruppi segreti apposta. A- E mi dica, lei è un sostenitore delle scie chimiche suppongo. I- Ma certamente – destando stupore – come ha fatto a capirlo? Lei le vede vero? A- Diciamo che l’ho intuito, nulla di che. Si le vedo e pensando a voi un pensiero kantiano mi sorge ogni volta: le scie sopra di me, la gastrite che mi sale dentro di me. I- Anche io avevo il “Kant” da piccolo, mia sorella la Barbie. Comunque la gastrite non è proprio colpa delle scie chimiche. La gastrite ci viene per colpa dei vaccini che ci hanno iniettato da piccoli con le vaccinazioni. A- Ma tu pensa, un no-vax chissà perché la cosa non mi stupisce. Sto giusto scrivendo un libro sull’argomento – sorriso ironico. I- Ecco si è vero lei scrive anche libri, mi ricordo le copertine. Non li ho mai letti perché preferisco vedere il Colosseo e Pompei dal vivo. Che poi i selfie escono meglio con le “pietre” dietro che un libro in mano. Quindi sta scrivendo un libro contro i vaccini, bravo! A che punto è? A- Per ora ho scritto un capitolo del libro che si intitolerà: Vaccinazioni ed Autismo la correlazione dei casi egregiamente spiegata nella chat delle mamme pancine, da chi ha la laurea in casalinga ad honorem; capitolo 1: “Siamo nella merda”. E per i selfie ha ragione sa? Come può farseli se con una mano tiene il telefonino e nell’altra un libro? Con quale mano fa il segno a “V” con le dita? I- Già, se fossi un rettiliano ci riuscirei però. A- Chissà perché me l’aspettavo questa cosa, sa? E a klingoniani come siamo messi? Sa che esistono anche loro, vero? I- Davvero? Mica avrà dei poteri paranormali lei. A- No guardi niente poteri paranormali. Qui l’unica cosa paranormale che vedo è il giornalaio che la mattina mi da il quotidiano che mi spiega, da ingegnere della strada, la staticità dei ponti con la frase “Il calcestruzzo si deteriora, svegliaaaH”; la mia vicina che da brava mamma mi svela che basta fotocopiare un foglio dell’Asl dell’anno precedente e cambiare data, per iscrivere i figli a scuola e che bisogna “svegliarsiH”; l’idraulico che mi ha riparato una perdita nel bagno settimana scorsa, mi ha dato spiegazioni di come gestire lo spread perché noi italiani ci dobbiamo “svegliareH”; il macellaio che mi spiega come risolvere il problema dei migranti mentre batte la carne con un machete, perché noi ci dobbiamo “svegliareH”. Guardi sto mettendo in dubbio la mia laurea in paleontologia e aspetto che la donna delle pulizie mi spieghi come rilevare nei sub-strati di polvere i fossili di acari per risalire ad una datazione certa. Nel frattempo aspetto che si crei quell’effetto sorpresa del non capirci più un beato gladio. I- Le sue sono braccia strappate alla cultura, lo sa? L’ammiro. A- Pensi un po’ pensavo anche io la stessa cosa di lei, anche se alle sue braccia avrei dato un indirizzo più agroalimentare…. Mettiamola così. I- Ma lei fa anche quelle trasmissioni dove spiega e racconta cose, vero? A- Ah – quasi al limite, un tremolio sopra la palpebra destra non preannuncia nulla di buono – ci è arrivato. Si spiego cose… a caso – risatina isterica. I- Ho provato a seguirla, ma racconta troppe cose. Un consiglio ne racconti di meno, tutto nella testa di un essere umano non ci sta. Alla fine quando siamo pieni dobbiamo, come dire… ah si cancellare alcuni file dal cervello. Alla fine tutte quelle cose non ti servono, un po’ come nelle cabine di pilotaggio degli aerei. A- C-cosa c’entra ora la cabina di pilotaggio di un aereo?. I- Vede mio caro, ha presente tutti quei pulsanti, leve, manopole, quadranti e tasti? Mica servono tutti. Poi precipitano gli aerei, per forza i piloti si confondono e non ci capiscono più nulla. Poche cose essenziali come sul cruscotto di un’auto e si è più sicuri. A- Ma queste cose me le dice perché lei è un esperto pilota? I- No, ma ho visto tanti film con scene girate sugli aerei. Si vede chiaramente che usano sempre i medesimi tasti e leve.  A- Senta, posso farle io una domanda? Così giusto per darmi un colpo di grazia. A terra piatta come siamo messi? I- Lo sapevo – allargando le braccia come se volesse abbracciarlo – lo sapevo lei è un dei nostri. La terra piatta, è dai tempi di Via Galileo Galilei che ci prendono per i fondelli. A- Perché “Via”? I- Quando leggo in giro quel nome è sempre preceduto da “Via”… A- Sa che le dico? Ha ragione, tutto questo è un complotto di Bigpharma con lo zampino di Soros e del Capitano Findus. La terra è piatta, ha ragione, altrimenti dove andrebbero i calzini che si perdono se non che cadono dal bordo della Terra? I- Lei è il mio idolo, giuro che scaricherò tutti i suoi libri con E-mule. A- Ma guardi, non è il caso. Le consiglio di cominciare con cose più semplici per allenare la materia grigia. Tipo il sudoku. I- No, quei giochi giapponesi dove si suda (sudoku appunto) non mi attirano, sono uno che fa fusioni molecolari. A- Davvero? – sguardo di speranza. I- Si faccio una fusione molecolare tra me e il divano. Da li con il telefonino giro per Facebook e condivido tante cose di “gombloddi” che manco s’immagina. Le consiglio di frequentare di più Facebook. A- E pensare che io ho buttato via tanto tempo della mia vita a studiare, fino alla laurea, girare il mondo e scoprire cose nuove. Quando basta entrare in Facebook. Stavo leggendo “I fiori del male”, mi sa che lascio perdere. I- “I fiori del male”…. Aspetti, si si ho capito. Eh no, sono del male perché li hanno messi nel forno. Invece di friggerli. A- Forno? Friggerli? Di che fiori parla? I- Quelli di zucca ovviamente! A- Già… ovviamente – sguardo rassegnato – ora la saluto devo accompagnarlo per un giro a Roma. I- Oh, accompagnarlo? Chi? – guardandosi attorno. A- Il mio amico immaginario, non è molto sveglio sa? I- Amico immaginario? Mi prende in giro? Mica esistono.. A- Oh lo so, ma per non ferirlo gli ho raccontato che.. si insomma, che è più una concezione proiettata nella mia mente. Così giusto per non ferirlo. Poverino. Imparato Sapienza perplesso saluta Alberto Angela, le strade dei due si separano con la speranza per Alberto di non incontrarlo più. Salvo andare su Facebook e trovare un post condiviso da centinaia di utenti dove si annuncia che Barack Obama in realtà è Osama Bin Laden, ha solo invertito le iniziali e tagliato la barba. Ah se volete…. Condividete anche voi!!!11!!11!!
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oblivion3vagabond · 6 years
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La mia Margherita
L'estate è una delle stagioni che più fatico a vivere, il sole batteva senza sosta, scioglieva asfalti, ogni tanto dava il colpo di grazia a qualche anziano, le nuvole erano molto timide, bisogna dare le dovute attenzioni alle nuvole, così offrivano un po' di ombra ma se le si ignoravano, scatenavano temporali per poi svanire offese e lasciare i poveri cristiani ai giorni di siccità. Erano giorni senza senso, mi capitava ogni tanto di pensare per quale ragione mi trovassi qua, o a volte il sole picchiava così forte in testa che l'unica cosa che riuscivo a fare era ansimare dal caldo o espellere sudore dalla mia testa che covava lamentele per il caldo. Camminando sulle strade deserte le uniche cose che vedevo erano margherite, le margherite erano ovunque, ma erano così comuni che non feci mai caso a loro. Un giorno mi misi a parlare con una di loro, pensai che probabilmente il caldo mi aveva fatto impazzire, così mi ero accovacciato su un prato e assicurandomi che non ci fosse nessuno diedi qualche colpo di tosse per scandire la voce timida, -" Buongiorno margherite" una delle margherite mi rispose :" Ma che modo di approcciare da sfigati" arrossì terribilmente, ero così imbarazzato che me la sarei dato a gambe. -" Da quando le persone parlano con le margherite?" aggiunse indispettita, aveva ragione pensai, sapevo che era un'idea stupida, a cosa diamine stavo pensando? -" No, aspetta, dove stai andando? Non dirmi che ti sarai offeso?", -"La tua risposta era proprio calorosa, quale male ti avrò inferto per farti incattivire in questo modo?", -" nessuno, sei il primo umano con cui parlo, di solito gli umani ci strappano vive o ci getta addosso la spazzatura, come se siamo prive di valore, ovviamente tiro fuori le zanne, a te non è mai capitato?", stavo cercando le parole giuste, avevo la fronte che grondava copiosamente che avrei potuto irrigare il prato, e stare accovacciato con il caldo che mi arroventava la testa rendeva ancora più difficile pensare, tiravo occhiate a rapidi schizzi in caso passasse qualcuno, nessuno oltre le macchine che sfrecciavano chissà dove.-" Si, gli umani possono essere molto cattivi, quando ero ancora un giovincello fresco come un germoglio, ero stato preso con brutte parole per tanto tempo ma questo non significa che bisogna essere per forza ostili, io ho smesso di parlare con i miei simili, potrei definirmi un vegetale in mezzo alle persone", la Margherita si infuriò -" Hai visto? Voi siete cattivi, tutti uguali, noi margherite veniamo sradicate o calpestare senza nemmeno che ve ne accorgete, invece alle rose le annusate, simboleggiano la bellezza, non come le insignificanti margherite", ero troppo impicciato e non sapevo cosa dire per calmare questa Margherita incazzatissima, all'improvviso mi venne in mente una risposta, pensai che era abbastanza stupida come risposta ma volevo provare lo stesso. - "Le rose hanno le spine per proteggersi da coloro che tentano di portarla via, le spine rappresentano la prova che hanno dovuto soffrire ed esternare ciò che le circonda per diventare belle in quel modo" mi interuppe dicendomi che stavo facendo cilecca del discorso, se solo mi facesse finire, quasi stavo per dimenticare ciò che stavo dicendo, -" le margherite, tante, semplici e senza spine, siete il contrario delle rose, credimi, le margherite sono belle perché sono semplici, è difficile trovare qualcuno che comprende la bellezza nella semplicità. Gli uomini privano e distruggono tutto ciò che è bello, perché per loro l'unico modo per contemplare la bellezza è possedere ciò che non si ha, ma non sanno che a volte bisogna saper lasciare libera la cosa che sia ama di più, senza la libertà non si riesce ad esprimere bellezza", la Margherita rimase sorpresa che rimase a contemplare le mie parole. Se non fosse stato per quella Margherita la mia estate sarebbe stata identiche alle precedenti. Ogni volta che vedo una Margherita penso a quell'estate. Da quel giorno né lei né altre Margherite mi rispose.
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su di lui (si spera)
Molti mesi fa ho spiegato come erano finiti i miei tinder dates e di come, sommariamente, sia cascata per uno.
Mi permetto di dare un consiglio alle ragazze: tutto ciò che avete nella vita può essere elevato al cubo, il ragazzo con cui vi state sentendo può essere nettamente migliore, la vostra carriera può essere fantastica ed economicamente parlando potreste avere sempre più soldi, non esiste un limite alla ricchezza.
Io, tutto questo, lo sottovalutavo, credevo che potessi dirlo alle mie amiche e alle altre persone ma che non fosse un discorso che valesse anche per me (se la seguente domanda fosse un qualcosa tipo "come mai?" semplice, sono idiota).
Il proseguimento delle mie storie d'amore prosegue vivendo la mia prima esperienza sessuale con Baffo, credo sia comune ma è stato qualcosa di poco gratificante- per il mio corpo almeno-, abbiamo iniziato a fantasticare su altre cose, ci siamo rincontrati un' altra volta poi è partita la quarantena e tutta la situazione Covid è sfociata prepotentemente.
Dopo un paio di mesi ho deciso di abbandonarlo, voleva, ed insisteva soprattutto, a trovare una ragazza per un threesome e, ironicamente, sembrava che stessimo scegliendo la prossima casa in cui vivere.
Diciamo che la ricerca era quasi al termine, sorgeva un problema: la ragazza voleva solo lui, non era vero che voleva fare threesome, voleva chiavarselo ed amarlo, come ogni ragazza.
Le condizioni erano che questa voleva frequentare lui per un bel po' di tempo e poi lui avrebbe tirato fuori me da un cassetto e avremmo combinato quanto richiesto nel contratto.
Ero persa nei sentimenti quindi ho ripreso la mia tipica rigidità e gli ho detto che la trovavo una mancanza di rispetto soprattutto verso i miei sentimenti che , ai tempi, erano abbastanza forti.
L'ho ghostato, lui ha provato a riconttattarmi più volte, ho visto i messaggi e lui non ha mai visto le mie risposte.
L'ho bloccato su instagram, ho eliminato il suo numero di telefono e ho cancellato la chat su telegram e su whatsapp.
Non ho dato molte motivazioni per questo "abbandono" semplicemente mi girava il cazzo e non volevo avere e vivere con delle condizioni simili, ho poco tempo nella mia vita da dedicare a due coglioncelli.
Sono stata soltera per circa 1 mese e poi mi ha riscritto un vecchio amico di ali che chiameremo "il fascista".
Quando ci siamo riscritti lui era malizioso, io volevo solo riprendere l'amicizia senza combinare molto di più. Abbiamo iniziato a sentirci in videochiamata ed ho visto una bandiera con un simbolo strano sopra, sono rimasta una notte intera a capire che diavolo di simbolo fosse fino a quando non ho capito che si trattava della croce utilizzata dai neo-fascisti.
Ammetto di essermi parecchio spaventata, qualche mese prima ero andata a manifestare proprio contro di loro, sostenevo ideali totalmente anti-fascisti ed ero molto affine all' anarco-comunismo, quindi sentirmi eccitata davanti a uno che avrei voluto ammazzare in altri contesti era una delle cose più frizzanti che avessi mai fatto nella mia vita.
Mi ero auto-imposta una sfida: se le cose vanno bene e non fa il coglione, si prova a fargli cambiare ideologia, se invece fa il coglione, debbo scrivere un libro tipo "come stare con un fascista: modi e tecniche per stroncargli il cazzo" lo so, forse un po' troppo volgare ma intendetemi.
abbiamo iniziato una relazione dopo una settimana che ci sentivamo, io ero un cetriolo sottovuoto, non sentivo nulla e lui credeva che fossi solo timida, nelle videochat manco iniziavo più a parlare: ansimavo e accennavo con la testa, prendeva e pretendeva pochissimo.
Arrivò l'estate, lui voleva che io andassi da lui, e viceversa. Lui aveva la possibilità di spostarsi in quanto era economicamente stabile e non viveva in una strict family. Io no.
Diciamo che abbiamo iniziato i veri conflitti quando mi ha visto tornare a Torino, dopo 1 mese di mare. Lui voleva che io abbandonassi la mia famiglia per andare da lui 1 settimana, ovviamente tutto a mie spese perché lui doveva usare i suoi soldi per acquistare la moto nuova.
Il colpo di grazia è avvenuto quando ho scoperto che parlava con la mia migliore amica e lui le chiedeva delle foto di nudo. Quando mi è stato riferito io l'ho contattato e lui mi ha messo davanti a un bivio: scegliere tra la mia migliore amica o lui.
Onestamente l'ho trovata la mossa più infantile che un 25enne potesse mai farmi, una mancanza di rispetto mai vista prima, io gli ho chiesto di dirmi la verità, se mi avesse ammesso la colpa l'avrei perdonato e sarei potuta andare da lui, lui ha continuato a mettermi davanti al bivio preferendo ignorare la mia richiesta ed io l'ho abbandonato, senza troppi fronzoli.
Io odio profondamente chi mi manca di rispetto e chi sottovaluta il mio intuito. Odio chi crede di poterla averla vinta, ignorandomi o credendo che sia più ingenua del previsto. Odio un sacco di atteggiamenti umani ma in assoluto la mancanza di rispetto nei miei confronti è quello che ritengo più grave.
Non mi aspettavo, dal fascista,un comportamento molto maturo in tutta onestà, mi aspettavo che sapesse mentire e nascondere le sue cazzate in maniera migliore.
Eravamo una ""coppia"" a distanza, 400km per l'esattezza. Lo sapevo sin dall'inizio che avrebbe fatto lui la cazzata e più volte ho pensato di anticiparlo provando l'ebrezza del tradimento.
Era fine agosto, ero tornata a casa e giusto qualche giorno prima del mio compleanno avevo rotto definitivamente (in amore e amicizia) col fascista.
io inizio, quella che ora si chiama, hot girl summer però in ritardo, ri-contatto baffo prenotando una scopata ma lui ormai è annebbiato dall'idea del threesome quindi ho lasciato stare, ho ri-aperto tinder e, non trovando nulla di interessante, ho annullato qualsiasi voglia di passione, amore e curiosità verso il genere maschile.
ho continuato a fare le mie coglionate sui social e a fare la critica sociale a caso, mi inizia a seguire gente nuova, amplio il pubblico, approfondisco il content e mi formatto in qualche format.
Mi segue un tipo , il quale ha molti collegamenti con miei amici di Settimo, lo chiameremo LL , per convenienza. Questo ragazzo inizia a rispondermi alle stories, qualche like tattico ma, onestamente, in quel periodo, avevo pure poca voglia di conoscere persone nuove e quindi mi preoccupavo solo di andare a trovare la mia migliore amica e di godermi quei attimi di libertà pre-lockdown.
Mi risponde ad una storia abbastanza particolare circa il 23 settembre, abbiamo iniziato a scriverci ed ero molto turbata perché era fottutamente affascinante, una delle persone migliori con cui abbia mai conversato e con le quali mi trovavo molto bene ad argomentare e a parlare della mia vita, gusti e passioni, e non volevo far comprendere che volevo portarmelo a letto.
ora qui apro una parentesi che mi sembra dovuta: io non concepisco il sesso come una porta attraverso il quale si entra nella stanza più personale, privata e che ti "incatena" a quella persona. Lo concepisco più come un modo per capire come è fatta quella persona, se si ricercano le stesse cose eccetera.
Il mio obiettivo con LL era quello di costruire una buona amicizia, io rimanevo fredda e distaccata e lui faceva lo stesso con me, volevo farmelo e poi amici come prima, senza dover avere l'angoscia della relazione e senza dovermi costruire delle nuove barriere di fiducia. Tutto molto distaccato, freddo e distante.
Ecco non è andata esattamente così.
Mi potrei giustificare dicendo che l'ho conosciuto nella sua totalità, si è aperto a me e mi ha chiesto di leggerlo attentamente, tutt'ora non ho letto tutto ciò che ha da offrimi  ma è solo un motivo in più per continuare a frequentarlo e per continuare a volergli bene. Perché si è fidato di me, si è aperto, mi tratta con rispetto, mi tratta come una persona normale e non vuole avere fretta, vorrebbe che viaggiassimo insieme, che convivessimo per alcuni attimi, che vivessimo certe esperienze singolari.
Ha dei difetti, come tutti, ma li riconosce, comprende i miei fastidi e si sforza a non mostrare certe cose.
Gli altri ragazzi volevano che io stessi in disparte alla loro vita, non volevano che io facessi parte delle loro attività, ero un sacco da riempire e dopo un po' credevo fermamente di esserlo, senza credere che fosse estremamente negativo tutto ciò.
LL no, lui mi coinvolge nelle sue cose, mi chiede pareri, discutiamo, so di alcune cose che accadono nella sua vita e lui sa le mie, perché gli interessa di me, ci tiene , mi dimostra a suo modo di tenerci.
Ecco, forse una delle cose più complicate da fare in una relazione è quella di comprendere come il partner ti dimostra l'affetto, come il tuo partner comunica attraverso atteggiamenti e comportamenti.
Spiegare il genere di sentimento che provo per lui è complesso perché non so spiegare oggettivamente i sentimenti, forse è un mio problema o forse è più generale, ma se il sentimento che ho ricevuto prima era amore allora LL è qualcosa di oltre l'amore.
Scusatemi, momento di pianto perché in post-mestruo sono una fontana.
comunque
Non mi piace pensare che sia l'uomo della mia vita, non mi piace dargli eccessiva importanza e considerazione, lo considero più come un compagno di viaggio se ne andrà quando vorrà e non sarò costretta a mandarlo via (almeno, spero di non doverlo fare) spero solo che rimanga un compagno fedele ed io sarò altrettanto.
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uominiedonneblog · 7 years
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E veniamo adesso a parlarvi di Luca Onestini e Soleil Sorge.
Brevemente tanto per fare un po’ di cappello a questo articolo.
  Luca ha scelto Soleil durante il trono di Uomini e donne. Sono stati insieme circa 5 mesi. Ma non credo che sia stata una grandissima storia d’amore. Infatti praticamente non hanno mai convissuto. Si vedevano certamente ma abbiamo saputo dopo la trasmissione che avevano dei problemi. Ora sinceramente non vogliamo entrare nel merito anche perchè insomma ormai i due si sono definitivamente separati quindi ci sembra anche abbastanza inutile indagare.
  Luca Onestini è infatti felicemente fidanzato con Ivana Mrazova che ha conosciuto durante il Grande Fratello VIP. Mentre lei è felicemente fidanzata con Marco Cartasegna ossia con il suo rivale di trono. Oltretutto fra i due non è mai corso del buon sangue.
  In ogni modo se la settimana scorsa è stato Luca Onestini a rilasciare la sua intervista a Uomini e donne Magazine, questa settimana è toccata a Soleil Sorge
  Dichiara Soleil Sorge a Uomini e donne Magazine in riferimento a Marco Cartasegna
“…Forse io ho un piccolo record del cuore: grazie a Uomini e Donne mi sono innamorata due volte in un anno. Incredibile, ma vero. Ci sono arrivata per caso, quando ho fatto il primo provino, lavoravo per Roma Calcio e in un primo tempo non potevo accettare. Finito il contratto ero senza lavoro ma soprattutto senza amore.”
  E continua ricordando proprio quei tempi dicendo
” Ricordo una sera in particolare. Ero con Giulia e Antonello, due miei amici, e dissi: “Ho voglia di innamorarmi”. Così la redazione mi ha dato una seconda possibilità come corteggiatrice. Volevo davvero trovare l’amore. Ho visto Luca ed è scattato il colpo di fulmine. Almeno da parte mia.
E racconta il suo percorso anche con l’ex tronsita Luca Onestini e dice
“Io l’ho corteggiato, mi sono messa in gioco, cosa che non avrei mai fatto nella mia vita. Uomini e Donne, credetemi, fa venire la voglia di innamorati.”
  E del percorso fuori da Uomini e donne dice
” Poi c’è stata la scelta, siamo diventati una coppia, ma forse io ho sbagliato. Ho iniziato a correre troppo velocemente. Per me la storia con Luca è partita subito al massimo, cercavo la condivisione, la convivenza, lui no. Era interessato alla sua persona e non al progetto di vita. Volevamo cose diverse. “
  E qui insomma parte un bell’affondo a Luca Onestini che sicuramente non gradirà….
  “Lui il Grande Fratello Vip, io una famiglia. Quando lo hanno scelto, eravamo già in crisi. Non ci vedevamo da due settimane. Sì, lo so. Abbiamo provato a recuperare tutto la sera prima che lo blindassero. Dentro di me sapevo che era il punto di non ritorno. Avevo spento la speranza. La nostra storia sarebbe finita con o senza reality.”
  Su questo Luca Onestini mi sembra su un’altra linea anche se non ha mai replicato a Soleil per non darle importanze ed evitare ogni tipo di polemica sui Social. Ma insomma ci ricordiamo perfettamente che al Grande Fratello VIP ricordava molto Soleil Sorge. Insomma da parte sua questa crisi non sembrava certo esserci…Ma invece Soleil Sorge ha letto dentro il GFVIP un altro Luca Onestini e infatti dice di lui.
  ” I suoi atteggiamenti nella Casa successivamente mi hanno dato ragione, i miei dubbi si trasformavano in certezze. Mi è crollato tutto addosso, è stato il colpo di grazia alla nostra storia già in crisi. Io sono un’istintiva, non ho resistito e gli ho detto addio.”
  E anche sull’accusa di tradimento che si è letto spesso nel web Soleil Sorge è molto categorica.
    Io non ho mai tradito Luca. Lo scriva. Ho messo fine alla relazione con una lettera quando era dentro la Casa. Ma la fine era iniziata ben prima.
  E di Marco Cartasegna dice Soleil Sorge
Marco è entrato nella mia vita due volte e in momenti diversi. Il primo durante Uomini e Donne quando era sul trono con Luca ma non disdegnava il mio sguardo. Poi, per caso, ci siamo incontrati ad un party durante la fashion week. Luca era dentro la Casa. Quella sera abbiamo scherzato da amici, in modo cordiale senza andare oltre. In quel periodo cercavo casa a Milano. Abbiamo iniziato a sentirci ma mantenendo le distanze.
  E aggiunge
Bastava però che ci vedessero in un luogo con altre persone ed era già amore per i fan, sui social, sui giornali, ovunque. Io stavo impazzendo.
E sulla cronologia dei fatti dice
Prima rompo con Luca in Tv. Poi Marco si dichiara. Lo ha fatto in modo sincero, da uomo. E ho detto: “Mi butto”. In Marco ho trovato l’amore razionale. Ho trovato e sentito da subito che volevo viverlo. Oggi sono felice e in pace con me stessa. Non ho bisogno nemmeno del confronto con uno specchio. Noi parliamo già di come sarà la nostra vecchiaia.
  E in merito al suo sogno dice
Il mio sogno? Costruire un villaggio autosufficiente, un luogo per la pace dell’anima. Un resort dove chi viene ospitato, ne esce senza pensieri. Un luogo olistico con animali, una fattoria per star bene. Io e lui siamo coincidenza cosmica. Abbiamo deciso di andare a vivere insieme. Via le paure, evviva l’amore! Se vedessi Luca, io lo saluterei, lui no. Scommettiamo?…”
  Come potete vedere nell’ultima riga ha lanciato veramente una bella stilettata a Luca Onestini, insomma se la vedesse nemmeno la saluterebbe. E credo che Luca non parla, ma se parlasse avrebbe un po’ da ridere in merito alla ricostruzione dei fatti. E voi come la pensate su questa storia fra Luca Onestini e Soleil Sorge?
    E finiamo mettendo qualche foto di Soleil Sorge che effettivamente è un po’ che non le mettiamo
    Foto di Soleil Sorge
  Intervista a Soleil Sorge dura con Luca :”…Lui il Grande Fratello Vip, io una famiglia..” e “io lo saluterei, lui no.” E veniamo adesso a parlarvi di Luca Onestini e Soleil Sorge. Brevemente tanto per fare un po' di cappello a questo articolo.
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ombradinchiostro · 7 years
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Stamattina prima di uscire di casa e recarmi in facoltà mi sono imbattuta in uno dei tanti post cretini che facebook suole periodicamente piazzarmi in bacheca,  perché reputa certi contenuti  ironici, divertenti o sarcastici. Non è la prima volta che leggo un post del genere, di solito mi limito a leggerne alcuni di sfuggita per poi oltrepassarli, perché credo che  ognuno sia libero di cliccare “ mi  piace” su quello che più preferisce. Se oggi mi sfogo su questa “imbecillità” è per difendere persone che come me fanno fatica ad accettarsi, per motivi di varia natura. Alle 8.47 sono salita sul treno, e mentre il panorama mattutino si stagliava davanti i miei occhi, ho promesso a me stessa che, una volta tornata a casa avrei trascritto quello che pensavo qui sopra piuttosto che sul mio buon fidato diario cartaceo a cui spetta invece l’arduo compito di sostenere le mie crisi esistenziali.
“ Prova a dire ad una ragazza che è bella, e non ci crederà mai. Dille che è brutta e se lo ricorderà per sempre.”
Ora, per quanto quella frase  possa risultare veritiera non capisco come si possa ridere o scherzare su certi argomenti. sì, è certamente  un dato di fatto che esistano ragazze bellissime a cui dedicare le stesse parole che Vronskij rivolgeva  ad Anna Karenina. Ragazze obiettivamente belle e talvolta amanti della finta modestia. (La stessa cosa ovviamente vale per i maschi)
Quello che io ci tenevo a dire era questo;
Se certe belle ragazze(così ho deciso di classificarle) rispondono ad un complimento con un “ non è vero” oppure guardando male il proprio interlocutore, questo non significa che siano delle cretine, false o ancor peggio amanti delle adulazioni maschili;   Al contrario, forse significa che per loro è strano sentirsi dedicare parole che non avrebbero mai pensato di meritare, perché sono le prime a riservarsi aggettivi poco carini,  forse per mancanza di fiducia in se stesse o semplicemente perché in passato qualcuno le ha svilite al tal punto che è diventato più semplice per loro credere alle cattiverie piuttosto che alle gentilezze.
Tanti anni fa, tramite una persona a me molto cara e che non cito perché questo post è, per certi aspetti, “assez idiot”, ho saputo di aver ricevuto un complimento a cui personalmente non ho mai creduto perché non lo reputavo alla mia altezza, anzi, alla mia bassezza. Era troppo bello e troppo esagerato e non aveva nulla a che vedere con le parole che, per anni, ho dedicato a me stessa. Quindi detto questo, vorrei solo far capire che, alla fine  sarebbe meglio se tutte noi imparassimo,una volta per tutte, che l’amore è solo negli occhi di chi osserva  e da nessun’altra parte, e che noi non siamo solo quello che vediamo ogni mattina davanti lo specchio, ma soprattutto come diceva un autore francese di cui non ricordo il nome, siamo anche la luce che fa brillare gli occhi a qualcuno. E nonostante questo sia difficilissimo e arduo da accettare è così, anche se tutto ci sembra un’enorme presa per il culo; diffidate solo di chi vi dedica  parole belle per poi offrirvi insulti che diano il colpo di grazia alla poca autostima di cui disponete. Innamoratevi di chi vi insegna ad amare voi stessi e vi accoglie tra le sue braccia con l’obiettivo di rendervi migliori e più forti.
Il consiglio che invece avrei voluto dare ai mille imbecilli che hanno cliccato “mi piace” è che certi post non dovrebbero essere oggetto di risata quanto di riflessione personale.
Questo post è scritto male,anzi per certi aspetti sarebbe stato meglio non scrivere nulla, ma ho pranzato con tre bastoncini findus e un kinder pinguì,mi sono sorbita due ore intere di lettorato francese con una madrelingua che è  praticamente l’equivalente femminile del sergente Hartman e poi, in fin dei conti, ogni tanto fa bene sfogarsi anche se si pensa che non valga la pena sollevare certi argomenti.
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josephinelynncooper · 5 years
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- 𝑰𝒂𝒏 & 𝑱𝒐𝒔𝒆𝒑𝒉𝒊𝒏𝒆, 𝐓𝐡𝐞 𝐇𝐚𝐧𝐠𝐨𝐯𝐞𝐫 -
La serata non era cominciata nel migliore di modi e, beh, Ian a malapena ricorda il modo in cui è terminata. Tutto ciò che ricorda è Tessie che gli comunica dell’offerta di lavoro ricevuta e Josephine che lo trattiene dall'ordinare la settima birra. 
Svegliato da uno sprazzo di luce proveniente dalla finestra, il ragazzo è costretto ad aprire gli occhi. Ha la testa che gli scoppia ed è senza dubbio parecchio disorientato. Si appoggia sulla spalliera del letto e si guarda attorno, realizzando che quella camera da letto non è affatto la sua. Di istinto si volta alla sua destra, e ciò che vede non sono i corti capelli corvini di Tessie. Ian scuote la testa e bussa un paio di volte sulla schiena della ragazza, che ancora mezza addormentata si rigira su sé stessa con la grazia di un elefante fa cadere un braccio sulla pancia del nephilim.
«Cristo… Joey?»
Ian sgrana gli occhi, sbirciando immediatamente sotto le coperte e constatando di avere indosso soltanto un paio di boxer. Che lui e la sua migliore amica abbiano…?
«Uhm… Solo altri cinque minuti!»
Borbotta Josephine tra sè e sè, ancora tra le braccia di Morfeo. Si ritrova infatti a stringere a sé il ragazzo, scambiandolo per un cuscino. Ian è più confuso che mai e, preso dal panico, decide di scuotere ancora una volta la spalla di Joey, costringendola questa volta ad aprire gli occhi.
«Jo, sei sveglia?»
Domanda Ian passandole una mano tra i capelli. Joey, non appena si rende conto di essere accoccolata sul petto nudo del suo migliore amico fidanzato, si allontana sconvolta, rischiando addirittura di cascare dal letto. 
«Tu sei fuori di testa, mi hai fatto prendere un colpo!»
«Io? Sei tu quella che si è gettata tra le mie braccia impedendomi di respirare, tu… Cristo. Devo dirlo a Tessie.»
Esclama il ragazzo rendendosi finalmente conto della gravità della situazione, per poi portarsi una mano sulla testa dolorante.
Josephine poggia la schiena sulla spalliera ancora piuttosto confusa, non capendo dove l’amico voglia andare a parare.
«Cosa devi dirle? Pensavo che avessimo deciso di non dirglielo, mi hai detto che eri ancora parecchio confuso a riguardo...»
«Che cosa? Non posso nascondergli una cosa del genere, Jo! Ti è dato di volta il cervello? E per quanto io ti trovi attraente, non penso a te in quel modo. Voglio dire, sei molto sexy e non è così difficile pensare che, con la mente annebbiata dall'alcol, io abbia potuto dire o fare cose di cui pentirmi, ma è impensabile non dire la verità a Tessie. Forse non vorrà mai più vedermi, ma deve saperlo, glielo devo.»
Ian conclude il suo monologo in maniera incredibilmente diplomatica, di fronte allo sguardo estremamente serio della professoressa. È riuscita a stento a trattenere le risate ma, a quel punto, decide di porre fine alle sofferenze del ragazzo, confidandogli cosa è realmente accaduto la scorsa notte.
«Ian, cosa credi sia accaduto la scorsa notte?»
«Io ho perso i pantaloni e tu non indossi il reggiseno, per non parlare dei preservativi sul pavimento! Insomma, è evidente. Che c’è? Non ricordi niente nemmeno tu?»
Josephine si tira su la canottiera del pigiama imbarazzata, evitando di mettere in mostra la scollatura. Subito dopo scuote la testa, lasciandosi sfuggire una risata.
«Io me lo ricordo eccome. Sul serio non ricordi nulla?»
Ian fa cenno di no con la testa, perciò Josephine decide di proseguire con il racconto.
«I tuoi pantaloni sono in bagno, te li sei tolti dopo averci vomitato sopra. Ho provato a convincerti a prendere in prestito una tuta di Ryan, ma mi hai detto che a casa dormi sempre nudo e che volevi sentirti “come a casa”.»
Ian si copre il viso con entrambe le mani, estremamente imbarazzato da tutta quella situazione.
«Mi stai prendendo per il culo, dimmi che mi stai prendendo per il culo...»
«Continuavi a farti portare birre dal barista, all'inizio ho provato a berle al posto tuo, alcune le ho persino rovesciate sul bancone. Ma poi ho capito che ero brilla anche io e, dato che nessuno dei due era nelle condizioni di guidare, ho pensato di portarti qui da me. Insomma… Abbiamo camminato una decina di minuti e arrivati a casa hai iniziato a toglierti i vestiti.»
Josephine continua a ridere sotto i baffi, mentre il nephilim vorrebbe sotterrarsi dalla vergogna. Sta evidentemente ingigantendo la situazione, ma trova il blackout di Ian decisamente esilarante, sarebbe un peccato non approfittarsene nemmeno un po’. 
«Ti prego, dimmi che non c’erano i tuoi coinquilini...»
«Soltanto Ryan. Ci ho messo un po’ a fargli capire che non eri salito da me per fare sesso. Ci ha persino lanciato dei preservativi ad un certo punto. “Per ogni evenienza”. Dopodiché ti sei lasciato cadere sul mio letto e sei crollato come un bimbo.»
«D’accordo. Quindi noi non…?»
«Che razza di donna pensi che sia? Non farei mai una cosa del genere a Tess. Non farei mai una cosa del genere a nessuna donna!»
«Oh, grazie a Dio!»
«Ma è bello sapere che mi trovi attraente.»
«Che cosa? Io non ti trovo attraente!»
«Tue parole, non mie. Anzi, per la precisione, penso che tu mi abbia definita “molto sexy”. E che poco fa tu abbia dato una sbirciatina alle mie tette.»
«Impossibile non farlo, con un pigiama così!»
Esclama indicando nuovamente il petto della ragazza.
«C’è un dannatissimo unicorno okay? Un unicorno, un arcobaleno e anche un mini pony nello sfondo. Quindi non puoi assolutamente accusarmi di aver indossato un pigiama provocante. Mi trovi attraente e basta, non c’è niente di male ad ammettere le proprie debolezze.»
«Disse colei che qualche minuto fa ha pensato bene di tastarmi gli addominali con la scusa del “pensavo fossi il mio cuscino”!»
«Se vogliamo dirla tutta, non ti ho scambiato per il mio cuscino. Ti ho scambiato per Mr. Whiskers.»
«Chi?»
«Il mio coniglietto di peluche. Per tua informazione, nessun cuscino ha tutti quei peli.»
«Ti hanno mai detto che appena sveglia somigli ad una strega? Voglio dire…I capelli per aria, le borse sotto agli occhi… Se non fosse per il fatto che siamo amici, me la sarei data a gambe ancora prima che ti svegliassi!»
Josephine vorrebbe ribattere ma, colta da una mancanza di ispirazione, si ritrova invece a ridere alla sua battuta. Tira una gomitata ad Ian e gli rivolge un’occhiata complice, per poi tornare seria subito dopo. 
«Senti, Jo... A che cosa ti riferivi allora?»
«Di che parli?»
«Hai detto che non avrei dovuto dirglielo, riferendoti a Tess. Cosa non le avrei dovuto dire?»
Josephine annuisce sospirando. Non vuole intromettersi nelle sue faccende private, ma è giusto che lui sappia qual è il suo parere a riguardo.
«A inizio serata mi hai detto che stavi considerando l’idea di trasferirti a San Francisco con lei. Insomma, fin qui tutto bene. È una tua scelta e se tu sei felice, lo sono anche io. Se non fosse per il fatto che, dopo la quinta birra, hai iniziato a biascicare qualcosa riguardo al fatto che odi tutto ciò che riguarda la California. Il mare, le spiagge, le strade in salita, il Coachella, il Comic Con di San Diego… Hai detto che non avresti mai trovato il coraggio di lasciare sola tua sorella, di lasciare il tuo lavoro, il tuo “secondo” lavoro… Dopodiché hai iniziato a piagnucolare dicendo che un certo Jay è la persona che ti sarebbe mancata più di tutte. Mi sono offesa molto, tra parentesi. In un primo momento pensavo ti stessi riferendo a me.»
«Sul serio ho detto tutte quelle cose?»
«Oh, sì che lo hai fatto! E volevi andare a trovare Tessie in quello stato per parlarle della tua decisione, ma ti ho nascosto il cellulare e ti ho convinto a lasciar perdere. Mi hai detto che non ha un bel rapporto con le persone che bevono, ho pensato che stare qui con me ti avrebbe risparmiato una bella figuraccia...»
«Non sai quanto io te ne sia grata, Jo. Avrei posto fine a questa relazione ancora prima del tempo...»
«Quindi è deciso? Resterai in Illinois?»
«Non posso lasciare Heather, Jo. Non posso fare come hanno fatto i miei genitori.»
Josephine annuisce e poggia una mano sulla spalla di Ian, con l’espressione di chi ha capito che il ragazzo ha fatto la scelta più giusta.
«Andrai a parlarle ora?»
«Più tardi. A quest’ora sarà già in ospedale...»
«Giusto. Caffè?»
Esclama la Cooper dopo essersi alzata dal letto. Lo sguardo di Ian si abbassa inconsciamente in direzione del fondoschiena dell’amica, messo in evidenza dagli shorts del pigiama. 
«Come? Sì, sì. Certo.»
«Che c’è? Tutto bene?»
«Niente, il caffè va benissimo.»
«D’accordo. Torno subito!»
Esclama la mora rivolgendo ad Ian uno dei suoi migliori sorrisi.
«Jo, aspetta!»
«Sì?»
«Mi dispiace così tanto che tu mi abbia visto in questo stato...»
«Oh, non devi. Io l’ho trovato esilarante!»
Ammette ridacchiando, per poi voltarsi nuovamente e raggiungere il piano di sotto.
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petalididonna · 7 years
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Alain Delon al suo amore Romy Lettera di addio, 1982 (brividi ed emozioni a leggerla) Ti guardo mentre dormi. Sono accanto a te, sono al tuo letto di morte. Indossi una lunga tunica, nera e rossa, con un ricamo sulla parte superiore. Credo che siano fiori, ma non indugio troppo a osservarli. Ti dico addio, il più lungo di tutti gli addii, bambolina mia. Così ti ho sempre chiamata: bambolina. Non perdo tempo a guardare i fiori, guardo il tuo viso e penso che tu sia bella e che non lo sia mai stata così tanto come in questo momento. Penso anche che è la prima volta in vita mia che ti vedo quieta e serena. Si potrebbe dire che una mano delicata abbia lavato via dal tuo viso paure e dissidi. Ti guardo mentre dormi. Mi dicono che tu sia morta. In che modo ne sono colpevole io? …Ci si pone sempre questa domanda davanti a qualcuno che si è amato e si ama ancora. Questa emozione ci sommerge, poi torna indietro e alla fine ci si convince che tutto sommato non si è colpevoli. Non colpevoli, ma comunque responsabili. Ecco. Lo sono anch'io. È a causa mia che la notte scorsa il tuo cuore ha cessato di battere. A causa mia, perché 25 anni fa fui scelto per essere il tuo partner in “Christine”. Tu arrivavi da Vienna e io ti aspettavo a Parigi con un mazzo di fiori in mano che non sapevo come tenere. Ma i produttori mi avevano detto: “Appena scende dalla passerella, vada da lei e le porga i fiori”, io aspettai con i fiori in mano come un imbecille, in mezzo a un'orda di fotografi. Tu scendesti dall'aeroplano, io mi avvicinai. Dicesti a tua madre: “ deve essere Alain Delon, il mio partner!” Nient'altro, nessun colpo di fulmine a ciel sereno. Così andai a Vienna, dove si girava il film, ed è stato là che mi sono innamorato follemente di te. E tu ti sei innamorata di me. Spesso ci siamo posti a vicenda la tipica domanda degli innamorati:“ Chi è stato di noi due ad innamorarsi prima, tu o io?”…..contavamo: “uno…due…tre…” e rispondevamo “Nè tu ne io…….entrambi…” Mio dio come eravamo giovani e felici! Alla fine del film ti dissi “ vieni con me, andiamo a vivere insieme in Francia” e tu rispondesti subito: “ si, voglio vivere con te, in Francia”…. ti ricordi vero? La tua famiglia, i tuoi genitori, andarono fuori di sé. E tutta l'Austria, tutta la Germania. dissero che ero un usurpatore, un rapitore. Mi accusarono di portare via “l'imperatrice”. Io un francese, che non parlava una parola di tedesco. E tu, bambolina, che non parlavi una parola di francese. All'inizio ci amavamo senza scambiarci una parola. Ci guardavamo e ridevamo. Bambolina…. e io ero “Pepè”. Dopo qualche mese io ancora non parlavo tedesco, ma tu parlavi francese così bene che potemmo recitare in teatro. Quella volta il regista fu Visconti. Ci diceva che ci assomigliavamo, che avevamo fra le sopracciglia la stessa “V” che si increspava per la collera, per la paura di vivere, per il terrore. Lui la chiamava la “V di Rembrandt”, perché diceva che nel suo autoritratto questo artista si era raffigurato con la stessa “V”. Adesso ti guardo dormire e la “V di Rembrandt” è scomparsa. Adesso non hai più paura. Non stai più in agguato, non sei più preda di cacciatori. La caccia è finita e tu finalmente riposi. Ti guardo ancora e ancora e ancora. Ti conosco bene, in ogni dettaglio. So chi sei e perché sei morta. La tua indole, come si dice. A loro , agli “altri”, io rispondo che l'indole di Romy era la sua indole. Questo è tutto! Lasciatemi in pace. Tu facevi male agli altri perché eri te stessa, compatta e unica. Una ragazzina che divenne una stella molto velocemente, troppo. Da questo provenivamo da una parte i tuoi capricci, i tuoi impeti di collera e le tue bambinate, sempre legittime, certo….ma con conseguenze inimmaginabili. Dall'altra, la tua autorevolezza professionale. Si, una ragazzina che non sapeva bene con cosa stesse giocando, con chi….e perché. E’ in questa contraddizione, e attraverso questa breccia che fanno irruzione la paura e l'infelicità. Quando ci si chiama Romy Schneider e quando si è nel fiore della propria vita e si ha la tua sensibilità e il tuo temperamento. Come si può spiegare chi eri tu e chi siamo noi, i cosiddetti “attori”, come si può far capire che noi, recitando, interpretando, essendo qualcun altro da quello che realmente siamo, impazziamo e ci perdiamo? Come si può far capire la difficoltà, il bisogno di possedere un carattere forte ed equilibrato per riuscire a rimanere in qualche modo in piedi? Ma come possiamo noi, trovare questo equilibrio in questo mondo…..noi, i giocolieri, i clown, i trapezisti da circo ai quali i riflettori indicano la strada dorata? Dicesti una volta “ Non so cosa io debba fare nella mia vita, ma in un film sono in grado di fare tutto”…. no, gli altri non possono capire. Non possono comprendere che più un attore è grande e più diventa inadatto alla vita. Greta Garbo, Marylin, Rita Hayworth…..e tu…. e mentre tu riposi io urlo e piango, piango accanto a te, piango perché questo lavoro schifoso non è un lavoro per una donna. Ed io tutto questo lo so perché l'uomo che io sono è quello che meglio di ogni altro ti ha conosciuta, quello che meglio di ogni altro ti ha capita. Perchè sono anch'io un attore. Eravamo della stessa razza, bambolina, parlavamo la stessa lingua. Non possono capirci loro, gli “altri” …….gli attori si, gli altri no. E’ inspiegabile. E quando si è una donna come te, non possono comprendere che di questo ci si può anche morire. Loro dicono che tu fossi un mito…. si certo, ma il mito non è che una maschera, un riflesso, un apparenza, ma quando viene la sera il mito si dissolve e rimane solo Romy, ancora Romy, soltanto una donna incompresa, maltrattata, maldescritta sulla stampa, indebolita, braccata. E’ nella solitudine che svanisce il mito, succede per paura. E più questo assilla la conoscenza, più si diventa succubi della felicità artificiale dell'alcool e dei tranquillanti. Inizia come un'abitudine, poi diventa regola, alla fine è necessità. Il danno è sempre più irreparabile, e il cuore tace consunto perché è troppo stanco per battere. Questo cuore è stato maltrattato, sballottato, questo cuore che apparteneva ad una donna che la sera si metteva a sedere davanti ad un bicchiere….. Si dice che ad averti ucciso sia stata la disperazione dovuta alla morte di David. No, la gente si sbaglia. Non è stato questo ad ucciderti. La morte di David ti ha solo dato il colpo di grazia. E’ vero che tu hai detto a Laurent, il tuo ultimo e incantevole compagno, le seguenti parole: “Ho l'impressione di essere giunta alla fine del tunnel”, è vero che tu volevi vivere, che tu amavi la vita. Tuttavia è anche vero che hai raggiunto la fine del tunnel nel grigiore di un sabato mattina. E’ vero che tu, poiché il tuo cuore era distrutto, eri l'unica a sapere che la fine che intendevi era proprio quella che poi hai raggiunto. Io ti scrivo a casaccio, senza un ordine preciso. Bambolina mia, così aggressiva, così piena di ferite. Non sei mai riuscita a capire ne ad accettare il ruolo di personaggio pubblico che tu stessa avevi scelto e che amavi. Eri un personaggio pubblico e le grandi implicazioni di questo non le hai mai comprese. Tu hai rifiutato il ruolo e tutti i ruoli che questo lavoro porta con sè. Ti sei sentita assalita, trafitta, violentata nella tua sfera personale. E tu, tu l'hai sempre saputo che il destino ti prendeva con una mano quello che ti dava con l'altra. Abbiamo vissuto insieme più di 5 anni. Tu con me, io con te. Insieme. Poi la vita….quella nostra vita che in fondo non interessava a nessuno, ci ha separati. Ma ci siamo chiamati, spesso, si proprio così, ci siamo dati dei segnali. Alla fine ci fu il film “La piscina”, ci siamo ritrovati con il fine di lavorare insieme. Venni a prenderti in Germania, conobbi David, tuo figlio. Da quel film in poi tu sei mia sorella, io tuo fratello. Fra di noi tutto era chiaro, schietto. Nessun'altra passione. La nostra amicizia risiedeva nel sangue, nella somiglianza e nelle parole. E dopo ci fu nella tua vita ancora infelicità e la paura….la paura…. gli altri diranno: “ che grande attrice!”“ che grande tragedia!”, senza sapere che tu stessa sei quella tragedia quando sei al di fuori del cinema, perché tu sei questo nella vita e lo paghi molto caro. Non capiscono che i drammi della tua vita si riflettono sulla tela, nei tuoi ruoli. Non possono immaginare che tu sei così “brava e geniale” al cinema perchè c'è una tragedia che vivi sulla tua stessa pelle, che sei sconvolgente perché rispecchi i tuoi drammi personali in te. E tu risplendi del loro fuoco che ti brucia. Bambolina mia, questo lavoro così doloroso! Ho vissuto con te oppure solo al tuo fianco? Fino alla morte di David c'era il lavoro a tenerti la testa fuori dall'acqua, poi David se ne è andato e il lavoro non ti è stato più sufficiente. Non mi ha stupito affatto la triste notizia che anche tu ci avevi lasciato. Di cosa avrei dovuto stupirmi? Del tuo non-suicidio, forse. Ma non del tuo cuore distrutto. Mi sono detto: “Eccola, la fine del tunnel!”. Ti guardo mentre dormi. Tuo fratello Wolfie e Laurent entrano nella stanza. Parlo con Wolfie. I nostri ricordi vanno alla mia casa di capagna. Ai doberman che ti facevano così paura. A tante altre storie…. più di 20 anni fa, in Baviera, in un piccolo paesino. Wolfie aveva 14 anni, io 23 e tu 20. Ridemmo molto quando ci fu annunciata la visita del presidente francese del “Romy Schneider fan club”. Vedemmo arrivare una ragazza giovane e slanciata, con un paio di occhiali, carina….. si chiamava Bernardette. Quando tornammo a Parigi la chiamammo. Divenne la nostra segretaria, per sei anni. Lei è ancora la mia segretaria! Ti guardo mentre dormi, solo ieri eri viva e hai detto a Laurent: “Vai a dormire, io vengo fra un po’…. resto ancora con David ad ascoltare musica!” Questo lo hai detto ogni sera. Prima di coricarti volevi rimanere da sola con il ricordo di tuo figlio. Ti sei messa a sedere. Hai preso carta e penna e hai disegnato, per Sarah… disegnavi per la tua piccola figlia, finché non hai avuto dolori al cuore e improvvisamente……… così bella. Bella, ricca, famosa….. di cos'altro avresti avuto bisogno? Di pace, e di un po’ di felicità! Ti guardo mentre dormi. Sono di nuovo solo. Mi dico: tu mi hai amato. io ti ho amata. Io ho fatto di te una francese, una star francese. Si, è per questo che mi sento responsabile. E questa terra che tu hai amato per causa mia, è diventata anche la tua patria. La Francia. Wolfie ha deciso, e anche Laurent ne ha espresso il desiderio, che tu rimanga qui per sempre in suolo francese. A Boissy. Là, dove fra un paio di giorni verrai raggiunta da tuo figlio David. In un piccolo luogo dove hai appena ricevuto le chiavi per la tua casa. Là volevi vivere, vicino a Laurent, vicino a Sarah. Là dormirai per sempre. In Francia. Vicino a noi, vicino a me. Del tuo viaggio fino a Boissy me ne sono occupato io, così da alleggerire Laurent e la tua famiglia. Ma non sarò presente né in chiesa né alla tomba. Wolfie e Laurent mi capiscono. Ti prego di perdonarmi… tu sai che io non avrei potuto in nessun modo proteggerti da questa gente avida, da questa massa di libidinosi, da questo “spettacolo” di cui hai sempre avuto paura. Perdonami. Verrò il giorno successivo e staremo da soli. Bambolina, continuo a guardarti, a guardarti ancora. Con i miei sguardi voglio inghiottirti e dirti ancora che non sei mai stata così bella e così tranquilla. Riposa in pace. Io ci sono. Da te ho imparato un po’ di tedesco. Le parole:“ ich liebe dich”. Ti amo, ti amo, bambolina mia. Alain Fonte:web Lettera d'amore...vero❤️ @petalididonna🌷
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il-contastorie · 5 years
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C’era una volta un re che era ammalato, e più nessuno ormai credeva che potesse vivere ancora. I suoi tre figli, che erano molto addolorati, scesero a piangere nel giardino del castello.
Là incontrarono un vecchio che domandò loro il perché di tanto dolore. Gli raccontarono che il padre era così ammalato che presto sarebbe morto, poiché nulla poteva giovargli.
Il vecchio disse: «Io conosco un rimedio: l’acqua della vita; se la beve, guarirà. Ma è difficile da trovare».
Il maggiore disse: «La troverò».
Andò dal padre ammalato e gli domandò il permesso di andare a cercare l’acqua della vita, poiché solo quella poteva salvarlo.
«No» rispose il re «è troppo pericoloso, piuttosto preferisco morire».
Ma il giovane lo pregò tanto, che alla fine egli acconsentì. In cuor suo però il principe pensava: “Se procuro l’acqua, divento il prediletto ed erediterò il regno”.
Così si mise in cammino e, dopo aver cavalcato per un po’, vide sulla strada un nano che lo chiamò e gli disse: «Dove vai così di fretta?»
«Razza di omiciattolo» disse il principe con fare altezzoso «non hai bisogno di saperlo!»
E proseguì. Ma il nano era andato in collera e gli aveva scagliato una maledizione. Infatti il principe finì in un burrone e più andava avanti, più si stringevano le montagne, e alla fine il sentiero si fece così stretto che egli non poté‚ più avanzare di un passo, né gli era possibile voltare il cavallo o scendere di sella, e restò là imprigionato.
Nel frattempo il padre ammalato lo attendeva, ma egli non tornava mai. Allora il secondo figlio disse: «Andrò io a cercare l’acqua». E pensava tra sé: “Mi sta proprio bene: se mio fratello è morto, il regno tocca a me”.
Il re da principio, non voleva lasciare andare neanche lui, ma finì col cedere. Il principe se ne andò per la stessa strada e incontrò anche lui il nano, che lo fermò e gli chiese: «Dove vai così di fretta?»
«Razza di omiciattolo» disse il principe «non hai bisogno di saperlo!» e, pieno di arroganza, proseguì il suo cammino. Ma il nano lo maledisse e anch’egli finì in un burrone, come l’altro fratello, senza poter andare né avanti né indietro. Questo succede a chi è superbo.
Dato che neanche il secondo figlio tornava, il più giovane volle andare anche lui a cercare l’acqua, e il re dovette lasciarlo andare. Quando incontrò il nano, e questi gli domandò: «Dove vai così di fretta?» egli rispose: «Cerco l’acqua della vita, perché mio padre è ammalato e sta per morire».
«Sai dove trovarla?»
«No» rispose il principe.
«Allora te lo dirò io, poiché ti sei comportato bene con me. Zampilla da una fonte che si trova in un castello incantato; per potervi entrare, ti do una verga di ferro e due pagnottine. Con la verga batti tre volte al portone di ferro del castello, e si spalancherà. All’interno ci sono due leoni con le fauci aperte, ma se tu getti loro il pane si placheranno. Allora corri a prendere l’acqua della vita prima che scocchino le dodici, altrimenti il portone si richiude e tu resti imprigionato».
Il principe lo ringraziò, prese la verga e il pane, andò e trovò tutto quanto proprio come aveva detto il nano. Il portone si spalancò al terzo colpo di verga; dopo avere ammansito i leoni, egli entrò nel castello e giunse in una bella sala: là c’erano dei principi stregati, ed egli tolse loro gli anelli dal dito; poi c’erano anche un pane e una spada ed egli li prese e li portò via. Più avanti trovò una stanza dove c’era una bella fanciulla, che si rallegrò vedendolo, lo baciò e disse che egli l’aveva liberata e doveva avere tutto il suo regno e se fosse tornato entro un anno, avrebbero celebrato le nozze. Poi gli disse dove si trovava la fonte con l’acqua della vita; ma doveva sbrigarsi ad attingerla prima che scoccassero le dodici. 
Proseguì finché giunse in una stanza dove si trovava un bel letto appena fatto; e, siccome era stanco, volle prima riposarsi un po’. Si distese e si addormentò; e quando si svegliò stavano suonando le undici e tre quarti. Allora si alzò in piedi tutto spaventato, corse alla fonte, riempì d’acqua un bicchiere che era lì vicino e si affrettò ad andarsene. Stava uscendo dal portone di ferro che suonavano le dodici; e il portone si chiuse con tanta violenza, che gli portò via un pezzo di calcagno. Ma egli era contento di essere riuscito a prendere l’acqua della vita; si mise in cammino verso casa e passò nuovamente accanto al nano.
Questi, vedendo la spada e il pane, disse: «Hai guadagnato un bel tesoro! Con la spada puoi sconfiggere interi eserciti, e il pane non finisce mai».
Ma il principe non voleva tornare a casa dal padre senza i suoi fratelli, e domandò: «Caro nano, puoi dirmi dove sono i miei due fratelli? Sono andati alla ricerca dell’acqua della vita prima di me, e non hanno più fatto ritorno».
«Sono prigionieri fra due monti» rispose il nano «Li ho stregati in questo modo a causa della loro superbia».
Allora il principe lo supplicò tanto, finché il nano finì col liberarli, ma disse ancora: «Guardati da loro: hanno il cuore malvagio».
Quando giunsero i fratelli, egli si rallegrò e raccontò loro tutto ciò che gli era accaduto: aveva trovato l’acqua della vita e ne aveva riempito un bicchiere; aveva liberato una bella principessa, che lo avrebbe aspettato per un anno, poi sarebbero state celebrate le nozze ed egli avrebbe ottenuto un grande regno.
Poi se ne andarono insieme a cavallo e capitarono in un paese dove c’erano guerra e carestia; il re credeva già di essere condannato a morire nella miseria. Allora il principe andò da lui e gli diede il pane con il quale nutrì e saziò l’intero regno; poi gli diede anche la spada con la quale il re poté abbattere gli eserciti dei suoi nemici e vivere in pace.
Allora il principe riprese il suo pane e la sua spada, e i tre fratelli proseguirono il viaggio. Ma giunsero in altri due paesi dove regnavano guerra e carestia, e il principe diede, ogni volta, al re il suo pane e la sua spada, e così salvò i tre regni.
Poi si imbarcarono su di una nave e presero il largo. Durante il viaggio, i due maggiori parlarono fra loro e dissero: «Il più giovane ha trovato l’acqua della vita, e noi no; così nostro padre gli darà il regno che spetta a noi, e così ci toglierà la nostra fortuna».
Allora pensarono di vendicarsi e si misero d’accordo sul modo di rovinarlo.
Aspettarono che fosse addormentato profondamente e presero l’acqua della vita, vuotandogli il bicchiere e riempiendolo con amara acqua di mare. Quando arrivarono a casa, il più giovane portò il bicchiere al re ammalato, perché bevesse e guarisse. Ma il re aveva appena bevuto un sorso dell’amara acqua di mare, che la sua condizione si aggravò.
E, mentre si lamentava, arrivarono i due fratelli maggiori e accusarono il più giovane dicendo che aveva voluto avvelenare il padre; essi invece gli avevano portato la vera acqua della vita: e gliela porsero.
L’aveva appena assaggiata, che subito egli sentì il suo male sparire, e tornò a essere forte e sano come in gioventù. Poi i due fratelli andarono dal minore, lo derisero e dissero: «Hai trovato l’acqua della vita? La fatica è stata tua, mentre la ricompensa è nostra; avresti dovuto tenere gli occhi aperti: te l’abbiamo presa sul mare, mentre dormivi. Fra un anno uno di noi due si prenderà la tua bella principessa; ma guardati bene dal parlare con il babbo, tanto non ti crederebbe, e se dici una sola parola perderai anche la vita; se taci, invece, ti faremo grazia».
Ma il vecchio re era in collera con il figlio minore, e credeva che avesse cercato di ucciderlo. Perciò radunò la corte e sentenziò che doveva essere ucciso segretamente con un colpo di fucile.
Un giorno il principe partì per la caccia senza sospettare nulla, e il cacciatore del re dovette accompagnarlo. Quando furono soli nel bosco, il cacciatore aveva un’aria così triste che il principe gli disse: «Che hai, mio caro?».
Il cacciatore rispose: «Non posso dirlo, ma devo farlo».
Disse il principe: «Orsù, dimmi cosa c’é; ti perdonerò».
«Ah!» disse il cacciatore «Devo uccidervi: me l’ha ordinato il re!»
Allora il principe si spaventò e disse: «Caro cacciatore, lasciami vivere, io ti do le mie vesti regali, tu, in cambio, dammi il tuo brutto vestito».
Il cacciatore disse: «Lo farò volentieri, non avrei potuto sparare contro di voi».
Allora il cacciatore prese i vestiti del principe, il principe quelli del cacciatore, e si addentrò nel bosco. Dopo qualche tempo, giunsero al vecchio re tre carri carichi d’oro e di pietre preziose per il figlio minore: li mandavano i tre re ai quali il principe aveva prestato il pane per sfamare il popolo e la spada per sconfiggere i nemici.
Il re ne fu addolorato e pensò che suo figlio poteva forse esser stato innocente, e disse ai suoi: «Ah, se fosse ancora vivo! Come mi dispiace di averlo fatto uccidere!».
«Allora ho fatto bene!» disse il cacciatore «Mi è mancato il coraggio di ucciderlo» e raccontò al re com’erano andate le cose.
Il re si rallegrò e fece bandire in tutti i regni che suo figlio poteva tornare e che sarebbe stato il benvenuto. La principessa intanto aveva fatto costruire davanti al suo castello una strada tutta splendente d’oro e aveva detto ai suoi domestici: il cavaliere che l’avesse percorsa tutta diritta verso di lei era il vero sposo, e dovevano lasciarlo entrare; chi invece avesse cavalcato a lato della strada non era quello vero, e non dovevano lasciarlo entrare.
Quando il tempo fu quasi trascorso, il maggiore pensò di affrettarsi e di andare dalla principessa presentandosi come il suo liberatore; così l’avrebbe avuta in moglie e ne avrebbe ottenuto il regno. Partì dunque a cavallo, ma quando giunse davanti al castello e vide la bella strada dorata, pensò: “Sarebbe un peccato, passarci sopra a cavallo!”
Così deviò verso destra e cavalcò a lato della strada. Ma quando arrivò davanti al portone, gli dissero che egli non era il vero sposo e che doveva andarsene.
Poco dopo si mise in viaggio il secondo principe, e quando arrivò alla strada d’oro, e il cavallo ci aveva già messo un piede, pensò: “Sarebbe un peccato, potrebbe rovinarsi!”
Così deviò verso sinistra e cavalcò a lato della strada. Ma quando giunse davanti al portone, gli dissero che egli non era il vero sposo e che doveva andarsene.
Quando l’anno fu trascorso, il terzo principe pensò di lasciare il bosco e di recarsi dall’amata, per dimenticare il suo dolore presso di lei. Perciò si mise in cammino e pensò sempre a lei, e avrebbe già voluto esserci; e la strada d’oro non la vide neanche.
Il suo cavallo ci passò proprio in mezzo; e quando egli arrivò al portone gli aprirono, e la principessa lo accolse con gioia e lo chiamò suo liberatore e signore del regno. Così si celebrarono le nozze con gran gioia.
Dopo le nozze, ella gli raccontò che suo padre lo invitava a recarsi presso di lui e che lo aveva perdonato. Allora egli andò e gli raccontò tutto: che i fratelli lo avevano ingannato e che egli aveva taciuto. Il vecchio re voleva punirli, ma essi si erano messi in mare e avevano preso il largo; e non tornarono mai più.
(Fratelli Grimm)
via Il Contastorie
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6 ottobre 2017 Anche questo mese, per il new book club, un disegno e un racconto. - Mi sto annoiando a morte, posso venire con te? - Disse Giulia - Non sai nemmeno dove sto andando. - Ok dove stai andando? - Sto andando qui al museo a chiedere quali posti storici si possono visitare. - Non c’è bisogno. Sono preparatissima, ci sono Villa Giulia, le Cisterne Romane, il carcere dell’isola di Santo Stefano. Ci pensai un attimo: - Il carcere, voglio vedere il carcere. - Ok ti faccio io da guida, - disse Giulia guardando l’orologio - vieni, corri, c’è una barca che parte alle dieci giù al porto. # La barca ci lasciò al piccolo porto dell’isola di Santo Stefano. Era uno sputo di roccia lavica. Circolare. Del diametro di 500 metri. Ogni lato che riuscivo a vedere, era a picco sul mare. Niente spiaggia. - Vedete quella scalinata? Fatela tutta, in cima ci sarà la guida, - disse l’uomo al timone. Sulla scalinata si bolliva, sentivo il calore della pietra attraversare le suole delle scarpe. Già dopo pochi scalini i rivoli di sudore mi solleticavano la schiena. Giulia era dieci metri più in alto quando si chinò su un cespuglio. Iniziò a gesticolare indicando qualcosa. E così continuai a fingere di non far fatica su per i gradini finché la raggiunsi insieme al gruppo degli ultimi. - Guarda un cardo, - disse Giulia indicando il cespuglio. - E sì, fa caldo, molto caldo, - disse un uomo sulla sessantina mentre ci stava superando. Trattenni le risa a stento. Giulia, dopo qualche singhiozzo convulso, scoppiò a ridere in un modo sconsiderato. Misi una mano sulla sua bocca, ma non servì a niente. Quel uomo mi guardò malissimo. Mi asciugai il sudore. Giulia si tamponò le lacrime con la manica. Colse un fiore. Lo infilò nei miei capelli e disse: - Che bel ragazzo “accardato” che sei, - e riprese a ridere. - Andiamo, guarda che distacco che ci hanno già dato. Adesso quel signore mi guarderà male per tutta la gita. Poi non ho capito perché ha guardato male solo me, - mi lamentai pensando al pezzo di salita che mancava. La guida era lì, nella piazza all’ombra di grandi alberi tra un edificio rettangolare, la dimora del direttore del carcere e l’ingresso del carcere stesso. Sembrava la piazza di un paese abbandonato. Dopo una breve introduzione ricca di cenni storici, la guida ci fece entrare in quel luogo di antiche sofferenze. L’isola era disabitata da tempo. Il carcere era a forma di ferro di cavallo con celle larghe tre passi per quattro passi di lunghezza circa, disposte su tre piani. Se ci fosse stata una finestra sulla parete esterna la vista sarebbe stata incredibile. Invece c’era una sola finestra, sopra la porta, che dava sul cortile interno. Una torre posta in centro al cortile con un unico colpo d’occhio vedeva, in stile grande fratello di Orwell, tutte le celle. In realtà la torre centrale era una chiesa che simboleggiava la redenzione e l’occhio di Dio che tutto vede, ma questa era un’altra storia. Vi racconto uno spaccato di com’era la vita nel carcere nel 1957, otto anni prima che fosse definitivamente chiuso. In quel anno, Stefano di Filippo venne assunto dal ministero di grazia e giustizia come maestro. Arrivò ad ottobre con il “vapore” la barca che collegava Ventotene con Santo Stefano. C’era circa un centinaio di carcerati sull’isola. Tutti “Fine pena mai” una forma poetica per indicare la pena dell’ergastolo. Le lezioni di scuola ai carcerati iniziavano alle 7.30 fino alle 11:00 per poi proseguire nel pomeriggio. Gli appartamenti del Direttore del carcere erano riservati alle famiglie delle guardie. Le guardie scapole utilizzavano alcune celle come camera da letto. Così al nostro maestro diedero una cella vuota. Sua moglie, anche lei maestra, insegnava e viveva a Ventotene. Stefano di Filippo dava lezioni di italiano, matematica, storia e geografia. Gli alunni erano tutte persone con reati che andavano dall’omicidio alla strage. Tra questi vi erano tre componenti della banda Giuliano. Il maestro li notò subito perché erano persone “scafate” (ben istruite). Con il vice di Giuliano, Terranova e Don Pisciotta ci faceva discorsi alti. I detenuti istruiti andavano comunque a scuola per impegnare il loro tempo. Avevano materiale scolastico e giornali. Passavano ore a discutere anche su temi attuali come i russi che in quell’anno andarono in orbita con lo Sputnik 1. In classe c’era una guardia per proteggere il Maestro. Secondo Stefano non era necessario. L’ambiente era tranquillo. I detenuti giravano liberi. Ognuno aveva un compito. C’era chi lavorava nel laboratorio tessile, chi faceva opere di muratura, chi aggiustava scarpe. Altri lavoravano nella casa colonica fuori dal carcere. Coltivavano lenticchie. Per questi lavori ricevevano la “Mercede”: soldi che per buona parte spedivano alle famiglie. Un giorno un uomo della banda Giuliano chiamò la guardia usando un soprannome. Quando il Maestro gli chiese il motivo lui rispose che i carcerati venivano chiamati con un numero e lui li ripagava usando un contranome. Il segretario del direttore era un ergastolano. Tra i suoi compiti c’era quello di ricevere le persone quando il direttore era impegnato. Praticamente era il suo uomo di fiducia. Il direttore stesso lo aveva scelto. Ora vi starete chiedendo cosa ha fatto questo bravo uomo per prendere l’ergastolo. Faceva l’alunno d’ordine delle ferrovie. Una sera decise di scassinare la cassaforte della stazione dei treni e scappare con i soldi. Sfortunatamente il capostazione lo scoprì e lui lo uccise. Durante la permanenza del Maestro non c’erano detenuti politici. Anni prima durante il fascismo il carcere era pieno di uomini dell’opposizione. Antifascisti. Tra questi c’era il politico Settembrini. Il maestro, le guardie e i detenuti mangiavano insieme. Pasta e polvere di piselli o di fave. Secondo il maestro non si mangiava bene. Nemmeno allo spaccio. Le celle erano aperte. I detenuti giravano liberi. I veri carcerati erano le donne delle famiglie delle guardie che per sicurezza rimanevano chiuse in casa. I detenuti non parlavano mai dei reati commessi dagli altri, al massimo parlavano dei propri. Lo facevano quasi per giustificarsi. Quelli della banda Giuliano invece non parlavano mai dei loro reati. Lungo la passeggiata verso il cimitero c’era un’immagine, vicino al muro, detta l’incompiuta. Due detenuti, bravi a dipingere, avevano ottenuto il permesso dal direttore per fare questa opera. Il vero obiettivo era un altro. Dopo poco tempo i due scapparono. Nuotarono fino a Ventotene. Rubarono una barca e furono catturati mentre andavano verso Ischia. Peccato, il dipinto rimase incompiuto. Il cimitero era chiuso ai carcerati. sul cancello c’era la scritta “Qui finisce la giustizia umana, qui comincia la giustizia divina”. A detta del maestro il posto era bello, tranquillo. Ci si stava bene. Dopo tre mesi prese il tifo, lasciò il carcere e il suo incarico. Torniamo alla gita guidata, dopo aver visitato la cella di Sandro Pertini, uscimmo dal carcere per una passeggiata sull’altro versante dell’isola. Arrivammo su un promontorio con una dozzina di tombe, ormai niente più che cumuli di terra con una croce di legno. Mi adagiai su una roccia. Lo sguardo fisso sul mare tra le croci di legno. Giulia si mise a sedere al mio fianco: - che bella vista che c’è. Non mi ero nemmeno accorto di lei. - C’è qualcosa che non va? - Mi disse. - Tutto ok. - Dico sul serio, cosa c’è? - Vuoi veramente conoscere i miei Demoni? Giulia annuì. - Anni fa ho conosciuto questa ragazza Sara. - E com’era questa Sara? - Era incredibile. Una giraffa. Sottile. Agile, capelli lunghi e lisci. Occhi oceano. Non avevo speranza con Sara. Questo, un giorno, mi diede il coraggio di parlarle. Così diventammo amici. Amava i libri. - Tipo? - John Fante, Jerome David Salinger, Charles Bukowski. Passavamo ore a discutere su chi fosse il migliore. Non ne venivamo mai a capo. - Hai fatto anche a lei un ritratto? - Non sapevo ancora disegnare, ma Dio mio quanto avrei voluto fargliene uno. Non ero mai stato a Ventotene. Sono venuto qui con lei la prima volta. Questa è la seconda. Non sai che fatica ho fatto a ritornarci. Giulia cominciò a intuire che la storia non sarebbe finita bene. - Quella è stata anche l’ultima volta che l’ho vista viva. Non le ho mai detto quello che provavo e a volte, come sto facendo adesso, mi chiedo se le cose sarebbero potute andare diversamente. - Io penso che il destino… cazzo dov’è la guida? dove sono gli altri? Vieni corri. - Urlò Giulia Coprimmo a ritroso tutto il sentiero fino al carcere e poi giù per la scalinata che termina al porticciolo. Io arrivai per ultimo. Vidi Giulia sdraiata a pancia in su. La barca non c’era. Cedetti sulle mie ginocchia, cercando di recuperare un po’ di ossigeno, poi mi arresi indietro sulla schiena. Respiravamo tutti e due intensamente. Non c’era il fiato per parlare. Nemmeno per dirsi che eravamo rimasti da soli sull’isola. Restammo lì, per diversi minuti a guardare le nuvole e a respirare. - Secondo me è il signore del “Cardo”, - dissi. - Cosa? - Chiese Giulia. - Sì è stato lui, per vendetta ha detto alla guida di andare che non mancava più nessuno. Giulia cominciò a ridere sotto voce. Cercando di trattenersi. - Cosa ridi, cazzo, siamo probabilmente gli unici due pirla nella storia di questo posto ad aver perso la barca del rientro. - Dissi. La guardai sorpreso. E anche la mia bocca si spalancò. Ridevamo, sempre più forte. Ridevamo e guardavamo le nuvole passare sopra di noi. Sembravamo due folli.
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Rubrica “La rivincita degli ex” - Il filosofo in erba (o in radio)
Conoscete quel detto “I grandi amori fanno giri infiniti ma tornano sempre?” o il più banale “A volte ritornano”? 
Si insomma il senso e’ chiaro, quando si parla di ex, o almeno dei miei, il ritorno e’ pressoché assicurato. Non importa quanto male ti hanno trattato e, di conseguenza, quante scenate isteriche hai fatto tu, alla fine spuntano sempre come se nulla fosse.
A questo giro si e’ fatto risentire un filosofo con cui ero uscita un paio di anni fa. Pensate che nemmeno sapeva che non ero piu a Milano (ti e’ andata male cocco!) e quando, per chiudere la conversazione, gli ho detto in tono cordiale “sa capiti da queste parti batti un colpo” ha pensato bene di autoinvitarsi dicendo “se mi ospiti vengo a trovarti!”. Dai, almeno potresti pagare un albergo e poi chi ti dice che ti voglia in casa, nel mio letto specialmente? 
Questo era un tipo davvero assurdo, forse una delle persone piu strane in cui mi sia imbattuta, a partire dal nostro prima incontro fino alla conclusione e anche poi...  Ci siamo conosciuti sull’autobus, una sera che tornavo a casa dopo una brutta litigata con due amiche - un giorno magari vi racconto cosa e’ accaduto - io seduta e lui in piedi con un piede ingessato. Lui mi ha chiesto dove portasse l’autobus e io, chiaramente, invece di cedergli il posto gli ho domandato cosa fosse successo al suo piede. Abbiamo iniziato a chiaccherare, ci siamo scambiati nome e cognome e nel tornare a casa ho trovato la richiesta di amicizia su Facebook. Lo si potrebbe definire un incontro da libro di Fabio Volo. Da lì abbiamo iniziato a sentirci e a uscire insieme. Al nostro primo appuntamento l’ho sorpreso in mezzo alla strada, con le stampelle, mentre leggeva Ivanov...
Era un ragazzo molto carino, tanto intelligente quanto pieno di se’. Aveva la voce più impostata di quella di un navigatore satellitare (faceva lo speaker in una radio dove passavano solo programmi senza musica) e citava i filosofi per farti i complimenti, del tipo “Che belle mani che hai, Kant sosteneva che le mani fossero lo specchio dell’anima”.... Lo so, detta così fa quasi paura, ma non era male e c’era anche una forte attrazione fisica. 
Peccato che non l’avesse solo per me. Indagando un po’ - ormai ho il radar per i tipi che nascondono segreti - ho scoperto che intratteneva più relazioni allo stesso tempo, con donne e uomini! A quel punto non ce l’ho più fatta: gia’ era complicato uscire insieme - ogni volta mi sembrava di essere a un’interrogazione del liceo - in piu non riuscivo a immaginarmi come una delle tante concubine con cui discorreva in latino mentre si faceva fare qualche servizietto. Ho chiuso i rapporti, nonostante lui mi dicesse che da parte sua non c’erano problema a continuare a frequentarci “Cos’e’ l’amore, perche bisogna etichettare i rapporti per assecondare la societa odierna?” robe di questo tipo...La versione filosofica di un puttaniere insomma. 
Il colpo di grazia lo ha dato una mia ex collega, più grande di me di parecchi anni, alla quale avevo parlato di lui e aveva insistito per vedere le sue foto. Al lavoro mi chiedevano di lui, poiché nessuno si faceva mai i fatti suoi, ma non eravamo ancora in quella fase in cui lo avrei presentato ai colleghi. Una sera mentre mi trovavo in vacanza in Marocco lei lo ha incrociato per strada, lo ha fermato indicandolo e chiamandolo per nome (il suo secondo nome, tra l’altro, che era davvero buffo). Quando (entrambi) mi hanno raccontato la vicenda avrei voluto lanciarmi dal balcone della mia stanza nel riad. Fortuna che lui da bravo filosofo penso l’abbia presa... con filosofia!
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Io persi la mia forza, il mio migliore amico. Tutto il resto lo ricordo come un flash, forse perché ho sempre cercato di dimenticare, come quando hai davanti una scena orribile e per non vederla ti metti le mani davanti agli occhi e inizi ad urlare "la la la". È inutile far finta di non vedere quando l'unico modo per affrontare la situazione è avere il coraggio di guardare. Io sono fatta così, cerco di andare avanti facendo finta di niente. Io le situazioni non le affronto mai per poi ritrovarmici davanti dopo un po' di tempo, dopo che la vita mi avete che non è così che si vive. Ecco perché io perdono, ma non dimentico. Se avessi il coraggio di guardare i problemi in faccia, conoscerli e affrontarli, penso che dimenticherò senza perdonare. Lo vidi un'ultima volta. Dopo quella sera non si fece più sentire, lo riportai a casa e un ultimo bacio. Tutto qui, nessuna parola, nessun gesto. Quella sera il suo silenzio parlò e il mio pianto rispose. Il mio esame di maturità andò benissimo, e volevo farglielo sapere, anche se le mie chiamate le rifiutava e ai miei messaggi non rispondeva. Volevo solo capire il motivo di questo allontanamento improvviso, e pure che nonostante quella notte io riuscii a dare l'esame senza tanti problemi. Era un sabato sera e io sapevo bene dove trovarlo. Andai con tutto l'orgoglio e con tutto il coraggio del mondo, mi armai del mio vestito più bello. Quella sera avrei voluto chiedergli di stare insieme. Ma diciamo che lui aveva altri programmi. Quella sera arrivai nel parcheggio del Club che frequentava con quella compagnia. Lo trovai, è vero. Lo vidi quella sera, ma lo vidi con un'altra. Mi si distrusse un altro pezzo di cuore, come quando avevo visto papà in macchina con una donna diversa dalla sua. In quella macchina vidi una donna che non era sua, sicuramente più bella di me, ma non ero io. Iniziai a piangere e dalla rabbia avrei voluto prendergli la faccia e riempirla di pugni. Non lo feci, ma una seconda volta stavo assistendo a un tradimento senza far nulla per impedirlo. Non mi stava tradendo, non siamo mai stati insieme, ma a lui avevo dato tutto, lo avrei potuto salvare se solo mi avesse dato la possibilità. "Urla Ale, almeno oggi, almeno questa volta, almeno per questo tradimento, urla." Per una volta diedi ragione alla mia testa e a quello che mi stava dicendo. Iniziai ad urlare, sfogandomi di tutta la rabbia che avevo provato un anno intero per lui. È inevitabile dirti che mi sentirono, che scesero dalla macchina e mi trovai Leo con un'altra faccia, con altri occhi, che mi stava guardando indifeso e dispiaciuto. Io continuai ad urlare e ad urlare piangendo, mi stavo strangolando con i miei stessi singhiozzi. Lui cercò di calmarmi vendendomi incontro e abbracciandomi, ma fu peggio perché iniziai a dimenarmi da lui, non avrei più voluto vederlo ne che mi toccasse ancora una volta. "Non provare a toccarmi Leo, non ti toccherai mai più, mi fai schifo, e io che ti stavo dando tutto, guarda come mi ringrazi." "Ale ti posso spiegare..." "Tieni le tue scuse di merda per te e per la tua nuova trovatella, io non ti voglio ascoltare, né ora né mai più. Tu per un anno e più mi hai solamente usata, mi hai illusa. Io ti amavo e stavo facendo di tutto per salvarti, ma tu hai sempre preferito tutti gli altri. Beh ti dico una novità, ora preferisco me a te. Non hai nemmeno le palle di rispondermi solo perché non hai il coraggio di dirmi che dopo che ti droghi preferisci fartela con un'altra piuttosto che con me. Ma hai fatto la scelta giusta, io non ti avrei più permesso di usarmi nonostante questa scena. Lo sapevi che una cosa che non avrei voluto da te era il tradimento, sai la mia storia, conosci il mio dolore e dopo questo devi sentirti ancora più schifoso di prima. Non permetterti più di farti vivo, di abbandonarmi e di chiamarmi solo quando hai bisogno, non sono la tua infermiera o il tuo angelo custode, prova a trovarti un'altra badante che questa ha da trovare la propria strada e posti per gli stronzi non c'è ne sono. L'esame comunque è andato bene, l'ho passato. Continua pure a distruggerti, a far finta di essere ciò che non sei solo per essere accettato dagli altri. Stai prendendo la strada giusta per la morte, bravo. Continua a drogarti, fatti le canne, ubriacati, sballati, fai tutto ciò che vuoi. A me non importa più." Queste furono le ultime parole che gli rivolsi. Lo feci piangere, ma poi mi guardò correre via da lui e non fece niente per seguirmi e fermarmi. L'unica cosa bella è che quella volta mi ascoltò, ma mi prese troppo alla lettera. La cosa che mi fece più male quando affondai la testa nel mio cuscino non era il fatto di averlo perso, ma l'essere stata tradita nuovamente. Da quel giorno è l'incubo più grosso della mia vita. Ecco perché non mi fido più di nessuno, nemmeno più di me stessa. L'infedeltà è sempre dietro l'angolo, per me. "Mi dispiace, non sarebbe compito mio dirtelo, lo so che è da poco che hai iniziato il tuo apprendistato da avvocato e non vorrei che questo rovinasse tutto. Leo è morto ieri notte a casa sua, l'hanno trovato senza vita in salotto, sul tavolo c'era questa per te e delle bottiglie di vodka, e poi va beh... penso che lo sai...mi dispiace Ale, so quello che era successo tra di voi." Un mese dopo quel tradimento ecco il colpo di grazia. Leo era morto di overdose. Non ci sono parole per spiegare il mio dolore, o forse ci sono ma non voglio ricordarle perché mi viene da piangere ancora oggi se penso a quel momento. Quel ragazzo dagli occhi verdi vivaci si era ucciso, e io non cero più e non avevo fatto nulla per impedirglielo. Penso che se fosse stato con me, l'avrei salvato. Iniziai ad odiarmi ma come non avevo mai fatto, L'avevo ucciso io, con la mia indifferenza e quelle brutte parole. Se le meritava, ma sarei dovuta andare oltre al l'orgoglio e perdonarlo. Per una volta. Avevo sempre perdonato tutti. E alla fine cosa era successo? Lui era morto e io non avrei più potuto fare nulla per riportarlo in vita. La sua morte mi spiazzò, mi rese passiva. Quel giorno iniziai a piangere, iniziai ad odiarmi e a maledirmi. Poi venne il funerale, ci andai e vidi tutti i suoi parenti, tutti i suoi "amici". In quei giorni non facevo altro che piangere di nascosto in camera, non uscivo e non andavo nemmeno a lavorare. Ogni tanto vado ancora a visitare la sua tomba. Il suo ricordo sarà sempre con me, e scusa se ti ho detto tutto questo ma non l'ho mai detto a nessuno a parte le mie amiche, e avevo il bisogno di iniziare a non scappare più dalle situazioni, ma imparare ad affrontarle.
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