Tumgik
#come fiori sul ciglio della strada
klimt7 · 1 year
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Oggi, 15 maggio
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Oggi, me lo dedico
Oggi, non ho fretta
Oggi, guardo le nuvole
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I fiori di campo sul ciglio della strada
I campi d'erba alta, che brillano di mille
e mille goccioline, delle pioggie di ieri.
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Oggi, mi dedico il mondo
Oggi non ho fretta
Oggi è il mio compleanno
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Fisso a lungo le nuvole
che vanno dentro il cielo di maggio
e resto in attesa. Le guardo
come se da un momento
all'altro, potessero parlarmi
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Sulle nuvole che passano
poso con cura, mille pensieri
per le persone care
per le persone a cui voglio bene.
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Le nuvole scorrono veloci
cambiano forma, luce, colore
Fanno spazio alla gratitudine
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Oltre le nuvole e i pensieri
è la profondità del cielo,
l'azzurro, il sereno, che mi invade.
Come un profumo
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Oggi no, non ho fretta
Oggi mi dedico il tempo
l'aria di vetro, la luce.
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Tutto questo Nulla
che sa di aria trasparente
di vuoto, di volo.
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E mi sento io.
Semplicemente. Sono.
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oubliettemagazine · 2 years
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Vincitori e finalisti del Contest letterario Come fiori sul ciglio della strada
Vincitori e finalisti del Contest letterario Come fiori sul ciglio della strada
“Alcuni guardano alle antologie come a figli di un Dio minore. Ritengono che non abbiano lo stesso valore di uno scritto pubblicato da un unico autore. Personalmente le ritengo un’occasione di incontro, un modo per proporre diverse vedute e opinioni unite in un unico contenitore.” – dalla prefazione di Miriam Ballerini Contest Come fiori sul ciglio della strada Si è conclusa il 30 settembre 2022,…
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"Sii libera. Questo te lo auguro di cuore.
Non abbatterti se non piaci, se risulti troppo impegnativa, esagerata. Troppo te.
Ti senti diversa. Lo sei. Come ogni cosa unica e rara.
E hai carezze capaci di fermare il tempo,
e poche parole, perché le più grandi si trovano nel silenzio.
Sei semplice come i fiori improbabili che vanno a nascere sempre sul ciglio della strada. Sei tu!
Attenta al cuore.
Mi raccomando, sempre in tasca,
sempre a portata di mano,
anche se trema,
anche se batte forte, anche se per un attimo si ferma.
Piangi, quanto e dove vuoi, come ti pare.
E sappi che la verità non è universale.
Sii certa solo delle tue sensazioni,
della pelle che parla e delle farfalle che si agitano nello stomaco.
Ragiona e agisci senza mai tradire te stessa.
Che dopotutto non sei affatto male."
- Francesca M.
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vefa321 · 4 years
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Sabato...
Ho svegliato il sole stamattina, fuori era buio e silenzioso, l'orologio segnava le sei e poco più...
È tempo che non si dorme, ore rubate al sonno che non si dilunga nelle mie notti sempre più brevi.
All'alba dei miei futuri cinquant'anni, mi chiedo se il letto mi porterà rancore di tutti questi abbandoni prematuri e mattinieri.
Se in quel frangente di ore che si contano sulle dita di una mano avrò goduto del giusto riposo.
Sempre più spesso, nel buio della notte ho lo sguardo perso di chi cerca le stelle in un cielo terso come in un prato senza fiori da cogliere.
Non credo si possa chiamare insonnia, solo la forza d'inerzia del vivere che non cede ore neanche ai sogni.
Allora, nel silenzio di pochi passi, chiudo la porte alle mie spalle e con uno sguardo ammirato lascio compiersi il sonno del resto della casa.
Mentre fuori la luce dei lampioni sfuma il buio in un alone soffuso ed il rumore dei netturbini mietà il silenzio della notte.
Mi avvolgo in un plaid morbido e stranamente caldo, deliberatamente abbandonato sul divano, la sera prima.
In quelli gesti premeditati, ritrovo il senso del mio piccolo spazio di solitudine.
In quella tazzina di caffè appoggiata sulla sediolina verde dei bambini, accanto al divano a mo' di comodino.
In quella scrittura che mi fa compagnia come un amico che ascolta senza interrompere una storia da raccontare.
Tutti i sensi svegli, dal primo al sesto, in questa dimensione a metà tra la luce ed il silenzio, a metà strada tra tramonto ed alba...
Forse una meta raggiunta in un viaggio di chimere sul ciglio della notte, mentre in lontananza il sole fa capolino e archivia così ogni traccia del cuscino, ogni sbadiglio rimasto sulle labbra.
Dopotutto, il giorno si conquista solo dopo avere perso il sonno.
@vefa321
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doppisensi · 4 years
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Trascinato dall'estroso vento dei sogni fuori delle vallate della notte, stavo sul ciglio di una strada, sotto un limpido cielo tutto dorato, in una meravigliosa contrada montana. Senza guardare, percepivo da qualche parte laggiù, dietro di me, la lucentezza, gli spigoli e le sfaccettature dell'immenso mosaico di rupi, i precipizi abbaglianti, lo specchio corrusco di molteplici laghi. La mia anima era in preda a una sensazione di divina policromia, di libertà, di sublime: sapevo di essere in Paradiso. Tuttavia, in questa mia anima terrena permaneva, simile a una fiamma che straziava, un unico pensiero ancora terreno – e con quale gelosia, con quale inflessibilità lo proteggevo da quell'aura di titanica bellezza che mi circondava. Quel pensiero, quella nuda fiamma di tormento erano rivolti alla mia patria sulla terra: scalzo e misero, sul ciglio di una strada montana, attendevo i caritatevoli, luminosi abitanti del Cielo, mentre il vento, quasi il presentimento di un miracolo, scherzava tra i miei capelli, riempiva le gole di un rombo cristallino, e scompigliava le sete fiabesche degli alberi che fiorivano tra i dirupi lungo la strada; steli d'erba slanciati lambivano i tronchi come lingue di fuoco; ampie corolle di fiori si staccavano soavi dai rami lucenti e, come aerei calici traboccanti di luce solare, galleggiavano nell'aria, gonfiando i diafani petali aperti; il loro profumo, dolce e umido, mi ricordava quanto di più bello avessi mai conosciuto nella vita.
Vladimir Nabokov, La parola in “Una bellezza russa e altri racconti”
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alessyamid · 5 years
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La rosa gialla
È la prima volta che i miei genitori mi permettono di lasciar dormire un amico a casa. Ho sempre desiderato fare le chiacchierate notturne per poi ridere come due idioti per cose che di giorno non ci avrebbero suscitato alcun interesse. Non è stata un'idea memorabile, considerando che alla fine siamo riusciti a racimolare tre ore di sonno scarse, ma è stato divertente.
Sono contenta che ci sia lui: andare a scuola è una di quelle attività che mi mette malinconia. Non tanto perché prendo coscienza del luogo in cui sto per giungere, quanto per l'ambiente che si viene a creare in autunno nel tragitto tra casa mia e la fermata dell'autobus: freddo, nebbia e l'ombra della chiesa in lontananza che non aiuta a rendere il tutto meno inquietante.
Usciamo di casa e percorriamo la ripida salita per raggiungere la strada. Quello che lui non sa è che la mattina ho un rituale abituale a cui non posso assolutamente rinunciare.
In effetti non ho pensato al fatto che avrebbe potuto considerarmi strana.
Iniziamo a chiacchierare, anche se in realtà stiamo parlando da quando siamo usciti di casa, però all'improvviso mi ammutolisco e poco dopo mi fermo sul ciglio della strada. Il mio amico mi guarda per un po' prima di chiedermi cosa stessi osservando di così importante da dovermi fermare.
"La rosa"
Gli indico con lo sguardo la pianta di rose gialle appena oltre il bordo della strada. Sono tutte appassite, eccetto una, una piccola rosa morente ed agonizzante che cerca di resistere il più possibile.
"Eh e quindi?"
Dice il mio amico un po' confuso.
"È la mia rosa preferita"
Perviene un attimo di silenzio, lui si guarda intorno e appoggia nuovamente lo sguardo sulla rosa gialla.
"Ma fa schifo, sta morendo, e poi è gialla"
Cerca di indicarmi l'immensità di rose rosse poco lontane da noi. Trasmettono un vigore ineguagliabile.
"Si ma sono tutte uguali, non fanno altro che farsi notare. Questa piccola rosa è diversa e sta combattendo per non morire. Mi chiedo che motivo abbia trovato per continuare a vivere"
L'espressione che ha stampata sul suo volto è una delle cose che mi mette più imbarazzo. Mi sta palesemente dicendo con lo sguardo "ma davvero dici? È una rosa!" però non posso fare a meno di dare vita a quello che mi circonda.
La mia esistenza è buia e morta... Voglio vedere nelle piccole cose vitalità e paragonarle alle persone a cui tengo di più.
Credo che a quel punto lo abbia capito.
Tira un sospiro disperato e si sporge oltre la barriera di protezione della strada. Afferra la rosa e la strappa stando bene attento a non pungersi con le spine.
"Vedi Alessia, lo so che tu in questa rosa ci vedi qualcosa di bello, solo che hai il brutto vizio di osservare le cose solo col cuore. Vedi? Non ha niente di speciale, non vale niente, non vale nemmeno la pena pungersi. Sarà per questo che ti piace tanto, ma poi non lamentarti se ti abbandona."
Butta la rosa sulla strada. Ormai sono in lacrime, ci tenevo tanto.
"Smettila di dare importanza a ciò che per te non avrà mai un vero valore. Ah, e non paragonare i fottuti fiori alle persone che mi arrabbio"
Si precipita ad abbracciarmi. Prende il mio volto tra le sue mani e mi asciuga le lacrime. Appena mi lascia gli do un bacio sulla guancia.
Forse ha ragione, merito di meglio.
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ioleiealaska-blog · 6 years
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14 settembre
La stanza è buia,la tv illumina sono il divano,le finestre aperte con la tapparella abbassata fanno entrare i rumori della strada ..
Sono sdraita coi pantaloncini corti , le gambe attaccate al divano in pelle , la caviglia fasciata ; fa caldo .
Mi sono appena alzata , le lacrime stanno scendendo dagli occhi ancora socchiusi,i capelli sono davvero tanto arruffati .
Non vedo nulla se non le unghie rosse dei pollici ; si scrivo con i due pollici.
In sottofondo la playlist di Spotify “successi italiani “ .
Domani parto,me ne vado , taglio finalmente il filo che mi teneva legata a mantova .
Un filo davvero bastardo .
Un filo che non mi ha mai permesso di essere felice.
Un filo che mi ha sempre riportato al mio passato.
Ho preso coraggio !
Spezzo questo filo !
Si lo spezzo perché adesso sono abbastanza forte da poterlo fare .
Sono felice , lo stomaco però fa male ,le gambe tremano , il cuore batte forte , sento i brividi sulla pelle come se fossi in mezzo ad una tempesta .
Ma se sono felice perché mi accade questo ? Perché tutte le volte che decido di andarmene sto male se sono convinta che andarmene mi farà bene ?
Odio questa città, odio questa casa , odio le persone che abitano qua , odio tutto di mantova .
Le odio perché in realtà le amo .
Ricordate il detto “se c’è l’odio c’è l’amore?!”
Ecco questo è il mio caso .
Ho avuto un’infanzia difficile ,i miei genitori quando avevo 6 anni si sono separati e io non accettavo questa cosa e quindi sono diventata una ragazza molto ribelle ; crescendo sono arrivate le superiori e ho avuto la mia prima relazione .
Quel ragazzo aveva i capelli color castano chiaro, i lineamenti molto definiti , e gli occhi azzurri: mi sono innamorata ho provato le famose farfalle nello stomaco .
Ci ho passatp un anno intero della mia vita e poi è finito tutto.
Ho sofferto tanto tanto ma tanto .
Dopo mesi e mesi però sonò riuscita a capire i miei genitori,mi chiedevo come avrebbero fatto a stare insieme se tutti i giorni provavano il dolore che stavo provando io ?
FINALMENTE CE L HO FATTA ,SONO CRESCIUTA E HO CAPITO I MIEI.
Passarono un paio di anni ed arrivò lei ...
lei si sentiva ma non si vedeva,lei era insistente , era pignola, voleva a tutti costi essere parte di me , non mi lasciava , non riuscivo a capirla , ero convinta di non volerla,ero convinta che l’avrei ignorata ma purtroppo me ne sono innamorata .
Ero convinta che lei mi avrebbe salvato , ero convinta di essere invincibile con lei al mio fianco mi sentivo potente sentivo che finalmente sarei stata accettata .
Abbiamo passato 2 anni insieme senza che nessuno scoprisse il nostro amore .
Pensavo di avercela fatta a nasconderla a tutti ma mi sbagliavo.
Ricordate il proverbio“le mamme sanno sempre tutto su di voi prima che voi ve ne accorgiate “?
Ecco la mia ci aveva scoperte !
Ci portò in gita quel giorno .
Arrivammo , mi fermai ; c’era una lunga salita ad S , alla mia destra avevo un parco molto grosso fatto a cerchio ⭕️ ,era molto curato , non c’era un ciuffo d’erba fuori posto ,due panchine molto vecchie,con il legno che scricchiolava,i fiori ,i pini,gli ulivi. Alla mia sinistra invece c’era un muretto ,sarà stato alto circa 1 metro , al di la del muretto c’era un pezzo di terra privata piena di ulivi .
Beh mamma la gita ci sta piacendo.
Proseguiamo verso un edificio molto grosso collegato da un ponte ad una mega villa di 4 piani !
Saliamo le scale , le porte scorrevoli si aprono ;siamo nell altrio .
Lei inizia ad infastidirsi mentre mia madre mi stringe la mano .
Percoriammo un lungo corridoio azzurro e diforonte a noi c’è una donna sul ciglio di una porta .
Questa donna è bionda , alta circa 1 metro e 65 , porta gli occhiali sotto gli occhiali è molto truccata,una linea molto marcata di eye-liner e una altrettanto marcata di matita sotto l’occhio.
Si presenta .
Passiamo un ora e mezza insieme .
Mi saluta e mi dice :” ci vediamo presto”.
Ecco in quell istante lei si faceva sentire era arrabbiata sembrava gridasse , dicva che io l avevo tradita che le avevo promesso che saremmo state insieme tutta la vita .
Aveva ragione ,io l ho tradita ,ma non la volevo più con me e da sola non riuscivo a mandarla via .
Ci impiegai molto molto tempo a scacciarla via , e tutt ora a volte si fa sentire .
Per questo ho deciso che è ora di partire e allontanarmi dedinitivamente da lei .
Perché solo partendo riuscirò a dimenticarla del tutto .
D’altronde ragazzi sappiamo tutti che quando passi tanto tempo con una persona in alcuni luoghi poi è difficile stare in quei posti senza di lei/lui.
Quindi si parto e la lascio qui .
Padova sarà la mia nuova città,sarà la città che mi ridarà tutta la felicità che mantova mi ha tolto .
Mi mancheranno alcune persone che ci sono sempre state , i VERI AMICI ,non mi mancheranno i conoscenti , mi mancheranno i miei nonni i miei genitori ma sono fiera di essere riuscita a prendere questa decisione.
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piermarino-scoccia · 3 years
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Il muscolo maiuscolo
 C a r d i o m a s t u r b a z i o n i   in   a g r o d o l c e
  Il concetto di realtà parallela Un continuo ritorno per me Specialmente in questi ultimi tempi In ogni scatto Non cerco tanto il corpo l’oggetto Quanto la scia di energia che esso lascia L’intenzione Il divenire Da agnostico bipolare Cerco Dio in ogni click Trovando solo l’effetto del suo passaggio Un turbinio di foglie La danza della realtà   Reflexplore
     Sette capitoli indossa l’uomo nel giorno del suo esimo genetliaco
la luna gocciola giù dalla finestra del cesso
Cessa di battere il suo cuore
di lui medesimo
 Il bicchiere mezzo vuoto
è già vuoto da tempo
è già vuoto del tempo
tanto che
si sono formate delle melliflue
scagliformi
onomatopeiche profusioni frangiflutti
dette anche fiori di muffa
 Nessuno guarda le sue azioni invisibili
Invivibili simboli di genuflessa prece
un falò copre la visuale
nessuno starebbe a guardare ugualmente lo stesso
poiché a nessuno frega niente
di quello che lui sta facendo
lui sé stesso medesimo
chiaro
 La stanza ha un colore furbetto
Perspicace
Marpione
Ma anche ottuso volendo
Violento
di quelli che s’arrampicano su pei muri
su su fino al piancito
dove Dario
l’illuminatore a tempo
dondola da più parti
da più tempo
da solo
da nord a sud
da est a west
non riusce a fare su e giù
ma si sta addestrando
perché in ogni caso
tale meccanismo
è importante
non si sa perché
funzioni nel migliore dei mondi
 Naturalmente il soffitto è bianco
Bianco con sfumature di patatine fritte
ben dorate
fulve quasi
profumate
con fragranza di reazione
vomitevoli a stomaco pieno
 qualche chiazza color ruggine di Checiap Santamerica
l’unica marca commerciabile
introvabile
invendibile
si allarga da decenni
agli angoli ormai scomparsi della casa
due sciuscabap molto pelosi
reggono una pila di libri
gialletti
di colore
recanti benessere
a una delle ultime
piccole comunità di bacteri procarioti
nonché
semplicemente
schifosi muffi repelli
 Una sedia impagliata vicino al camino
sintonizzato su Fahrenheit 451
che trasmette musica da cammino
e countryjazz
testimonia un certo attaccamento alle vecchie antiche saghe
di necessità virtù
Un’altra sedia imburrata
più latte e marmellata varia
avaria
vicino a un tavolino
impagliato anch’ello
ma più impacciato
più goffo
più timido
unto e bisunto di sudori effimeri
e lanzichenecchi in putrefazione
 Lo chiamano Otto
poiché cammina rasente i muri quatto quatto
Otto non ha ricordi
non ha storie di cui vantarsi
non ha progetti
Non ha visioni mistiche
né televisioni
né visualizzazioni propedeutiche
né proposte
neanche supposte
supposizioni
e presunzioni
manco l’ombra
ombrelli però ne ha
più o meno
da pioggia
possibilmente
 Passato presente futuro
mescolati in una caraffa di vetro spento
smunto
ogni qualche ne brinda un centellino
schiacciando acni gravidi ad un orologio impazzito
e pisolini di primo pelo all’ombra di un gigalbero fiorito di funghi
facendo stramazzare batter d'occhi purulenti dentro la caraffa di cristallo esangue
L’organo prensile di un Dio ignoto e ignorato impasta assiduamente le frattaglie del cerebro
Quelle di lui medesimo ovviamente
in cerca di chissà
cosa dove quando perché
come
A volte lambisce il filo buono
A volte cagiona più condanni di quanti già ne sono
Troppe genti all'interno dell’involucro rivestito di zazzere
troppa ressa
troppo viavai
S’è bevuto il cervello e ora bighella per gli ambienti barcollando
Ondeggiando
Ormeggiando a volte
Oscillando
Ciondolando
senza propositi
Ne cosa dare
Ne cosa essere
Ma neanche cosa non essere
Dormire sognare morire et cetera
Batuffoli di primavera soverchiano la sua visione
il vento effervescente dell’autunno lo infervora nell’anima
indossa l’inverno sul muscolo cardiaco
L’estate è distante
In un baleno di stasi apparente riprende a scrivere
Scrive di oblunghe lunazioni lattee
di torreggianti protuberanti papaveri sonnolenti
sotto i quali prospera una spezia battezzata Gattacicova
di origini russie per parte di mamme
che
assunta per via anale non genera alcun risultato
per via orale lo stesso
a parte una tenue circonvoluzione ambientale al basso ventre
e prolissità conclamata al ventre di sopra
con collegamenti sporadici alla mansarda
circondata di neurotrasmissioni a camme
e pallottole di sogni a salve
ciao
dice con l’apertura orale
e In un bagliore di lucidità s’accorge di avere sbagliato strada
L’angusta via era sgualcita
Offuscata avariata
Spenta sparita
persa chissà
Cerca
Cerca nelle nebbie di sciampagna di mezzanotte
in vetuste strade perdute
in altre strade già buttate via
nei recinti invalicabili del pensare
nei caselli autostradali di fine inverno
nei guardaroba della coscienza
dove marciscono scheletri di parole osteoporotiche
usate
riusate
usate male
mai usate
La trova infine
Forse
in un cestino immonditico di Via Pappareale
appollaiata sopra un’ampolla d’olive amare d’enucleate ascolane
d'accordo con una confezione sfinita ma quasi integra di Pampers gustolungo
con sintonizzatore cerebrale
che subito toglie di mezzo il bugiardino
per deficienza d’istruzioni
 Ora i suoi piedi sono paghi
le papille estasiate
la sua mente sale
Saporita saliva scende
lungo le lunghe vie del respiro
conducendo per mano una minuta cicca
americana d’origine
che per un ciglio non lo strozza
Dietro lo spigolo lo attende un tartagliante a piedi nudi
con rivoltella in palmo lo intimorisce di vita o borsa
Lui si sgomenta sbigottendo
come un corbezzolo annaffiatato in una sera di luglio
Caccia un urlo che neanche Tarzan in groenlandese
la gomma spruzza sul volto livido del tartaglione
unitamente alla saliva che ora scende
comodamente
sul muso dello stesso
questo
con una sequenza di bizzarri agiti isterici a buon mercato
mirando l’indice latra
Ma ma ma ma ma
Al che lo tronca l’altro
dovresti dire ta ta ta ta
ma tu non hai un mitra
quindi devi dire
pa pa pa pa
E comunque mio caro
la filosofia di un criminale non si misura dalla potenza di vampa
bensì
dall’alveare che ha sotto lo squarciapatate
Il secondo lo scruta tentennante
poi non lo scruta più
esplode un colpo a casaccio che trafigge lo sfigato in piena evoluzione mascellare
poi dice
Pa virgola pa virgola pa punto
Si gira senza prendergli nulla
fuorché un pendaglio portasfiga che l’individuo tiene agganciato all’orecchia sinistrorsa
e un paio d’occhiali a pescemorto effigiati a mano sul baratro del naso
 Il mattino è agli estremi dei vigori tra il bene e il male
In lontananza un vermiglio prato conquista il tono dell’ambra bagnata
poi della giada
e infine della giogaia lì dietro a nordest
nuance imprecisata
stoppia e beton o giudilì
 La folla affolla le strade già di mattina presto
Signore adipose e cappellute chiacchierano bitorzoluti discorsi
conquistando un bar vicino al Café De La Cruà
ai piedi calzature di cocco affumicato con gore d’oro sommario
per la pipì
Addosso sdraiati manti d’amianto
privi di calore
e fardelli di cazzidaltri sui pendii delle groppe
La nottata avanzata avevano dormito nulla
per questo farfugliano furenti paranoiche filippiche all’incrocio dei pali
 Più tardi è notte
ma con riserva
La conserva si difende bene
i nerbi sono saldati al pene con fibre di stagno
alluminio e corame potenziato al limone
catturato fresco nel Mar dei Ragassi
con peluria di pube alla lenza
Stringati e scuoiati vivi
le parole masticate con bonton
il quale verrà poi sputacchiato da più parti e disidratato al sole di mezzanotte
Il giorno dopo
verso le dieci di quel mondo afoso
la grafia è grave
vuota
famelica
infiacchita
perplessa
rivestita d’ustioni
dentro il pantalone principale del principale
qualcheduno attende pingue lo sbarco dei milleccinque
mentre alza le gonne per manifestare la gioventù bruciata
Sentire sente
guardare guarda
il vino però viene male coerentemente lo stesso poiché nel tino
di primo mattino
sono precipitati per quiproquo un punto e una virgola
che imbrattano il dolce miele d’ambiguità assordanti
precoci inflorazioni
sgradevoli straripamenti di gusto
instillano uno stanco imbarazzante pudore
a guardar bene
inoltre
un effluvio stagnante libra all’inverso del capoverso
svenendo i controllori linfopapillari
 A volte penso non abbia senso cercarne uno
Dichiara il modulatore di frequenza
che poi svanisce nell’etere assediato da cento microfoni con ali di c’era
Quando da terra non si vede altro che un puntino fugace
sprangano i ponti radianti
il dicastero della sfiga benvolente dichiara aperta la cerimonia di guerra
Intervengono numerosi
essenzialmente tutti
alcuni svengono
altri aiutano a svenire
certuni vengono ma non volevano venire
La stanza è piena di gruppi sparsi
qui e là
suppergiù
Zingari rapaci
scuoiano con gli incisivi anteriori
vecchi e rincitrulliti luoghi comuni del cazzo
intercalando con parole nuove
vecchie liquefazioni emotive
del cazzo
cechi ubriachi tracannano a tastoni slovacchi ustionanti liquami
e come fradici barboni beoni
zuzzurellano verso l’ultime pagine d’uno strano dicasi dizionario di lingua mamma
eschimesi abbronzati voltano canti saltalenanti a quattrocchi
con organi prensili tostati e fessure per la posta celere
dallo sfintere del corridoio annuale arrivano di filato
indiani damerica e indiani dindia
indiani di Napoli e di Caserta
Un gruppo di marijuani incalliti passeggia strade perverse in cima ad assopiti pensieri
Matrone incastrate, vivide, purulente, squallide matrone invernali
Appollaiano pensieri involontariamente anali percuotendo a vanvera
Illuminanti pentole minestroidee al farro di ceci anarchici
e prensilmente magichi
Asdrubale coi suoi maiali è appollaiato sopra un trespolo aureo
una cartapecora di banano nell’altra mano
è da un po’ che riposa su quel soffice divano che ancora in molti si ostinano a chiamare vita
Annibale coi suoi cinghiali di montagna
quelli con più gusto
discendono a perdifiato giù per la calata
scapicollandosi a ogni piè sospinto per non sembrar pupazzi del presepe
Quando all’incirca appaiono alla metà
scambiano per praticità i cinghiali con voluminosi africanti animali dagli uditi a ventola
e raffreddore pererre
detti topofanti.
Un topofante cinque cinghiali di montagna
quelli con più gusto
Recandomi di sprazzo al lato dello spiazzo
vedo Matusalemme che si conta le emme e riattacca le penne
dopo uno scontro frontale col sultano del bidè
che intima stupidi boicotti agli ultradizionali traditori della plebe dal pube pepato
mangiando alici peperonate al dentice con scroscio di limone dorato
Quando in fine ci sono tutti
tutti chiacchierano del più a scapito del meno
allorquando giungono alla frutta il caffè è servito immanente
conpocozuccheromiraccomando
Rimestando ben bene
due chicchere al giorno
dopo i sogni di mezzanotte
prima dei pasti ai propri posti
stesi a due a due sul lettino di Froid
Tanto per cambiare
 Non tutto finisce quì
una gatta arancione valica la strada
ma di questo pronunceremo in qualche altro incubo
ora dobbiamo pensare a scappare sul serio
fuggire di brutto tutto il giorno
non dobbiamo fare altro che dileguarci
Annibale finge di sfringuellare le passere scrutando gli stormi
ma con sua enorme sorpresa divenne presto un cercaprugne tediato
eccedente di incremento fecale con milza diroccata
dente perdente e fegato a credito
Quando sì risolleva
non rimembro quando cadde
ma sono sicuro lo giuro
che in qualche modo si rialza
ha vigorose dolenze in tutto il versante destro della letizia di esistere
Un parafulmine è precipitato addosso a un tuono e non si sente niente bene
ma lui è un principe nella sua stola di piduino ed è il primo delle classi
micacassi
Il secondo è Coppo Gimondo detto Merchkxs
a causa dei suoi lunghi sguardi a sfaldamento ancestrale
epperò i compagni più stretti lo denominano affettuosamente Sfegamonti Cipriano
generato di lunga era
con vista all'incirca e un capello sul labbro anteriore
che la madre gli acconcia continuamente
prima di salpare per la consueta lezione di polluzione notturna
Il terzo non c’è mai pertanto non lo racconterò
So soltanto che porta due ingombranti orecchini al posto dei testicoli
sono i telai sostiene lui
è sopravvissuto solo ciò
Vaccascrofa
a forza di fioretti al bambin Paradiso
Zè per gli amici
Il lividore sul suo volto è ormai sgonfio
la sera del giudizio universitario c’è anche Apollonio battezzato dai più Versaccio
il gran mastro della loggia di Fiordimonte
Fa tre capriole con le mani e una senza piedi
di modo che la gente intorno non capisce più il dritto e il capovolto
Dalla mente di Versaccio colano verdi sapori dalle sembianze rapaci
sta notte piange a colori
quando si sveglia di soppiatto
Le forme s’appiattiscono poco dopo il crepuscolo
espressioni limitate poco convinte
sclerotizzate senza senso
In fondo che senso ha scavare nelle fosse del soffice bigio
tappare buchi con forsechissàperò
Onde naturalmente provare che l’esistenza di Dio esiste
Naturology etology scentology di varia natura ci provano
nei secoli dei secoli amenchenonsidica
un videogioco di fanfaluche buone per perdenti di tempo
principio immateriale denti e affini
Gravidi foruncoli esplodono all’ora di pranzo quando nessuno se l’aspetta
Quando
A me non capita mai
quando
Allupoallupo
Risolvere è facile
Forse
basta poco
basta spegnere il tivì e continuare a mangiare
Le scarpe sono piene di merda in quest’ora di merda
fino ai piedi
Il dotato di sacralità sputacchia parole a gettone dall’altare sopra la porta
l’altare che occlude l’accesso
non ha templi da perdere santinumi
I circoncisi sprangano la fabbrica di altari-atari a metaprezzo
n’aprono una di speranze affumicate in società col signore dell’anello
Bianco da ogni parte
Non c’è più spazio
terminato lo spazio
E a merenda mangeremo cavoli amari
Gli speziali bandiscono un banchetto per il capretto
milioni di cannoni riscaldano le pietose pietanze
qualcuno grida giù nelle stanze della primavera
Bastaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
Poi tutto si liquefà
tutto è scarlatto
poi merda
poi cinereo
poi forse
Stilano la lista dei vaffanculo dopo il rancio delle seiettrenta
mentre il resto della folla parla in silenzio
folate di vento trascinano via il silenzio della folla che parla in silenzio
Qualcheduno ascolta addirittura
Magdala deterge coi regina il volto del crocifero prima del rimpatrio dei mestrui di fine millennio
il pane azzimo in un angolo
zitto zitto
quatto quatto
sempre otto
La Sachertorta atterra di soppiatto
scaraventando il pane con prestanza dalla parte opposta della calca stanza
Con un diniego perverso acquerellato sul volto
abbozza una dimezzata locuzione
State bene al caldo quando sapete di poter invocare il consueto qualunque Iddio
perché ci siete incappati in mezzo
L’alterco si fa bislacco
soverchiando l’ammasso un wafer napoletano ingigantito sul falsopiano
scaraventa il suo muco nell’intelligenza in alto
verso il firmamento
e rivolto al dotato apostrofa
Scarabocchia la tua verità sulla carta nettaculo
io lo farò con la mia
Dal versante della montagna dove qualcuno sta discorrendo
discende ansimante uno stronzo di mosca a cavallo di una cacca di vacca
che a mani giunte supplica
Per favore
vi scongiuro
NON PROSPERATEMI SULLE SFERE TESTICOLARI
Letteraminuscola afferra il balzo alla palla che si ferma a mezz’aria
abbandonando quell’altra dimezzata a vituperanti spazio-testosteroni
per la divulgazione psicodinamica a fermentazione naturale
Naturale un cazzo
Sente la sua voce gridare
La sua voce di lui medesimo ovviamente
Ovviamente un cazzo
Replica
senza accorgersi di star parlando da sé
Stesso luogo stessa ora centoventitre anni dopo
è seduto sopra un peto che da anni lo sorregge e sostiene nei lavoretti domestici
Fa di tutto
eccetto l’aspirapolvere
si rende conto tuttavia ogni giorno
che sedere incessantemente sopra un peto sia una posizione alquanto soffice
ma decisamente poco pratica
poiché i peti non hanno un piano stabile
sarebbe come adagiarsi sopra una bolla di sapone
ma un po’ più resistente
La sua voce è identica a quella di altri
il suo organo del gusto sfiora l’ansia della caparbietà
mentre sfiorisce il suo organo riproduttivo
esili lampi
fulgori postumi schiariscono il bianco dei suoi oculi
 I fari anteriori non sono mai secchi
qualcuno li conduce di nascosto al travaso del sole
da questo lindo mondo a quell’altra metà di là
L’ipotenusa regge bene
sebbene
le configurazioni siderali di quella notte sembrano ricondurre agli albori del borsellino esaurito
quando i cateti smettono la fantasia e girano
girano
girano
girano
basta
Le parvenze mestruali sono sem’inumate da transiti di cilicio granulare
ortogonale al ciliegio di Diego Walles
l’estremo cesellatore della crosta terrestre rimasto
vivente a tutt’oggi sul pianeta Ekatonchiri
o viceversa
 Ekatonchiri
l’entità dalle cento energie
ricordi?
Non mi rammendo
Sostiene il paltò del sarto
masticando giugulari vuotate di plasma all’amatriciana
dette altresì bucatini
 In ufficio non s’accorgono di nulla
su al milionesimo livello del grattacielo perenne
o per G non so
Chissà se fingono di non vedere
La cupola ora è spenta e nessuno si sogna di dormire
Chissà per quanto tempo ancora la corte si appellerà al novantunesimo emendamento
Chissà se ancora il fumo uscirà dalle sue maiuscole
Il prepuzio gestisce l’incombenza in forma effimera e non ci sono più cipolle
Etimologicamente la visione onirica è perfetta
Sintesi di stralunati pensieri
principiano finalmente a venir fuori da quel bizzarro forno a microonde
il suo scatolo cranico
timida mente
svogliata mente
assopita mente
fagocitando ancestrali spazioperdite
Casual mente perversa
Seduto sulla tazza della colazione
i suoi pensieri guerreggiano con la puzza di merda che sovrasta la stanza
quasi tangibile
La sera prima ha ingerito cibo
Punto
Gli arcani del delirio coerente aleggiano impolverando
Offuscando
Opacizzando
coagulando linfa vitale
mancando dalla nascita tenta di fermarsi
poi cambiando idea guizza di lato come un vettore maldestro raschiando i pianciti
vuole assassinare la morte cantando messa alle sei di mattino per Via del Vino
parallela a Via del Tino ma con più virgole
All'esterno le giovenche ammaestrate puzzano di miglio lontano un chilometro e seicento
La notte seguente il sole cola a picco dentro nelle tazze della mariuana
la pozione maliarda
in fondo in fondo scende piano
per fecondare i pensieri ne bastan due calici
calici belli
belli colmi
colmi e roventi
da svenire o venire a piacere
Peccato però purtroppo che l’ora del mattino è tarda la sera di notte sul far dell’alba
Prima dell’apertura delle soglie del solstizio di zia Naftalina
che non ha più cicli da qualche millennio
Da tempi non riesce più a cuocere quegli amabili ambigui sughetti
al sapore di pomodori notturni e ricotte maliarde
peperoncini mistici all’ombra dei salici
mistificati masticati sputati mescolati alla salsa rossa
sugo alieno
intingolo marziale
Che aspetto
che solletico allo stomaco
che rilassante putiferio delle membra
affamate di potenza mediterranea
un piatto di pastasciutta coi suoi sughi
Per quanto
se sia seduzione per uno stomaco vuoto
o a volte di una mente carica di vuoti cicli e ricicli che circondano la giornata di un individuo
non saprei dire
ma il piatto è lì pieno di pappa invitante
rosso assordante
profumo di vero
Non sa come riempire il tempo rimasto tra le penne e i rigatoni
Ci pensa su un bel po' poi opta
Spaghetti
Alla chitarra
Armonia per le papille in un amore immenso di Rosso Piceno d’annato
Volendo potrebbe aggiungere una candela
magari rossa
forse anche profumata
per sottolineare la sua passione e soddisfare la sua buona volontà
ma riesaminando l’apparecchio
considera che c’è effettivamente tutto
la misamplas è perfetta così com’è
la candela potrebbe essere un po’ troppo
così la vede
Aspetta da un’ora che giunga l’ora dell’incontro
Al termine del tavolo
addosso a una grattugia
un bel gran pezzo di arrapante Parmigiano
iddio lo accolga nell’eden
attende di fioccare prima o poi
addosso a rigagnoli di fumiganti vermicelli
Il vino
c’è anche lui
un po’ più in là
un po’ a metà
mezzo pieno per l’ottimismo
rosso senza virgole e puntini
impetuoso al gusto
morbido al muscolo cardiaco
inebriante al pensiero
antico remoto arcaico polveroso
appena migrato dalla vecchia dispensa muffosa
tutto procede per un verso qualunque
ma nessuno ancora bussa all’uscio
ha disposto anche dei fiori
Nello spigolo destro della tovaglia a fiori
la candela no
è troppo
davvero
La pignatta si lamenta che quando uno scrive deve tacere altrimenti la digestione accade apatica
Il Maieutico si scrolla di dosso la pipì
suo fratello il boia del villaggio glie la fa sempre sotto il naso
ma lui è buono lui
sostiene tutti lui
è continuamente là con lo schioppo mirato
accorto ad ogni moto
mosso da pura inventiva
immagini accidentali
Suo fratello attende fuori
Tormentati del fatto che altri possano parlare ingiustamente del loro operato
serrano i rubinetti della mente
non ricordo quando li dischiusero
ma li chiudono
sicuro
lo assicuro
Arcani scivolano dalla mensa sacra in basso
verso la cripta del santo
Il maieutico del dopopranzo diviene Cicero
e asseconda un ammasso di labirinti stipandoli nella valigia cranica
la più adulta che ha portato
raggiungendo peraltro uno splendido intrigante senso di libertà intrinseca
Senza pudore percarità
libertà che a benguardare non ha il più grande degli scopi del mondo
solo futilità di vita e avversione da forze avulse al suo intento
La poesia è in ogni caso autobiografica?
Gli domanda il coltivatore di datteri
che nella bella stagione trasporta il frumento a falcidiare negli elevati pasci di montagna
Quello che è avvenuto dopo
nel corso del collasso degli elementi
a casa di Vanni
il taumaturgo piscione
dove si fronteggiano per una festicciola esclusiva:
la Teresina
la zia Naftalina
il Maieutico e suo fratello il Boia del paese
che attende fuori in compagnia del dotato di sacralità
Titti la cacona
Lettera Minuscola
il paltò del sarto
che ancora sgranocchia giugulari amatriciane
Coppo Gimondo detto Mrckhss
la Sachertorta accompagnata dal Wafer napoletano
che l’abbraccia folle
A un certo punto la virgola incespica sulla Teresina
che non si sveste mai due volte con lo stesso uomo
stramazzando sulla moquette rossa della stanza dei pensieri strani
e da lì tutto precipita
il maieutico raccoglie mozziconi disattivati dal sacco di plastica cupa che ha in mano
non è dato sapere perché lo ha in mano
poi comincia a disseminarle sulla stessa moquette rosso fiamma di cui sopra
quella della stanza dei pensieri strani
Questo da tanto fastidio alla sposa del Taumaturgo Piscione che
preso uno zucchero a velo per la coda dall’ambiente sterile del cesso
lo scaglia addosso agli sposi primaticci
che però non sono giunti ancora
ma farebbero sensaltro in tempo a riceverlo in faccia
poiché non c’è vento
Nel quintunque del batter d'occhio Titti
la cacona
esala strani concetti che evocano tutta la flatulenza dell’essere
poi
senza scomporsi
la fa lì
sul consueto tappeto rosso nella stanza dei pensieri strani
già zeppo di mozziconi estinti lanciati dal maieutico
intanto che suo fratello temporeggia fuori
Rintanati nel posticipio passato dei sensi
Letteraminuscola con in groppa il paltò del sarto piscia nell’occhio destro a Coppo Gimondo
detto Merckhss
per una sveltina urinoterapica di gruppo
dicasi Orgiasta-bombasta
Punto
La notte è precipitata giù dal letto da quindici secondi virgolasette
Sachertorta ha deciso di psicoatomizzare per via orale la Teresina
che più tardi respingerà in calciodangolo
Non c’è più niente da fare
la serata si colloca male
la mattinata sarebbe in modo peggiore
Nell’angolo catodico Zia Naftalina cessa di sognare Eta-Beta
i miti si stanno squagliando a bagno-Maria intanto che Jesubaby
denominato all’epoca Cicciotom
dissolve le preghiere in un cucchiaino d’argento
Punto
all'esterno in giardino
il Bestiale raccatta ogni natale per l’imminente venturo minimale
a tergo assume strane pose di libidine universale
innanzi sviluppa languidi e facinorosi cazzotti a dissuadere ogni tentazione evolutiva
lui resta comunque tenacemente lì
appeso all’ultimo centesimo
economizzando apnee e divincolandosi dagli ultimi nodi in gola
 Rincasando a casa trettrenta del mattino
stanza della camera a dondolo
mentre il coma s’aggira per la casa
perpetuando strani malesseri al lezzo d’orgasmi retrivi
Oscar la lavattrice
comincia a strimpellare con sguaiata svenevolezza arie degli anni tali
questa cosa rimanda in belva la consorte del taumaturgo piscione
Il giorno dopo
La sfuriata
 Masturbazioni cerebro-spinali scortate dalle proprie particelle cromosomiche
o da chi in quel momento ne avrebbe fatto le veci
bussano cazzutamente al portone dell’edificio scolastico
la targa spicca aurea
I.C.A…Istituto di Corruzione Antropologica
il custode dischiude rasentando la tragedia
getta secchielli d’umorismo a buon mercato
dalla finestra del piano sovrastante a quello centrale
quello con le virgolette per capirci
è gennaio trascorso da quindici minuti puntuali
perintenderci
dietro le quinte sembra tutta un’altra storia
L’esimio s’avverte che il regista del sovrano ha dimenticato di dimenticarsi il copione a casa
sono obbligati a girare il film
Prima scena
interno notte
mezzobusto trequarti di uno sfintere encefalico in putrefazione
Seconda ed ultima scena
esterno notte americana
primo piano
il culo va in paradiso
la merda no
 Dopo il film
per cent’anni a venire non avrebbe cucinato più
si ciba come capita
random
nella fattispecie
di vermi Malthusiani
criceti di Betlemme
asinelli del Peloponneso
rivestimenti in madreperla
appetitose esplorazioni sgonfiate
qualificate anche come sgonfiotti
fluttuofobie delle focacce
combinazioni meschine di mediocrità ben ponderata
per dessert
ali di fegato di foca obesa con testicoli devitaminizzati
Piccoli capricci importati da lontani passi
chi viene al mondo sperando
chi ha il rodaggio pronto
 Il fondotinta lo sveglia di colpo dal suo sonno impossibile
Perdio
Sbraita rauco
e si girò dall’altra puttana
quella soprassale gorgogliando
Porcavacca
La libertà è un dolce un po’ melenso che quando lo mangi svanisce sotto i denti
bello da studiare punto
Lui non comprende l’ultima frase e s’addorme daccapo
Lei frustrata si chiede quali ingredienti sono essenziali ma non n’è sicura
A volte ora finge spesso
manco coi grandi sentimenti può mascherare la sua maschera
Spesso cerca dei falò
altrettanto sovente recupera solo cerini disattivati
adoperati da altri per infiammare i loro falò
sigarette
sogni
 Introspector volteggia col suo vascello sui piani elevati
li avvista
accovacciati sulla stessa ampiezza di flusso
la stessa banda di frequenza
Così sembra osservando attraverso i cristalli nebulosi del primo mattino
In un’altra stanza
al piano di sopra
in una vasca da bagno
biancheggiantemente immane fluttua il volto di una bambola
La nave sussulta
per un vuoto di reminiscenza si trova all'imprevisto nelle veglie viscerali di un genetliaco matto
Qualcuno ha versato tutto in un grande calice e s’appresta a bere
Ruggini
pietà
viltà
sinonimi
contrari
astenuti
epidermidi
dischiusi boccioli di mente
ha bevuto
comunica da solo
è sbronzo
il sole si sta pettinando
Il giorno dopo di buon’ora sarebbero sopravvissuti tutti i defunti
Insetticidi spray per insignificanti significati
 Andante mosso spiritoso con brio e sorrisetto finale
 Un piatto di partiture tracima in testa al primo della lista
che tirando di naso si getta dal primo ponte dove Caronte
l’evoluzionista
sta sostituendo uno pneumatico trafugato forato al mercato
Non c’è adipe per gatti
Strepita il Caro Caronte dal naso paonazzo smorzandosi una paglia in un globo oculare
Non passerete dall’altra parte solo per feeling
Replica il primo della lista dei favoriti
Vedrò il muso della morte cazzo
dovessi metterci tutta la vita
 Mentre continua a marciare piano colla melma fino ai ginocchi
S’accorge che i suoi organi tattili sono diventati pasta di carbonio cristallizzato
il suo seme ha vaghi riferimenti erotici
di volata travolge quanto gli si para d’avanti
sul teschio ha un copricapo da marinaio ottomano
Genuflessa gli corre dietro per tutta la patria d’Ade
una sola cosa vuole da lui
lo scrigno d’anime posticce che trasporta nascosto sotto il mantello
trafugata per scarse monete al mercato di Fiordifragola molte epoche prima
Fluiscono gli anni i mesi i minuti i secondi la frutta il dolce il caffè
dona il suo scrigno di anime posticce al primo che capita
e s’imbarca sopra un vascello di papaveri rossi dove incontra un Dio privato
Hatù di nome
Vuole eclissarsi dall’impetuosità della madre
lei è in tutte le cose
non può farne a meno
non ne può più
gli ruba i segreti trasformandoli in minareti
si affanna a masturbargli la mente quando può farlo tranquillamente da solo
Vuole eliminarla
Sopprimere la madre non è di grande efficacia è sconveniente e cagiona sentimenti di mancanza
Gli dice il Dio nella sua opulenza
Devi rimuovere l’astrazione che hai della madre
Perché il concetto che hai della madre è obsoleto ombelicale e luttuoso
M’Hatù che cazzo ne sai
Reagisce lui nel pieno senso della sua dignità
Non ama essere inculcato per non dover sentirsi dire dalla madre che lo è
è tardi a quell’ora tarda
è fresco di giornata l’uomo appena scolpito
Né più piaceri schiaffeggiano le sue membra
né più gementi e piangenti battono al suo uscio orifizi-anali-peli-compresi
a domandar cagione di una smarrita ragione espettorar sentenze dall’alto di altari a quattro zampe
Parte per un molteplice orgasmo a quattro testine
niente lo frena più
fuorché il visuccio pallido che spunta al bagliore della luna dalla finestra mezza aperta
dalla finestra mezza schiusa
Lui scruta
lei sfuma la luce per non farsi identificare
Buca l’ultima gomma rimasta
Dopo qualche mese
nove o giudilì
sprizzerà un giuoco d’h2o
Furor natale bestiolitico
rosso fuoco il manto
oro di maggio l’encefalo
Distinguibile dalla invetriata che attornia il suo angusto teschio
Ecco io sono
Mormora
Ecco sono nato
Esulta
Non bastano più tempi profani
Il puledro scalcia di già
 Comandante vuotate il torace
Prima dell’alba qualcuno volteggerà sulle proprie utopie
Dice il luogotenente Beccaceli
Il comandante Anton Mauro Fitti Paldi ha le lame affilate
ma non vede il lunghicoltelli dagli occhi blu arrampicarsi sulla la collina alle sue spalle
Il cucù limitrofo alla boccia della linfa al limone marca già primavera e un quarto
è tardi
Troppo tardi
Le facciate del lunario volano via capo dopo capo dopo capo
A capo
Quattro colline più in là
il popolo perverso s’accapiglia sparando nel mucchio
per un miserevole brandello di soffritto atomico
Il rapporto del Generale Quartarulli detto Sanbecco decanta
Prima che la legge non ammetta ignoranza
bisogna abbattere gl’ignoranti che fanno la legge
  Nella piazza a pecoroni sciamano le folle
con le eliche sulle palle d’amianto color pelle di daino
 conservare in luogo asciutto e ventilato scadenza a breve termine
 La maschera gli sta a pennello ma non entra nel fardello
 L’unica trasgressione possibile oggi è quella che ieri era considerata normalità
 ha dei braccialetti ai piedi e alle mani
 Che l’autunno delle stagioni corrisponda a quello della vita?
 I braccialetti ai piedi sono color pioggiadorata
anche l’odore è quello
forse sono i piedi ad essere quelli ma per quanto quelli potrebbero essere loro
loro non lo verranno mai a saperlo
 Perché profumino d’incenso questo ancora non lo s’è capito
s’è capito invece perché non si sono recati alla celebrazione di Calatafimi il vetusto
che quel dio d’inverno compisce ventunsecoli venticinquecentesimi restomancia
Acquavite a catinelle piove per questo non sono andati
Batteranno il marciapiede per alcuni giorni
 Quando il culo è basso gli uccelli volano raso
 Sguardi indiscreti scrutano da dietro i massi di plastica
occhi importuni di vecchi piceni semi assorbiti dal manto stradale
 I gradini del palco ancora imbratti di sangue
tre secoli e mezzo dopo nessuno è più andato a quel paese
Un parco dei passatempi
sipario sul teatro del terrore
La ruota panoramica ruota apatica
unico cliente non pagante il vento che zompa da un posto all’altro
facendo oscillare le stridenti rugginose altalene
carta straccia nei viottoli del parco della luna
Un quotidiano letto tempo fa
la foto risalta tra le colonne
senza capelli senza cappello
il naso d’aquila
un neo sulla punta centrale del pensare
Ricardo Fiordileone se ne va rosicchiando un osso del secolo precedente
i peli del corpo incespicati nel tempo
pure quelli del pube
finanche il pube
 Barbablù frattanto
seduto sul il suo stesso pensiero
mangia una sigaretta
quelle pesanti
col retrocorpo innestato da fuliggine cinerea
Globi di cristallo cacati dall’azzurro conforme alle norme
Dietro la porta
un grigio azzurrato si tiene i fianchi stretti dalla risata
Dietro i seggi delle maiuscole nessuno finge più
 La roccia è rovente
miserabili formiche danno il sangue per un miserabile avanzo di pane
l’Aria greve entra fin dentro nelle più profonde viscere degli esseri senza tessere
Quando capiamo d’aver smarrito Erode
abbiamo già percorso cento metri umani dall’immenso salone del grande scheletro di roccia
Le cinque bobine scomparse si trovano
secondo le tavole
nella cabina del signor Mastrovadapiano della Vecchia
discendente d’antenato
nato prima che lui lo sapesse
postnato in assenza del timbro postale
dopo
e un assegno posdato in arrivo da Uoscinton da parte di un ecclesiale apostoloide apostolato
dalla missione terracquea di San Penino il Glande
Il sibilo s’è fatto violento non possiamo tornare indietro
Dalla grande crepa ci accorgiamo che il sole fuori è alto
dai muri cola una sostanza viscida color cocacola
è cocacola
fugge al tatto
nelle palme non rimane che pulviscolo
quasi niente
poche lacrime di fosco pulviscolo
il sapore però è eccellente
urlano
viva la passera
prima che li arrestino al posto d’assedio di nome Ubaldo
un posto elevato e massiccio di nome Ubaldo
ma questo l’ho già palesato
Procedendo ad altro mi accorgo che in quel dunque nevica
a tempo smarrito ma nevica
quando arriva d’oltralpe Antombucchi Palese
Passeo per i compagni poiché ha gli occhi a Fiordipanna
un paese lì limitrofo
Molte volte fa fatica a sollevare le patate
il quadrupede infecondo gli da una mano con la coda
ogni tanto
quando gli tira il deretano
il mulo parla una lingua bislacca
a scuola è stato un somaro
fabbrica ciarle senza senso
quando pronuncia gli discendono i cucchiaini sulle i
Passeo si conduce a quattr’occhi
con un bimbo gatton gattoni che strimpella il piano a quattro mani
con un pianista dalla lingua biforcuta
l’equazione è facile
agguanta un equino
fa la sottrazione
ciò che resta lo mangierà il giorno dopo a colazione
che tanto poi alle sette e un quattro sarebbe arrivato Balaustro
il lucidatore di lumache da corsa
ha conquistato cinque trofei d’orate
sei chiocce tedesche in do diesis perché fanno kokkoddoi
una galla austropiteca incazzata che avrebbe potuto fare kokkoddio
ma si trattiene per rispetto dei pulcini che sono pii
molto pii
pii pii
Il totale fa diesis
Dopo tutti questi premi conseguiti si ostina ad allenare ancora le sue lumache
ma alle corse ormai arriva sempre tardi
finisce tardi e di solito non pulisce il vate
i versi imputridiscono sotto il carico del suo ponderoso e affardellato culo del cazzo
Punto
e a capo
 Atroci perversioni aspettano all’estremità d’ipotenuse
incapaci di mantenere equilibri con la qu di qualsivoglia incombenza
Il dubbio si scaglia come saetta
Due esemplari dello stesso tomo?
Un libro per tutti i destrieri assetati di cultura?
Coltura forse
menzione o minzione per ovomaltinici frutti squamosi e bituminosi d’oltremanica
e se non si capisse l’antifona?
non è che l’abbia capita molto neanche io
di manicomici sconquassati bimbi che in età adulta mangeranno ancora col cucchiaio dell’incoerenza
 Riusciremmmo poi a riguardar le belle con tante elle giornate assolate di ottobre o giudilì
e potremmo anche tener loro compagnia
mentre cacche lesse dal sole leggono la messa della novena incatenata
abbreviata all’esigenza per insufficienza di ore
di fronte al santuario della Vergine Allucinogena
Per le vie sfilano vecchie crisalidi
Cariatidi incotennate
incatenate d’avorio mani e piedi
le accompagnano a discreta distanza
un Bianco Socadò con le sue organze ascensionali a velare papule purulente
succulente leccornie iniziatiche
un tecnotubo a scanning laterale
messaggero di massmediologici messaggi
peripatetiche persuasioni e avanguardie mistiche
un giallo rossiccio e un giallo giallastro
uno stupro affumicato con gagliardi perpendicoli al seguito
due verruche Zoppas
venti efelidi indie
quattro rex gloria mundi
una mondina col cappello in bocca
in compagnia di una suora che sorride sempre intitolata Suor riso
altre mondine con in bocca altre cose indefinibili indefinite ma belle turgide
cento mondane colla veste da puttane
una puttana colle scarpe a transizione extrauterina
venti levatrici
venti posatrici
un ventilatore alato al lato del corteo a sventolar le gonne matrilinee
5 trentilatori appesi al ciglio della musica per raffreddare i gelati allo scoglio
Che i tritardi si sono trasportati da soli dalle lontane montagne del Gozzo Vico
Poi ci sono
un goliardo che spilluzzica liquerizie liquefatte appollaiato sulla riva di un biliardo prosciugato
quattro mosche di velluto frigido a tergo
che avendo sentito l’esalazione del liquepardo
spingono ansanti di vanagloria e malcelato orgoglio
gorgoglianti di fragranza stantia e vecchi elisir spaccabudella
Completano il corto corteo
un soprano e la sua sottana a braccetto per le vie del suburbio
un miliardario
due biliardari
tre triliardari
quattro del quadrifonico rimasti senza pittore per gli artigli
Ormeggiate al suolo con una nappa di ghirlande ci sono
sette cosce di formica affumicate
una persiana a gambe aperte
la cacca di mosca a cavallo della cacca di vacca
recante al guinzaglio un foxterrone del nord
all’uscita della strada vicino al fiordo centrale del paese attendeno
un filisteo
un samaritano colla sua pochette imbottita di melensa bontà del Cazzo
un monte sopra Pechino chiamato così per la sua strana forma vaginale
insieme a un barracuda a tariffi lacerati
e me
giochiamo a unduettre stella mentre Aldo Buchi ostenta la favella
 Tincastro mincastri dinchiostro timpiastri titingidinero però non è vero
Dice il signor egregio dottor sindaco di Guastamelata alla fine della sfilata
Il signor egregio dottor sindaco è un granduomo
proprio così
di grossa levatura morale
Proprio così
di grande gesso acqua fredda e sanguimbocca
proprio così cazzo
in parole miserrime un baccala
o qualdirsivoglia stoccafisso
duetti di lonza uno di mortadella e una fettina di parmigiano bentesomiraccomando
 F  l  a s  h  b  a  c  k
 Sono le ore tredici del tredicesimo millennio dopo Maicbonjour
Dice il venditore viandante
Serve niente signora tettona?
solo un chilo di burro per questa sera
dice la signora tettona
sa io e il mio sposo celebriamo proprio oggi l’estremo tango a Parigi
Fa freddo quell’estate
in tintoria i cappotti non sono pronti e non sappiamo di che spogliarci
Grazie per l’appetito
dice il commesso viaggiatore
tale Petito Alonso,
per gli amici stronso
per la moglie ruffiano di prima fila
La verità è inversamente proporzionale alla ricchezza
Risponde la signora tettona
Che cazzo c’entra
Stucca l’Alonso sbattendo il chilo sul banco di servizio
 C  o m  e  b a  c  k
 L’intima capacita di respirazione a volte toglie la brama di sanare i patonzi
facendo sì che ometti di modesta entità essenziale cadaverino al suolo
ammarando cordialmente sul campari delle seiettrenta
Il sindaco è un uomo vendicattivo
propriocosì
Ma è un uomo anche molto cattolico
questo fa sì che appaia al popolo come un hombre vendicattolico del tipo Occhioperocchiosessantaquacchio
 Porta canestri per via degli incesti
parallela a via dell’Arca puttana quella della ricerca perduta
altrove ingoiata persa sparita
Lo chiamano Sottovoce
colla testa bassa a sfiorar le sue pantofole da pedemontano
pedestre sultano che alle tre di mattina mangia il divano per Via dell’insonnia
parallela a Via della Madonna Parallela
Improbabilmente saluterà il nuovo anno con un piatto di rigatoni
nella sua casa all’estremo piano della sfera celeste
al piano di sotto invece
una donna svergina un pollo appena comprato pensando in cordis sia una polla
Al piano laterale al mio
quello con le persiane a forma di cuoricini sudafricani
un’attempata signora di tredici anni sta allestendo un pasto formale a mo’ di pitale
e lo dà in pasto al commensale di turno
sperando in quorsuo che l’agriturismo di turno non sia chiuso per turno
 Ben inteso
io non ho verità da dare ai torchiati dalla vita
ma qualcosa posso ben fare
per esempio
cucinare favelle alle tre di mattina per mettere in scena la cena del delitto perfetto
oppure
dire a Babbonatale che si è cresciuti e desiderare castighi maturi
sparare la befana dalla canna del camino usando lo stesso carbone che ci ha portato in dono
e non ultimo
stropicciare i fantasmi nelle notti destate all’improvviso
che ti fanno trasudare sotto le lenzuola senza sapere il perché
Chi c’era in fondo al campo lo so solo io
so solo altro che non dormii quella notte fino alle sei di mattina
In seguito per distrarmi giocai a malasorte per trent’anni col buco del diavolo
che non lavava mai
che puzza perdio
 Il giorno della crocefissione cerco invano un’insalata al dente
condita d’aceto
per imbalsamare i circuiti indifesi della memoria
Quanto zucchero ci vorrà per fare una banana?
Nessuno può impedire
nessuno può sapere
anche perché nessuno è presente in quel dunque
quindi nessuno fa
ma cavalcando il flutto del verosimile aiuto mi ritrovo nel vestibolo del mio encefalo
quando lo strizza mi chiama dicendo
Caro signore lei è sano come un pesce malato d’ulcera pluriglicemica
con puerilità semi defogliante incompleta di semafori acustici
e feritoie per gli spari al nemico
Alche mi schernisco poiché il viso gli brilla ancora di tenerezza immacolata
e aspettando Ernesto Psichevara mi scavo la fossa
quella nella quale collocherò in seguito dodici uova di airone deflorato
 L  E     U  O  V A     S  I     S C  H  I U  D  O N  O
 Un’incursione di panico con imboscata mi prende alla gola
imperlato e imbibito di sudore artico rimango immobile di paralisi fissità
Certe mie utopie
quasi tutte
cadono in disuso
il terrore scala di gradi la mia febbre massiccia in tesi non dubiti
Non so più scrivere il mio nome
nemmeno al contrario
neppure il cognome
Non vivo
non scolo bottiglie
non ascolto l’arte dei suoni
non confeziono più barbe simulate
non ingozzo siringhe
non stornello più la cantica d’Ernesto
non manovro più pistille sparnanzate
non faccio feci
Stipsi pianificate a tavolino usurpano di dolci e ariose fragranze le mie stanze del mezzodì
Nomi svariati solcano un ponte nel lontano marasma denominato Mammata
schivano pietre e bufali fuori dalle rotaie
ardendo adagio
qualcuno chiama
altri non risponde
l’epilogo è garantito
il principio non si sa
 Ernesto soggiorna in una bolla di spuma da peli
i suoi pensieri sono eccellenti smaglianti geniali
ma purtroppo per lui non pensa mai
all’interno della sua bolla ha tutto
tutto ciò di cui si può aver bisogno
anche qualcosa di cui non si dovrebbe aver bisogno
anche qualcosa in cui scaricare il bisogno
insomma ha di tutto tutto
una brocca d’acqua vuota
una spiga di grano tenero vuota
una pelliccia di baccalà
un cesto di vittime illese dalla sua crudele comicità
vuota ormai anch’essa
ultimo
uno scrivano fiorentino senza peli sulla lingua
Nella bocca di Ernesto vige sempre il coprifuoco
un sapore stagnante
amaro
da secoli ha invaso anche la sede del giudizio universale
che ancora deve spuntare e fa un boia male
un sapore amaro come di shampoo e balsamo al duepercento e ha paura degli aghi
Nella sua casa nulla è spigoloso
niente di tagliente
niente di piccante
tutto ha forme tonde
tutto è liscio tranne la sua faccia da cacciatore di caciotte
per questo non dorme mai in casa
s’appollaia sul suo ottovolante privato arrapato a destra del piano montano
col pertugio anale cinguettante al di fuori di certezze primordiali
è come se flirtasse col destino
tutto quello che gli capita è fuori rigo con falsa riga di sudorazione
cancella tutti i ritratti di sfacelo che ha immagazzinati nel file biologico
divulgando insani fastidi prorompe in insoliti ritmi tribali
tirando fuori la lingua per cercare di bere all’amara fonte della realità
Il militare sta facendo di tutto per liberarsi della bella
senza soddisfazione suona il flauto tutta la notte
cercando invano delittuosi pertugi stellari
per lui in questo momento di vitale memento
 La voce del gracchiofono suona sommaria a quest’ora tarda
Il crepuscolo ha inebriato di rosso i cadaverici palazzi in miflex della periferia
dove non sono ancora arrivati i proiettori mentali di notificazione
Non servirebbero in ogni caso
poiché da quelle parti ancora non esistono gl’installati
i riceventi
gli integrati
In quei vicoli
in quei cunicoli di bianchi giganti mattoni
vivono disarmati i fuggiaschi
la feccia
lì vive chi per il grande sistema non è degno della libertà civile
la prigione della città
la mensa delle epoche
dove si nutre la storia e caca la memoria
ridicoli senzatetto apprendono i postumi dell’infinito nel bagno del padrone pieno di lavandini
sfiorando pollici di basso volume
Austeri degustatori portatili di parvenze miserrime
polifosfati ingigantiti dal gusto apostrofino di stilettate performazioni ipnotiche
Anche qui la primavera assume aspetti da conquistatrice
Barbara strumentazione microsomoidale dettata da ulteriori sgravi psichici
stretti in parallasse con circoncentrici tipi maschi a sfondo parasessuale pluriconcentrato
su masmediologici ammassi di plutomarmellata cosmica
con sintesi bilaterale obliqua e yonizzazione parafrasante
Per degustare tale rarità di misfatti si dovrebbe tornare all’età della sfinge paralitica
tra le virgolette piantare dei semi di puntevvirgola
poi stirare il tutto a centocinquanta gradi superiori alla scala Richter
Ma
Purtroppo
lo sfintere cosmico è costellato di Asdrubali saltalenanti con mitigazione infinitiva a visualità totale
spero tanto che un giorno mi farai infine il caffè come piace a me
 Come dico io
come dicevo una volta tanto tempo orsono
tale spinta di generosità ambigua a fissazione pluriennale è
a volte
non sempre
quasi spesso
spesso sempre orsù
ovvia avvolte delle volte infondo infondo
sintomo di fissità planimetrale con sconvolgimento misurato
ma sempre al dente
 Certo che aspettare Godò alle cinque di mattina
con l’aria che puzza di spettri e una sistemazione della faccenda cosiddetta alla bellemmeglio
Se non altro per quei pochi caratteri di lucidità
che a volte rimangono a chi fa surf sott’acqua a quell’ora di mattina presto
Mi dispiace baby
non c’è tempo per la favola di mezzanotte
 E pensare che a volte mi chiedo anche
Quando torniamo al punto di partenza che ho perso da tempo il cammino?
Nessuno mi risponde mai
Forse perché cromosomi scansafatiche somatizzano tinte nuance degradè
balbuziando in me come melliflui saltapasti della domenica nella riviera delle palle
Lui pensa che niente al mondo lo farebbe smettere di pensare
che nient’altra qualunque quintessenza
quantunque quel quale quantitativo quorum di braghe vergini gli farebbe cambiare idea
E così prende la palla al balzo
comincia a menar fendenti alla vita che si dirama in mille congiunture improbabili
Impossibili ma accettabili
Accettabili ma con riserva
Che il caso voglia non sfruttare a corto sospiro vacanze proibite appese alle palle di fine millennio?
La pialla non scava una fossa si sa
ma il cibo fonte di strane strategie mondiali è strategicamente stato mangiato tutto
tutto da poche bocche abituate a cibarsi col culo
Col senno di poi
Cade la fiducia come neve
è finita
È la morte lenta della vita
 Il miracolo invece avviene
quella sera stessa al declino della luna alle falde del monte Profumo
Lui scende giù rotolando
mentre rotola rolla una sigaretta al rosmarino
Nessuno ha voglia di fare il tè
Quindi bussano alla porta tre imperatori che rifilano gratis effluvi
Cantici
Salmi
Inni
Laudi
Stornelli solenni
Putrefazioni a buon mercato moralmente alterato
liquami
marciumi
fradiciumi
malcostumi ed altri marchi e mutazioni allegoriche
tutto gratis
Nessuno vuole comprare qualcosa e li mandano a cacare
Ma poi i dubbi rimangono ugualmente lo stesso
come fare?
Dove guardare?
Chi espletare ai propri orifizi?
 Siffatto quadrilatero è fuor di misura stretto
mi va ponderoso l’elmetto
Esclama Ernesto Psichevara al simposio del sultano Doutdes
con lieve cardiopalmo
Nessuno ha bubbole da menzionare
nessuno le racconta
Ernesto apre intero il cervello
scopre nell'interno tutto il potere
ne lascia un po’ per sé
divide il resto tra i comandanti di plotone
La via è tremenda
nessuno si nasconde ormai più
Il vino seda i pensieri
l’aceto insaporisce gli arcani
nel Perù nel frattempo si viaggia a testa in giù
ma qualcuno comprende
il trucco è tutto nell’orgoglio
Ernesto discende allora ai piani inferi per una colazione di lavoro col bel Zebù
lo riceve con tutti gli ossequi nella grande aula dei caminetti smorzi refrigeri
che si colloca tra il girone degli oberati e quello degli immutabili
poi traslocherà
Sprofondati su abbondanti capezzali capezzoli di peti con merletti marroni
serviti da anime posticce griffate
U.S.A. & Jet
Il bel Zebù è cariatteriorizato dai suoi cariatterioristici mustacchi rettilinei
i suoi altrettanto occhi rizzati da moicano astruso
orecchie sempre e comunque scaltre
e manco a farlo deliberatamente
capelli invasati da una forma languida di uniformità apostolica
sintattica e melodrammatica
Ernesto non sa più che fare
insieme hanno debellato il maldimondo
Utilizzando pasticche di condensato lunare
ma i lunatici
inappagati
cigolano agli angoli nel corso dei tornei intercontinentali di calcestruzzo
un gioco giocato in velocità due piani più sopra nel girone dei koglioni kolla kappa
Per quanto tempo ancora ci dovremo contentare soltanto delle medaglie al dolore?
Per quanto tempo dovremo continuare a vincere all’ombra delle grandi locuste cicerchiate?
L’ansietà coglie Ernesto tra capo e collo
senza meraviglia si cala le braghe e si mette a stuprare l’orologio da polso che Belzy ha in mano
senza provare peraltro alcun tipo di contraccambio ambientale
dicasi Triciclaggio
Perfetto
Grida dall’alto dell’alveare l’ape regina madre scopennandosi il re-padre di due bei pargoli coronati
poi mostra una foto e dichiara
Queste sono le mie perversioni
stipare nello stipetto vicino agli altarini bleu
Dalla vetrata del cranio s’intravede la sua voglia di vita
greve e melanconica
colare giù dagli occhi pitturata d’avorio
Ad un tratto nell’aula dei caminetti la temperatura aumenta
questo non impedisce di certo a Psichevara di bruciare le tappe
ha in testa sempre lo stesso motivo fisico-musico-lisergico d’acquisto in Messico di sottogamba
S’alza di scatto
allaccia la patta e urla allontanandosi dal Bel Zebù
Arriverò per te fino all’orlo del tempo
Scavalcherò l’orizzonte degli eventi
Pescherò reflussi gastrici convenienti
Grazie
Urla ridendo l’altro
facendolo sparire in effluvi d’incenso allo zolfo di raganelle che usa solo nelle grandi occasioni
 è tutto così veloce atroce
la piana della foce riflette oro zecchino
I lupi seguono il primordiale odore
Un neutro a quattro zampe beve acqua sorgente a zampilli dall’antica fonte delle illusioni
Le pietre levigate dal tempo non rispondono più a tutte le domande
genuflettono atroci vandali allo scemare del vecchio mondo
il primordio odore da uno squarcio a carne viva
regalo delle pingui genti che scottano carne umana prima delle battaglie
per procurare carne umana da mangiare prima delle battaglie per procurarla
huuff!
 Ernesto si ferma di colpo
la luce del mondo illumina la notte
al confine fra cielo e terra negli ultimi bagliori del giorno si scorge il profilo del naso di Caronte
leggendario traghettatore di capre e cavoli di cui questi ultimi solo a merenda
impresso da immensa mano sul massiccio che sovrasta la piana
Lui è forte
ha l’arma
Nel Pleistocenatomangio è il più forte lui
ha l’arma
ancora
Mille Jene su di lui s’avventano frignando all’unisono
ma lui è il più forte
L’arma è un visore a raggi obliqui
L’arma stordisce gli utenti colpendoli nei punti encefalici del corpo
L’antico miraggio della pianura fisso là nei secoli
come pietra scavata nella roccia
le immagini della grande battaglia
Dopo
roso il naso di genti imperturbabili
improbabili marasquen genuflessi
prostrati-odiati all’ombra dell’onda torcono viscere bevendone la linfa
Chi paga la cena?
 Suoni infami stordiscono il cerebro
non è più lì
non sa dov’è
non sa perché
Ernesto s’alza dalle nebbie
attraversa sbadato psicosomatismi infetti d’innominabili oblii
mentre pusillanimi malfamati usurpano e devastano strade prelibate
apparecchiate per l’ultimo banchetto d’inverno
Qualcuno deplora i rotti piatti sporchi
Piatti in meno da lavare
Gridò Miranda dal girone degli indaffarati
 Fiumi di parole
Invocazioni
Imprecazioni
Maledizioni
Invettive
tutto è adulterato senza limiti di prefisso
Sconvolgenti pronomi migrano a nord verso borghi tristi
fatiscenti teatri di agghiaccianti sodomie con veterani porci della parafrasi
 Alcuni inzuppano nel piatto dove sta mangiando il corto renudo
rivestendolo a satollamento per il futuro giorno dell’amara realtà
 Perversi migratori riappaiono dal sud e investono in fondi di caffè
per ripiombare subito dopo in un sonno profondo già durato millenni
e millenni sarebbe durato ancora senza rubare tempo ai preti delle corti
 Ernesto sbaglia tutti i quesiti stradali
ma si prenderà la rivincita il giorno del suo ennesimo compleanno
Ernesto sbaglia tutti i quesiti primordiali e da oggi non si fermerà più
 Prodotti chimici
è scritto sul pacchetto
Fuma ingordamente
Magnifico
Splendido
Intrigante
indossa un abito di melliflua seta
sfrega tre volte la lampada
ne esce fuori uno sciocco elemento di scarsa entità
intenzionalmente perverso
La storia poteva anche concludersi qualche paragrafo prima
ma lui non folle di eventi eclissati continuerà per anni a tracciare il suo nonsenso
Finisce di riscaldare il piatto di cipolle alla fragola donatogli il giorno prima da un pensiero maldestro
sì nutre dei suoi effluvi
Antichi e fiacchi maestri allettati dai primigeni puzzi marciano alle porte del suo benessere
alcuni corazzati di sacrificale deismo
altri nudi
fino allo spasmo
Il freddo ghiaccia la brama di ammazzare
 Suoni tribali inondano la vuota stanza
nessuno sogna più
forse è un bene o forse un male doveroso
c’è negazione nell’aria
troppa
superflua
oltre la misura
 Una catasta di pagine è sospesa all’albero della pastasciutta
I peli del naso arcuano tutti verso levante
dove il sole ha appeso ad asciugare le nuvole
Le tre anime aspettano da anni questo tempo
Novant’anni durante i quali annose solitudini hanno calpestato tutto ciò che c’era da calpestare
inclusa la terra
Durante i quali l’olezzo della carne bruciata ha lordato la parte intima dei pensieri
anche dello stomaco
Durante i quali è considerato lusso mondare i cenci della servitù glebea
 Il tempo s’è vestito di muffa
condom usati
arachidi e Tele d’aracna
 Le femmine delle tre anime sovrappongono le gambe sincronicamente
posizionandole come donne di Picasso
Vogliamo più tempo per rammendare la noia
Dice una con voce stentorea
Non vedono arrivare l’uragano dalla faccia plumbea alle loro schiene
Faccia piano
Dice la seconda donna della seconda anima
sempre stentorea ma con un punto e virgola in più
mentre in cucina miseri miserrimi scoreggiano del dopopranzo affumicato
fumando sigarette deodoranti
L’uragano turbina loro intorno
non li colpisce
va per la sua strada e non lo incontreranno più
Ernesto ne approfitta
s’issa di scatto
ottenebrato dall’ira evoca
il turpe
uno strampalato idioma postnaturale
All’inferno delle nuvole dove tutto appare postumo
qualcuno ha deposto fiori screziati
gialli con risposte di flanella e foglioline verdi
bagnate da punti interrogatori
maculati
con circonvenzione d’Incas
Ernesto accusa alieni brividi
ricolloca con premura le sue calzature da pagliaccio ricotta
si mette in funzione di riconversione
Il villaggio dov’è fuggito è lo stesso borgo dove vive la vecchia della vetta
intitolata anche Mammarinale
tutti gli edifici di codesto paese hanno colori perdenti
nel senso che durante la pioggia s’intenerisce loro il muscolo cardiaco
dissolvendo ogni lacrima colore
sul davanti hanno un giardino pendulo
con la stradina bianca di breccie bianche
di lato virgulti alberi dai frutti agroamari
e vicine misteriose appese avanti ad ogni porta
rossa
ordito lungo la siepe d’astrusa bontà
fluisce un silenzio appagante ornato frequente di pietà ricorrente
Lontano
bufali impazziti serpeggiano itineranti verso le loro anguste e refrigeranti tane
All’interno del paese
impercettibili spazzine invetrate
tinteggiano di lucro immensi soffitti biancheggianti
dove saltimbanchi prelibati schivano di lato malaffari ricorsi sociali
sorseggiando un caffè scoperchiando la ciarla di infami reminiscenze accidentali
 Caronte sta stuprando un fico d’India in questo giorno impermeabile
quando si rende conto di avere terminato gli obbrobri
va di corsa trafelando nell’orto
niente
Fa le scale due rampe alla volta per sgusciare in soffitta dalla porta del mascarpone
Niente
Torna nell’infero piano
in cucina cucina una pentola
guarda nella dispensa
la credenza è finita
la marmellata è scoppiata schizzando ammorbiditi frutti sulle membrane ottiche
Non sa più quali seppie pigliare
Nello sgabuzzo l’aguzzino perde il filo e signoramorte completa la lista
soia brillante
finita
mistico edulcorante
finito
virgole spazientite
finite anch’esse
fialette di nostalgia
due pacchi da cento ognuna
sono rimaste
forse
nascosta in un angolo un po’ di dolce brillantina a tavoletta
ma va di fretta
per di più gli va pure stretta
 la notte non dorme nulla
il pisello sotto il matarazzo è troppo duro
quel diodinverno ha bagnato il suo cuscino con lacrime cromatiche a bioritmi caleidoscopici
La fanfara suona all’ora di pranzo
l’amico vuole che seguisselo
Nessuno ha più dubbi
è molto scontroso mistificatore
all’occorrenza abbastanza appuzzolentente
 La cena della sera prima è stata un vero supplizio
fagioli nell’anticamera del cerebro
caffè in cantina dove i miti suonano il blast
poi continua con un sigaro in soffitta appollaiato sulla slitta di sego al rabarbaro
 nel giorno di festa
Mentre la fanfara suona
lui getta margheritine di primavalle sui passanti
i passanti ridono
oh! Come ridono
 Il supplizio si estende al mattino
quando per colazione
fatta come sempre sul suo letto misfatto
esige tè
caffè
latte suino
tutto macchiato
come il suo encefalo bacato
e rigorosamente
un succo di carote serafine
 Confesso di non sapere più quello che brama
ma di sicuro
un pensiero leggero gli vola intorno alle orecchi
ogni ora
ogni minuto
ogni secondo
ogni giorno in più che passa appollaiato sulle mie spalle comprimendomi le sfere
Un pensiero che non costa assolutamente nulla
un pensiero adrenalinico
attecchito alle sue membra come una radica loquace
lui lo chiama morte
 Fuori
il sole cade a brandelli sulle cose salvate
rimaste immobili dopo l’uragano
Le piante guardano
Parlano
tutto parla
tutto da il meglio di se
tutto accade
il fiume lo sta portando via
cerca di aggrapparsi a qualcosa
tutto si spezza tra le sue mani luride
Lascia che il vento gli pettini i capelli
taglia i capelli
gira le spalle al muro che gli da le spalle
vuole cedergli qualcosa
il muro
forse ce la fa
Perpetua
l’unica parola rimastagli vicina
anche lei sta fuggendo
Pessoa brucia sui fornelli
Niente in questo tedio giorno rimane
niente ha intenzione di restare in piedi
Tutto s’affloscia con due effe sulla sommità dei pensieri dubbi
Tutto seduce cancellando perspicaci bla mentali del cazzo
Allora senza rimpianti decide
Recide
scaglia alle ortiche le tonache del vento
non fanno altro che fargli rimpiangere quello ch’è stato
lo stato delle cose
Trafuga le ossa un dì di novembre
dall’ossario primario nella cappella della novena al Bambin Devastato
il picchiatello per intenderci
Strafatto di dottrine imposte se ne va il giorno stesso
Inseguendo la follia smarrita
Non ci sono più legami
spenge il cervello alle settunquarto smettendo così di direfarebaciare
Orbitano nell’aria pensieri effimeri
Qualcuno si rovescia dal quintunesimo piano di una grave malattia frettolosa
La graticola sfrigola all’estremità di una pozza d’acqua colorata diblù
mentre i monaci sono in ritiro spiritoso
Nessuno gli toglie dalla testa che prima o poi ce farà
è un pensiero fisso
Un pensiero fesso volendo
Qualunque persona mi dia del visionario
sarà appeso per le palle al cielo più alto di tutti i cieli
urla
 Ma Celestino non indossa nobili visioni stanotte
sennonché
con univerbazione e raddoppiamento sintattico
una gli pare degna di nota
l’orologio abbracciato al muro segnala un’ora qualsiasi
un’ora banale
la solita ora
una lacuna madornale per questi tempi di subbuglio ancestrale
 I minuti sono tanti
Svogliati e pedanti
li dispone delicatamente in una pentola verderame
vi versa dell’acqua diluita al punto giusto
con bromuro asettico ad effetto ritardante
Dopo un po’
Ne estrae una melassa
dolce
melensa
docile
inconsistente
e anche balbuziente in certi momenti della sua giornata
la spalma su tutte le pareti della stanza
otto in tutto
per adeguatezza ascetica del prototesto
la stanza si trasforma in un ciclone che spazza via tutti i suoi perché
tirandosi dietro anche i poiché
gli affinché i giacché i cosicché e i talché
i datochè sono indecisi
rimangonoo soltanto i percui
ma si sentono spaesati e oltraggiati dal frastuono stuprante dell’uragano
ormai gocciolante dall’albero delle titubanze
che da frutti obsoleti e intrinsecamente malversi
 Intanto
dall’altra parte dei colori
qualcuno batte a macchina astruse parole d’esplorazione
rimasugli di vita
argomenti mancati
stralci di petulanti angoscianti clisteri claustrofobici
 Con le forbici taglia tutte le “O”
buchi neri che risucchiavano i concetti
Qualcosa succede
lui non da niente per scontato
nei suoi occhi brilla una luce impetuosa
mirtilli neri calpestano le sue pantofole da mezzanotte
voragini color pelle verrucano le sue tre chiappe color amaranto
si sta accingendo a ingurgitare il suo esimo caffè bianco alla bambagia
quando un dubbio l’assale
 E se fossi pazzo?
 Nudo e antico
traslato al mar della tranquillità
quasi sonnolenza che divora ambiguità
fino alla fine della settima lunazione
Amorfo sistema di intravisione uterina differenziata sul tema natale
Ogni volta che apre le orecchie un verso famelico lo attanaglia
curvando in forse la sua ferrea volontà
Bighellonando sul piancito della mera crudeltà
affievolisce ognora la potenza del suo spazio vitale
Perdendo la ragione da il meglio di sé
Aggiunge acqua al fuoco prolifico e non trova più il verso
lo ha perso
nel mare dell’abnorme
guadagnando peraltro uno splendido nome
età
 La mia mente muta
Comincia a dire
Non cercatemi
non trovatemi
Per obliare principia a sorseggiare cappuccini salmastri nel monastero di Madre Tardiva
In altri ambienti
in altri frangenti
sarebbe indubbiamente riuscito a far smarrire le sue tracce
stavolta no
stavolta non sarebbe scappato
stavolta avrebbe sfidato la grande parabola
 Centodiecimila orsi ballerini cadono dalle nuvole
e perdono l’oriente
perdono
 Così
intorpidito nei pensieri più folli      
rinvigorito nella verde aura della saggezza a tempo
principia a cercare paziente negli spazi dietro l’angolo
il sipario si apre su nefaste visioni
su ancestri coglioni che valicano la notte in volo radente
l’aria riempie lo stato di cose mancanti
Prorompe nella stanza dei balocchi ma Alice non c’è più
ha perso l’ultimo treno per la colazione del mattino
si butta giù
Lo sconforto la guarda di soppiatto
il verde ha invaso i suoi bulbi
vicino all’amarezza è sopravvissuto solo un albume d’ovulo rinsecchito
Guardandosi indietro scorge l’autostrada per il futuro
non vuole più saperne di fighettare pei borghi con abiti sopraffini
certezze per i quali non trova più
Porta con sé una coperta di caldo profumo colorante l’accento mutante
Per niente al mondo avrebbe lasciato stare quel vecchio
che alla fine cesserà di pulsare comunque
Non pazienta più padelle unte in frigo
Anticorpi cruenti smaltiscono il pensiero
flirtano tra loro all’interno dello sfintere cerebrale
sposando l’antica causa del vello materno
procreando miseri petulanti spazio-frutti
guidati a distanza da ciò che si pone a lontananza del diverbio tra i sensi
silenti marciscono di vergogna
amara vergogna
 Se di più non si può lasciatemi fare
se di più non si può lasciatemi giocare
il gioco che per niente al mondo lascerei giocare ad altri
E lui
misero perdente
s’accinge a decollare
scomparendo nel buio colorato d’amaranto
spingendo verdi cammelli dalle gobbe flaccide e i capezzoli schifati
Ora o mai più
Pensa
Scrittura bollente cola dalle sue mani bianche d’avorio quasi lattice
Ricchezze celtiche
dardi salaci
sguardi pudichi
questo rimane nella sua larga borsa di mamma orsa
Adesso sono stanco
vorrei dormire sotto un albero di larghe vedute
in riva a un lago
in un giorno di maggio
Tracotante s’infuria
come belva rudemente pone
Qui giace
in onor di giusta causa
colui che non stanco di inversi fati
strappò il cuore al più alto degli altari
E nulla più
 Ora lui non ascolta
è immerso in pensieri sfilacciati
scollegati
nuvole in addensamento
Gli occhi fissi per sbaglio sopra i miei
riesco a vederli i suoi pensieri
come una proiezione olografica
una vestaglia da notte bucata
bianca con su spasmi filettanti
che cammina senza un corpo dentro
niente all’interno
fluttua
s’incendia
prende fuoco il sogno
diventa una pentola a pressione che fischia come un somaro
Fuori dai binari il treno
va a cozzare fragorosamente contro il nulla
che s’infrange come una vetrata
dove ci si sarebbe potuti specchiare le meningi incartapecorite
 Il sogno si trasforma di nuovo
chiudendo i rubinetti s’accorge di non avere più germoglianti spazio-frutti anodali
con inqualificabili viceversa intercambiabili
Tutto è buio ora
nessuno si vede più niente
però si sente con l’anima
il naso
le orecchie
che la grammatica sta stropicciandosi i tarzanelli
cercando uno sbocco fino alle emorroidi del mattino
quando il sole
a volte
fa capolino dalle perturbazioni melmose del suo encefalocranio
Di quì a poco ci sarà un acquazzone zozzone
Non sente più
il sogno si sta annebbiando
quindi più niente più
Si sveglia dal torpore
inaudito percorre a stivali
nudo
l’intera stanza
scartando gli angoli spigolosi
cercando minestre per vari arrotondamenti bicasuali
sulla percentuale onnivora dei carnivori cannibali e cannabinoidi
ortofrutticoli del mercato delle sei
Nega tutto
tranne il fatto di non essere nato
ma questo gl’inquirenti lo hanno già capito da anni
Il fragore di una mano sola esplode all’improvviso
prendendo a schiaffo il suo avvocato prediletto
che tiene come tappetino per gli ospiti da pranzo
quando arrivano le nuvole colorate di personaggi inquietanti
Per nulla al mondo gli faranno cazzare la randa
per una partenza limitrofa nei paraggi del pressappochismo di lì a poco
Nervi saldi ci vogliono
questo si
altrimenti i santi tutti ne approfitterebbero neisecolideisecoliamen
 Il grande condottiero apre la finestra che da sull’aia
c’è un esercito ad aspettarlo
quasi un milione e più e passa che scandisce cantilenando il suo nome
pressappoco così duepunti
Er-ne-sti-no
Er-ne-sti-no
E così via di seguito cantandolo
lui li riconosce tutti
giurotutti
di tutti ricorda il nome proprio di persona personale
e comincia a salutarli
u-n-o-p-e-r-u-n-o
Uga
Riccordo
Isiduro
Dedimo
Ulderetto
Vergina
Sgualtero
Gimma
Marpino
Piermaretto
Alby
Annibala
Bernadetto
Sigilfundo
Adinolfio
Rodomualdo
e tutti e tutti e tutti
Terminerà di salutarli due mesi dopo la battaglia decisiva per la conquista del Regno Munito
alla quale il suo esercito
naturalmente ovviamente
non prenderà parte perdendo percosiddire capra cavolo e fieno
ma tutto è perso fuorché l’odore
puzzano infatti tutti come lanzichenecchi imbanditi per il pranzo di maiale
 Vestiti a festa
per tutte le volte che hanno spalmato nutelle vergini sulla cresta terrestre a sud di Smirnefangulo
un ridente paesello ai confini con la Prostata
la regione appartenente al suo acerrimo nemico
rivale
avversario
nonché cannibale per suo gusto e abbellimento patriarcale dall’interno della porta di natale
dato che hanno perso pure le chiavi
Il cerchio si stringe presso le sei del mattino
si sveglia sul far tardi della sera presto
una ottima colazione con castagne seminude e via volando col vento
leggero come un macigno nel cesso
anticipando le mosse del suo futuro prossimo ventuno
 Si è spenta la sigaretta mannaggetta
Dice la ninfetta in bicicletta ritta sul manubrio davanti e coi fanali sgonfi
Questa notte i righelli sentenzieranno morte
Trangugiando d’un sorso il suo esimo wischi si accende un sigaro femmina
evacuando strane propulsioni cerebrali
 Finalmente il sole è al termine
è un lietofine stavolta
nessuno gli toglie dal pensiero che davvero sarebbe ora di tagliare la corda
appeso alla quale
Mandingo
sta esalando gli ultimi tratti
Mandingo
il loro cane nero
non è proprio quello che si dice un ottimo scrittore
ma non mi sembra proprio il caso d’impiccarlo
 Si sveglia
L’Ernesto
assaltando sopra percuote l’aria dinanzi a lui
medesimamente la porta con uno sdilinguo ansante batte
sbuca fuori immedesimando in un mazzo di fiori l’artefice dei suoi malanni alfabetici
che ovunque lo hanno perseguitato per una vita
forse due
 Huerto Jurtu Gonzales chiede il permesso d’entrare
l’altro nega perversamente dall’interno della sua comoda camicia di forse
che sempre abita nei giorni plumbei di luna vuota
ricordando le famose giornate magre della salita al potere di Pompeo Artefici
grandioso condottiero di pulman a metaprezzo mortadella inclusa
Lui
Huerto
entra di forza sfondando i ricordi
e non uscirà maipiù
Intrappolato da crudele fedeltà
intimorito da stralci di flussi rupestri
Jurtu
l’ergomante
sa subito cosa fare
si toglie i pantaloni
comincia a pulire terra
accanto a lui vicino
stanco e afflosciato
giace
pelle umana
riflessa dallo specchio di una vita quasi inutile
quasi stupida
quasi mediocre filastrocca dei tempi piccoli
pelle di una maschera usata
che avendo sporcato il piancito di grigia materia bigia
s’avvede
non piano
di avere sbagliato miscela logistica
 I raffreddori passeranno presto quest’inverno
il sole pare perfetto
La piramide al suo vertice si sta lentamente sciogliendo
Sgualcendo
l’orlo di nubifragi ancestrali ricorda che il peggio è quasi passato
ipotetiche vie d’affollamento cerebrale attendono
Dall’altra parte della coscienza intanto
nei mercati dei pesci piccoli
la folla si sta riempiendo di persone
misfattte e piene di loro stesse medesime
in parte
Qualcuno colpisce per sbaglio il bicchiere mezzovuoto
che per sbaglio cola strisciando nel bicchiere mezzopieno
provocando una reazione a catena all’interno della concezione di sé medesimo
ancora
un giardino di belle bevute
In fondo in fondo
quale mezzobusto si accorgerebb che lui è sì e no un alquanto capace rapace
pieno di mezzi se
ma
però
forse
chissà
Chi si accorgerebbe che non ha scarpe ai piedi
ma mezzitondi sfigati
scivolosi
smacchi
Qualcuno sta procedendo alla sua ventura
si sa
Altri miagolano di trapassi saltimbanchi con energrumi di sangue perdifiato
Ma
quale di loro è la vista più breve per arrivare al sole dei cechi?
 Per guadagnarsi la fiducia del fior fiore dei prevosti ci vuole Benaltro ci vuole
manco a dirlo
Benaltro arriva
a cavallo di un caval Donato
dondolante su sentieri erbosi
esplosi di praterie sconfinatamene combacianti con paradisi artificiosi di dubbio gusto
in onor di passata carriera e coll’orror della pace
micacazzi
 A quest’ora il calendario segna già le due e un quarto
in ritardo di due lunghissimi miserabili minuti sul treno delle nove
che trasporta bipedi molto sessuali
belanti sul perché del vagone ristorante
con nitrile alle poltrone e sacche per vomitanti assuefatti dal tempo
La sbarra si abbassa giusta giusta
sbarrando la stradina di campagna prima dell’arrivo della sua pornovettura da sorpasso virtuale
 Nella parte anteriore ha seni con capezzoli antinebbia e aureole allo iodio
Il tubo di scarico con precoci sfiati d’animo è solo fumo in più sulla strada
La sfiga all’interno del cervello pneumatico spompina rombando ogni volta che accende il motore
Di scoppio non se ne parla neanche
Ma la macchina va
gerundia antropofaga
con un occhio di riguardo per miliardi di percussioni monocromatiche
La sigaretta sì spenge
ancora
Magnitudini genuflesse di sigarette perpendicolari sono flesse sull’enorme specchio concavo
milioni di spasmi intestini intervallano sbraiti furibondi
mettendo sottosopra l’intero abitato della mente
per poi robotizzare tachicardie gonorroidali
anodialisi spaurite negli ospedali della grande pera
termodinopropulsioni
maniacali mimetizzazioni
mettono a soqquadro intere generazioni di pistilli
spavaldamente appollaiati sulla femmina di turno
Arcimboldo non da ascolto alle prestazioni armoniche
coinvolge anonimi omonimi di passaggio in paesaggi sprovveduti e sprovvisti di niente
 Flatulenza dell’essere
Il cammino è lento
la velocità appaga i suddetti spiriti
rimarchevoli
spergiuranti spergiuri
alcolisti benestanti conosciuti
L’oppio risolve le sue faccende pomeridiane
Alla terza ora del pomeriggio ha gli occhi lucidi per la commozione
ha visto nevicare al contrario
Subito si posiziona appostando il suo posteriore all’ombra dei suoi ridicoli dubbi
appestando l’aria con effluvi di satira psicoduodenale
inversamente proporzionale alla fugacità del tempo perso
Non s’è mai preoccupato di pensare certi pensieri
un tipo scaltro
senza grilli per la testa
che svolge la sua vita nei mausolei dell’ignoranza
I topi per signore
a spasso per la civiltà
prendono gatti da pelare
mentre patate bollenti stanno assiepate sui trumò dell’indifferenza
all’ombra del loro stesso sudore
 Rumori dal nulla
Crateri
infami solstizi
primavere inutili
cassette terminate
rewind
stringere l’avvenimento
I soliti ignoti fanno i militi davanti ai palazzi del potere
celebrando messe in suffragio
Silenzi addobbati di mistico candore dietro i quali si nasconde il vuoto
 La postilla cadente del prelato pelato lo scardina così dai suoi spensierati pensieri di mezzofondo
i piedi gli dolgono ancora
dopo l’insormontabile acrimonia della vergine otorinolaringoiatria
che termina il suo astioso lavoro scavando voragini profonde ai lati dei lobi degli apparati uditivi
in tempo per l’alba della mezzanotte e mezza
Stanco di una giornata di merda come non ne ha mai avute
Decide
è arrivata l’ora di far visita a quel vecchio uccellaccio moscio di Tommy R.
per gli amici
Thomas Raduno Girardi
 A quest’ora non c’è molta gente nel bar che ha l’aria di uno squallido locale sperduto
mentre è incastonato tra cinque grattachecche al centro della grande pera
Il legno ricopre quasi tutti i muri
completamente ammuffito
torto
Un manto di scacchi scozzesi
decorato da cicche spente e cicche masticate spiaccicate
tappezza l’intero piancito rendendo il lercio locale assolutamente sordido
Due grosse botti di legno scuro scoreggiano a stento
sotto una lunga spessa tavola di scolorito legno giallo
levigata da secoli di colossali sbornie storiche
unita ai bordi da farfuglianti sudori dell’ultima ora
lacrime rimpiante
lacrime rimorse
rimosse la sera dopo da un ulteriore carico alcolico
Tutto questo unito ai lati da due colonnine di finto marmo e finto stile
forma il banco del bar sopra il quale troneggia lui
Tommy R.
emigrato argentino per parte di madre e nonna a suffragio universale
un figlio di puttana di secondo grado
fuggito dal suo paese durante la guerra tiepida dell’ottantadue
è un tipico dal fascino attraente
riesce ad immergere strati di polifonica virtù in melma stravagante
per addetti ai lavori notturni senza un senso prettamente immediato
Il suo motto preferito è
Se vai in giro a mostrare i denti
prima o poi trovi sempre qualcuno che te li rompe
Nel senso che quantunq’io sia
primavera storia
massicciamente perduto
nei meandri della memoria del fottuto villaggio globale
in mezzo a tutte queste leggerissime merdine puzzolenti del cazzo
qualcosa di concreto sicuramente trova
come l’acqua del mare che evaporando lascia strati di sale
alterando gl’impulsi principali della mente bugiarda
che ci fanno vedere sempre la stessa persona allo specchio
la stessa per anni
identica ogni giorno
Poi guardi una foto e non sei più
  Meccanismi Cerebrali Primordiali
 Come farsi pipì addosso in cinque comode lezioni
anticipando i tempi
perdonando anzitempo il vecchio orologio a spronbattente che cavalca tempi immoti da tempi remoti giusto in tempo per la bava alla bocca di caramelle gustosissime al sapor di mutella
 Qualcosa mi sfugge
Dice l’uomo barbuto sedendosi sulla panca bianca di lacca bianca
vicino al bianco banco del bar
mentre Tomas Ray ricorda le tribolazioni passate
e di come è arrivato fin la
Col filobus
Dice
Sono arrivato finquà col filobus delle tre e mezza
  Vediamo cosa c’è all’interno di sittantacapoccia
Dice lo squamone all’altro interprete
perpendicolarmente riversato sul suofà ad ampia luce intestina
Si
Acconsente il secondo
non senza un certo malumore priapico
poiché lui ha una vertenza programmatica aziendalpsicoturistica in corso
Non hanno intenzione
questo è certo
di pretendere clitorifornimenti ad alte temperature
ma
ugualmente s’impadronisce di loro un’autentica giroletterarietà pneumatica
con pseudodivergenze adagiate ai piedi del midollo osseo
Scarso scarseggio
vezzeggio multiplo unidisciplinare
scrittura lineare di base
mistica adolescenziale sbiadita
ecco
questo era importante adesso
ricordare l’infanzia e poi dopo ancora su
su
fino ad un po’ più in là di adesso
Non è più capace d’avere visioni
Ci riprova
ancora
Gli ancestri coglioni sono appollaiati su due treppiedi a quattro zampe
accumulate in seguito a disastrosi conguagli mistico-temporali
 Non ha più ali
non ha più poesia
non c’è più rima
Ricordo
Visione
distorsione dalla sera prima
un minuto prima
un mese prima
Era
È
rantola nel buio in cerca di lumi
 Dora Infischio non ha più capelli da mettere sotto i cappelli per i quali belli non si è mai
per giunta le scarpe gli stanno strette anche senza calzette
Prelibati stipettai ne raccolgono orsù che non flaccide membra
menan per l’aia cani abbandonati
strani musi da gatti abbastonati
 Lumache allupate sul far del giorno lo risvegliano
vola l’aquila dalla torre
non passano più le ore
fermo il tempo
non sventolano più bandiere
il vento s’è fermato
nevica
Fiocchi di parole
lettere analfabete
Cerca riparo all’ombra del sole
Perentorio lessico
De testabile arrogante
Presuntuosi logaritmi asimmetrici con pedanteria ambulante
Gli viene il dubbio che esista da solo
Lui
Percuote raucedini stilliformi
Pensierisalassi maniacali per patetici riflussi
Si manca
S’accorge di aver dormito per anni
Sa
è cosciente
ma non riesce assolutamente a svegliarsi
Languide carezze gli sfiorano il viso e pugni allo stomaco in un sorriso
Perturbazioni intraviscerali
atmosfere non pianificate
fretta di andare
freddo ad andare
bere
perdere
 Due soli splendenti si avvicinano zitti zitti
di nascosto alle stelle
da mille anni luce non sono più soli
  Mestruazioni aziendali
cavalcavia affollati da masturbatori incalliti
orecchie piene
naso pieno
vino senza volontà
senza paragoni
coglioni pieni
voglia di spremere
limoni finiti
saloni sbiaditi
immagini affrescate
Parole squamate
Colori lussureggianti sapori
scorticati da figure rozze e blasfeme
Non più Dio
Una commedia senza personaggi
Personaggi senza una commedia
Personaggio senza coraggio
Penso che lui faccia finta di niente
A volte
 tempo
illusione
crediamo di muoverci ma siamo immobili
fermi in un’immagine senza tempo
passato e futuro diluiti in una spremuta di presente senza zucchero
I server intasati della memoria
Ctrl alt canc
 Per un operatore così scaltro ci vuole un premio
un primo premio
un secondo per volta
un
due
tre
stella
Saltando i pasti
i posti intatti
inoculando malvagi pensieri sugli astanti
verosicchè
nessuno avrà più il coraggio di avanzare proposte oscene tipo
catturare passeri sopra una polenta indurita dal dolore
oppure
scorticare formiche per assaporarne il fegato
le guerriere sono le migliori
o
infine
finire il tempo prima che lo beva qualcun altro
e poi non c’è niente di speciale oggi sotto il cielo
Il leopardo dorme supino sommando le agnelle
 perché andare dove non c'è niente quando si può ardire l'inabitato non luogo?
  Rifletti
Gli dice uno specchio insozzato dal nulla
non se lo fa ripetere due volte
ribollendo di rabbia finalmente riesce a vedere coi propri occhiali
c’è erbetta ai lati della frase
verde con striature di sogno
due ciclamini gelsominizzati imprecano a perdifiato vicino a un tombino di riciclaggio
prendendosi a pedalate
un camomillo si avvicina a metter pace
ma pace non è
Sopracigli mandibolari spargono pulci nelle orecchi
vecchi pidocchi scolpiscono segmenti d’anguria melinata
risparmiata la sera prima del pranzo di cozze
con smorfie di secondo grado e stralci di luna sulla narice destra
Comecazzoèmorbida
Dicono in coro
finché non s’induriscono i cervelli
Michelazzo scompare di colpo prima che la rima lo afferri
scappa nella sua stanza per vedere se il paesaggio è pieno
Lo specchio è seno
che fermo riflette
Ruba fiori dal pranzo di notte
lì avvolge nel sacchetto della salsiccia al gorgonzola finita
li porta a casa dove lo aspettano
in ordine di comparizione
due ansiosi postulanti atermici
tre fagociti lessi alla brace di dolci lagrime saponate
un funnambulo con la coda di paglia
un tergiversatore stitico con la sua amica Floppy
detta la Strinfia
a causa delle sue voracità improvvise al basso ventre
Ad ognuno regala i suoi fiori rubati
sprofondando come un porco nel bel mezzo del banchetto dice
Salve
ho fame
non mangio maiale
sono ebromuskat
per gli amici Famok
Sono nato
sto fresco
Poi scappa di nuovo come un fuggivendolo perpetuo
Il bar è aperto anche a quell’ora tarda
Pollici a testa in giù spartiscono le ore appiccicatesi per l’occasione sulla parete opposta
Acqua viva
foglie quasi morte
Per lo spavento chiude le persiane e s’addorme
 Ho troppo sonno per parlare
ho troppo stanco per lavorare
poca fame da mangiare
  Piteto si chiama l’ultimo della fila dei banchi
Gli altri si chinano ad abbassarsi mentre lui passa
Sente affermare che verso le cinque del mattino
ci sarebbe stata una rivoluzione sul terzo pianerottolo
secondo lavandino a destra
Cambia colore immediatamente
da blu diviene color sorella di merluzzo
che invece abita nell’ultimo scantinato
in via dell’estinzione numero cinque
L’estintore frena le fregole
tutti s’innamorano del fronzuto
un rasoio ha affittato un avvoltoio di quarta mano dipinto di giallo
con codest’avvoltoio avvolge rimasti ricordi ammuffiti sul sofà
per rivenderli al mercato dell’indifferenza
Dodici piatti restano sorpresi nell’aria
quando entra improvvisamente sbattendo la maniglia sulla porta a vetri dietro l’angolo
Il tredicesimo
un traditore di lunga data
poiché non ha niente da fare
gli bacia il guanciale
gli bacia
per nulla intimorito gli pesta anche un dito
gli pesta
Questa notte avrebbe portato in tintoria i suoi sogni
  Dopo il risveglio banchettarono a suon di campane azzurre
quelle dei risvegli sempiterni
Moscia nel loro fegato da merluzzi
la scrittura corre avanti con ramoscelli appesi alle code per confondere le tracce
In un vicino boschetto di meandri
sostano opulenti strani alberi dall’aspetto agrodolce
ma dal sapore si capisce al volo che lascino un po’ a desiderare
un cesso
inmenchenonsidica
ma veloce che la pagina è finita
In man che non si abbia
a perdere le chiavi
dell’appuntamento
gradirei che la storia continuasse in altro sito
in altro loco
in altro tempo
magari domani sera all’alba prima di cena
senza scarpe mi raccomando
a casa di un mercante di merletti a tempo
Tom bussa alla porta ricadendo in deboli flussi di luce
poi immerge le dita nel campanello sbagliato
cominciando così la sua candida solfa
contribuendo ad aumentare i tanti cazzi per la testa
scrive parole di fuoco
per l’alma dorata di suo fratello deceduto nella guerra santa dei ricami prêt-à-porter
 Giallo
misericordia
è diventato giallo come un limone questo barbone
servitore delle leghe dell’alba malridotta
che s’abbotta da mane a sera d’aria macchia e fuliggine leggera
nera
con due palle così
Nessuno s’accorge di lui alla festa del lutto perduto
sono dieci
le ore che stanno aspettando per poter svolgere la bandiera col mezzofico
non si accorgono
ma arriva la sera
e perdiana se fa freddo
Con un freddo così c’è da restare per forza coi piedi per terra
Per terra c’è un luogo comune che dice
Come
E risponde anche
Non c’è più niente da fare
Ecco
ora finisce la minestra
E il saltimbocca fa un gesto da sordomuto
finendo la serata accartocciato sul trespolo dell’amore
e Gertrude è simpatica al primo sguardo
ma rimane di stucco ascoltando l’oceano
Da bere è finito già
l’aranciata è da trasformare in vino di coccio
Affrontando lo sguardo a viso aperto
è Tomas
che in mezzo al folto tira più di tutti
mentre l’universo è sfinito
troppe stelle da lavare
troppa merda da rifare
troppi buchi da tappare
Vetri in frantumi diffondono l’aurora e domani non c’è scuola
ne lavoro
né perdono
non permessi
niente sessi
solo fronzoli sconnessi
 Minuscole particelle programmate nell’attesa di un giudizio primordiale
conseguenze cosmiche di un assalto temporale
orifizi anali
contemplazioni oniriche
Ritmi cardiaci dilatati da un aeterna-mente by-pass sincopato
Streghe venture prossime
futuri anelli di contenzione
animati da scaltri difetti dionisiaci
specializzati in normalità relativa
Cosa aspetti
Disse Nero
A volare nelle fauci della verità
Dopo di cui si leva i laccetti che tengono legato il cervello
parte per nidi assolati
Inizialmente ha voglia di farfugli ma
loquacità e permesso aurifero fanno di lui la stanchezza in persona
Ogni volta sembra facile averla afferrata
Eccola qui
ci sono
ci sei
ti ho preso
il rubinetto è aperto
vai
Poi perde colpi
si rifugia in mandragole dorate
allori superflui arrostiti
immediatamente carbonizzati al calore insopportabile dell’incertezza
Menate di pasqua natale e ferragosto
lavoro lavoro lavoro
noia
Non t’abbandoni più a vivere
non vivi più d’abbandono
Cerchi cerchi cerchi
quadrati rettangoli piramidi
animismi superati
avariati avanzati
trigonometrie innocue
farfugliamenti tripponi
Poi
Dove andrai
Ci sei seduto sopra
schiacciando tutto il chidovequandocomeperchè
Perché
Perché tutto è nascosto
Perché tutto è offuscato da sparàgli circonvoluzionari del cazzo
acquartierati in fabbriche in disuso
disossati al termine d’un banchetto loquace di pasqua
a primavera dell’anno che morrà
Punto
Poi
dopo le dodici e quindici
sull’operato centrale nascerà un loggiato di tribali fortezze
di proverbiali mantidi e nefandezze varie
merda
Sotto il loggiato
quadrupedi galoppano accanto a siffatti volumi
s’abbeverano
sì nutrono
sì vestono
sì sparlano
si vergognano
sì svergognano
dopo aver mozzato teste di papaveri addormentati
sotto un cielo di diamanti cherubini
disfatti postumi
aspettando un muro cada addosso
senza il tempo di chiedere ancora una volta
per l’ennesima volta
perché
Scrivere abbattendo muri
virgole e punti
sono a posto
apposta per vergognarsi di noi con supposte presenze nefande
tendenze spericolate
passare al setaccio tutto
Tutto passare al setaccio
Orgoglio a malincuore
Ultradotati maschietti scoprono femminucce in tintarella abbinate a scarpe color cacca
ispirati sproloqui esplodono
Il Dio dell’iniquità provoca traumi insensati in tutto ciò che si muove
e spara a morte su false ipotesi
 Ikonos ha zampe di quaglia
le sue uova sono squagliate
Le luci accese del soggiorno danno la vaga impressione di essere sopra un disco nuotante
circondato da scomposte misurazioni trigonometriche
a fior di pelle
sintoassioamatiche liquefazioni
Chi è
Mi domando
Quell’uomo con l’apostrofo e un accento sull’occhio sinistro
Chi è
Ma è semplice
Rispondo
Cazzonesò
 Poi
alle cinquequarantacinquequattrosecondi
un paradiso malgascio mi colpisce di striscio sotto l’ascella centrale
a quest’ora è ora di cambiare l’anima
Tutto sembra più buio
compreso il buco del cesso
Per quel poco che si scoprirà
anche lui ha deciso di trionfare d’amor proprio
ricompensando misfatti acuti e arguti nelsensochè
Il giorno dopo vivrà due volte di seguito l’alba del diciannovemillesimo giorno
risorgono milioni di perdigiorni che hanno trovato rifugio sui filococchi del tram che va in città
In piazza incontrano un patativendolo che fuma merluzzi avariati in una pentola a mo’ di pipa
Donne al fiume lavano lenzuola strappate
condendo insalate acide con piogge sparse
nuvoloso sulle regioni merdentrionali
con sporadici addestramenti anali e marimossi cazzinostri
Dalla mia piccola finestra sulle visioni mi chiedo
ma chi glielo fa fare di farsi prima di fare la prima comunione la seconda volta che veniva in città
Sempre in tram s’intende
Per caso ha uno stafilococco sui baffi
Se così fosse avrebbedovrebbe fare un saldo indietro nel tempio
proprio lì
dove si prega il dio delle melerancide
Scusa se mi sono permesso di permutare compiti che
Per mio vero e proprio sollievo non sono proprio miei
 Brunilde cerca
Guarda
Espone
Dispone
Esplode
Ma
poi
Al dunque non trova mai il capospago
Quindi
non ricordandomi da dove vengo
cazzonesò dove vado
Per questo si spoglia dei suoi lutti
distrugge i suoi patti segreti
spacca tutti i piatti della casa in testa a quel lombrico moscio senza chiesa
senza squola con la qu
con un paio di baffetti cinciripini alla Allexander Pollodallema
che è poi sé stesso luimedesimo
Poi senza preavviso alcuno si rizza a sedere sul letto
i capelli ritti
gli occhi orbitanti
il naso camuso
le orecchi no
è diventato paonazzo
Grida tuttodunfiato
PerfavorelevatemiditornoquesticalziniallalavandagrecasonoallergicoaimaialiGRAZIE
Poi chiude la porta dietro di sé e ascolta musica per tutto il tempo dopo
 di soppiatto sgattaiola sgusciando in cucina
si avventa sul tetto del barattolo di cioccolata al cocco di mandorle
dove gia bambole sgonfie spompinano benestanti signori di mezz’età
 Però inmenchenonsidica cerca in mezzo
qualcosa c’è stato un tempo
se ne accorge dai rimasugli di vergogna residua
Quella non si può mai bruciare sui roghi perdio
 L’altro resta lì vaporoso
Sonnolento
Corposo
Digitale
Manuflesso
Genuflesso
arcaico capitombolo umano
diverse qualità per tutti i rischi di gratitudine
perverse sensazioni di grattacapi mattutini
 Pertutti è un gioco sadico
Pertutti è un genio
Pertutti è il padrone della città
Da qui comincia la sua strana vita
dal nome
Perbacco invece è il soprannome di Giosuè Scannapopoli
detto Saturno per la voglia di fragola che ha su tutte le certezze
 è così che volto pagina
All’improvviso
Arbusti di selvaggia maestria svelano segreti di angusta poesia
nei libelli impalmati all’alba di ogni primo giorno del mese
per rientrare nelle spese
naturalmente
 Non tocco niente
lascio tutto come sta e me ne vado da solo
non mi volto neanche
guardo dritto
tiro dritto per la lunga autostrada bianca
Il filo rosso avanti a me si spegne piano piano
M’importa una sega
proseguendo vivo
 Il vino che ho in tasca mi carica di elettricità che riverserò poi nel mio stomaco
Cavalco la tigre
Ora lei sfreccia veloce sopra nuvole di polvere d’amaranto
sollevate dal branco che corre avanti impaurito
sulla strada bianca
Guardo la mia carta
la mia foto sbiadisce
si trasforma
spicca il volo
si strappa dalle mie mani
io non lo impedisco
Libera vola la falsa identità di creta
Un incrocio avanti a me
un diavolo sulla sinistra dice
Non c’è posto Per tutti sulla strada bianca
Decidi
Non posso
Non scelgo
Scappo ancora
Non c’è posto per il dubbio sulla strada bianca
 Un clacson alle mie spalle
una lucertola con una pipa smaltata in bocca e carrello antisdrucciolo
guardo
Lei fa un sorriso accidentato
un dente cade
mi offre un tiro di pipa alla melassa dolce
poi sgancia un peto alla melassa amara
svengo per dodici giorni
La lucertola ne approfitta
mi ruba le ruote e una scorta di ginseng alla fragola che tenevo nascosta
per i casi di necessità fotopaleocultocerebrolinguefacentefinzione
Quando mi risveglio ho un paio di mutande a pois sugli oblò
 Le lucertole col cardigan vanno così quando s’innamorano
Io no
Mi alzo
mi reco tosto dal guardavecchi ambulante che ha la bancarella lì
al lato della fortezza dei piselli brizzolati
Espongo il mio caso
Ho le mani sporche di nerofumo
il gruppo si è sciolto centodieci anni orsono dopo aver fatto un colpo alla banca centrale del seme
io mi sono salvato per grazia di zio
mi ha ripescato per le penne dalle acque del ghiaccio Fiume Tremens
 è un impervio e angusto fiumiciattolo fluente a valle
come il sangue nelle vene di un pazzo anfetaminico ubriaco di camomilla
 ma torniamo al presente
c’eravamo già
cioè avantieri
C’è con me uno che quando sogna si toglie sempre i calzetti
perché dice
i sogni degli uomini vanno a finire sottoterra
ed è da lì che a volte ritornano
Io gli dai ragione
All’ottantesimo chilometro
un tanto al grammo
hanno costruito dei cuscini d’avanguardia per rustici ristoratori senza macchia
senza peccati
eccosì che Il capoturno chiama
è l’ora della mezzasega di mezzogiorno
a quell’ora nessuno dorme mai con tutti i gradi
per paura dei temporali
Noi corriamo a perdifiato perdio
quando arriviamo ci ritroviamo trafelati senza sapere se il perché è vero
Il capoturno ci passa il caffè
ci regala poi una maschera col viso stravolto
gli occhi sradicati e perplessi
noi l’indossiamo senza paura togliendo quella che già portiamo addosso
levando la sicura
per sicurezza s’intende
La maschera si trasforma in jena ridenz
Inutile riderenz
disse
Già che ci siete spremete le meningi per trovare una soluzione plausibile
Quale soluzione
diciamo noi in coro
uno anche in falsetto
Una qualsiasi
Risponde
per la mia collezione
aggiunge
Ho la più grande collezione di soluzioni che si possa trovare ai bordi della strada bianca
 Troviamo infine una soluzione qualsiasi per qualsiasi problematico matematico problema
gliela daimo levandocelo per cosiddire gentilmente dai nostri ovali coglioni
 Ma
giorni bui ci attendono
Subito dietro la curva è una lunghissima galleria
buia
Manco a dirlo
Tre milioni di chilometri senza luce
le pagine stanno per finire sotto la padella
cioè in mezzo alla più grigia brace
Alchè mi viene in mente
tra dubbi amletici
scaramantici
circonflessi
una piccola e semplice soluzione
giusto per arrivare in fondo
per non lasciare niente al caso
Scrivere ai piedi della pagina
la parola
 FINE
 il classico uovo alla colombo
giallo
con finiture in piombo
fuso
cottura dieci anni
0 notes
sciatu · 7 years
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Saline di Marsala-Trapani ; la maggior parte delle foto sono di Erica
La storia di Stella
Lavoravo in uno di quei piccoli giornali locali on line, uno di quelli dove tra la pubblicità ed offerte di tutti i tipi, riuscite a trovare anche qualche notizia locale. Il Capo mi aveva telefonato in serata dicendomi di fiondarmi alle saline tra Trapani e Marsala dove, secondo la radio della polizia, avevano trovato un cadavere. Io mi sono ”fiondato” con tutta la velocità consentita dal mio vespino 50, ma arrivato sul luogo del fattaccio, non trovai nessuno, non la polizia, ne i colleghi della carta stampata. La cosa mi fa sospettare un po’ di presa per il di dietro, ma a scanso di equivoci vado avanti e indietro a cercare qualche informazione o testimone. Alla fine, rassegnato, stavo per tornare verso Trapani, vedendo però degli operai che raccoglievano il sale nell’ultima salina vicino alla strada mi fermai a chiedere nuovamente. Gli operai raccoglievano il sale da dei mucchi sparsi nella grande vasca dove l’acqua era evaporata. Lo caricavano quindi sulle carriole e lo portavano vicino a un grande cono di sale posto vicino alla strada, dove un vecchietto lo sistemava per bene con una pala. Avvicinandomi a quest’ultimo, dopo essermi presentato pomposamente come giornalista, gli chiesi se avesse saputo di qualche omicidio, di un morto, insomma di qualcosa accaduto nelle saline. Senza guardarmi mi rispose di no continuando a spalare il sale. Chiesi ancora se avesse visto delle macchine della polizia, qualche ambulanza, ma la risposta fu la solita: no! Mi rassegnai. Doveva essere stato il solito scherzo della redazione al neo assunto.
Tanto per non rinunciare alla trasferta e ripagarmi la benzina, chiesi se per caso fosse a conoscenza di qualcosa di particolare la in zona, qualcosa su cui poter scrivere un articolo. Lui con la pala buttò l’ultimo mucchio di sale in cima al grande cono che aveva fatto e asciugandosi la fronte appoggiato alla pala, mi rispose “Qui l’unica cosa particolare è Stella” “…E particolare per che cosa?” chiesi con una certa ansia, lui fece una smorfia con la bocca come per cercare le parole mentre la sua mano destra girava a mezzaria a cercare un concetto che non veniva ed alla fine concluse “Lo deve vedere lei ! Io nun ciu sacciu spiegari” chiesi dove poter incontrare questa Stella e lui indicandomi la strada su cui ero mi disse di continuare “Avi annari avanti quasi nu chilometru. Poi trova nu montaruzzo i terra cu du panchini mi si setta. L’aspittassi da: Stella va sempre a sedersi la al tramonto”. Lo ringraziai caldamente e mi avviai incuriosito. Dopo un centinaio di metri la strada incominciò a salire e dopo un chilometro, mi trovai di fronte una collinetta con due panchine vuote messe sulla cima a guardare il tramonto. Lasciai il motorino e mi avvicinai alle panchine. Davanti c’era tutta la distesa delle saline con le acque che sembravano tanti specchi in cui il cielo azzurro si spezzettava in un bellissimo mosaico. Vedevo anche i mulini per macinare il sale o spostare l’acqua da una vasca all’altra. Le pale erano immobili perché c’era solo una leggera brezza che in quella serata di tardo agosto era molto piacevole. Mi sedetti ad aspettare Stella. Dopo qualche minuto sentii un ticchettio. Mi guardai intorno curioso pensando a qualche animale, ma non trovai niente. Il ticchettio si fece più forte, finché vidi uscire da un sentiero coperto dalle canne una ragazza. Non era molto alta, aveva degli occhiali da sole scuri ed i capelli biondi raccolti in una coda di cavallo. Vestiva un soprabito leggero a scacchi bianchi e neri. L’osservai stupito perché camminava con passo regolare senza guardarsi intorno. Solo quando le canne scomparvero e lei arrivò sulla strada principale mi accorsi che accanto a lei c’era un labrador nero ed il ticchettio che sentivo era quello di un sottile bastone bianco che la ragazza agitava davanti a se, da destra a sinistra. La ragazza era cieca e la cosa più che stupirmi, aumentò la mia curiosità. Arrivata sul bordo della strada si fermò e quando il cane proseguì, lo segui. Salì senza esitazione sulla collinetta arrivando fino all’estremo opposto della panchina su cui ero, si sedette e schioccando le dita, fece sedere il cane che dal momento del suo arrivo mi fissava con un ciglio non amichevole. Chiuse il bastone estensibile ed allungo la mano destra verso di me “Buonasera – disse guardando in avanti – io mi chiamo Mariastella, ma mi chiamano tutti Stella”.
La guardai stupito, non mi ero mosso, né avevo proferito una parola, eppure lei sapeva, senza vedermi che ero li. “Buona sera – risposi schiarendomi la voce e stringendo la mano – ma come….” “Il suo profumo – fece sorridendo – l’ho sentito dalla strada…” Istintivamente mi alzai il braccio per sentire il “profumo”, e capii che aveva usato un eufemismo. “Si in effetti è tutto il giorno che corro e ora….. – mi stavo incartando, dovevo uscirne – mi scusi, io sono un giornalista ed ho chiesto cosa vi fosse di particolare qui intorno; mi hanno parlato di lei, ma non mi hanno saputo dire cosa ha di particolare” Sorrise ancora o forse non aveva mai smesso di sorridere, un sorriso leggero, fatte da labbra sottili e rosee come petali. “Si tutti mi considerano strana, vede io racconto i tramonti” “I tramonti…?” e scossi la testa non capendo “Si, i tramonti – si toccò l’orologio da ciechi che aveva sul braccio sinistro – ora sono le 18:27 incomincia il tramonto: guardi -  disse indicando la salina che avevamo davanti - come intorno al sole tutto diventa dorato, le nuvole diventano grigie con sfumature viola su i bordi, i raggi dorati le attraversano e l’acqua increspata delle saline si accende di arancio, di rosa e di rosso. Tutto intorno diventa buio, perde colore, mentre basso sull’orizzonte il sole brilla di un giallo più forte che si sfuma dorato, trapassa le nuvole e irrompe nell’azzurro del cielo che pian piano s’indebolisce e si oscura.” Io guardavo stupito perché tutto quello che lei diceva si avverava con precisione: il cielo passò da ambrato a color oro, le acque incominciarono ad accendersi, l’azzurro del cielo si stava spegnendo. Era come se Stella fosse la regista del tramonto e che le nuvole e il sole obbedissero alle sue parole. “Ha contano quanti gialli vi sono? il giallo oro il giallo limone, quello ocra, quello aranciato. Guardi come il bordo delle nuvole ora è di un rosa intenso e sta scurendo pian piano diventando viola mentre le nuvole da glauche diventano grigie con sfumature d’azzurro. Ha visto che il mare è scomparso? si è confuso con il giallo delle saline e della foschia in cui l’arancio diventa pian piano rosso e poi lentamente un azzurro denso ed opaco che scurisce a grigio e poi a nero? Ancora qualche minuto e l’azzurro cupo del cielo diventerà notte. Non è uno spettacolo bellissimo?”
Ora la guardavo. Doveva essere giovanissima, non più di vent’anni e sicuramente era cieca anche se quello che diceva era la descrizione di quello che nella salina accadeva. “Ma lei da quando è cieca” chiesi “Dalla nascita, nell’incubatrice mi hanno dato troppo ossigeno e mi hanno bruciato il nervo ottico” “E come fa a sapere quello che accade? che cosa è un giallo o un rosso e la differenza tra il bianco e il nero?” Sorrise dondolando un po’ la testa alla Steve Wonder. “Me lo chiedono tutti. Mio padre i primi tempi mi raccontava cosa accadeva, ma ora lo sento da come cambia il calore del sole. Poi non è vero che non conosco i colori. Rosso è come uno schiaffo, come un bacio sulla bocca o un bicchiere di vino, giallo è il miele, è intenso come lo zolfo, è il sole quando tramonta se lo senti sulle dita, il verde è buono come l’erba, è tenero e dolce come la lattuga, marrone è come la corteccia degli alberi, le castagne, il nero è il silenzio della notte è il mantello caldo e soffice del mio cane, viola è come la vinaccia, delicato come i fiori di rododendro, grigio è il fumo, la cenere soffice ed impalpabile. Chi vede a volte non percepisce, non ascolta o cerca; accetta soltanto senza accarezzare e toccare il colore, senza contarne le sfumature, senza sapere che anche i colori vivono e nell’arco di un minuto cambiano e muoiono. Io passo il mio tempo a colorare il mio buio, a dargli forme, odori, sensazioni che per me sono colori. Faccio lo stesso con le foglie, gli animali, le persone” “Lei vede in modo diverso da tutti gli altri” osservai meravigliato  stupito che la sua percezione, il suo andare dentro le cose fosse più forte della mia visione superficiale in cui il tramonto voleva dire soltanto che avrebbe fatto buio “Diverso è una parola che non mi piace, io vedo come scrive un poeta, ho bisogno di immaginare, associare e scoprire, lei vede come scrive un giornalista, lei vede i fatti, la semplice materia e gli avvenimenti che la coinvolgono, vediamo tutti e due le stesse cose, ma ognuno per come può e sa”.
Mi fermai a pensare. “Dice che fa lo stesso con le persone: a me come mi vede?”. Sorrise, forse anche questa domanda gliele avevano già fatta “Lei è puro e forte come il canto del pettirosso, è amabile come una coccinella su un sasso, è semplice come il fiore del cappero, le nuvole di settembre, il sapore del gambero rosso – arrossì -Mi scusi, ma … è difficile da spiegare…., volevo dire che lei ha una personalità forte, è semplice, ed è curioso delle persone, cerca di vedere cosa hanno dentro. Lei ascolta, forse giudica, ma di sicuro vuole capire.” Restammo in silenzio qualche secondo “Ha reso l’idea -risposi - Certo che un giornalista pettirosso, non ha futuro, specie se ha il sapore del gambero.” notai un po’ scoraggiato mentre lei sorrise ancora. “Devo andare – fece infine -  fra un po’ il mio cane deve mangiare e devo fare un lungo tratto a piedi” Mi salutò e scese lentamente dalla collinetta preceduta dal cane. Attraversata la strada si girò e fece un cenno di saluto. Tornai lentamente verso casa pensando che il direttore non avrebbe mai pubblicato un articolo su una cieca che raccontava i tramonti, a meno che non fosse stata violentata da un extracomunitario, o uccisa da un tossico o tutte e due le cose nello stesso momento. Era questo che faceva vendere e attirava la curiosità delle persone: la gente trasformata in materia e i fatti raccontati per come poteva fare più effetto, come se le persone fossero pupi, o attori di una storia trash. Cosa c’era dentro le persone e cosa provavano e li faceva vivere o morire, era una cosa inutile, da poeta, non da giornalista. Il giorno dopo mi licenziai. Non volevo più vedere il mondo come lo vede un giornalista, in fondo ero il canto di un pettirosso!
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.             ╰ 𝐥𝐢𝐟𝐞 𝐛𝐢𝐭𝐞𝐬!
              📍 𝗁𝖾𝗋 𝗁𝗈𝗆𝖾 / 𝗋𝗈𝗈𝗌𝖾𝗏𝖾𝗅𝗍 𝖺𝗏𝖾𝗇𝗎𝖾, 𝗊𝗎𝖾𝖾𝗇𝗌               📅 𝖺𝗎𝗀𝗎𝗌𝗍 𝟤𝟫, 𝟤𝟢𝟣𝟫               🔗 #𝗇𝖾𝗐𝗒𝗈𝗋𝗄𝖾𝗅𝗂𝗍𝖾𝗋𝗉𝗀
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 La rosa è, da secoli, il fiore per eccellenza. Considerata da molti simbolo d'amore, passione e romanticismo, in pochi si soffermano a scovare i suoi altri significati, a darle un senso più personale. Emma fa eccezione: è affascinata da ogni varietà di questa pianta, e si vede rappresentata da molte delle sue colorazioni.  Rimane incantata ogni volta che ne viene a contatto, tanto che passerebbe decine di minuti a studiarne le linee, le sfumature, il profumo — quanto vorrebbe che si potesse rappresentare anche quello, in un dipinto.
 Secondo la superstizione popolare tipicamente medievale, la rosa era il fiore preferito dalle streghe, in quanto, a causa delle spine che ne ricoprono il gambo, è ritenuto particolarmente idoneo a provocare il male; nel frattempo, però, era anche quello prediletto dalle fate, che spesso se ne servivano per rallegrare le persone buone.  Incarna in sé sentimenti e fini nettamente in contrasto tra loro, quasi siano due facce della stessa medaglia: anche Emma si vede così, come un essere a metà tra il bene e il male, continuamente in lotta contro se stessa e le proprie inclinazioni.
 Avelyn sa che ama le rose. Lo sa e gliene ha fatte recapitare a casa ben mille, nel tentativo di farsi perdonare per i ripetuti tradimenti.  Quando l'ha conosciuta, Emma era un bocciolo rosso con i petali chiusi, ferito così tanto dall'unica relazione che aveva avuto durante gli anni del liceo da non aver più voluto sapere di impegnarsi in altre storie serie. Un bocciolo che, pian piano, si era aperto con lei, svelandole quanto avesse paura di subire nuovamente l'umiliazione delle corna. Un bocciolo che si era aperto alla possibilità di una nuova beatitudine, crogiolandosi nella tranquillità delle promesse di quella minuta ragazza dalla pelle caffellatte, del suo sorriso rassicurante e del suo sguardo magnetico. Non ha fatto in tempo a sbocciare totalmente come le rose che sta sfiorando adesso, però, e la parte più debole e nascosta di lei se ne rammarica, perché le dispiace che Avelyn abbia sofferto della mancanza delle sue rassicurazioni. L'altra parte, allo stesso tempo, è furiosa e freme dalla voglia di distruggere tutti quei fiori — era troppo presto per dire "ti amo", non bisogna forzare certe dichiarazioni. E, soprattutto, non bisogna farne una giustificazione per le proprie malefatte.
 Si allontana dalla stanza, ha bisogno di riflettere.
                      ・・・
 Guida nella notte con una strana emozione a farle compagnia. È troppe cose insieme, al momento, ed è davvero impossibile descrivere l'uragano di pensieri che le agita la mente, ma Emma è sicuramente contenta dell'idea che le è venuta, del modo che ha trovato per non sprecare tutte quelle bellissime rose — mille meno una, che ha deciso di tenere per sé.  Roosevelt Avenue è immensa, ma ci mette poco ad individuare il punto preciso che le interessa, complici anche la ventina di donne in abiti succinti che attendono sul ciglio della strada che qualcuno le scelga, e cha magari la fortuna sia abbastanza dalla loro parte da far sì che quel qualcuno non faccia loro violenza. Più di quanto possa già esserlo essere obbligate a vendere il proprio corpo per denaro e non riceverne che una quarta parte, insomma.  Accosta la macchina in modo che non intralci il passaggio e scende, salutando la giovane più vicina con un gesto della mano.  ‹‹ Ciao Ash, mi dai una mano? ›› spesso è andata in quella zona assieme ad altri volontari, quindi conosce bene alcune delle donne che lavorano lì. Appena si avvicina, prima la abbraccia, poi apre il portabagagli e ruba una delle rose, che subito le sistema tra i folti capelli ricci. ‹‹ Ho pensato potessero farvi piacere. ››  Si stringe nelle spalle. Chissà da quanto non veniva trattata con amore da qualcuno, pensa, e quasi si commuove alla vista degli occhi scuri pieni di lacrime dell'altra. ‹‹ Ci sono per tutte e ho portato anche degli stuzzichini sia dolci che salati — mi aiuti a distribuire? ››
 Emma è una rosa rossa e, alla fine, il modo di sbocciare lo ha comunque trovato. O non è forse anche simbolo di rinascita, questo fiore?
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Aaron West & The Roaring Twenties - Routine Maintenance
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Ho ricominciato a fumare
Perché mi piace
Non può piacermi e basta?
(da: Lead Paint & Salt Air)
1. Lead Paint & Salt Air
Vernice al piombo e salsedine
   Ad Asbury Park in un appartamento che ho preso in subaffitto
Mi sono trovato un nuovo lavoro: vado in giro a imbiancare le case
Il sole sul collo e qualche soldo in tasca
Almeno qui l'aria è fresca
   Guardo le famiglie che passeggiano coi figli in vacanza
Gratto via decenni di vernici al piombo e salsedine dalle verande
Da solo coi miei pensieri e una brezza che arriva dall'oceano
Sorrido per la prima volta quest'anno
   E cammino da solo nella foschia della sera
Sotto il bagliore dell'insegna del Paramount
Guardo il cielo che si riempie di luce violenta il 4 luglio
   Passo le serate in una bettola appena oltre la passerella del molo
Un triste open mic, io suono queste canzoni del diavolo
La gente mi urla che vuole sentire Springsteen o Dylan o la Mitchell
Ma io so solamente queste
   E cammino da solo nella foschia della sera
Sotto il bagliore dell'insegna del Paramount
Guardo il cielo che si riempie di luce violenta il 4 luglio
   Ho ricominciato a fumare
Perché mi piace che così mi passano in fretta le giornate
Ho ricominciato a fumare
Tanto prima o poi di qualcosa devo pur morire
Quindi perché non di questo?
Ho ricominciato a fumare
Perché mi piace
Non può piacermi e basta?
Ho ricominciato a fumare
   E cammino da solo nella foschia della sera
Sotto il bagliore dell'insegna del Paramount
Guardo il cielo che si riempie di luce violenta il 4 luglio
       2. Just Sign the Papers
Firma i documenti
   A un tavolone di legno in un ufficio appena fuori da Ann Street
Potrei anche essere in mezzo all'oceano da quanto ti sento distante
Ma amore, tesoro, ti prego...
Merda, scusami, non volevo chiamarti amore
   Faccio scorrere il dito sulla grana del foglio
Tengo lo sguardo basso, mescolo il caffè
Dovevo liberarti prima
Lo so che ho reso tutto più difficile di quanto doveva essere
E mi spiace, sono rimasto la stessa testa di cazzo di quando ci siamo conosciuti
   Tu eri i fanali posteriori, come un'ancora di salvezza quando è arrivata la tempesta
Ti ho seguita tutta notte fino a che ha smesso di piovere, come un lungo addio
   Perdo il filo mentre gli avvocati iniziano a riscrivere la nostra storia
Le cose che abbiamo costruito insieme vengono buttate giù mattone per mattone e sparpagliate in modo uniforme
Brucia i ricordi, disperdi le ceneri in giro per Fort Greene
   Tu eri i fanali posteriori, come un'ancora di salvezza quando è arrivata la tempesta
Ti ho seguita tutta notte fino a che ha smesso di piovere, come un lungo addio
E poi all'alba con la luce del giorno ho visto che accostavi
Ti ho amata come i fanali posteriori, come un'ancora di salvezza, come un lungo addio
   Forza, firma i documenti
Non dirmi di restare nella stanza
Non voglio ricordarmi di te in questo modo
Forza, firma i documenti
Non dirmi di restare nella stanza
Alla luce del sole vedo pozze di inchiostro blu che si asciugano
   Forza, firma i documenti
Non dirmi di restare nella stanza
Non riesco a tenere la mano ferma ma calco anch'io la penna
Forza, firma i documenti
Non dirmi di restare nella stanza
Giuro che ho visto fiorire dei gigli selvatici dall'ultima lettera del mio nome
   Forza, firma i documenti
Mettiamo fine a queste tenebre
Mi dispiace per ogni singola cosa che ti ho fatto passare
       3. Bloodied Up in a Bar Fight
Pestato a sangue in una rissa da bar
   È un tipo di vuoto nuovo
Una città sulla spiaggia d'autunno
È un tipo di silenzio nuovo mentre conto le crepe del muro
Non mi è rimasto più nessuno da chiamare
E sono rinchiuso nella cella di una galera
Sono le tre e un quarto
Riesco a intravvedere le previsioni del tempo alla TV dell'atrio
Sarà una settimana di pioggia
   Ma sono un paio di occhi neri a cui hanno appena fatto il culo sotto la luce del cartello di uscita
Lo sbirro mi dà un consiglio da amico
Mi fa "Meglio non crearsi problemi con la gente che frequenta quelle persone"
Pestato a sangue in una rissa da bar
   Nessuno ha sporto denuncia
Dovrebbero farmi uscire per le dieci
E il barista ha detto che stavo difendendo un amico
Hanno aggredito uno che imbianca le case con me
E gli sbirri mi fanno tutti domande
"Ce l'hai un posto dove andare?"
A casa di mia mamma non sono più troppo il benvenuto già da maggio
Non so che cosa direbbe
   E con mia sorella non ci parlo più di tanto
Secondo me è stufa di star dietro alle mie stronzate
Vive sù a Boston ora
Si è fatta una vita con un marito e un figlio
Io cerco di non intromettermi
   Ma sono un paio di occhi neri a cui hanno appena fatto il culo sotto la luce del cartello di uscita
Lo sbirro mi dà un consiglio da amico
Mi fa "Io cambierei aria prima di incontrare ancora quelle persone"
Pestato a sangue in una rissa da bar
   Non posso disturbare la mamma
Non posso disturbare Catherine
Non riesco a respirare dal naso
Mi sa che forse me lo sono rotto
E ormai padroneggio l'arte di scomparire nel bel mezzo della notte
Pestato a sangue in una rissa da bar
       4. Bury Me Anywhere Else
Seppellitemi da qualsiasi altra parte
   Resto immobile durante il controllo dei freni
Quando le guardie se ne vanno sono di nuovo da solo
Uno che conoscevo al college mi ha dato l'elenco dei punti di cambio equipaggio
Faccio nuovi progetti
Salto su un treno a Bethlehem come se avessi di nuovo 19 anni
   Ho gli occhi puntati su L.A.
Mi farò una nuotata nell'oceano al mio compleanno
Avvolto in un sacco a pelo e dagli scarichi del diesel
E il sole che spunta dalla Catena delle Cascate mi dice che sto arrivando
   Ho preso la linea nord su un container da Chicago
Mi sono aperto un passaggio in mezzo al grano invernale
Il fiato ghiacciato resta sospeso nell'alba a Whitefish
E sono mezzo addormentato
E tra poco cambio treno a Wenatchee
Viaggio sulla spazzatura per il resto della settimana
   Perché ho gli occhi puntati su L.A.
Mi farò una nuotata nell'oceano al mio compleanno
Avvolto in un sacco a pelo e dagli scarichi del diesel
E il sole che spunta dalla Catena delle Cascate mi dice che manca poco
   Seppellitemi da qualsiasi altra parte
Non potevo morire nel New Jersey
Dovevo dimostrare a me stesso che ero in grado di seminare i miei spettri
Che potevo star bene prima o poi
Non sono stato sempre un codardo
Seppellitemi da qualsiasi altra parte
Seppellitemi da qualsiasi altra parte
       5. Rosa & Reseda
Rosa & Reseda
   Prima andavamo a fumare sulle scale antincendio
Adesso fumiamo direttamente in sala
Sulle seggioline di plastica che ha lasciato l'ultimo inquilino
Sono venuto a Reseda per gli affitti bassi e le tenebre lontane e apatiche
Ho risposto a un annuncio su Craigslist, era Rosa che cercava un coinquilino
   Lei serve i tavoli durante la settimana
Prende tutti i turni che può
Io imbianco case che non mi posso permettere
Tiriamo avanti con quello che abbiamo per pagare l'affitto
   Prima andavamo a fumare sulle scale antincendio
Adesso fumiamo direttamente in sala
E le faccio sentire le canzoni che ho scritto l'anno scorso quando le cose si sono offuscate
E il suo tipo è davvero un bravo ragazzo, lavora da Jiffy Lube
Mi insegnano lo spagnolo la sera, e mangiamo quello che lei porta a casa dal lavoro
   Secondo loro potrei fare successo se ci provassi
Vengono a vedermi a tutte le serate open mic
Lui sta guardando in giro se trova un furgoncino che mi posso comprare
   Lei serve i tavoli durante la settimana
Prende tutti i turni che può
Io imbianco case che non mi posso permettere
Tiriamo avanti con quello che abbiamo per pagare l'affitto
   E la mamma vuole sapere com'è il sole della California
Mi fa che ad Island fa freddo, mi sa che non ne può più
Dice che Catherine è tornata a vivere da lei; suo marito sta parecchio male
C'è un dottore che sperano riesca a fargli una diagnosi
   Prima andavamo a fumare sulle scale antincendio
Adesso fumiamo direttamente in sala
E l'affitto è scaduto e quel deposito non lo rivedremo mai più
Rosa andrà a vivere dal suo ragazzo, io col furgoncino mi cercherò un posto nuovo
Quando avevo un disperato bisogno di un'amica, Rosa è stata un'amica
       6. Wildflower Honey
Miele millefiori
   Mi sono messo in piedi in mezzo ai fiori, tutti sbocciati di un giallo splendente sulle punte
Come se li avessero incendiati e poi spenti ma tutte le braci fossero rimaste accese
E sono passato di fianco a una collina in Texas dove i cactus avevano tutti le braccia alzate
Come se li avessi beccati a pregare con un predicatore evangelico o un dio assente
   E scivolo nel sonno mangiando miele millefiori
Nella calura della sera coi finestrini abbassati
Restando in disparte sul ciglio della strada
   Ho cantato in una bettola a St. Louis
La mia chitarra ha cominciato a suonare di merda
Me la sono fatta sistemare a Nashville
La signora mi fa "ragazzo mio, non puoi pigiare i tasti così forte"
E ho trovato dei ragazzi di Philly che erano disposti a suonare nella mia band
In cambio di qualche birra al bancone e con la promessa di andare in posti che non avevano mai visto
   E scivoliamo nel sonno mangiando miele millefiori
Nella calura della sera
Guardiamo le lucciole che arrivano
Restando in disparte sul ciglio della strada
       7. Runnin' Toward the Light
Corro verso la luce
   Una volta odiavo tutte le band outlaw country che mio padre mi faceva ascoltare da piccolo
Perché mentivano spudoratamente sulla vita che facevano
E io invece volevo solo ascoltare delle canzoni sincere
Ma adesso sono la colonna sonora sul furgone
E le cantiamo a squarciagola in autostrada come portafortuna sotto il sole che arde rovente
   Corro verso la luce sulle spalle di un sogno
Canto nel sonno
Corro verso la luce
Mi trascino per strada
Lo canto nel sonno
   La panna si fa strada nel caffè della stazione di servizio tra la pace e il rosa dell'alba
Ieri sera abbiamo suonato nell'ennesimo baretto di camionisti
Per la prima volta c'era qualcuno che cantava le nostre canzoni
Disegniamo un venti con la bomboletta sul cavalcavia
Come un patto di sangue con i vagabondi che siamo diventati
Sotto il sole che si accende delicato
   Corro verso la luce sulle spalle di un sogno
Canto nel sonno
Corro verso la luce
Mi trascino per strada
Lo canto nel sonno
   Questa è per Rosa e per Catherine e per mamma e papà
Questa è per Robert e per Jesse e per lo staff del Thunderbird
Vi renderò orgogliosi di me
Vi renderò orgogliosi di me
Vi renderò orgogliosi di me
   Corro verso la luce sulle spalle di un sogno
Canto nel sonno
Corro verso la luce
Mi trascino per strada
Lo canto nel sonno
       8. God & the Billboards
Dio e i cartelloni pubblicitari
   Secondo voi Dio li legge i cartelloni pubblicitari?
Inondati di luce fluorescente
Gettano un'ombra sulla bettola
Abbiamo suonato presto stasera
Non ti eri fatta sentire negli ultimi tempi
Ti penso continuamente
   Novembre nel Dakota, un freddo interminabile
Guardo l'olio esausto che cola dai tubi di scappamento e inizia ad annerire la neve
Penso a Dio e ai cartelloni pubblicitari
Espiro e rispondo al telefono
   Appena cominci a parlare ho già capito
Lo sento dal nodo che hai alla gola
Ma certo che vengo a casa
Ma certo che vengo a casa
   Le cose stavano andando bene negli ultimi tempi
Ho la mia band e loro hanno me
Non so bene se abbiamo un futuro o se ce ne deve essere uno
Però era bello avere uno scopo, una cosa in cui credere
   Da bambini ti consolavo quando avevi paura del buio
E tu sei sempre stata brava a cucire: evitavi che io cadessi a pezzi
Ci tenevamo in orbita, stelle binarie
   Sarà dura mollare tutto
Ma lo sento dal nodo che hai alla gola
Ma certo che vengo a casa
Ma certo che vengo a casa
   Se hai bisogno di me, vengo a casa
Se hai bisogno di me, vengo a casa
       9. Winter Coats
Cappotti invernali
   Ho visto mia sorella stesa a letto che fumava una sigaretta dietro l'altra
Con la finestra aperta e novembre che entrava in casa
Mi sono fatto il segno della croce
Pucciando le dita nel piatto dell'acqua santa calcificato di verde
   Provavo compassione per la tua anima provata e ti ho sempre evitata
Mi sento come un cappotto invernale abbandonato nello scantinato della chiesa dove ho pianto
Non ci posso credere che sono di nuovo qui
   Ho aspettato che uscissero tutti
Mi sono seduto all'organo e mi sono messo a suonare un inno lento e tranquillo
Tu in quel momento sei spuntato da dietro la panca
Mi hai quasi fatto morire di paura
Non ti vedevo da che eri un bambino
   Provavo compassione per la tua anima provata e ti ho sempre evitato
Ma se ti senti come un cappotto invernale abbandonato nello scantinato della chiesa
Ti capisco
Ti capisco
   Ma Cristo se sei diventato alto
Hai lo stesso mento di tuo nonno
Mi sa che tua mamma ha parecchio da fare ultimamente
Perché non ti siedi un po' qui con me?
Se ti piace quella canzone te la posso insegnare
Vieni qui, mettiti all'organo
È facile, te lo giuro, te lo giuro
   Metti la mano sinistra qui, così
Ora la destra
E poi si, mi, do diesis minore e poi al contrario
E sai, mi spiace per il tuo papà
Ti ho visto durante la messa
Lui sarebbe davvero orgoglioso di quanto sei stato forte
   Provavi compassione per le loro anime provate e li hai sempre evitati
Ma se io sono un cappotto invernale abbandonato nello scantinato di una chiesa, potrei tornare utile
Se hai freddo ti posso riparare
E magari posso fermarmi qui per qualche tempo, non so, se vuoi qualcuno con cui parlare
       10. Routine Maintenance
Manutenzione ordinaria
   Tutti quanti di nuovo sotto lo stesso tetto
Mi siedo sulla tua sedia preferita
E gioco con i filamenti che si staccano
Dormo nella stanza di Catherine su un lettino
Lei sul mio con Colin perché così c'è più spazio per lui
E caro papà, lei non è nelle condizioni di prendersi cura di niente
   Per cui lo porto io a scuola
Gli dico che va tutto bene
Cerco di darmi un aspetto semidecente, almeno i professori sanno che è al sicuro
E scopo le foglie, sgorgo il lavandino
Una volta tanto cerco di essere una persona su cui si può contare
   Fuori in garage ascoltando le notizie della sera
C'è da cambiare l'olio alla macchina della mamma, già da sei mesi ormai
E passavo quelle serate gelide a tremare qui fuori con te tenendo ferma la lampada
Si vede che una o due cose le ho imparate
E Colin sembra interessato, per cui faccio finta di intendermene
   E allora svito il tappo, lo faccio sgocciolare
Cerco di trovare il filtro giusto da sostituire
E le do una lavata, un tocco di riverniciata
Una volta tanto cerco di essere una persona su cui si può contare
   Negli anni che sono passati da quando abbiamo disperso le tue ceneri
Sammy è stato venduto agli L.A. e poi ai Kansas
Negli anni che sono passati da quando è successo tutto quanto
Sono stato in giro a cercare dove fosse andata a finire la luce
Credo di avere trovato dov'è la luce
   E allora gli preparo il pranzo da portarsi domani, poi vado a letto
Non voglio vedere che buio c'è di notte
E spalo la neve, riparo il cancello
Una volta tanto sono una persona su cui si può contare
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imperativo · 7 years
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Donna
E mi lasci sul ciglio della strada, come fossi una donna del posto, sola e sconsolata me ne sto, a un passo dal mare e a due dal bosco. Non andare, non lasciarmi, ho sbagliato e già mi manchi, senza fiori è la primavera per una donna troppo sincera.
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oubliettemagazine · 2 years
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Contest letterario gratuito di poesia e racconto Come fiori sul ciglio della strada
Contest letterario gratuito di poesia e racconto Come fiori sul ciglio della strada
“Alcuni guardano alle antologie come a figli di un Dio minore. Ritengono che non abbiano lo stesso valore di uno scritto pubblicato da un unico autore. Personalmente le ritengo un’occasione di incontro, un modo per proporre diverse vedute e opinioni unite in un unico contenitore.” – dalla prefazione di Miriam Ballerini Contest Come fiori sul ciglio della strada Regolamento: 1.Il Contest…
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subhitayeb · 7 years
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Dovevi vederla, era l'espressione di un'infinita tristezza, come i mazzi di fiori sul ciglio della strada, posati in tempo di disgrazia, abbandonati lì, dimenticati, pur sotto gli occhi di tutti.
“On the other side of Beirut”, Subhi.
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giangig-blog · 8 years
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Tutte le donne sono pazze (Capitolo 5 Ilary)
Lavoravo ancora nel mio negozio. Gli affari andavano e non andavano, erano di più i litigi con mio padre su come gestire l'attività. Lui cucinava e io mi ritrovavo a dover pensare a tutto il resto, ma ero un diavolo di ragazzino stupido con troppe responsabilità da adulto.
In quel periodo scrivevo tantissimo, sia canzoni che racconti, ma non riuscivo a farmi considerare da nessuno. Il lavoro con la casa discografica era finito di merda, non mi pagavano. Ero come uno di quei fiori che cerca di crescere tra l'asfalto, ma non ci riesce. Non tutti i fiori riescono a sbocciare.
Con le donne andava peggio che mai, frequentavo per lo più troiette che se la tiravano e non me la davano ed ero anche perseguitato da una con cui ero stato, pazza come una scimmia. Lei mi aveva rifiutato, ma non accettava il fatto che io ci provassi con altre. Una psicopatica.
La mia esistenza scorreva come la merda nei tubi di scarico.
Era una cazzo di mattina di inizio Novembre, c'era una pioggerellina fastidiosa e il cielo era completamente grigio. Mi ricordò Londra.
Ero seduto sui gradini dell'entrata del mio negozio e guardavo le macchine passare a tutta velocità e non fermarsi.
Pensai: "che vita di merda".
Più volte in quel periodo mi era balenata in testa l'idea del suicidio, forse per questo riuscivo a scrivere di più. Si ha più fantasia quando si è in pace con la morte.
Per mia fortuna ogni mattina c'era qualcosa o meglio qualcuno che mi tiravo su il buon umore e anche lo strumento che ho tro le gambe.
Tutti la chiamavano Ilary. Una strafiga pazzesca che aveva un negozietto di scarpe di fronte al mio. Era l'unico pretesto che avessi per andare a lavoro.
Aveva sui 30 anni, una decina in più di me, capelli castani, faccia da troia, fisico esile come quello delle modelle che si vedono in tv e soprattutto due enormi tettone. Sarà stata una quinta abbondante. Ho sempre avuto uno vera e propria ossessione per le tette.
Più grandi sono più il mio livello di attenzione diminuisce. Posso stare ore a guardare un paio di poppe senza pensare a niente e diventare ebete. Soprattutto se fissavo quelle di Ilary. Non so quante volte mi abbia beccato a fissarle la scollatura, ma a lei piaceva essere guardata. Ho sempre pensato fosse una grande troia. Era il mio sogno erotico in quel momento.
Aveva un bambino di 7 anni, una piccola testa di cazzo che odiavo. Un marmocchio con i capelli a caschetto scuri che non faceva altro che urlare che voleva la mamma. Anche a me sarebbe piaciuto avere sua mamma, ma mica lo urlavo ai sette venti.
Lo aveva avuto quando aveva solo 23 anni, messa incinta da uno stronzo qualunque che l'aveva abbandonata dopo che aveva partorito. Io, un pezzo di fica come quella, non la lascerei mai.
Ora passava da una relazione ad un'altra con uomini ricchi che per un po' la mantenevano, ma che la mollavano quando le responsabilità di crescere un figlio si facevano pesanti. Come non capirli.
Ed eccola lì, come tutte le mattine, mentre stava aprendo la saracinesca del suo negozio. Gli affari le andavano bene. Le donne andavano per comprare le scarpe e gli uomini per guardarla. Ho sempre pensato che se sei bello fai soldi più facilmente, fosse è per questo che sono povero.
Ilary si voltò verso di me urlando: "Buongiorno tesoro!" salutando con la mano.
"Ciao bellezza" risposi, quando in realtà pensai: "Quanto vorrei scoparti".
"Ci vediamo a pranzo" sorrise e entrò nel negozio di scarpe.
Veniva tutti i giorni a mangiare da me, ogni volta prendeva qualche verdura con un po' di pollo per mantenere la linea e un hot dog senza salse per la testa di cazzo del figlio. Arrivava sempre verso le due e io spesso mi sedevo a mangiare con lei.
Si, chiaro, era bella da morire, ma completamente svampita. Parlava spesso di calcio anche se non capiva mezza regola, era più interessata ai calciatori e le piaceva sapere cosa avessi fatto la sera prima. Diceva sempre che le piaceva andare a ballare, ma ora con il figlio non poteva più.
Ovviamente ogni volta che parlava le fissavo le tette e lei mi permetteva di farlo.
Più volte le ho chiesto di venire a prendere qualcosa da bere con me dopo il lavoro, ma aveva sempre rifiutato dando la colpa al fatto che doveva stare con il figlio. In realtà troieggiava con uomini facoltosi.
A me non importava essere rifiutato, lei era una bella donna di 30 anni con un fisico perfetto e io un sgorbio con 10 anni di meno. Mi trattava più come un fratello minore.
Una sera stavo per chiudere il negozio, ero rimasto per finire di scrivere una canzone che pensavo mi avrebbe fatto sfondare, quando sentii degli urli provenire dalla strada.
Uscii fuori e vidi Ilary litigare con un uomo. Un omone in giacca e cravatta con la barba ben curata, doveva essere la sua ultima fiamma. La donna piangeva e l'uomo le gridava contro cose del tipo: "Ora basta! Mi hai stancato! Questa è l'ultima che mi fai!"
Intanto tutti il vicinato si era affacciato per vedere cosa fosse successo. Si sa, dove la vita è monotona appena succede qualcosa tutti ci si tuffano di testa, me compreso. Io però ho la scusante di essere uno scrittore e di usare fatti veri per prenderne spunto per le mie cazzate.
L'omone gridò le sue ultime imprecazioni e scappò via sulla sua Mercedes bianco perla.
I soldi quello doveva anche cacarli.
Ilary rimase in ginocchio sul ciglio della strada piangenda disperata, il trucco le colava sul viso.
Corsi subito da lei, l'alzai stringendola e le dissi di venire da me. Lei mi abbracciò piangendo e mi seguì.
La misi a sedere su una sedia e chiusi la saracinesca del negozio, per non avere occhi indiscreti che ci guardassero. Le chiesi cosa fosse successo mentre le passavo dei fazzoletti per asciugarle le lacrime.
Iniziò a raccontarmi che quel tizio era uno con cui si vedeva da mesi, un imprenditore che aveva conosciuto una sera ad un aperitivo. (Menomale la sera stava a casa con il figlio) Si erano frequentati e si piacevano, lui le faceva un sacco di regali e le aveva addirittura pagato l'affitto del negozio per un paio di mesi. Poi, una sera ad un altro aperitivo (questa a casa non ci stava mai) aveva incontrato un vecchio amico e avevano iniziato a scambiarsi messaggi. Cose normalissime, niente di che. Del tipo "come stai? Cosa fai stasera? Di che colore sono le tue mutandine?" Sta il fatto che l'omone aveva scoperto questi messaggi e per questo si era incazzato così tanto.
Lei continuava a parlare, io continuavo a capirci poco anche perchè portava una maglia scollatissima e il cervello stava cominciando ad andarmi in bambola.
"Mi capisci? Non ho fatto niente di grave io" urlò facendomi tornare alla realtà.
Annui con la testa. Il sangue non era del tutto tornato al cervello.
"Cosa posso fare per te?" le dissi.
Scosse la testa "Oh niente tesoro non ti preoccupare...anzi hai mica qualcosa di alcolico?" mi domandò.
Andai in cucina e tornai con una bottiglia di vino di mio padre, un rosso con un'etichetta nera.
La stappai e ne versai due bicchieri.
Ilary bevve il primo bicchiere tutto d'un fiato e fece cenno che ne voleva ancora. Continuò a blaterare e bere.
"Perchè sono così sfigata con gli uomini?" si lamentava e beveva.
"Io sono così buona con loro..."
"Sicuramente sei bona" pensai mentre continuavo a fissarle le tette.
"Non lo reggo l'alcol, dovrei smettere" intanto buttò giù un altro bicchiere.
Era ubriaca. Mi si avvicinò, aveva il viso a pochi centimentri dal mio, l'alito le puzzava di vino.
"Cosa dovrei fare? Dimmi cosa dovrei fare?" non capivo di che argomento stesse parlando, non avevo seguito un cazzo del suo discorso. Feci spallucce.
Lei sorrise, mi accarezzò il viso e disse: "Tu sei sempre stato così buono con me" si avvicinò e mi diede un bacio sulle labbra.
Sgranai gli occhi. Il primo a rimanerne sorpreso fui proprio io...mi stava davvero baciando? Che cosa dovevo fare io ora? Era da stronzi approfittarsene solo perchè era ubriaca? Ma purtroppo stronzo io ci sono nato.
Presi con entrambe le mani il suo viso e ricambiai il suo bacio passionalmente. Lei alzò le braccia in segno di resa, ma ormai era troppo tardi, aveva scatenato la bestia!
La presi per i fianchi e la sbattei al muro. Ora le baciavo il collo e le palpavo le tette. Dio cosa erano quelle tette. Saranno state grosse come la mia testa.
Lei disarmata mi disse "aspetta...aspetta..." ma ormai aveva le mie mani ovunque.
Le tolsi la maglietta e non portava il reggiseno. Presi una tetta e le succhiai assiduamente il capezzolo, per poi passare all'altro e la sentivo iniziare a godere.
Ilary mi toccò l'uccello, era più duro della pietra. Lo tirò fuori e iniziò a smanettarlo. Io non mi staccavo da quelle tette intanto le stuzzicai la fica con le dita. Era bagnata.
La presi di peso e glielo infilai tutto dentro, lei gemette quando le senti.
Pompavo di brutto, la sbattevo su e giù e continuavo a succhiarle le tette.
Lei godeva e diceva cose del tipo "Si ancora! Dai ti prego! Si godo!".
Avevo ragione era una gran troia.
Mi stavano cedendo le gambe, ma non potevo mollare proprio ora. Le sussurrai ad un orecchio: "Voglio venirti sulle tette..." lo dissi con più imbarazzo possibile, era la foga del momento a parlare.
Lei mi guardò negli occhi, scese da me e mi sbattè al muro.
Si inginocchiò, prese il mio uccello e se lo mise tra le tette. Dio santissimo aiutami!
Cominciò a fare su e giù, il mio cazzo spariva tra quelle tettone.
Non ce la facevo più. Venni più che potevo tra quelle tette, mi tremarono le gambe.
Mi resi conto che un pò di sperma le era finito sul viso. Lei se ne accorse, se lo tolse con un dito e poi lo mise in bocca degustandolo.
Mi stava prendendo un attacco di cuore.
Rimasi in piedi con la schiena contro il muro, ero paralizzato.
Ilary si alzò e si rivestì, mi diede un leggero bacio sulle labbra e disse: "Grazie tesoro, buona serata!"
Io rimasi nella stessa posizione per un po', cercando di capire se stavo sognando o se ero sveglio.
Il giorno seguente andai in negozio. Ero stanchissimo, avevo pensato alla sera prima tutta la notte e non ero riuscito a chiudere occhio.
Vidi Ilary sorridente avviciniarsi a me "Buongiorno Tesoro!"
Ero imbarazzatissimo.Come cazzo era possibile che ero riuscito ad avere quella strafiga? "Ciao bellissima"
"Per quanto riguarda ieri sera...beh tu per me sei come un fratellino..."
"Si si tranquilla, eravamo ubriachi"
Non fai cose simili ad un fratellino pensai.
"Bene tesoro" mi diede un bacio sulla guancia "A dopo!" e se ne andò via sorridendo.
Per mia fortuna da lì a poco mi trasferii a Milano e non vidi Ilary per un pezzo.
Quando tornai il negozio di scarpe non c'era più.
Mi dissero che si era sposata con un imprenditore che aveva conosciuto ad un aperitivo e ora faceva la brava mamma e mogliettina.
Beh mogliettina, io quella sera non la dimenticherò mai!
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paoloxl · 8 years
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8 marzo sciopero generale contro la violenza di genere Mimose, cene tra donne, retorica istituzionale sono diventate la cifra prevalente di tanti otto marzo. La giornata della libertà femminile si è trasformata in una sorta di San Valentino in rosa, dove fiori gialli si depositano sulle scrivanie, i banconi dei supermercati, al capezzale della nonna malata, sulle tute delle operaie. O magari infilzate tra la verdura nelle sporte delle casalinghe. Una festa innocua, dove si lavora e si vive come ogni altro giorno, dove la violenza quotidiana è rappresentata con scarpe e panchine dipinte di rosso. Il femminismo si trasforma nel mero retaggio di un’epoca passata, assorbita in una parità formale, emendata dagli “eccessi” di chi, a partire da se, voleva sovvertire l’ordine. Morale, economico, gerarchico. Lo stigma dell’ideologia è lo strumento preferito dai nemici della libertà femminile. Uno stigma inappellabile che mira a trasformare un movimento sovversivo in una parentesi breve e folcloristica. Da qualche tempo tira un’aria diversa. Un’aria che attraversa il pianeta, un’aria che lo scorso 26 novembre ha portato 200.000 persone ad attraversare le strade di Roma. L’8 marzo è stato promosso uno sciopero generale contro la violenza maschile sulle donne, uno sciopero politico, come politico è il misconoscimento della violenza, declinata in affare privato, personale, accidentale. Femminismi e violenza di genere Il movimento femminista cresciuto negli ultimi anni pone al centro la questione dell’identità, che non è biologica, ma politica e sociale. Questo movimento sta smontando la logica binaria che ha segnato altri percorsi. Una logica che mira al mero enpowerment femminile, con metodo lobbysta, che non spezza l’ordine gerarchico, ma tenta solo di scalarlo. Oggi quel femminismo, quello della differenza, è ai margini di un movimento che ha fatto propria una prospettiva transfemminista e intersezionale. Una prospettiva che colloca la lotta al patriarcato nei bivi dove si incrocia con questioni come la classe, la razza, la gerarchia. Questo movimento sta cercando, tramite il confronto e la ricerca del consenso, di articolare un discorso pubblico sulla violenza contro le donne. Una violenza che ha i caratteri espliciti di una guerra planetaria alla libertà delle donne, alla libertà dei generi, alla libertà dai generi. Gli spazi di autonomia che le donne si sono conquistate hanno incrinato e a volte spezzato le relazioni gerarchiche tra i sessi, rompendo l’ordine simbolico e materiale, che le voleva sottomesse ed ubbidienti. Il moltiplicarsi su scala mondiale dei femminicidi dimostra che la strada della libertà femminile è ancora molto lunga. Il carattere disciplinare, punitivo della violenza maschile, nella descrizione tossica proposta dai media scompare. Dietro la supposta empatia con le vittime si cela uno sguardo obliquo, sin troppo consapevole del rischio insito nel riconoscimento del carattere eminentemente politico di gesti, che vengono circoscritti nella sfera delle relazioni, degli “affetti”, della “follia d’amore”. Ti amo da morire, ti amo tanto che decido di farti morire. Un alibi classico, divenuto parte della narrazione prevalente della violenza contro le donne. Pestaggi, stupri, assassini, molestie finiscono sempre in cronaca nera, con pericolose oscillazioni in quella rosa. Il dispiegarsi violento della reazione patriarcale viene ridotto ad uno scenario dove le donne recitano la parte delle vittime indifese, gli uomini violenti sono folli. La follia sottrae alla responsabilità, nascondendo l’esplicita intenzione disciplinante e punitiva. La violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che nello specchio distorto dei media diventa una momentanea rottura della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione diffusa a riaffermare l’ordine patriarcale. Se il carattere politico della violenza divenisse parte del discorso pubblico, avrebbe una potenza deflagrante, mettendo in soffitta l’ipocrisia delle quote rosa, delle pari opportunità, dei parcheggi riservati alle donne. Tra i temi di questo 8 marzo di sciopero e lotta, la ferma volontà di rompere il silenzio e l’indifferenza, per sostenere un percorso di libertà, mutuo aiuto e autodifesa contro chi ci inchioda nel ruolo di vittime. Forte è il rifiuto che la difesa delle donne diventi l’alibi per politiche securitarie, che usano i nostri corpi per giustificare strette disciplinari sull’intera società. Il lavoro rende libere? La critica femminista mostra le aporie di un discorso sull’eguaglianza, che si infrange nella materialità del vivere quotidiano, nei licenziamenti firmati in bianco, nel lavoro di cura non retribuito, nei ricatti e nelle molestie sessuali. La crescita di precarietà e disoccupazione e la necessità di un reddito autonomo, nel dibattito in vista dell’8 marzo ha prodotto una nuova declinazione del “reddito di cittadinanza” traslato in “reddito di autodeterminazione”, da cui emerge con termini innovativi una trama logora. E pericolosa. Affidare alla tutela statale la propria autonomia è un ossimoro, figlio di una perdurante illusione statalista. Più interessante la tensione a liberarsi dalla condanna ai lavori di cura non retribuiti, che non trasferisca la servitù sulle donne più povere, spesso immigrate, sottoposte alla pressione familiare ed al ricatto delle leggi sul soggiorno. L’intersezione tra la critica al lavoro salariato e alla società di classe e la lotta al patriarcato è un nodo da sciogliere. Una riflessione seria sulla crescita di ambiti pubblici non statalizzati, né mercificati potrebbe aprire percorsi di sperimentazione che sciolgano le donne dal lavoro di cura, liberando dalle gabbie istituzionali bambini, anziani, disabili. Smontare il concetto di famiglia, per dar spazio ad una dimensione sociale più ampia, includente, libera, è un obiettivo che apre alla possibilità libera le donne dal lavoro di cura, in una prospettiva autogestionaria. Salute e libertà Le donne muoiono di parto e di aborto, perché la chiesa cattolica sta estendendo il proprio potere negli ospedali pubblici. Discutere sul diritto all’obiezione di coscienza è una trappola, in cui è sin troppo facile cadere. Sull’Avvenire di qualche settimana fa, in risposta all’assunzione di due medici non obiettori al San Camillo di Roma, è comparso un editoriale in cui l’obiezione è indicata come strada maestra per rendere impossibile scegliere di abortire. Il vero nodo è la legge 194, la legge che, dopo la depenalizzazione dell’aborto, pose dei limiti alla libertà di scelta delle donne. La 194 è una gabbia normativa, che i nemici della libertà femminile hanno imparato a usare. Viene confermato il principio che le leggi sono la rappresentazione ritualizzata dei rapporti di forza all’interno della società. Tante leggi, a posteriori definite “conquiste” sono state limitate concessioni a movimenti che miravano a ben di più. Tra i punti dello sciopero dell’8 marzo c’è l’abolizione dell’obiezione di coscienza. Pur comprendendo e condividendo le ragioni di questa rivendicazione ritengo che si debba lavorare in altra direzione, perché la chiesa cattolica non ha alcun primato morale e sarebbe poco saggio regalargliene uno. La questione non è la libertà dei medici di rifiutare di agire contro la propria coscienza, ma che si diano le condizioni perché nessuno limiti la libertà di scelta delle donne, perché nessuno ne metta repentaglio le vite, perché nessuno possa ricattarci, umiliarci, piegarci. Eravamo fuorilegge, siamo state messe sotto l’ombrello della legge, è tempo che si lotti per essere davvero libere, senza legge. I sindacati e lo sciopero dell’8 marzo I sindacati, cui era stato fatto l’appello per l’indizione dello sciopero, hanno giocato la loro partita di immagine, senza tuttavia contribuire realmente a costruirlo. Alcuni sindacati di base, USB, USI-AIT, SLAI Cobas, Cobas, hanno indetto lo sciopero generale, offrendo copertura alla giornata. Altri, come la Cub, lo hanno indetto solo in alcuni settori, come sanità e trasporti. Chi aveva indetto sciopero nella scuola per il 17 marzo ha respinto la richiesta di convergere sull’8, nel timore che le rivendicazioni di quello sciopero, venissero oscurate da quelle emerse dalle assemblee femministe. Una evidente miopia, visto il netto schieramento di Non Una di Meno contro la Buona Scuola varata dal governo Renzi. Ambigua, ma molto corteggiata, la Cgil, facendo leva sulla diffusa ignoranza sulla libertà di sciopero, ha boicottato lo sciopero indicendo assemblee sindacali durante l’orario di lavoro. In corner la Cgil ha indetto sciopero nella scuola, mettendo a segno un doppio risultato, catalizzare la categoria sull’8, mettendo in difficoltà il sindacato di base ormai attestato sul 17, e recuperando parte dei consensi perduti non proclamando lo sciopero generale per l’8. Ciascuno ha fatto il proprio gioco delle tre carte in una sfida che nessuno ha voluto cogliere sino in fondo. La scommessa del femminismo libertario “Non una di meno” è un impegno che ciascuna si è presa con quelle che non ci sono più, nella consapevolezza che formulare un discorso politico ed un percorso di lotta sulla violenza è il primo passo per disarticolarla. Lo sciopero, lanciato dalla rete delle argentine di Ni Una Menos, si è esteso a decine di altri paesi, tra cui l’Italia, dove in pochi mesi è nata e si sta sviluppando la Rete Non Una di Meno. È un percorso in crescita veloce, ma non sempre facile. Il grande successo di questo movimento lo pone sul ciglio di un pendio scosceso, dove si intersecano modalità libertarie e tentazioni accentratrici, seduzioni stataliste e spinte autogestionarie, giochi istituzionali e radicalità politica. Il tutto condito da grande partecipazione, entusiasmo, voglia di fare e di mettersi in gioco. Non Una di Meno potrebbe essere importante laboratorio oppure normalizzarsi presto in strutture permanenti, incarichi rigidi, tutele politiche. La partita è ancora aperta. Dipenderà anche dall’impegno dei libertari se la natura fluida, eccentrica, plurale di questo movimento riuscirà a durare e a costruire nel tempo spazi aperti di confronto e lotta. Le assemblee locali sono i luoghi dove questa partita si può giocare meglio, perché più diretto è il rapporto con il territorio, più semplice la partecipazione, più chiare le partite di potere delle componenti autoritarie e riformiste. Buon Otto Marzo!
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