Tumgik
#esseri immaginari
generalevannacci · 2 months
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Altro giro, altro buco nell’acqua per la premier italiana, Giorgia Meloni, che da quando si è insediata a Palazzo Chigi ha deciso di dover diventare la trascinatrice di un’Europa (o meglio di un globo terracqueo) neghittosa verso il tema dell’immigrazione.
Dopo essersi trascinata al seguito la frastornata Ursula Von der Leyen, bisognosa di voti per una rielezione alla guida della Commissione Ue che pare sempre più a rischio, ieri Meloni è tornata in solitaria dall’autocrate tunisino Kaïs Saïed con un nuovo cesto di caramelle e dolciumi, solo per sentirsi rispondere che i dolci non piacciono al rais della sponda sud.
Sotterrati dall’indifferenza degli interlocutori, reali e immaginari, gli italiani hanno cambiato registro, avviando le scampagnate tunisine con Frau Ursula e altri premier europei a caso. Dopo varie promesse di aiuti comunitari, ahinoi sempre con robuste condizionalità, almeno viste dal versante di Saïed, ora Meloni torna da sola, e oltre alla faccia ci mette un po’ di soldi, rigorosamente italiani, con la promessa di fare lobbying pro Tunisi per far sbloccare gli agognati 900 milioni europei.
Meloni porta dunque a Tunisi 50 milioni per favorire gli investimenti nelle rinnovabili e altri 50 per finanziare linee di credito delle piccole e medie imprese tunisine, oltre a un non meglio definito “accordo quadro per la cooperazione su università e ricerca”, annunciando che a breve arriveranno quelli su Difesa e Cultura. Rigorosamente “su un piano paritario, non predatorio né paternalistico”, come recita il jingle.
In questa vibrante cooperazione, la richiesta minimale italiana a Tunisi resta quella di frenare l’immigrazione. Allo stato, pare del tutto improbabile che il sogno meloniano di creare in Tunisia un hotspot di filtro degli accessi verso l’Europa possa realizzarsi. Non diciamo “sul modello di quello albanese” perché quest’ultimo non è chiaro cosa sia esattamente, mentre i suoi costi diverranno sempre più chiari col passare dei mesi.
ADDIO SOGNI DI HOTSPOT
A questo riguardo, alcune ore dopo la partenza di Meloni da Tunisi alla volta di Bruxelles, Saïed ha fatto emettere una nota ufficiale per ribadire che la Tunisia non ha alcuna intenzione di essere “destinazione o punto di partenza per immigrati irregolari”, quindi addio alla bolla di sapone di realizzare un hotspot. Ma Saïed ha anche espresso evidente insoddisfazione verso gli europei, che non battono colpi sulla “adozione di un approccio collettivo al tema dell’immigrazione e della lotta contro la tratta di esseri umani”, malgrado “i grandi sforzi fatti per prendersi cura dei migranti” da parte di Tunisi.
Che tradotto significa che i soldi europei non si sono visti, che gli europei medesimi possono comunque scordarsi le loro bizzarre condizioni di erogazione del denaro ma che, malgrado questa evidente mancanza di buona volontà europea, Tunisi è impegnata con le sue sole forze a espellere verso il deserto migranti subsahariani e sudanesi, fatti oggetto di campagne di razzismo presso la popolazione locale, incolpandoli della situazione economica del paese. Ma è chiaro che i mezzi tunisini sono limitati, e quindi può accadere che parte di queste persone destinate all’espulsione verso il deserto partano alla volta dell’Italia. Sigh.
Le missioni tunisine di Meloni hanno prodotto soprattutto un geniale format di comunicazione: le conferenze stampa senza giornalisti. Anche ieri è andata in onda la messa in scena, con tanto di podio e la statista che parla, preceduta da uno stentoreo “buonasera”, con tanto di sguardo panoramico e avvolgente verso l’uditorio immaginario.
So quello che state per obiettare: “ma tu davvero pensi sia possibile, per la sola Italia, raddrizzare situazioni del genere?”. Ovvio che non lo penso. Quello che tento di farvi capire sono essenzialmente due cose: che il cosiddetto Piano Mattei altro non è che il reimpacchettamento mediatizzato e propagandistico di fondi per la cooperazione che ogni governo occidentale usa da decenni; e poi, che questa scatola vuota ma incartata con nastro luccicante viene usata a fini interni per permettere di affermare che “Meloni cambia verso all’Europa”. Perché lo ha detto anche “la prestigiosa rivista Time”, che Giorgia è tra le cento persone più influenti al mondo, mica pizza e fichi.
MISSIONE IN SAHEL
Dopo di che, affidiamoci a realismo e cinismo, incluso quello che porta gli occidentali a chiedere udienza alle giunte golpiste africane centro-occidentali di Niger, Mali e Burkina Faso, appoggiate da russi e cinesi. Sono atti necessari per limitare danni profondi, dopo la cacciata dei gendarmi francesi e con ogni probabilità anche quella degli americani dalla regione.
E infatti l’Italia vi partecipa, per provare a presidiare un corridoio di transito migratorio che rischia di avere conseguenze devastanti per l’Europa. Ad esempio, pare che le nostre truppe, uniche occidentali, riprenderanno la collaborazione e l’addestramento con i soldati nigerini. Per un motivo banale: che gli altri occidentali resteranno fermi parecchi giri, visti i pregressi. Poi, possiamo anche dirci che lo facciamo perché la giunta golpista ha promesso che, prima o poi, tornerà nelle caserme e la democrazia di rito subsahariano tornerà a fiorire. Manca uno straccio di roadmap ma chi siam noi per essere diffidenti, dopo tutto? Forse è questo, l’unico vero Piano Mattei. Ce lo faremo bastare, in caso.
Non siamo educande, quindi, ma sporchi realisti. Solo, per quanto possiamo sforzarci, ci risulta sempre più difficile berci la propaganda di colei che voleva i blocchi navali, sui quali è stata ovviamente fraintesa.
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g-henryxxxxxx · 1 year
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"L'uomo è il più pauroso degli esseri perché è il solo che riesce a far paura a sé stesso, creando dei pericoli immaginari, ma è anche il solo che ha conoscenza della paura, e che sa combatterla a vicenda."
-Guglielmo Ferrero
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Poiché i gatti vivono al presente, hanno paura solo di quello che hanno davanti.
Inoltre temono molte meno cose di quanto facciano gli esseri umani. […]
I gatti al contrario sono ultra-razionalisti. La vigilanza esasperata e l’imprevedibilità
hanno fondamento in pericoli reali. Temono solo ciò che è necessario temere.
La calma straordinaria e la flemma attribuite ai gatti hanno senza dubbio a che fare con l’assenza di paure immaginarie. Non si preoccupano per il passato e non hanno paura del futuro.
Magari fossimo anche noi così liberi.
(Jeffrey Moussaieff Masson – “La vita emotiva dei gatti”)
Paolo Domeniconi illustratore
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sguardimora · 1 year
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[ph. Mirco Lorenzi]
Si è conclusa domenica 5 marzo la residenza creativa di Catinca Draganescu con una prima presentazione di alcuni dei materiali di ricerca che sta sviluppando intono al progetto The future belongs to those who hope. Nel contesto del progetto europeo Stronger Peripheries, Catinca e il suo team hanno lavorato attorno alla tematica Right to the future declinandola attorno ai concetti di comunità e utopie di futuri possibili.
In questa primissima fase di lavoro il dispositivo che hanno individuato per coinvolgere spettatori e spettatrici di Mondaino nel loro processo di ricerca si rifà al teatro partecipativo alla Roger Bernát: si tratta di un gioco socio-interattivo che prova a riflettere sulle dinamiche che si creano in una comunità temporanea di spettatori-attivi e sulle reazioni che si innescano nella platea di spettatori-osservatori. 
Il pubblico entra e viene accolto sul palcoscenico da tre performer che guideranno il gioco; lo spazio è inizialmente vuoto e circondato da sedie sui lati. L’interazione si apre con una serie di domande che invitano alla partecipazione e conducono all’autoselezione dei partecipanti: chi desidera essere attivo nel gioco si alza in piedi e chi desidera esserne il testimone resta seduto.
L’architettura drammaturgica progettata per gli spettatori si sviluppa all’interno di un preciso frame di istruzioni e domande utili ad orientare le azioni e le riflessioni del pubblico. Come proprio del paradigma partecipativo di Bernát anche qui è nei bivi, nelle biforcazioni che «si inserisce l'azione dello spet-atore, spesso alle prese con domande che contemplano risposte diferenti, senza approdare a una conclusione certa» (Pedullà 2015, p. 40). L’espediente d’innesco è la fine della Terra, devastata da disastri naturali, riscaldamento globale e guerre e il trasferimento di alcuni esseri umani in un pianeta sconosciuto. Sbarcano in nove dall’astronave alveare e, dopo esercizi fisici e di immaginazione, iniziano a costruire il nuovo pianeta con piante e frutti tropicali, aria sana e acqua potabile.
Poi si presentano, alcuni con nomi reali altri con nomi immaginari e ognuno di loro porta dalla Terra precisi desideri da conservare: fratellanza, pace, autogestione, creatività, equità, tranquillità, simbiosi, tutela per cambiamenti individuali.
Attraverso sfide sia fisiche che dialogiche si crea una sorta di comunità temporanea che mette in moto per renderli visibili e così disinnescarli, in maniera ludica e ironica, gli stessi meccanismi che si attivano nella realtà: nel momento in cui vengono date precise regole che limitano la sopravvivenza del gruppo sul pianeta si creano alleanze, si autoproclamano leader, si solidarizza provando a portare l’attenzione sulle proprie opinioni...
Chi resta vivo? Chi è disposto a sacrificarsi per mantenere intatto il numero dei 15 possibili abitanti umani del nuovo pianeta? Tornare indietro o restare? Discutere per trovare una soluzione ottimale e condivisa o votare “democraticamente” per arrivare alla soluzione finale? Queste sono solo alcune delle questioni che si aprono durante le quasi due ore di incontro che hanno colpito e appassionato gli spettatori e le spettatrici che hanno partecipato anche all’incontro successivo con la compagnia, durante il quale sono state dipanate le tematiche del lavoro e non sono mancati i feedback sia da parte dei partecipanti attivi che soprattutto dai testimoni che hanno condiviso con gli artisti le loro impressioni, la loro “invidia” nel guardare da fuori e il loro parteggiare per alcune delle decisioni prese o al contrario suggerire possibilità che non erano state immaginate nel corso del gioco.
*Pedullà, C. (2015). Lo spett-attore: il teatro partecipato di Roger Bernat. Antropologia E Teatro. Rivista Di Studi, 6(6). 
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Catinca Draganescu's creative residency ended on Sunday, March 5, with a first presentation of the research materials. The project The future belongs to those who hope is developping in the context of the European project Stronger Peripheries; Catinca and her team have been working around the theme Right to the future by declining it around the concepts of community and utopias of possible futures.
At this very early stage of their work, the device they have identified to involve spectators of Mondaino in their research process is based on Roger Bernát-style participatory theater: it is a socio-interactive game that tries to reflect on the dynamics that are created in a temporary community of spectator-activists and the reactions that are triggered in the audience of spectator-observers.
The audience enters and is welcomed to the stage by three performers who will lead the play; the space is initially empty and surrounded by chairs on the sides. The interaction opens with a series of questions that invite participation and lead to self-selection of participants: those who wish to be active in the game stand up and those who wish to be the witness remain seated.
The dramaturgical architecture designed for the spectators is developed within a precise frame of instructions and questions useful for guiding the audience's actions and reflections. As proper to Bernát's participatory paradigm, here too it is in the forks, the bifurcations that "the action of the spectator-viewer is inserted, often grappling with questions that contemplate diferent answers, without landing at a certain conclusion" (Pedullà 2015, p. 40). The trigger device is the end of Earth, devastated by natural disasters, global warming and wars, and the relocation of some humans to an unknown planet. Nine of them disembark from the hive ship and, after physical and imaginative exercises, begin to build the new planet with tropical plants and fruits, healthy air and clean water.
Then they introduce themselves, some with real names others with imaginary names, and each of them brings from Earth precise desires to preserve: brotherhood, peace, self-management, creativity, equity, tranquility, symbiosis, and protection for individual changes.
Through both physical and dialogical challenges, a kind of temporary community is created that sets in motion to make them visible and thus defuse, in a playful and ironic way, the same mechanisms that are activated in reality: the moment precise rules are given that limit the group's survival on the planet, alliances are created, self-proclaimed leaders are made, solidarity is established by trying to bring attention to one's own opinions...
Who stays alive? Who is willing to sacrifice themselves to keep the number of the 15 possible human inhabitants of the new planet intact? Go back or stay? Discuss to find an optimal and shared solution or vote "democratically" to arrive at the final solution? These are just a few of the questions that opened up during the nearly two-hour meeting that impressed and impassioned the spectators and viewers who also participated in the subsequent meeting with the company, during which the themes of the work were unraveled and there was no shortage of feedback both from active participants and especially from the witnesses who shared with the artists their impressions, their "envy" in watching from the outside and their siding with some of the decisions made or on the contrary suggesting possibilities that had not been imagined in the course of the play.
*Pedullà, C. (2015). Lo spett-attore: il teatro partecipato di Roger Bernat. Antropologia E Teatro. Rivista Di Studi, 6(6). 
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lollyhabits · 1 month
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ᗩᗪᗪIO ᑕᖇISTIᗩᑎᕮSIᗰO: TᗩᑎTI SᗩᒪᑌTI, ᗩᑎᑕᕼᕮ Sᕮ ᑎOᑎ ᑕI SIᗩᗰO ᗩᗰᗩTI ᗩᖴᖴᗩTTO.
Chi crede in qualcosa (ha fede), crede perché è stato educato male dalla famiglia, dalla scuola e dallo Stato, ovvero non è stato messo nelle condizioni di comprendere l'alternativa sana alla fede, scientifica: prendere in considerazione solo ciò di cui esistono prove.
𝗟𝗲 𝗽𝗲𝗿𝘀𝗼𝗻𝗲 𝗺𝗮𝗹𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗲 ��𝗿𝗲𝘀𝗰𝗶𝘂𝘁𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝘂𝗻𝗮 𝗳𝗲𝗱𝗲, 𝘁𝗲𝗻𝗱𝗼𝗻𝗼, 𝗱𝗮 𝗮𝗱𝘂𝗹𝘁𝗲, 𝗮 𝗻𝗼𝗻 𝘀𝗮𝗽𝗲𝗿 𝗼𝘀𝘀𝗲𝗿𝘃𝗮𝗿𝗲 𝗹𝗮 𝗿𝗲𝗮𝗹𝘁𝗮̀: distorgono, non per loro colpa, le percezioni del quotidiano; non riescono a catturare la realtà in modo macroscopico, così quanto sono impotenti nel prevedere le conseguenze delle loro azioni negative. Vivono nella completa casualità, nel pregiudizio, perché non sono stati aiutati, dagli adulti che li hanno circondati da piccoli, a fare ordine fra i propri pensieri e quelli indotti, dall'esterno, fuorvianti, intrisi di moralità. E, altra questione da non sottovalutare, non sono in grado di imparare dagli errori, perché pensano di avere sempre ragione in virtù del fatto che i loro errori sono approvati dalla religione che professano.
Saper prevedere le conseguenze delle proprie azioni, saper assegnargli un valore positivo o negativo prima di agire, si chiama 𝗮𝗴𝗶𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻 𝗲𝘁𝗶𝗰𝗮 - ed è fondamentale anche per creare una vita privata priva di tensioni e amarezze, dove gli altri, intorno, vicini familiari o amici, o animali da compagnia, non vengono percepiti come schiavi, come subalterni, né come oggetti di conforto.
E' più individualista una persona indottrinata dalla fede rispetto a quanto lo sia chi viva svincolato dalla moralità religiosa, perché la quotidiana illusione che esistano esseri immaginari, onnipresenti, onnipotenti, capaci di intendere, volere e pure aggiustare il tiro delle proprie azioni, o punire terzi che ledono, si scontra costantemente con una realtà sconfortante: non accade mai. L'unica maniera per fare si che un soggetto, adulto, moralizzato, si renda consapevole delle lesioni causate o che causa agli altri o a noi, è l'azione umana (l'unica possibile): carcerazione a scopo rieducativo o il far pesare errori gravi, togliendogli ogni forma di perdono - cioè fare in modo che esistano una o più persone in grado di ricordargli, per tutta la vita, che quel comportamento è inaccettabile, affinché non lo attui ancora. 𝐍𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐢 𝐞̀ 𝐦𝐨𝐫𝐚𝐥𝐢𝐳𝐳𝐚𝐭𝐨, 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐩𝐮𝐫𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐨 𝐢𝐧𝐟𝐚𝐧𝐭𝐢𝐥𝐞, 𝐢𝐥 𝐠𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥 𝐩𝐞𝐫𝐝𝐨𝐧𝐨 𝐞̀ 𝐢𝐧𝐭𝐞𝐬𝐨 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐮𝐧 𝐯𝐢𝐚 𝐥𝐢𝐛𝐞𝐫𝐚, 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐩𝐢𝐧𝐠𝐞 𝐚 𝐭𝐞𝐧𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐚𝐧𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐨𝐥𝐭𝐫𝐞, 𝐜𝐨𝐧 𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐯𝐢𝐨𝐥𝐞𝐧𝐭𝐞.
Un soggetto fortemente indottrinato da una qualsiasi religione, davanti ad un problema complesso, o fugge o lo affronta con disonestà intellettuale (compie reati, come mentire o rubare o corrompere); un soggetto razionale, tende ad evitare i problemi complessi, a prevenire momenti di pressione, e davanti ad un problema complesso, non evitabile, si ferma e inizia a ragionare sul modo di affrontarlo, attuando una strategia positiva che causi meno male possibile a se stesso o agli altri - o, al massimo, facendo ricadere su se stesso il male peggiore, affinché altri, soprattutto più fragili di lui, non subiscano torti, ma ne traggano benefici, nel lungo periodo. 𝐄' 𝐥𝐚 𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐢 𝐩𝐞𝐫𝐦𝐞𝐭𝐭𝐞 𝐝𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐞𝐬𝐬𝐞𝐫𝐞 𝐚𝐬𝐨𝐜𝐢𝐚𝐥𝐢: 𝐝𝐢 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐜𝐢𝐨̀ 𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐝𝐞 𝐝𝐢 𝐧𝐞𝐠𝐚𝐭𝐢𝐯𝐨 𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐢𝐧 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐠𝐮𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐢𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐨 𝐢𝐧𝐝𝐢𝐫𝐞𝐭𝐭𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐞 𝐬𝐜𝐞𝐥𝐭𝐞, 𝐧𝐨𝐧 𝐜𝐢 𝐫𝐢𝐠𝐮𝐚𝐫𝐝𝐢.
Meno disponiamo della tendenza ad illuderci (di avere fede in ciò che non esiste, come la fede nelle divinità, la fede negli spiriti, la fede in miti come il destino, il karma, la fortuna o la sfortuna... (che nella loro palese inesistenza, non posso minimamente condizionarci la vita), meno dolore proveremo, e meno dolore distribuiremo agli altri, nella forma dell'invidia e delle rivendicazioni reazionarie. 𝐋𝐚 𝐜𝐚𝐩𝐚𝐜𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐢 𝐬𝐚𝐩𝐞𝐫 𝐫𝐢𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐡𝐞, 𝐧𝐞𝐥 𝐥𝐮𝐧𝐠𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐝𝐨, 𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀ 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐚𝐥𝐞 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐬𝐮𝐥𝐥𝐞 𝐢𝐥𝐥𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐥𝐚 𝐦𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐩𝐚𝐫𝐭𝐨𝐫𝐢𝐬𝐜𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐨𝐫𝐭𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐞 𝐩𝐫𝐞𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐫𝐬𝐢, 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐮𝐧𝐚 𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚 𝐝𝐢 𝐜𝐢𝐧𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐨 𝐧𝐢𝐜𝐡𝐢𝐥𝐢𝐬𝐦𝐨, 𝐦𝐚 𝐞̀ 𝐜𝐨𝐦𝐩𝐫𝐞𝐧𝐬𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀.
E' così, attraverso illusioni religiose e ridicole feste della mamma e del papà (ridicole per la visione, da non senzienti, pari a quella di un battere) e campagne denigratorie contro le donne che abortiscono, che siamo arrivati ad un Paese sano, che ha rigurgitato i ruoli, li ha sputati, con sempre più scarsa adesione alla moralità religiosa, e sempre più anziani intolleranti lasciati soli a covare rancore, presi in giro pure dalla politica, giustamente denigrati o rinchiusi in residence-ghetto, affinché tacciano per sempre e smettano di vomitare frasi prive di senso contro figli e nipoti; 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐬𝐮𝐜𝐜𝐞𝐬𝐬𝐢𝐯𝐚 𝐬𝐢 𝐞𝐯𝐨𝐥𝐯𝐞, 𝐢𝐦𝐩𝐚𝐫𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐝𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐞𝐫𝐫𝐨𝐫𝐢 𝐝𝐞𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢, 𝐩𝐫𝐞𝐧𝐝𝐞𝐧𝐝𝐨𝐧𝐞 𝐥𝐞 𝐝𝐨𝐯𝐮𝐭𝐞 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐚𝐧𝐳𝐞 - 𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐞̀ 𝐮𝐧 𝐝𝐚𝐧𝐧𝐨 𝐬𝐞, 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐚 𝐞𝐯𝐨𝐥𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐥𝐨 𝐬𝐜𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐚𝐥𝐭𝐨, 𝐥'𝐞𝐦𝐚𝐫𝐠𝐢𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, 𝐥𝐨 𝐩𝐚𝐠𝐡𝐢𝐧𝐨 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐧𝐭𝐨𝐥𝐥𝐞𝐫𝐚𝐧𝐭𝐢.
Lo paga chi, da intollerante, da massimo conservatore degli usi e costumi del passato, si ritrova nella condizione di essere lui quello che subisce intolleranza, perché ha continuato a insistere con le sue molestie, senza accorgersi di quanto questo allungasse la distanza fra lui e l'affetto meritato.
𝐄𝐫𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐞𝐝𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐢𝐫𝐜𝐮𝐢𝐭𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐢 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐢𝐧𝐧𝐞𝐬𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐟𝐫𝐚 𝐢 𝐯𝐚𝐥𝐨𝐫𝐢 𝐚𝐫𝐜𝐚𝐢𝐜𝐢 𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐢𝐝𝐞𝐚𝐥𝐢 𝐝𝐢 𝐟𝐞𝐥𝐢𝐜𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐞 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐢, 𝐬𝐞𝐦𝐩𝐫𝐞 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐚𝐭𝐭𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚, 𝐩𝐨𝐢𝐜𝐡𝐞́ 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐬𝐭𝐢𝐦𝐨𝐥𝐚𝐭𝐞 𝐝𝐚 𝐮𝐧𝐚 𝐂𝐮𝐥𝐭𝐮𝐫𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐚𝐬𝐬𝐚 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐚𝐭𝐭𝐫𝐚𝐯𝐞𝐫𝐬𝐨 𝐧𝐮𝐨𝐯𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐮𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐮𝐧 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐢𝐧𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐞𝐭. 𝐄𝐫𝐚 𝐩𝐫𝐞𝐯𝐞𝐝𝐢𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐞𝐬𝐩𝐨𝐫𝐬𝐢, 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐩𝐢𝐞𝐧𝐚 𝐥𝐮𝐜𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐬𝐨𝐥𝐞, 𝐢𝐧 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐚𝐝𝐮𝐥𝐭𝐢, 𝐜𝐨𝐦𝐞 𝐫𝐚𝐳𝐳𝐢𝐬𝐭𝐢, 𝐦𝐚𝐬𝐜𝐡𝐢𝐥𝐢𝐬𝐭𝐢, 𝐦𝐢𝐬𝐨𝐠𝐢𝐧𝐢, 𝐱𝐞𝐧𝐨𝐟𝐨𝐛𝐢 𝐞 𝐜𝐚𝐩𝐚𝐜𝐢 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐢 𝐞𝐬𝐮𝐥𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐚𝐯𝐚𝐧𝐭𝐢 𝐚𝐥𝐥𝐨 𝐬𝐟𝐫𝐮𝐭𝐭𝐚𝐦𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐞 𝐚𝐥 𝐠𝐞𝐧𝐨𝐜𝐢𝐝𝐢𝐨 𝐪𝐮𝐨𝐭𝐢𝐝𝐢𝐚𝐧𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐩𝐨𝐯𝐞𝐫𝐢 𝐬𝐨𝐭𝐭𝐨 𝐥𝐞 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐞𝐬𝐭𝐫𝐞, 𝐧𝐞𝐥 𝐥𝐮𝐧𝐠𝐨 𝐩𝐞𝐫𝐢𝐨𝐝𝐨 𝐬𝐢 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐭𝐨 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐬𝐞𝐫𝐯𝐚𝐭𝐨𝐫𝐢.
Nessuno più vede come buono l'aderire ad un patto generazionale, dopo aver assistito, impotente, negli ultimi decenni, ad una generazione più adulta del tutto insensibile alla natura, che fa sempre più animali prigionieri fra le mura domestiche; che sradica la natura, che cementifica irrazionalmente, che stravolge i delicati equilibri ambientali; che tratta i capi di allevamento, considerati come scarti, con una crudeltà indicibile; che sfrutta i poveri, che odia i diversi, che ha tentato di cacciarli il più lontano da se, descrivendoli come mostri, senza riuscirci.
𝐍𝐨: 𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐥𝐢𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐩𝐮𝐨̀ 𝐟𝐨𝐫𝐧𝐢𝐫𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐫𝐮𝐦𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐧𝐞𝐜𝐞𝐬𝐬𝐚𝐫𝐢 𝐩𝐞𝐫 𝐚𝐦𝐚𝐫𝐞 𝐪𝐮𝐚𝐥𝐜𝐮𝐧𝐨, 𝐩𝐞𝐫𝐜𝐡𝐞́ 𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐥𝐢𝐠𝐢𝐨𝐧𝐞 𝐢𝐧𝐬𝐞𝐠𝐧𝐚 𝐚 𝐦𝐚𝐧𝐢𝐩𝐨𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢 𝐞 𝐚𝐝 𝐨𝐝𝐢𝐚𝐫𝐥𝐢 𝐞 𝐦𝐨𝐥𝐞𝐬𝐭𝐚𝐫𝐥𝐢 𝐞 𝐩𝐮𝐫𝐞 𝐮𝐜𝐜𝐢𝐝𝐞𝐫𝐥𝐢 𝐨 𝐢𝐧𝐝𝐮𝐫𝐥𝐢 𝐚𝐥 𝐬𝐮𝐢𝐜𝐢𝐝𝐢𝐨 𝐬𝐞 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐢 𝐜𝐨𝐧𝐟𝐨𝐫𝐦𝐚𝐧𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐚 𝐦𝐨𝐫𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀ 𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐚𝐧𝐭𝐞. 𝐍𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧𝐨 𝐭𝐞 𝐥𝐚 𝐢𝐦𝐩𝐨𝐧𝐞 𝐩𝐞𝐧𝐬𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐝𝐚𝐯𝐯𝐞𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞 𝐩𝐨𝐭𝐫𝐚𝐢 𝐫𝐢𝐜𝐚𝐯𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐞 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐛𝐞𝐧𝐞 𝐚𝐠𝐥𝐢 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐢.
Perseverare nel sostenere, dalla campagna alla città, dal condominio ai social, dalle imprese, alle chiese e associazioni classiste, che i giovani di oggi siano il male assoluto (non è assolutamente vero!) non farà altro che aumentare la già ampia consapevolezza che la 𝑓𝑎𝑚𝑖𝑔𝑙𝑖𝑎 𝑡𝑟𝑎𝑑𝑖𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒, 𝑎𝑙𝑙'𝑖𝑡𝑎𝑙𝑖𝑎𝑛𝑎, sia solo un enorme fallimento educativo; contribuirà a dimostrare quanto la famiglia tradizionale - cioè quella famiglia che alcuni definiscono cristiana, nata e cresciuta e percepita secondo la distorta moralità religiosa (detta anche patriarcale, poiché fonda i suoi principi sulla falsa percezione che i maschi siano migliori delle donne, e di cui molte donne - pure! - si convincono) è ciò che di peggio possa capitarti come adolescente; e che la famiglia tradizionale sia una scelta errata pure negli adulti, visto che buona parte di coloro che, negli ultimi tempi, si sono sposati (sposati nell'assurda convinzione di una superiorità morale o politica da sposati - gli stessi che trattavano gli altri, con scelte diverse, come esseri inferiori, bullizzandoli, ridendone...), si sono ben presto separati, hanno divorziato, hanno costruito un'ottima base di infelicità e insicurezza emotiva per i propri figli, nel momento più sbagliato, in fase di crescita. Perché accade questo? 𝐀𝐥𝐥𝐚 𝐫𝐞𝐚𝐥𝐭𝐚̀ 𝐧𝐨𝐧 𝐬𝐢 𝐬𝐟𝐮𝐠𝐠𝐞.
L'esperienza ci insegna, se abbiamo tenuto bene le orecchie aperte quando noi eravamo dei ragazzini, che 𝐢𝐧 𝐨𝐠𝐧𝐢 𝐞𝐩𝐨𝐜𝐚 𝐞𝐬𝐢𝐬𝐭𝐨𝐧𝐨 𝐚𝐧𝐳𝐢𝐚𝐧𝐢 𝐚𝐬𝐬𝐮𝐫𝐝𝐢 𝐜𝐡𝐞, 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐧𝐯𝐢𝐝𝐢𝐚, 𝐬𝐩𝐮𝐭𝐚𝐧𝐨 𝐯𝐞𝐥𝐞𝐧𝐨 𝐬𝐮𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐠𝐢𝐨𝐯𝐚𝐧𝐢 (dimenticando di essere stati anche loro giovani controversi, a loro modo progressisti, sui cui i più vecchi, un tempo, sputavano); la storia, la letteratura ci dimostrano che in ogni epoca ci sono stati capi religiosi e anziani stupidi che profetizzavano la fine del mondo imminente, qualora i più razionali e i più giovani non avessero smesso di allontanarsi dai principi morali religiosi.
Cosa è accaduto, davvero? Come possiamo ben vedere, oggi, da vivi, nel tempo tutti quanti coloro che prevedevano sciagure apocalittiche per il genere umano non credente, sono morti - mortissimi! - e i non credenti, non solo sono vivi, alcuna divinità li ha puniti, ma si sono pure moltiplicati! e stanno benissimo. 𝐍𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧 𝐚𝐛𝐢𝐬𝐬𝐨 𝐢𝐧𝐟𝐞𝐫𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐡𝐚 𝐬𝐩𝐚𝐜𝐜𝐚𝐭𝐨 𝐥𝐚 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐚, 𝐟𝐚𝐜𝐞𝐧𝐝𝐨 𝐮𝐬𝐜𝐢𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐦𝐨𝐧𝐢: 𝐞𝐫𝐚𝐧𝐨 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐞 𝐬𝐜𝐞𝐦𝐞𝐧𝐳𝐞; 𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐫𝐢𝐦𝐚𝐬𝐭𝐞 𝐬𝐜𝐞𝐦𝐞𝐧𝐳𝐞.
Era prevedibile che, in mezzo a tanta melma religiosa, condita da politica di destra e sinistra clericale, sempre più imprudente con la lingua e i gesti, l'anticlericalismo e l'ateismo avrebbero avuto la meglio, senza alcuno sforzo; era prevedibile che nel ciclo continuo di femminicidi avvenuti in precise circostanze (uomini moralisti, moralizzati, che non tollerano la libertà femminile, poiché cresciuti in famiglie tradizionaliste dove le donne hanno meno coscienza dei propri diritti di una scopa), molti avrebbero imparato ad evitarla la melma religiosa, soprattutto in virtù di essere nati donne: ad evitarla anche ai loro figli. Ad evitare anche di far nascere figli (più ricorso a contraccezione, più attenzione verso un sesso non procreativo, più donne che non fanno figli in modo assoluto), in una realtà dove un cretino qualsiasi, se il figlio fosse nato gay o, semplicemente più sveglio di altri, si sarebbe sentito in diritto di molestarlo, di aggredirlo (in virtù di essere nonno, zio, prete, papa, vescovo, cardinale... o di essere un politico conservatore o di essere un assessore all'istruzione conservatore, totalmente fuori luogo in una scuola) fino al punto, come è accaduto nel caso di Cloe Bianco, di causarne la morte.
𝐀 𝐪𝐮𝐞𝐬𝐭𝐨 𝐩𝐮𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐒𝐭𝐨𝐫𝐢𝐚, 𝐜𝐡𝐢 𝐝𝐞𝐯𝐞 𝐟𝐚𝐫𝐞 𝐦𝐞𝐚 𝐜𝐮𝐥𝐩𝐚 𝐩𝐞𝐫 𝐢𝐥 𝐧𝐞𝐭𝐭𝐨 𝐜𝐚𝐥𝐚𝐫𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐞𝐧𝐭𝐢, 𝐩𝐞𝐫 𝐥'𝐢𝐧𝐞𝐬𝐨𝐫𝐚𝐛𝐢𝐥𝐞 𝐬𝐯𝐮𝐨𝐭𝐚𝐫𝐬𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐞 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐬𝐞, 𝐩𝐞𝐫 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐜𝐡𝐞𝐥𝐞𝐭𝐫𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐞𝐦𝐞𝐫𝐬𝐢 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐜𝐫𝐨𝐧𝐚𝐜𝐚, 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐢 𝐜𝐫𝐞𝐝𝐞𝐧𝐭𝐢 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐢.
Ci sono molti modi per condurre una sana iconoclastia, che porti al progresso sociale, ad un futuro migliore dove la felicità venga percepita come un diritto di tutti, e dove il dolore non sia più considerato, in modo distorto, come capace di renderti persona virtuosa (come sostengono i preti, che di fatto si votano ad una vita da monarchi, del tutto privata anche dal sacrifico di lavorare per mantenersi): o crei un movimento culturale visibile, che stacchi il crocifisso, e imbratti i simboli religiosi , come è accaduto in altri contesti vincenti, o, semplicemente, 𝐟𝐚𝐢 𝐢𝐧 𝐦𝐨𝐝𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐞 𝐥𝐞 𝐝𝐢𝐬𝐭𝐨𝐫𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧𝐞𝐬𝐢𝐦𝐨 𝐚𝐟𝐟𝐢𝐨𝐫𝐢𝐧𝐨, 𝐚𝐧𝐜𝐡𝐞 𝐩𝐞𝐫 𝐭𝐮𝐚 𝐦𝐚𝐧𝐨, 𝐢𝐧 𝐦𝐨𝐝𝐨 𝐩𝐮𝐛𝐛𝐥𝐢𝐜𝐨, 𝐞𝐬𝐩𝐨𝐧𝐞𝐧𝐳𝐢𝐚𝐥𝐞, 𝐝𝐨𝐯𝐞 𝐭𝐮𝐭𝐭𝐢 𝐨 𝐦𝐨𝐥𝐭𝐢 𝐩𝐨𝐬𝐬𝐚𝐧𝐨 𝐚𝐬𝐬𝐢𝐬𝐭𝐞𝐫𝐞 𝐞 𝐭𝐫𝐚𝐫𝐧𝐞 𝐥𝐞 𝐜𝐨𝐧𝐜𝐥𝐮𝐬𝐢𝐨𝐧𝐢.
Lo spettacolo indecente, quotidiano, incessante dei conservatori delle tradizioni, propagatosi tramite i media e i social, o nelle nostre vite, ha allontanato sempre più persone dalla fede e pure dalla voglia di procreare, dando un notevole vantaggio al femminismo, visto che meno figli battezzati, meno figli indottrinati alla fede, significa meno intolleranza in circolazione, destinata a morire con gli ultimi credenti intolleranti.
C'è un momento preciso in cui i fantomatici, teorici buoni valori cristiani hanno iniziato a inabissarsi in questo Paese: sono colati a picco con la pratica: con quelle scialuppe di immigrati affogati nel mare; 𝐥𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐜𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧𝐞𝐬𝐢𝐦𝐨 𝐞̀ 𝐢𝐧𝐢𝐳𝐢𝐚𝐭𝐚 𝐪𝐮𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐟𝐞𝐝𝐞𝐥𝐢 𝐞 𝐜𝐥𝐞𝐫𝐨 𝐫𝐞𝐥𝐢𝐠𝐢𝐨𝐬𝐨 𝐬𝐢 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐮𝐧𝐢𝐭𝐢 𝐢𝐧 𝐮𝐧𝐚 𝐛𝐚𝐭𝐭𝐚𝐠𝐥𝐢𝐚 𝐜𝐨𝐦𝐮𝐧𝐞, 𝐬𝐮𝐥 𝐧𝐨𝐬𝐭𝐫𝐨 𝐭𝐞𝐫𝐫𝐢𝐭𝐨𝐫𝐢𝐨, 𝐜𝐨𝐧𝐭𝐫𝐨 𝐢 𝐩𝐢𝐮̀ 𝐟𝐫𝐚𝐠𝐢𝐥𝐢: 𝐥𝐢̀, 𝐚𝐛𝐛𝐢𝐚𝐦𝐨 𝐚𝐯𝐮𝐭𝐨 𝐛𝐞𝐧 𝐜𝐡𝐢𝐚𝐫𝐨 𝐜𝐡𝐞 𝐥'𝐢𝐧𝐜𝐚𝐧𝐭𝐞𝐬𝐢𝐦𝐨 𝐞𝐫𝐚 𝐟𝐢𝐧𝐢𝐭𝐨 - e non per mano di una spinta anticlericale, atea, ma per i denti affilati e la sete di sangue che, anche le nonnine che sembravano tanto buone e care, con le loro casette di marzapane piene di santini e madonnine, hanno mostrato davanti ai nipoti, davanti al telegiornale, contente nel vedere i poveri soffrire e morire.
𝐂'𝐞̀ 𝐜𝐡𝐢, 𝐬𝐢 𝐢𝐥𝐥𝐮𝐝𝐞𝐯𝐚, 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐢𝐞𝐧𝐭𝐞 𝐞 𝐧𝐞𝐬𝐬𝐮𝐧𝐨 𝐚𝐯𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐩𝐨𝐭𝐮𝐭𝐨 𝐬𝐜𝐨𝐧𝐟𝐢𝐠𝐠𝐞𝐫𝐞 𝐜𝐫𝐢𝐬𝐭𝐨 - 𝐞 𝐢𝐧𝐯𝐞𝐜𝐞, 𝐚 𝐟𝐚𝐫 𝐢𝐦𝐩𝐥𝐨𝐝𝐞𝐫𝐞 𝐬𝐮 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐚 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐞𝐝𝐞 𝐯𝐢𝐨𝐥𝐞𝐧𝐭𝐚, 𝐬𝐨𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐢 𝐠𝐥𝐢 𝐬𝐭𝐞𝐬𝐬𝐢 𝐜𝐫𝐢𝐬𝐭𝐢𝐚𝐧𝐢. Da soli. Tutto da soli.
Non hanno avuto nemmeno bisogno che noi atei spingessimo con le nostre parole o ci presentassimo nei media pretendendo un contraddittorio nei programmi a contenuto religioso: hanno fatto tutto da soli. Non possono incolpare nessuno, se non loro stessi: di essersi dimostrati, dal passato fino ad oggi, profondamente mostruosi.
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cinquecolonnemagazine · 7 months
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Nicola Guarino pioniere di una nuova forma d’arte cinematografica
Continua a far parlare di sé Nicola Guarino, il primo regista italiano a realizzare un corto interamente con l’ausilio dell’Intelligenza artificiale generativa. ‘Nelle fauci del tempo’, da lui prodotto con IndizIDiCinema, tratto dall’omonimo libro di Davide Pulici, collaborazione artistica di Fabiana Masciopinto, uscito su YouTube il 23 luglio 2023, ha posto le basi concettuali per l’elaborazione di una nuova forma d'arte. Nicola Guarino pioniere? Nell’ambito del prestigioso Reggio Film Festival 2023, ideato e diretto da Alessandro Scillitani, ha, infatti, partecipato sabato 11 novembre, presso il Teatro San Prospero di Reggio Emilia, al convegno Identità future, sull’Intelligenza artificiale generativa per il cinema del futuro, e domenica 12 novembre, nella stessa sede, all’Incontro tra esseri umani sul tema AI e creatività, a cura di Marco Zanichelli, ribadendo come il lavoro di ogni creativo non sia fatto di scorciatoie, ma di studio e dedizione continui, uniti a sana curiosità, intuizione e lungimiranza.  https://www.youtube.com/watch?v=nLW6qEY3lC8 Dopo la proiezione del corto, 4’08’’, particolarmente apprezzato da critica e pubblico, il film-maker napoletano, nel rimarcare il ruolo crescente dell'IA nell'arte e nelle nostre vite, ha descritto ‘Nelle fauci del tempo’ come una prima sperimentazione, estremamente emozionante, della narrazione del Cronovisore, che sarebbe stato inventato, negli anni 50, da Padre Pellegrino Ernetti, in Vaticano. Una macchina del tempo, appunto, legata ad ambiti immaginifici ed immaginari, che, sintonizzandosi sulle tracce energetiche lasciate da ogni essere umano nel corso della sua esistenza terrena, sarebbe stata in grado di produrre immagini dal passato, persino la passione di Gesù. Le sue parole Guarino ha sottolineato: "Nel mio processo creativo mi sono concentrato sui miei ricordi, il mio vissuto e i miei affetti. Ho pensato che il Cronovisore non potesse essere uno strumento preciso, perché la realtà muta continuamente e, anche se riuscissi ad individuare la traccia energetica del mio bisnonno, probabilmente solo per qualche secondo, vedrei un’evoluzione continua, nel tempo, nello spazio e nei vari mondi. Ho lavorato su questa sensazione, dando un prompt di comandi e inserendo foto di famiglia. Vista l’impostazione da cinema muto, ho usato solo cartelli di premessa e snodo, senza il sonoro, se non nella frase finale, per spezzare il sogno. Per restare nell’ambito strettamente cinematografico e creativo, credo che il risultato sia una sorta di surrealismo del 2024. Se gli artisti surrealisti accedono al loro inconscio in maniera continua e ne fanno materia di lavoro, sfuggendo alle meccaniche usuali del racconto, quando si usa l’IA, forse, si sta accedendo ad una sorta di inconscio collettivo, o, almeno, è una mia speranza. L’IA, per quello che riguarda la produzione cinematografica è una vera rivoluzione industriale, non possiamo opporci al progresso, che, come ogni rivoluzione, non può essere frenato". Nelle fauci del tempo’ sarà proiettato il 16 novembre ad accordi@DISACCORDI - Festival internazionale cortometraggio di Napoli, diretto da Pietro Pizzimento e Fabio Gargano, sezione Cinema sperimentale, e il 24 novembre, al Future Film Festival di Bologna, il festival italiano più importante del cinema di innovazione, diretto da Giulietta Fara, concorso ‘Nuove frontiere’. Read the full article
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bibliorale · 10 months
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La natura della narrazione
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La narrazione fa parte della natura umana quanto il respiro e la circolazione del sangue
BYATT A. S.
La narrazione fa parte della natura umana perché è un modo fondamentale per gli esseri umani di comprendere, interpretare e comunicare il mondo che li circonda.
La tendenza a creare e condividere storie è intrinseca alla nostra condizione umana e ha radici profonde nella nostra evoluzione come specie.
Ecco alcune ragioni per cui la narrazione è parte integrante della natura umana:
1. Significato e senso: Le storie ci aiutano a dare significato e senso alle esperienze che viviamo. Attraverso le narrazioni, possiamo organizzare eventi, emozioni e pensieri in un formato coerente e comprensibile.
2. Connessione e identità: La narrazione ci permette di connetterci con gli altri e di condividere le nostre esperienze. Attraverso le storie, possiamo esplorare e comprendere le diverse prospettive, empatizzare con gli altri e costruire una connessione emotiva e sociale.
3. Memoria e apprendimento: Le storie sono un potente strumento per la memorizzazione e l'apprendimento. Ricordiamo meglio le informazioni presentate in forma narrativa rispetto a dati secchi e senza contesto. Le narrazioni ci aiutano a organizzare le informazioni in modo più significativo e a ricordarle più facilmente nel tempo.
4. Esplorazione e immaginazione: La narrazione ci permette di esplorare mondi immaginari, di sperimentare situazioni e di provare emozioni al di là della nostra realtà quotidiana. Attraverso le storie, possiamo ampliare i nostri orizzonti, sviluppare la creatività e l'immaginazione.
5. Trasmissione di valori e cultura: Le storie sono veicoli importanti per la trasmissione di valori, credenze e culture da una generazione all'altra. Attraverso le narrazioni, le società preservano e diffondono il loro patrimonio culturale, le tradizioni e le conoscenze.
Just one more thing… https://tinyurl.com/librarianactivist
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[BR]
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forgottenbones · 4 years
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5 anni fa @dio, quando su Twitter facevamo divulgazione dura. pic.twitter.com/2jTc81DSIo
— Il Triste Mietitore (@TristeMietitore) November 27, 2020
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Ci sono molti buoni motivi per odiare le coppie il sabato mattina al centro commerciale, non ultimo un fastidioso senso di imperfezione, il disordine con cui si sono scelti, la casualità, il compromesso. L’altra faccia della resa, come sapete, è per me una disperata aristocrazia: questa vita non è abbastanza per essere vissuta. Date l’ordine di affondare la vita, nostromo, piuttosto che cada in mano al nemico. Certo, trovo sgradevoli le coppie il sabato mattina al centro commerciale, quando vado a mangiare al cinese. L’idea che entità del genere si amino mi offende. Mi offende l’idea che le parole, la letteratura, abbiano un contenuto. Che ci siano vittime nella tragedia, eroi nell’epica, gente che si bacia per davvero nel canto dei trovatori. Come sarebbe bello il mondo se tutta l’esperienza consistesse nello scambio di storie popolate da personaggi immaginari, la loro inesistenza garantita dalla violazione permanente di leggi fisiche: umani che levitano nell’aria e fanno andare indietro il tempo, tutto quello che non siamo noi.
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garadinervi · 3 years
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Jorge Luis Borges, with Margarita Guerrero, (1957, 1967, 1969, 1978), Il libro degli esseri immaginari, Edited by Fausta Antonucci, «Riflessi» 11, Edizioni Theoria, Roma-Napoli, 1984
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0diostopostofint0 · 2 years
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controllano i miei deliri e danno forma ai miei incubi
personaggi immaginari mi mettono lame nelle mani
per auto-infliggermi il dolore, il dolore degli esseri umani
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corallorosso · 3 years
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Viviamo nel paese dove una potentissima organizzazione religiosa ha imposto per anni il reato di bestemmia (REATO, capite cosa vuol dire? R E A T O.) abolito solo nel 1999 e oggi declassato a illecito amministrativo, teso a punire con una sanzione variabile da 51€ a 309€ chi pronunci invettive o parole oltraggiose contro esseri immaginari e oggi la stessa potentissima organizzazione religiosa vorrebbe osteggiare un disegno di legge teso (tra le altre cose) a punire chi pronunci invettive o parole oltraggiose contro persone reali. That's all folks! Emiliano Pagani
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"È solo ipocondria" -CRONACHE DI UNA SOCIOFOBICA #10
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'IPOCONDRIA': preoccupazione ingiustificata ed eccessiva nei confronti della propria o della altrui salute, con la convinzione che qualsiasi sintomo avvertito da un soggetto sia il segno di una patologia grave.
Ho riflettuto tanto prima di decidermi a scrivere qualcosa su questo argomento e
oggi, finalmente, ho trovato il coraggio per farlo.
Oggi, vi racconto la mia esperienza con l'#ipocondria.
Due anni fa ho sviluppato una forma di forte apprensione nei confronti della mia salute. Perciò, ogni minimo segnale di malessere fisico, mi generava un'ansia talmente difficile da placare che mi vedevo costretta ad andare dal medico di base. E così, ogni settimana avevo il mio posto fisso nella sala d'attesa dello studio della dottoressa - per la quale dovevo essere diventata un incubo. Dopo avermi fatta entrare, il copione era sempre lo stesso: iniziava con "Che cos'hai, Beatrice?" per poi finire con "Tranquilla, è solo ansia" dopo che le avevo elencato i sintomi che percepivo.
Le sue rassicurazioni sul fatto che non avessi nulla di grave, a parte il fatto che fossi estremamente ansiosa, riuscivano a calmarmi per qualche giorno, forse per una settimana o poco più. Poi l'incubo ricominciava e io venivo assalita da un'ulteriore ondata di paura, che fosse per un po' di mal di gola o per un banale mal di schiena.
Ed ecco che i miei pensieri si facevano via via sempre più sproporzionati e io mi chiudevo in una ricerca smaniosa su internet per trovare informazioni che confermassero la mia folle tesi, ovvero che fossi malata. Non riuscivo a fare a meno di compiere autodiagnosi e di convincermi che queste fossero fondate, per poi tornare nuovamente dalla dottoressa. Insomma, un circolo vizioso da cui mi sembrava di non poter più uscire.
Perché vi parlo di questo? Be' perché in questo periodo di pandemia, sono sicura che si tratti di una problematica comune a tante persone. Specialmente se si convive già con un disturbo d'ansia.
Quello che voglio dirvi dunque è che non siete sol*, che so quanto vi faccia stare male questa situazione e che siete stanch* di sentirvi ripetere che è che è "tutto nella vostra testa", che è "SOLO ipocondria".
So che vi crea disagio venire etichettat* come "malati immaginari", perché la vostra sofferenza è autentica e merita rispetto.
Voglio dirvi che il dolore non è mai una scelta ma c'è qualcosa che si può scegliere. Si può scegliere di farsi aiutare.
Perché anche se è difficile, è possibile uscire da questo disturbo o perlomeno imparare a gestirlo. Basta trovare il coraggio di affidarsi a un esperto che possa sostenervi senza giudicare quanto ciò che provate sia irrazionale (questo lo sappiamo già).
Qualcuno che vi aiuti con onestà e che vi tratti come ciò che siete: esseri umani.
Io sento di non aver superato del tutto la fobia per le malattie. A volte ho delle ricadute che mi buttano giù per diversi giorni, però non smetterò mai di ringraziare me stessa per essermi decisa a intraprendere un percorso con una psicologa. Essere seguita da lei mi ha aiutata tantissimo a conoscermi meglio e scovare le cause della mia ipocondria. Perché conoscere il proprio nemico, mettersi di fronte ad esso, può spaventare ma vi aiuta anche a capire quali sono i punti deboli su cui potete attaccarlo.
Ricordate, siamo più forti dei nostri demoni. Dobbiamo solo ricordarcelo più spesso.
Un abbraccio a tutt* e speriamo che questa pandemia finisca presto❤🍀
Beatrice Mascolini, @una-sociofobica-ribelle
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crazy-so-na-sega · 3 years
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Scruton e la Bellezza
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Personalmente, penso che stiamo rischiando di perdere la bellezza. E vi é il pericolo che, con questa, perderemo anche il senso della vita”. Così si esprime uno degli ultimi filosofi puri del Vecchio Continente, l’inglese Roger Scruton, il quale ha pubblicato un saggio assai impegnativo e molto politicamente scorretto su un tema di perenne attrazione – l’idea di bellezza – (R. Scruton, La bellezza. Ragione ed esperienza estetica, Vita & Pensiero, Milano, Euro 16,00) che pur partendo da orientamenti di partenza ‘altri’ (Scruton è anglicano) arriva, da non cattolico, a sposare i contenuti nella migliore tradizione estetica cattolica rispolverando classici d’annata e antiche lezioni d’autore. Il risultato è un testo formidabile, etichettato ovviamente già come fuori moda dalla cultura egemone, perchè vi compaiono – e anzi vi dettano letteralmente lo spartito – termini ormai scottanti come ‘verità’, ‘ragione’, ‘vita’ e ‘morte’. Già la premessa metodologica è quantomai provocatoria per un pubblico tendenzialmente relativista: il filosofo è convinto infatti che “la bontà e la verità non si contrappongono mai e la ricerca dell’una é sempre compatibile con il giusto rispetto dell’altra” (pag. 12) il che vuol dire essenzialmente due cose, tutt’altro che scontate al giorno d’oggi. Anzitutto che il bene e il vero esistono sul serio e non sono concetti filosofici immaginari o termini vuoti del vocabolario, quindi, in secondo luogo, che è possibile ad ognuno comprenderli e realizzarli personalmente.
 Riguardo alla bellezza, evocando sullo sfondo San Tommaso d’Aquino, l’Autore aggiunge che la sua esperienza, come il giudizio che essa determina, rappresentano “una prerogativa degli esseri razionali” (pag. 35) dal momento che solo gli esseri razionali nutrono interessi estetici: d’altra parte, un’osservazione attenta al reale non dovrebbe fare molta fatica a cogliere che la razionalità degli uomini “é coinvolta dalla bellezza [almeno] come lo é dal giudizio morale e dalla convinzione scientifica” (pag. 39). Se siamo onesti con noi stessi, riflettendo sulle scelte piccoli e grandi del nostro quotidiano, anche senza avere studiato tomi enciclopedici, ci accorgiamo immediatamente che “in una vita realmente vissuta il gusto é una componente fondamentale” (pag. 57). Insomma, checché ne pensi l’ultimo critico d’arte che va in tv ad elargire sciocche filastrocche prese per oro colato e condite da applausi in quantità (del tipo “non é bello ciò che é bello ma è bello ciò che piace”), l’argomentazione seria di Scruton si fonda sul fatto (un fatto, non un’idea) che la bellezza di per sé costituisca un valore reale e universale, profondamente radicato nella nostra natura razionale (solo l’uomo giudica il bello e ne prova piacere).
Inoltre, per il filosofo britannico “nella nostra esperienza il bello e il sacro sono contigui [e] i nostri sentimenti per l’uno si riversano costantemente sul territorio rivendicato dall’altro” (pag. 73). Questo é forse il punto più delicato in assoluto dello studio e il campo oggi più minato perché associare il bello direttamente al sacro é quanto di più anti-moderno e contemporaneamente contro-rivoluzionario si possa fare. Tuttavia, per il non-cattolico Scruton le cose stanno davvero così. Anzi, il fatto che il sacro sia stato di fatto espulso dall’arte contemporanea alla fine spiegherebbe logicamente anche come mai il brutto, l’osceno e persino l’orrido e l’indecente siano diventati così comuni nelle tele dei pittori e nelle rappresentazioni teatrali. Tuttavia, “il punto non é solo che gli artisti, i direttori, i musicisti e altre figure che hanno a che fare con l’arte sono in fuga dalla bellezza. Ci troviamo davanti al desiderio di sciupare la bellezza, con atti di iconoclastia estetica. Ovunque la bellezza ci tenda un agguato, può intervenire il desiderio di prevenirne l’attrattiva, facendo sì che la sua esile voce non sia udibile dietro le scene di dissacrazione” (pag. 148). Tutto questo è paradossale, se non proprio assurdo, dal momento che invece “l’esperienza della bellezza ci spinge anche ad andare al di là di questo mondo, in un ‘regno di fini’ in cui il nostro desiderio ardente di immortalità e di perfezione trova finalmente una risposta. 
Come affermavano sia Platone, sia Kant, quindi, il sentimento nei confronti della bellezza é prossimo alla mentalità religiosa, poiché emerge da un senso umile del vivere con imperfezioni pur aspirando all’unità suprema con il trascendente” (pag. 149). Illuminanti tal proposito le considerazioni senza peli sulla lingua rivolte all’irreligiosa cultura di massa postmoderna, talvolta violentemente anti-cristiana, e alla banalizzazione che essa veicola continuamente dell’amore umano e del suo fine. “La forma umana é sacra per noi perchè reca il segno dell’incarnazione. La profanazione intenzionale della forma umana, attraverso la pornografia del sesso o la pornografia della morte e della violenza, é diventata, per molti, una sorta di compulsione. E, questa profanazione, che sciupa l’esperienza della libertà, é anche una negazione dell’amore. Si tratta di un tentativo di rifare il mondo come se l’amore non ne facesse più parte. Questa é certamente la caratteristica più importante della cultura postmoderna […] una cultura senza amore, che ha paura della bellezza perché é turbata dall’amore” (pagg. 151-152). Per questo, insiste Scruton, “chiunque abbia a cuore il futuro dell’umanità dovrebbe studiare il modo di infondere nuova vita nell”educazione estetica’, come la definiva Schubert, che ha come scopo l’amore della bellezza” (pag. 158).
Il punto centrale è che in un’epoca in cui la fede va declinando (alcuni sociologi per la verità parlano già, abbastanza esplicitamente, di un Europa post-cristiana) l’arte con il suo semplice e silenzioso esserci “rende duratura testimonianza della fame spirituale e dell’ardente desiderio di immortalità della nostra specie […] perciò, l’educazione estetica conta oggi più che in qualsiasi periodo storico precedente” (pag. 159). Eppure, ciononostante, il degrado dell’arte, sotto gli occhi di tutti, non é mai stato più evidente. Lontano da schematismi, interpretazioni di maniera, correnti e canoni manualistici, la battaglia decisiva, ancora una volta, pare allora giocarsi nel cuore umano di ognuno, attore o spettatore che sia. Viene in mente qui l’indimenticabile Fëdor Dostoevskij, la sua finissima metafisica in prosa e i Fratelli Karamazov quando lo scrittore russo fa dire a Dmitrij Karamazov quelle parole celebri, letterarie, insieme metaforiche e sempre valide: “La Bellezza é una cosa terribile. E’ la lotta tra Dio e Satana e il campo di battaglia è il mio cuore”. Difficile ribattere che stesse parlando a vanvera uno che non se intendeva. D’altra parte, basta dare un’occhiata ai capolavori oggettivi di sempre dell’arte slava (e non solo) per comprendere come mai, a partire dall’artista stesso, realizzare un’opera d’arte volesse dire quasi sempre cercare d’illuminare con luci, riflessi e colori, conferendogli un’attrattiva inedita pro populo, le pagine più ardue della teologia cristiana.
Per concludere, insomma, “la vera arte é un appello alla nostra natura superiore, un tentativo di affermare l’altro regno, quello in cui prevale l’ordine morale e spirituale […] Ecco perché l’arte conta. Senza la ricerca consapevole della bellezza, rischiamo di cadere in un mondo di abituale dissacrazione e di piaceri che generano dipendenza, un mondo in cui il valore dell’esistenza umana intesa come esperienza che vale la pena vivere non é più percepibile con chiarezza […[ La bellezza sta scomparendo dal nostro mondo perchè viviamo come se fosse priva di importanza; e viviamo così perchè abbiamo perso l’abitudine al sacrificio e cerchiamo sempre, con ogni mezzo, di evitarlo. 
La falsa arte del nostro tempo, macchiata di kitsch e dissacrazione, ne é un segno. Fare riferimento a questo aspetto della nostra condizione non significa sollecitare la disperazione. E’ un segno distintivo degli esseri razionali il fatto che essi non vivono solo – o nient’affatto – nel presente. Essi hanno la libertà di disprezzare il mondo che li circonda e di vivere in maniera diversa. L’arte, la letteratura e la musica della nostra civiltà ce lo ricordano, e, inoltre, indicano la strada che é sempre aperta davanti a loro: la strada che permette di uscire dalla dissacrazione alla volta di ciò che é sacro e sacrificale. E ciò, in poche parole, é quello che ci insegna la bellezza” (pagg. 162-164). La prossima pubblicazione di Scruton, in uscita per D’Ettoris, è la traduzione di ‘How to be a conservative’ un manifesto ragionato del conservatorismo come pensiero, gusto e modo di vivere. Da non perdere.
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p.s Roger Scruton è morto a gennaio 2020. 
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kon-igi · 4 years
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UNA CATTIVA ATTENZIONE È MEGLIO DI NESSUNA ATTENZIONE
Il mio amico @salfadog mi spiegava del perché Otto Doggo, se non al centro dell’attenzione per un periodo di tempo superiore ai 12 secondi, sparisse dalla vista per poi ricomparire, tenendo in bocca un oggetto ’vietato’ tipo una scarpa, un berretto o un soprammobile, agguantati con criminale precisione e mostrati da lontano con orecchie abbassate e scodinzolìo ‘di culo’, quest’ultimo chiaro segno di consapevole colpevolezza.
Il motivo sta, appunto, nel titolo: una cattiva attenzione è meglio di nessuna attenzione.
Il tipo di risposta, perciò, non deve essere quella, dettata dall’istinto, di urlare e rincorrerlo per toglierli l’oggetto del furto di bocca perché questo rafforzerebbe la convinzione della buona efficacia del suo comportamento (i cani sono incapaci o poco capaci di usare il pensiero logico astrattivo) ma di deviare il pattern comportamentale che si è innescato con un altro tipo di distrazione che lo dèvi su altri schemi di interazione e poi usare il rinforzo positivo (complimenti o cibo) quando lascia andare l’oggetto.
Facile coi cani, più difficile con gli esseri umani.
La ricerca della cattiva attenzione è tipica del bambino piccolo, il quale tenderà ad autodeterminarsi e ad affermarsi con quelli che paiono i classici ‘dispetti’, comportamento che di solito viene abbandonato con il progredire della maturità grazie all’acquisizione di una maggiore competenza interattiva verbale e sociale.
Di solito.
A volte succede che un giovane adulto (o un adulto fatto) non abbia sviluppato sufficientemente questo tipo di competenza e che quindi colmi i citati 12 secondi di presunta mancata attenzione con comportamento infantili e ‘dispettosi’ che nascondono una solitudine emotiva e sociale mai colmata.
La società è piena di queste persone e se occuparcene umanamente dovrebbe essere - per come concepisco il mondo io - un dovere di ogni essere vivente, a volte queste sono oltre ogni possibilità di conforto e di accompagnamento alla comprensione, con l’inevitabile risultato che ci si trova costretti a lasciarle andare a trincerarsi nel loro mondo di costrutti immaginari e a piangersi addosso per la crudeltà anempatica degli altri.
Dispiace ma ognuno ha le proprie battaglie e le proprie lotte, esteriori e interiori, e la quantità di tempo e impegno sacrificabili deve essere commisurata al tipo di risposta dell’altro. E mai, dico mai a discapito delle persone che ti sono vicino e a cui hai promesso gioia e serenità, fino alla fine.
Il dispiacere rimane ma ognuno va avanti con la vita che si è scelto e costruito.
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sophiaepsiche · 4 years
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Sempre qui
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Ponderare la natura del tempo, quando si parla della mente e i suoi trucchi, è piuttosto comune. Qualsiasi filosofo o ricercatore spirituale deve scontrarsi col tempo e, oggigiorno, anche moltissimi scienziati sono convinti che il tempo non esiste: non è una realtà fondamentale. Non intendo dire che sia scontato capirlo, al contrario, è frutto di un’indagine seria, fine ed accurata della realtà. Inoltre è uno shock bello e buono, è sconvolgente vedere la verità e capire l’illusione del tempo come lo immaginavamo. Eppure l’esperienza comune e quotidiana è inequivocabile: viviamo nell'eterno ora, basta dare sufficiente attenzione al fenomeno perché si palesi l’evidenza. Relegare poi la visione classica del tempo, con il suo passato e il suo futuro immaginari, ad una mera consuetudine, ad un'abitudine mentale o un sistema di comparazione e misurazione del cambiamento è relativamente semplice.
Molto più complicate e sofisticate sono invece le trame dell’inseparabile compagno del tempo: lo spazio. Einstein ci garantisce che sono un'unica cosa: lo spazio-tempo, quindi se uno è falso (o è falsata la nostra interpretazione di uno di essi) lo deve essere anche l'altro. L’illusione dello spazio però è molto più convincente. Non a caso prende una grande fetta dell'attività del nostro cervello, circa un terzo, ossia quella dedicata alla vista.
Anche se più complicato possiamo comunque renderci conto della realtà. Se ci riflettiamo e diamo sufficiente intensità ad attendere alla nostra reale esperienza dello spazio, non possiamo che ammettere che sperimentiamo, e abbiamo sempre e solo sperimentato, il qui. Lo spazio sembra arrivare fin lì, fino al limite della nostra visuale, sembra esserci qualcosa di lontano da noi e siamo convinti che ci sia un lì così lontano da non poterlo neanche percepire ma di cui accettiamo l'esistenza, senza dubitarne mai. Tutto questo nonostante in realtà possiamo solo fare esperienza del qui…
‘Io’ sono sempre e solo qui.
Proviamo a ribaltare la nostra interpretazione in base all’esperienza quotidiana. Nella vita sono sempre in un qui, mai lì, ciò che mi confonde è che cambia il resto, lo scenario, ma la mia esperienza è comunque qui. Anche nei sogni, dove cambiano scenari molto fluidamente e velocemente, la mia esperienza ha sempre e comunque luogo qui. Se entro in un mondo virtuale, in un gioco di realtà virtuale, ho nuovamente la stessa esperienza: io sono qui. Il mondo cambia ma io no e sono sempre nello stesso luogo: ‘qui’. Vale la pena sottolineare, in questo caso, che imeravigliosi giochi virtuali sono stati sviluppati grazie alla comprensione della vista e dei nostri sensi e non grazie alla comprensione dello spazio. Questo è indicativo, non vi pare? Perché basarsi sui sensi se lo spazio fosse una realtà fondamentale? Non sarebbe più accurato basarci su di essa che sui sensi?
Che sia in un sogno, in una realtà virtuale o in questo mondo che credo una realtà fondamentale a se stante al 100%: lo scenario cambia ma l’io è fermo. Attenzione però, appena cambia mondo deve cambiare anche il corpo, devo avere un avatar o un corpo sognato. Tutto ciò che è esterno quindi entra in gioco assieme: si apre il sipario, si va in scena. È solo la scenografia che cambia e la cosa più strabiliante (e scioccante) è che il corpo faccia solo parte della scenografia. Potete ‘viaggiare’ tutto il mondo, di giorno, e in una notte sognare 100 sogni diversi (come nel film Inception), 1000 mondi ed universi virtuali, sogni paralleli (ad occhi aperti) nel mondo ‘materiale’, trip psichedelici, esperienze extracorporee, ma cosa ‘viaggia’ in realtà? Cosa cambia? Cosa si muove? Tutto tranne noi. Tutto, in qualche strano modo, danza dinanzi a noi ma non noi, non l’io: l’io è sempre qui. Lui non va da nessuna parte, è sempre qui, nell’eterno ora, nell’eterno qui.
Provate a rendervene conto, provate per una volta a non relativizzare l'esperienza a seconda di ciò che cambia fuori, pensando che vi state effettivamente muovendo in uno spazio, ma rendetela assoluta concentrandovi su ciò che è in effetti sempre qui e sempre ora. Provate a notarlo!
Conosciamo il ‘qui ed ora’ come pratica spirituale, ma prima di capirne la valenza come pratica, tuffiamoci nell’esperienza della nostra quotidianità. Abbiamo molti elementi utili a supporto della nostra comprensione, la quale non può che aiutarci. Anche solo porvi l'attenzione può cambiare qualcosa, dategli un'opportunità. Essendo lo spazio la parte più difficile da accettare teoricamente, esplorarla direttamente può aiutare moltissimo. Fatelo con molta calma, divertitevi a notarlo mentre vi addormentate o non appena svegli o se avete l'opportunità di giocare con la realtà virtuale.
Se lo farete, capirete molto meglio le pratiche e le teorie filosofiche e spirituali, capirete che non sono antiscientifiche o da accettare per fede, sono basate sull’indagine diretta. Semmai è l’esatto contrario, sono anti-illusorie. Il problema è ‘solo’ che la verità è totalmente opposta a quello che crediamo e liberarsi dai condizionamenti più basilari può essere un processo complesso. La vostra indagine diretta vi aiuterà parecchio. La spiritualità non si riferisce allo ‘spirito in un altro mondo etereo’, lo spirito è la coscienza. La coscienza non può essere antiscientifica. Non ci sarebbe scienza senza coscienza. Abbiamo l’esperienza quotidiana a supportare l’esplorazione scientifica e filosofica del nostro essere coscienti. Non diamo mai per scontato che sia tutto come ce lo hanno descritto, né lì fuori né noi: indaghiamo!
L’esperienza dell’io che resta sempre qui e ora è particolarmente importante perché ci riporta alla realtà assoluta. Chi conosce se stesso non può che incappare in queste scoperte ed attuare così un ritiro dal mondo in modo molto naturale e proprio in questo mondo, mentre si vive, perché rispecchia la propria esperienza quotidiana. Praticare qualcosa di cui non si capiscono le motivazioni mentre si considera reale e ‘comprovata’ la consistenza materiale del mondo e del corpo, dello spazio-tempo e dell’ego può dare risultati molto limitati. In più può essere preso dallo stesso ricercatore come un viaggio un po’ troppo misterioso, romantico, new age. Non è affatto così, la fiaba la stiamo vivendo ora, è l’esatto contrario, dobbiamo svegliarci alla verità! Il ricercatore spirituale è l’unico che trova la verità, tutti gli altri sono pieni d’illusioni e sono sognatori perché credono senza perlustrare l’esperienza della loro vita.
Nell’osservare l’eterno qui cambieremo prospettiva, il mondo dello spazio-tempo si rivelerà sempre più come una realtà virtuale, come una proiezione, come un sogno. Sembra più reale di un sogno solo perché ci restiamo più a lungo, è più convincente e questo lo rende più illusorio, non più vero! È un realtà nel senso che esiste ma anche un sogno esiste, anche un gioco esiste. È una realtà relativa perché cambia sempre, è totalmente impermanente.
Questo è anche un insegnamento filosofico/spirituale in linea con l’esperienza effettiva dell’essere sempre qui ed ora, perché il nostro dolore è causato dal fatto che, non vedendo la verità che è sotto il nostro naso, diamo tutta la nostra energia a ciò che va e viene, a ciò che relativo, impermanente e che non può che andare… così saremo sempre infelici. Al contrario se diamo attenzione all’essere in noi stessi stiamo dando attenzione a ciò che non va, né viene, permane, c'è sempre. È sempre qui.
In tutto questo ‘andirivieni’ scopriamo il punto fermo, qualcosa di assoluto in noi. Restare in noi, dimorare in noi, diviene quindi anche una pratica, in alcune tradizioni chiamata il qui ed ora.
Non cerchiamo l'onnipresente nello spazio-tempo, non abbiamo bisogno di esperienze mistiche o sovrannaturali per entrare in contatto con l'assoluto e questo non perché vi sia nulla di male o perché io non creda a queste meravigliose esperienze, ma vedete dobbiamo capire che ogni volta che qualcosa si manifesta nello spazio-tempo ne condivide anche le caratteristiche di realtà relativa, transitoria e illusoria. Quindi nonostante possano capitare e sono certo segno di evoluzione spirituale non ci attacchiamo ad esse, consideriamole una grazia, una rassicurazione, un segno d’amore per chi ancora non riesce a essere fermo nell’assoluto, ma andiamo oltre, puntiamo all’assoluto! Ciò che cerchiamo e dobbiamo cercare è sempre e solo l'assoluta verità ed è sempre disponibile, è sempre qui… è così scontata che la trascuriamo infinitamente.
Pensateci: perché tutti gli scienziati, tutti gli esseri umani cercano di capire l’esterno? Forse perché lì qualcosa ci sfugge, e ci sfuggirà sempre? Forse qualcosa non quadra? Perché il nostro io e la nostra esistenza nessuno le indaga? Perché l’essere è una certezza e ciò che è certo si dà per scontato. Tutti i nostri problemi sono causati da questo atteggiamento.
Torniamo in noi, non trascuriamo l’essere, restiamo in noi! Allora tutto il resto si rivelerà sempre più ‘relativo’ e le nostre reazioni saranno sempre più riproporzionate alla loro oggettiva relatività.
Questa è la pace dei saggi.
La scoperta che l’onnipresente non è ‘presente ovunque’ in uno spazio-tempo immaginario ma è sempre presente qui ed è sempre presente ora.
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