Tumgik
#guarda non dico neanche nulla
masakousuke · 8 months
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Aspetta che lo ripeto un attimo
Tumblr media
L M A O
Ok credo sia passato il messaggio.
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ragazza-nuvola · 1 month
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Non ho mai parlato delle mie malattie, nemmeno quì su tumblr che per me è un diario segreto su cui scrivere tutto quello che provo dentro, tutto quello che posso dire senza dovermi preoccupare di chi li guarda, di cosa possano pensare, di quali giudizi possano dare.
In realtà è sempre difficile per me parlare sia delle ferite interiori ma ancor di più delle ferite esteriori, non so perché. Non so mai cosa dire sulle mie malattie, perché forse in realtà non so nemmeno come esprimermi. Se mi lamento esagero troppo perché c'è gente con malattie peggiori, se sto zitta e faccio finta di nulla poi "e ma tu stai bene, puoi fare qualsiasi cosa, mica sei veramente così malata".
Ma ora basta. Sapete che dico? Vaffanculo, si vaffanculo. Nessuno può dirmi cose su me e sulla mia malattia che io non sappia già. Ci sono giorni bellissimi in cui tutto va bene, mi sento super in forze, capace di sfidare qualsiasi catastrofe ma ci sono anche giorni di merda in cui mi alzo dal letto con dolori lancinanti ovunque, sono sempre super stanchissima come se avessi scalato l'Everest, respiro a fatica e qualsiasi fonte di luce mi provoca stress e abbagliamento per cui neanche degli stramaledetti occhiali polarizzati funzionano.
Oggi mi sfogo si, perché dopo tanti anni di malattie croniche sono stanca, sono tanto stanca. A 23 quasi 24 anni io dovrei spaccare il mondo, andare al mare, andare all'università, lavorare, comprare casa, viaggiare, fare palestra e invece no sono sempre su uno stupido divano a cercare di combattere contro un corpo che sembra averne 80 di anni.
Una vita fatta di ospedali, medici, lutti importanti, bullismo, cyberbullismo, amici di merda...Vita dammi un po' di tregua perfavore, ho solo 23 anni e sono stanca come ne avessi vissuti il triplo.
Scusate il post chilometrico ma oggi non vedo tutto a colori, oggi non va tutto bene, oggi è nero ed è di merda.
Magari la prossima volta vi dirò che la vita è a colori e tutto ha un senso perché chi è malato è questo, un giorno colorato e un giorno nero.
Siamo difficili, quasi incomprensibili perché dobbiamo esser forti anche per chi è intorno a noi e quindi tutto il dolore lo portiamo dentro, per sempre. Non ci è concesso essere fragili, se non nel buio della notte con la Luna a farci compagnia e il silenzio in sottofondo per cercare un po' di pace.
-🌙🌌-
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blogitalianissimo · 2 years
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... Unpopular opinion: non me la prendo tanto con chi ha votato Meloni
L'intera campagna della sinistra era un "votate noi che di là è peggio, fidateve", mentre M5S non ha lo stesso appeal degli altri due partiti nonostante il faccione simpatico di Conte (e non considero neanche Noi Moderati)...
Il risultato era prevedibile anche perché avere una donna al Governo per una volta sembra una buona idea
Speriamo solo si vada a migliorare
In più l'affluenza alle urne è stata imbarazzante...
(Questa non è un'opinione da studiata e non voglio imporla, sono aperta al dialogo e spero questo ask non sembri troppo aggressivo) (Mi manca l'anon asking)
Ok sarà un po' lunga rispondere a questo ask
Assumo la tua provenienza, dico che vivi più a nord di Catanzaro, me lo suggeriscono molte cose che hai scritto in questo ask, ma va bene ti racconto io come funziona nell'Italia che non conosci
Condivido sicuramente la critica alla """"sinistra""", anche perché 3/4 post fa ho scritto la stessa cosa e vabbè.
Sui 5 stelle sbagli e alla grande, forse appeal non ce l'hanno nella parte ricca d'Italia (ed è qui che ho iniziato ad assumere la tua provenienza), ma ti assicuro che nella parte povera d'Italia ce l'hanno e come l'appeal, perché voglio ricordarti che i 5 stelle, per quanto merde, voltagabbana, incoerenti e senza mezza idea politica: sono l'unico partito d'Italia che si rivolge AI POVERI. Cosa che dovrebbe fare la sinistra, cosa che dovrebbe fare il PD, ma lo fanno i 5 stelle. Lo fanno male? Sbagliano tutto? Tattica per prendere voti facili? Quello che ti pare, ma il meridionale, quello che a fine mese non ci arriva, se deve scegliere tra votare IL NULLA, ovvero la sinistra, e IL NULLA MA CHE TI AIUTA AD ARRIVARE A FINE MESE, mi dispiace si butta sulla seconda scelta. E possiamo menzionare anche i diritti che vuole garantire la sinistra quanto ci pare, ma nel 2022 di questi diritti nemmeno l'ombra, e non tutti i gays vivono negli attici a Milano e non hanno problemi economici, ci sono gays che vivono nell'entroterra lucano e non sanno come pagare le bollette, e questi ultimi tra "promesse non mantenute" e "promesse non mantenute ma con un assegno in tasca a fine mese" si buttano sulla seconda scelta. Perciò in questo mare di merda ben venga la dipartita del Partito Democratico. Si facessero un esamino di coscienza, meno chiacchiere e più fatti sui diritti (che è vergognoso arrivati al 2022 discuterne ancora), e meno classismo, perché voglio ricordare che a togliere la maggioranza assoluta a Fr4telli d'Italia è stato il voto dei meridionali, quelli che hanno fatto arrivare i 5 stelle come primo partito in quasi ogni provincia, ed è a questa categorie di persone che la sinistra, quella vera, si deve rivolgere.
Guarda Gi0rgia M3loni sarà pure una donna, madre, come le pare, ma parliamo di una persona che se potesse prenderebbe a manganellate coppie lesbiche o boh, donne che non desiderano portare avanti una gravidanza. Quindi questa cazzatona del femminismo che ha vinto scrivetela altrove, allora appendiamoci in cameretta i poster di M4rgaret Th4tcher e chiamiamola girlboss.
L'affluenza alle urne è stata imbarazzante perché 1. l'italiano medio si è stufato di votare per la stessa merda, perché così è andata, Gi0rgia M3loni non è stata scelta solo dai f4scistoni (non tutti quelli che votano fr4telli d'italia sono f4scisti, ma tutti i f4scisti votano fr4telli d'italia), ma anche da gente che anni fa aveva votato la l3ga e prima ancora il pd, stavolta era il turno di Gi0rgia 2. si è abbattuto un nubifragio che ha trasformato 3/4 del mezzogiorno in Atlantide e ha reso alquanto arduo andare a votare, e la gente essendo sfiduciata non aveva voglia di farsi pure una nuotata per votare
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gcorvetti · 11 months
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Giornatina piena.
Oggi sono andato in banca, non per fare una rapina che poi quelli rapinati siamo noi, ma per prendere la nuova carta bancomat, detta anche tecnicamente debit card che fa già capire qual è la mia posizione sociale. Prendo il numerino, anzi no nel tabellone a schermo verticale di 40 pollici, si enorme, c'è l'opzione "I will remember" che serve a non far stampare il fogliettino di carta, numero 209, nell'ampio atrio ci sono due persone, una è una vecchietta che si sta rivestendo e quindi ha finito, l'altro è un signore che fissa il mega televisore del cazzo dove vengono visualizzate le varie pubblicità della banca stessa con la bocca aperta e la lingua di fuori, complimenti. Mentre aspetto noto i box dove ci sono le signorine (o signore) che lavorano in banca che sono nuovi, prima erano solo divisi da separè mentre adesso sono dei box chiusi con tanto di vetrata, porta d'ingresso con numerone e freccia se per caso non hai capito dove sta la porta, penso "Cavolo allora li usano bene i miei soldi". Ad un certo punto spunta da una porta una donna robusta, ma piacente, una bella donna va, che con i tacchi alti (non 12, ma alti) ritma come un tamburino fino al box #1 (non ashtag ma numero 1) si siede e inizia a smanettare sul pc. Dopo neanche un minuto un'altra donna esce dalla medesima porta più o meno con lo stesso fascino ma invece dei capelli color patata, è una tipologia tutta estone il capello color patata, è brizzolata il che la rende molto affascinante, entra nel box 4. Dopo un pò suona il campanello e guardo la banda viola (non so perché è viola visto che il colore predominante della banca è verde) che c'è in basso nella tv perché nel frattempo il signore con la lingua di fuori è andato col numero 208 al box 3, quindi penso che tocca a me, invece no, il counter dice 210, che cazzo, allora dovevo stampare il bigliettino? Non mi inalbero perché il 210 si posiziona al box 8 che non è nell'atrio quindi magari è da un'altra parte. Tocca a me e finisco nel box 1, entro e dico subito il perché sono la, le allungo il documento, lei entra nel mio conto (prassi) e mi dice un attimo che vado a prendere la carta nuova. Torna le dò quella vecchia e le chiedo, anche se lo so già, il perché questo cambio ogni 3 anni, facendole la domanda è un'operazione commerciale? Lei subito mi dice "No, non è un'operazione commerciale, ma sa, spesso le carte sono consumate, anche se la sua è in ottimissimo stato, oppure ci sono degli aggiornamenti al chip, ma nulla di commerciale". Vidi un video anni fa a riguardo, ci sono aziende con centinaia di operai che sfornano carte simili ogni giorno, e naturalmente il costo viene attribuito a noi utenti ma maggiorato, quindi bella mia a chi vuoi prendere per il culo? Faccio comunque lo gnorri e in pochi minuti sono fuori e mi dirigo al bar. Caffè e torta al mango e ricotta, la mia preferita, al banco c'è la tipa che mi saluta sempre, mi guarda sempre e mi sorride, si si sono troppo figo :D ho lavorato per quella ditta, non in quel bar in un altro e sicuramente sa chi sono, l'ho sempre detto alla piccoletta monella che mi diceva "Guarda che la tipa ti sta guardando, ti fissa", lo so lo so, ma so anche che una bella ragazza giovane è impegnata sicuramente e se non lo è lo sono io, quindi niente di che. La cosa invece che noto oggi, dopo anni perché non siamo mica a Frittole quasi 1500 e non fisso, ma l'ho guardata mentre serviva una cliente e aspettavo il caffè, dio se esisti fulminami, niente, la tipa (che non so neanche come si chiama) assomiglia moooooolto a PJ Harvey, voglio morire. Finisco il caffè e la torta e vado via, mi saluta come sempre, la saluto come sempre, ci scambiamo l'ultimo sguardo per oggi, alla prossima PJ. Non sono un tipo romantico, ma mi piace quel non so che che si crea in quelle situazioni dove il mistero, cioè il fatto che non so nulla e spero anche lei non sappia nulla, mi affascina e mi intriga, tutto qua.
Torno a casa, non ho portato la borsa con me dove tengo un quaderno e uno sketch book, penna, matita e temperino, perché ho le pulizie da fare, dovrei anche portare le biciclette, il taglia erba, il tosa siepe e altre cose dal garage alla cantina perché già ieri notte ha nevicato ma non è restato niente, perché l'auto non entra se ci sono tutte quelle cose, ma non l'ho fatto perché volevo scrivere sta cosa e ora me ne vo a suonare, forse era più per suonare :D.
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unfilodaria · 2 years
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I nostri accadimenti di vita spesso finiscono col diventare intercalari nei nostri discorsi senza neanche rendercene conto o, solo in ritardo, dopo essere ritornati col pensiero a quel che s’é detto.
Capita a me ma anche a tanti altri.
Mi ritrovo a parlare di mia figlia o delle mie noiosissime giornate, finendo, col malcapitato di turno, sul mettere l’accento sul fatto che vivo solo, o che mangio da solo, o che faccio le cose da solo.
Lo dico così, buttato nel discorso, senza neanche rendermene conto. E non lo dico per scatenare compassione nel mio incauto interlocutore. Lo dico e basta, così di getto. Proprio perché la solitudine mi è diventata una condizione di vita così intollerabile da lamentarmene anche soprappensiero.
E stasera, incontrando al cinema una mia conoscente, abbiamo iniziato a parlare dei rispettivi figli, che vivono fuori, che siamo condannati a non vederli per lungo tempo o mai più e… zac mi è uscito fuori un “e poi sto da solo…”
Al che di contraltare la mia conoscente mi risponde con un “beh d’altronde anch’io mi sto separando” usando quel tono misto di stupore e contumelia “così all’improvviso… non me lo aspettavo proprio” facendo quell’espressione, venata di triste rassegnazione, di chi davvero non ha capito nulla e ha finito col prendere una mazzata improvvisa tra capo e collo, il tutto accompagnato da un sospiro di chi si sta lamentando perso nei propri pensieri.
Mi è uscita una banalissima frase di circostanza e l’amara constatazione che la mia, la nostra é una generazione bacata, portando ad esempio che più del 65% dei miei compagni di liceo (maschi e femmine) sono separati o divorziati e anche alla seconda esperienza matrimoniale. Al che uno spettatore, accanto a noi, ci guarda sconsolato e con un sospirone esclama “non me ne parlate” ma sempre con quell’aria assorta di chi in realtà parlando da solo, perso nei propri pensieri.
Quella frase “non me lo aspettavo proprio” però m’é rimasta dentro, indigesta come la peperonata di sera sullo stomaco, e manco il film di Godard “Il disprezzo” ha aiutato. Anzi! È più ci pensavo e più tornavo sui miei passi e più ripercorrevo i disastri sentimentali della mia vita. L’avrei voluta fermare la mia conoscente e dirle che “mai nulla accade all’improvviso”. É che solo non abbiamo voluto vedere. Il morto ce lo avevamo in casa da tempo, era da tempo tra noi, il tanfo della decomposizione del nostro, del suo rapporto era talmente intenso e costante da assuefarsi e non sentirlo più. Quando poi uno dei due arriva finalmente a prenderne coscienza, ha un moto di ribellione, cerca altro per potersene uscire da quel rapporto soffocante, ed è lì che l’evento diventa davvero improvviso, inaspettato e che ci coglie di sorpresa, spiazzandoci e lasciandoci parlare da soli e a voce alta.
Nulla succede all’improvviso, cara amica, nulla. Ci siamo solo turati il naso e non abbiamo voluto vedere.
Poi è più che normale che si finisce a parlare da soli o con intercalari, soprappensiero.
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davidewblog · 1 month
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C'è una cosa che io e le mie coinquiline facciamo sempre molto volentieri: andare al centro commerciale. Semplicemente, ci piace. Ci rilassa, ci diverte, ci fa passare qualche ora in tranquillità.
Non è che andiamo sempre tutti e quattro insieme, ma è anche raro che io ci vada da solo. Se esco di casa e dico "Sto andando al centro commerciale", quello che succede è che almeno una o due delle mie coinquiline, quando mi sentono, mi dicono subito "vengo anche io", e così quella è diventata la nostra uscita più tipica insieme.
E a me questa cosa piace, perché andare in giro con le mie coinquiline mi diverte un sacco. Quando siamo lì tra i corridoi e i negozi, loro impazziscono e anche se hanno più di 20 anni sfoggiano la loro anima adolescenziale, da studentesse universitarie diventano delle ragazzine che giocano come se non ci fossero centinaia di persone intorno.
Una volta ero lì con Violetta e Veronica, e a un certo punto si sono messe a giocare a nascondersi tra gli scaffali dei negozi. Un'altra volta, c'era anche Annarita, c'era una canzone di sottofondo e si stavano mettendo a ballarla. È come se la loro spensieratezza in quei momenti non desse nessuna importanza agli sguardi divertiti della gente. E neanche ai miei sguardi, che le osservo attratto dalla loro freschezza.
Altre volte fanno gare a punti del tipo "chi vede prima ogni uomo pelato vale 10 punti, ogni signora con le tette grosse vale 20 punti, ogni tipo nerd con la barba -5 punti ecc.", e chiedono a me di fare da arbitro imparziale di queste loro sfide, e io ovviamente accetto l'incarico.
Poi magari non compriamo nulla o quasi, ma loro comunque entrano in tutti i loro negozi preferiti e misurano un sacco di roba. Poi spesso fanno decidere a me: "Davide, lo compro o non lo compro?", e ho notato che fanno davvero come io dico a loro.
La gente che le vede è divisa fra chi le guarda scandalizzato perché le vede indisciplinate, e chi le guarda innamorato per come sono carine quando giocano e ridono. E poi, questi ultimi, guardano me con un po' di invidia, mi dicono con lo sguardo: "ma queste ragazze sono davvero con te?" e io rispondo con uno sguardo compiaciuto "sì".
E se d'inverno ci andiamo solo ogni tanto, d'estate ci andiamo spessissimo: potere magnifico dell'aria condizionata.
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coachumanista · 2 years
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Il mito del motivatore
Esistono coach e coach. In base al tipo di cammino che stai percorrendo sentirai a tratti la necessità di qualcuno che ti faccia un discorso alla “Ogni maledetta domenica” e talvolta qualcuno che ti ascolti e ti accompagni. Sono stati e sono ancora in voga i discorsi che menzionano la famigerata comfort zone. Come mai ci si fa tanto affidamento? Alle persone piace sentirsi urlare in faccia che sono pigre e che devono darsi una svegliata? Probabilmente sì.
Pensaci, sei sopravvissuta anche oggi alle richieste della società, del lavoro, della famiglia e delle relazioni e metti su un podcast con un tizio che ti dice che è ora di metterti al lavoro. Ma come...ho appena deposto la corazza. Due giorni dopo hai abbandonato del tutto la playlist di Mr. Motivation e ti dai la colpa per non essere riuscita ad applicare le sue magnifiche perle. Forse non sei tu il problema, ma il problema sta nel fatto che hai speso denaro per sentirti dare consigli da qualcuno distante anni luce dalla tua situazione.
Sai mi ricordo quando facevo arti marziali e nonostante le influenze che mi prendevo ogni tanto, andavo comunque all’allenamento. Non dico che me ne pento poiché ero così ubriaco di febbre che non ricordo neanche bene cosa succedeva durante quegli allenamento, ma la cosa su cui vorrei soffermarmi è che quell’agito, che al tempo derivava da consigli di cosiddetti motivatori, non mi ha reso migliore di quanto già fossi. Mi ha fatto capire che potevo sostenere un allenamento anche stando male. A parte questo non c’era nessuna svolta colossale nella mia vita e farlo anche solo una volta mi avrebbe dovuto far capire che bastava e avanza. Guarda caso al tempo mi rispettavo meno. Fare adesso una cosa simile, oltre che mettere a rischio la mia salute e quella altrui, mi darebbe per tutto il giorno un senso di fatica e pesantezza mentale che non potrei nemmeno sopportare.
Quando sei in un momento down, imparare a rispettare e far rispettare i tuoi spazi e i tuoi tempi ti consente anche di accettare che le cose non possono sempre filare liscio. E va benissimo così.
Le conquiste vengono da sé quando sei carica. Un segreto, non così tanto segreto ormai, è saper essere resiliente nei periodi giù e lasciar andare la barca nei periodi up. Non ha senso farsi autoviolenza per inseguire ideali e modalità di vita che non ci appartengono. Apprezzare piuttosto la propria normalità e il ritmo personale rappresenta una solida base per il miglioramento.
Ti pare che possa giovare a qualcosa camminare quando hai una gamba rotta o stare senza far nulla quando sei energico? Eppure in entrambi i casi staresti andando fuori la tua comfort zone. Saper stare nella comfort zone non significa diventare un tutt’uno con divano e il telecomando, bensì vuol dire per me essere in grado di gestire al meglio i miei momenti più bui e godermi ciò che di buono mi porta il vento, prendere consapevolezza delle proprie possibilità e lavorare partendo da esse.
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63874199a · 2 years
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Ieri ho incontrato Nino. Ho passato tre giorni a ripetermi in testa di non volerlo vedere, di non volerlo sentire neanche nominare, invece mi sono ritrovata con lui davanti ed il mio fastidiosissimo non saper dire di no. Ha cercato il mio sguardo tra la folla, lui da una parte cerchiato dai suoi amici, io totalmente dall'altra con le mie. Lui che fuma e mi fissa, io che distolgo lo sguardo. Ad un certo punto si allontana da loro per avvicinarsi a me, mi guarda, io lo guardo, ci rivolgiamo due smorfie a vicenda di finto stupore, mima con la bocca "vieni qui", gli faccio cenno di no con la testa, si avvicina, lo ripete: "vieni qui". Non so dire di no una seconda volta, anche perché probabilmente sarebbe risuonato come un "no" debole, malleabile, bugiardo, che non attende altro che essere contraddetto; faccio l'ennesima smorfia, sbuffo, fingo un fastidio che non riuscirei a provare neanche se questa scena si ripetesse tra 10 anni. Mi avvicino, ci salutiamo, parliamo, scherziamo un sacco, mi dice che è ubriaco ma so che non è totalmente vero ed io sono brilla e so che si nota parecchio. Se la ride. Penso che è proprio bello. Arriva questa mia amica, Francesca, ci guarda ed io glielo indico scherzosamente e dico, colpa del gin tonic precedente: "eccolo il malessere storico". Lei fa una faccia sconvolta, i suoi occhi si spostano velocemente tra me e lui, mi dice che sono anche mezzi ex. Mi dice che forse ci ha anche visti insieme, io e lui ci mettiamo vicini, lei di fronte ad affermare questa cosa per più volte, sembriamo così intimi, così complici, le diciamo che è impossibile ed io mi trattengo dal buttare lì la battuta sul fatto che io e lui ci vediamo solo di nascosto, mai tra gli altri, mai in pubblico. Lui se l'è sbaciucchiata un po' troppo quando l'ha salutata, ma so che l'ha fatto perché io ero davanti. Non mi ha fatto effetto, comunque, e comprendo che mi sono distaccata tanto da lui e dal pensiero di lui nelle ultime settimane. Mi ha chiesto di scrivergli prima di andar via, ma non l'ho fatto, anzi è andato via lui prima di me. Mi ha fatto piacere vederlo, mi basta così, va bene così. Anche perché se lo conosco bene so che non ci saranno altre occasioni. Passi 5 mesi a desiderare qualcuno da impazzire ma quando ce l'hai davanti non provi quasi più nulla, perché è successo di tutto senza che effettivamente succedesse niente.
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writtenmemxries · 3 years
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You don’t wanna talk about your feelings (I’ll be in the corner with the reasons)
4 volte in cui Manuel chiama Simone con un soprannome + 1 volta in cui lo fa Simone
Ispirata da questo prompt, ma mi sono spinta un po’ oltre perché non ho freni. Spero vi piaccia! :)
1.
“Ah cojone, guarda che m’hai fatto il pelo alla moto!”
Simone si toglie il casco con una lentezza snervante e fissa il ragazzo urlante davanti a sé dritto negli occhi, il mento leggermente alzato in una posa altezzosa che fa salire il sangue al cervello a quello sconosciuto dalla lingua lunga.
“Come m’hai chiamato?” chiede, la voce profonda, il tono di sfida.
“T’ho chiamato cojone perché è quello che sei,” risponde l’altro senza abbassare lo sguardo, gli occhi scuri che scintillano alla luce del sole, colorandosi di mille tonalità diverse di marrone a cui Simone non saprebbe neanche dare un nome.
Simone si avvicina e lo squadra, il casco sottobraccio e le sopracciglia corrugate, nella speranza di apparire il più minaccioso possibile. Apre la bocca per ribattere, si prepara a spintonarlo e passare oltre, ma il ragazzo scoppia a ridere spiazzandolo.
“C’hai proprio ‘na faccia da fesso, ma che vuoi fare conciato così?”
Indica i suoi vestiti con un gesto e si ficca le mani in tasca, continuando a scrutarlo con un sorrisetto fastidioso. Simone non può fare a meno di guardarsi, preso alla sprovvista. Il maglioncino verde scuro che ha comprato qualche giorno prima con sua madre, il colletto della camicia che gli circonda il collo e improvvisamente gli rende difficile deglutire, i pantaloni color cachi che, a detta di Laura, gli fasciano le gambe in maniera perfetta.
Il ragazzo davanti a lui sogghigna e Simone sente aumentare dentro di sé la voglia di tirargli un pugno e rompergli quel naso perfetto che si ritrova.
“Simone!” chiama una voce femminile dietro di lui, e sente le braccia della sua ragazza cingergli dolcemente la vita.
Simone le sorride, ma continua ad osservare di soppiatto quel ragazzo dai capelli ricci e scombinati sotto il casco ingombrante, gli occhi grandi e luminosi, la bocca socchiusa in un ghigno che non ha nulla di amichevole. Vorrebbe prenderlo a schiaffi.
“Va beh, pe’ stavolta passi. Ce vediamo, cojone,” dice quello con voce annoiata, e si allontana prima che Simone possa rispondere.
“Speriamo di no,” borbotta Simone, lo sguardo fisso su quel giacchetto verde che si perde nella folla davanti scuola.
“Ma chi è?” chiede Laura confusa.
Simone scrolla le spalle. Vorrebbe saperlo anche lui.
* * *
2.
“Certo che sei proprio un perfettone,” ride Manuel.
Seduto per terra nel suo garage con una canna in mano, lascia vagare lo sguardo lungo tutta la figura di Simone, in piedi davanti a lui mentre fruga nello zaino poggiato sul tavolo da lavoro.
“Me l’hai già detto una volta,” risponde Simone con tono annoiato, e Manuel ride di nuovo. Si sente leggero, ma forse è solo la canna.
“Va beh, te lo dico di nuovo. Sei ‘n perfettone,” dice Manuel. “Te dovresti rilassa’ ogni tanto.”
Si porta la canna alla bocca e respira piano quel fumo così familiare. Chiude gli occhi poggiando la testa contro il muro e ascolta i movimenti di Simone, il fruscio dei suoi vestiti e delle pagine dei libri di scuola. Lo sente sedersi accanto a lui con un tonfo, sente il ginocchio premere contro il suo. Gira la testa verso di lui e apre gli occhi, ma Simone non lo guarda, intento a sfogliare il libro di fisica.
Manuel allunga la mano e prende la matita che Simone tiene in equilibrio sull’orecchio, sfiorandone la punta con i polpastrelli.
Simone alza la testa verso di lui e lo guarda far roteare la matita tra le dita. Osserva con occhio attento quelle dita lunghe che si muovono esperte attorno alla matita, facendola passare da una parte all’altra velocemente. Deglutisce piano, un accenno di rossore sulle guance, e si schiarisce la voce.
“Non sono venuto qua per cazzeggiare, dobbiamo studiare,” dice, cercando di controllare il tono della voce.
Manuel alza gli occhi al cielo. “Va bene, perfettone. Famo quello che dovemo fa’.”
Sbuffa e si avvicina ulteriormente a Simone, il viso a pochi centimetri dalla sua guancia. Con l'ombra di un sorriso sul volto, poggia il mento sulla sua spalla con una naturalezza che fa sobbalzare Simone, e si allunga per guardare il libro abbandonato sulle sue gambe. Strizza gli occhi per riuscire a leggere, e Simone non può fare a meno di notare il movimento delle sue ciglia, il modo in cui tremano leggermente. Guarda i riccioli che gli ricadono sulla fronte e sa che basterebbe un movimento della mano per spostarli, ma non si azzarda.
Simone sente il profumo del suo shampoo e il perenne odore metallico che caratterizza quel posto. Sente il suono appena percettibile del respiro di Manuel, sente il calore del suo fiato che gli pizzica il collo. Il suo stomaco si contrae ogni volta che si rende conto delle loro parti del corpo in contatto, le sente bruciare come se Manuel fosse la Torcia Umana. Cerca di adeguare il battito del suo cuore all’andamento lento della respirazione di Manuel, ma invano; continua a correre forsennatamente, lo sente picchiare contro la cassa toracica con insistenza, e spera che Manuel non sia così attento da accorgersene.
Con le guance rosse, si schiarisce di nuovo la voce. Studiare fisica non gli è mai sembrato tanto complicato.
* * *
3.
Manuel odia litigare con Simone. Succede spesso perché sono due teste calde che sanno comunicare solo a strattoni e urla, che si calmano solo davanti ad un labbro sanguinante.
Manuel odia litigare con Simone perché non riesce a controllare le parole quando si incazza, e si incazza spesso, perché ha tutta quella rabbia dentro di sé, sopita, pronta a venir fuori, e riesce a calmarla solo quando fuma. Si ritrova sempre a dire cose che non pensa, cose che non direbbe mai se solo riuscisse a pensare prima di aprire la bocca, ma evidentemente la botta in testa presa da piccolo ha compromesso la funzionalità di qualsivoglia filtro.
Manuel odia litigare con Simone perché poi non fa altro che pensarci, rimuginare, darsi la colpa, e odia litigare con Simone perché basterebbe chiedergli scusa per sistemare tutto, ma non riesce a fare neanche quello. Sarà l’orgoglio, sarà la botta in testa, ma Manuel non riesce a pronunciare quelle due sillabe, quelle cinque lettere che Simone meriterebbe di sentire.
Non che Manuel sia un mostro senza cuore. Semplicemente, preferisce nascondere la testa sotto la sabbia piuttosto che affrontare quel ciclopico elefante nella stanza che finge di non vedere. Ma lo sente barrire ogni volta che sta con Simone, sente la proboscide di quel dannato elefante che lo strozza ogni volta che Simone lo sfiora, si sente schiacciato da un’enorme zampa grigia e rugosa ogni volta che Simone lo guarda con quegli occhi un po’ tristi e un po’ rassegnati.
Manuel vorrebbe fare qualcosa, vorrebbe spingere quell’elefante fuori dalla stanza, perché dentro si sta stretti, con quei sentimenti ingombranti che si porta sempre appresso. Però non lo fa, perché vorrebbe dire parlare con Simone, e non riesce a farlo normalmente, non dopo la sua festa di compleanno.
E forse Simone lo sa – dopotutto, gli ha spiegato che con lui è diverso, no? – ma anche lui ha paura di fare persino un piccolo passo, perché l’elefante potrebbe spaventarsi, potrebbe calpestarli entrambi.
Manuel si sente un idiota quando è con Simone, come se non fosse più in grado di pensare, di parlare, di compiere azioni banali, ma non vuole ammetterlo. Orgoglio maschile o qualcosa del genere. Non vuole ammetterlo, e allora usa quel suo modo di fare strafottente, quella maschera di sicurezza e sfrontatezza, e chiama idiota Simone, specchio riflesso buttati nel cesso.
“Certo che sei proprio un idiota,” gli dice un giorno, mentre rievocano tempi lontani, di fughe a Glasgow e stronzate fatte.
Manuel è sdraiato sul letto di Simone e fissa il soffitto. Non pensava che sarebbe più entrato in quella camera, non dopo quello che è successo tra di loro, tantomeno pensava che quattro mura piene di poster inutili e fotografie che non sa collocare nel tempo potessero mancargli così tanto.
“Proprio un idiota,” ripete alzandosi sui gomiti e volgendo lo sguardo verso Simone, seduto alla scrivania, il viso già rivolto verso di lui.
Simone spalanca la bocca con finta sorpresa e lo guarda con quell’aria offesa che Manuel sa essere falsa, mentre gli angoli della bocca minacciano di sollevarsi verso l’alto in un sorrisetto che fatica a nascondere.  
“Ah, io sarei l’idiota? Da che pulpito!” lo canzona Simone.
“Stavi pe’ molla’ tutto pe’ anna’ ad inchinarti di fronte alla regina, secondo me sei ‘n po’ un idiota.”
“Ma la regina mica l’ho vista. Io non m’inginocchio per nessuno,” risponde Simone con finta fierezza, incrociando le braccia al petto.
Manuel scoppia a ridere, e per un attimo si dimentica la promessa fatta a se stesso di non parlare più di quella notte, di non passare più davanti a quel cantiere, di fingere che non abbia provato nulla che fosse fuori dall’ordinario.
“Sappiamo entrambi che non è vero,” esclama Manuel tra le risate, e un po’ si pente di aver parlato, di aver aperto l’uscio per far uscire finalmente allo scoperto quel gigantesco elefante. Ma poi vede Simone arrossire violentemente, lo vede strabuzzare gli occhi, e ride ancora più forte.
Simone borbotta qualcosa e si gira, dandogli le spalle e nascondendo la faccia tra le braccia conserte sulla scrivania.
Fuori sta facendo buio e Manuel si rende conto di aver passato tutto il pomeriggio a casa Balestra. Si rende conto che vorrebbe rimanere ancora lì, fingere che l’orologio si sia fermato, che il tempo si sia dimenticato di loro, abbandonandoli in un limbo in cui tutto può succedere senza conseguenze. Invece si alza e va verso la porta. Nota che Simone ha ancora la punta delle orecchie rossa per l’imbarazzo, fa finta di niente. Lo tira per la manica, Simone gli punta gli occhi addosso.
“Dai idiota, famoce ‘n tiro,” dice, ed esce senza aspettare risposta.
Simone si alza e lo segue.
* * *
4.
Il dolore alle ossa che prova per aver passato la notte sulle sedie scomode di una sala d’attesa d’ospedale, in mezzo a parenti agitati e l’odore del disinfettante, è niente in confronto al dolore sordo e costante che prova nel petto vedendo Simone su quel letto, la testa fasciata, il collare, le flebo. Ogni respiro gli fa male alle costole, e i polmoni sembrano non immagazzinare abbastanza aria, come se l’incidente l’avesse fatto lui. Lo stomaco gorgoglia senza sosta e gli viene da vomitare, come se quelle pillole le avesse ingoiate lui.
Dante è in quella stanza da ormai quindici minuti, e Manuel sa che non potrà entrare, sa che l’infermiera glielo impedirà, dicendo che Simone ha bisogno di riposo, che ammettere il padre è stato un caso eccezionale. Sa che solo i parenti possono entrare, ed è tentato di spacciarsi per il suo fidanzato, è tentato di urlare e prendere a calci i distributori automatici finché non gli fanno vedere come sta, finché non gli fanno prendere le sue mani e sentire il calore che emanano.
Però non lo farà. Non lo farà perché c’è sua madre che lo tranquillizza accarezzandogli la schiena con movimenti circolari, non lo farà perché forse Simone neanche vuole vederlo.
E così quando Dante torna in sala d’aspetto, la faccia stanca e gli occhi arrossati, Manuel non può fare a meno di tempestarlo di domande. Come sta Simone, ha parlato, quando uscirà, potrò vederlo?
Anita lo fulmina con lo sguardo e sta per scusarsi a nome suo, ma Dante gli sorride e, inaspettatamente, lo abbraccia, ringraziandolo di aver aiutato Simone, di essere sempre presente. Lo ringrazia ancora e ancora, e Manuel pensa di non meritarselo perché lui a Simone ha causato solo danni, però ricambia l’abbraccio, ed è una situazione assurda e a tratti imbarazzante, ma è confortante come lo sono le carezze della madre.
Quando si staccano si scambiano un sorriso impacciato, poi si dirigono verso l’uscita dell’ospedale. Dante e Anita parlano sottovoce, pieni di sonno e compassione reciproca, mentre Manuel è perso in pensieri che non saprebbe esprimere a parole.
Torna in ospedale solo qualche giorno dopo, quando la madre gli dice che Simone può finalmente ricevere visite. Cerca di non superare i limiti di velocità con la moto, ma l’adrenalina che sente in corpo lo rende difficile e lo spinge ad accelerare, a fare in fretta. Non ha pensato a cosa gli dirà quando lo vedrà, non sa se potrà abbracciarlo o toccarlo, o se Simone gli chiederà di andarsene.
L’ansia inizia a ballargli nella pancia quando, dopo aver parcheggiato, rimane cinque minuti fuori dall’edificio dell’ospedale, fissando la gente che entra e che esce. Gioca con le fibbie del casco e rischia quasi di romperle, quando un infermiere che spinge una carrozzina vuota gli chiede se ha bisogno di qualcosa. Manuel annuisce incerto, gli dice che è lì per una visita, e l’infermiere lo accompagna dentro con un sorriso cordiale che Manuel non riesce a ricambiare.
Si guarda attorno come se non avesse mai visto un ospedale, come quando a quattro anni ha passato la notte in una stanzetta proprio lì, accanto ad un bambino circondato da dottori allarmati.
Quando lo fanno entrare in camera di Simone, Manuel tira un sospiro di sollievo notando che non ha più il collare ed è seduto contro la testata del letto. Sembra quasi stare bene, a parte il braccio ingessato e il viso contuso.
“Ehi,” dice piano fermo sulla porta, come se Simone fosse un cerbiatto spaventato, come se avvicinarsi troppo potesse allarmarlo e farlo correre via.
“Ciao,” risponde Simone, la voce un po’ roca.
Manuel cammina esitante intorno al letto, guardando ovunque meno che Simone. Sente il suo sguardo addosso, i suoi occhi che, nonostante tutto, non hanno perso la loro lucentezza, e che lo scrutano come una preda scruta il suo cacciatore, guardinghi, un po’ curiosi.
“Ciao,” dice ancora Manuel, e sente la sua voce farsi sottile, come un sussurro, come se Simone fosse fatto di vetro e Manuel avesse paura di romperlo con un acuto.
“Ciao,” ripete Simone, e sta sorridendo, prendendolo in giro. “Ti vuoi sedere o vuoi esaminare il pavimento dell’ospedale ancora per molto?”
Manuel si siede, appoggia i gomiti sul letto chinandosi in avanti, sotto lo sguardo morbido di Simone, e all’improvviso è come se tutta la tensione fosse sparita, sostituita da quell’aria giocosa che aleggia sempre tra di loro.
“Come te pare, Bambi,” borbotta Manuel fingendosi disinteressato, e gli lancia uno sguardo mentre il cuore sembra scoppiargli nel petto.
“Bambi?” ripete Simone sghignazzando, e Manuel è sicuro di essere arrossito.
“Che c’è, nun te posso chiama’ come me pare?” risponde stizzito, e Simone scrolla le spalle.
“Ma perché Bambi?” chiede, e lo guarda ancora con quegli occhi che lo fanno diventare matto.
“Perché me guardi sempre così.”
“Così come?”
“Così, come stai facendo mo,” dice Manuel indicandolo con un cenno del capo. “C’hai ‘sti occhi enormi e pari un cerbiatto.”
“Non capisco se sia un complimento,” dice Simone ridendo, e Manuel non sa che rispondere.
“Va beh Simo’, è solo un nome.”
Simone annuisce. “Chiamami Bambi allora. È carino.”
Manuel deglutisce. Allunga le dita per giocherellare con il camice che indossa Simone, accarezza la stoffa leggera.
“Nun c’hai freddo co’ ‘sta roba addosso?” chiede.
Simone fa spallucce senza rispondere. Continua a guardare Manuel, il modo in cui la luce dalla finestra sembra colorargli i capelli d’oro e la pelle come il miele, ricordandogli quel sapore dolce che gli sembra ancora di sentire sulle labbra secche. Scuote la testa come per cancellare il ricordo dalla mente, ma sa che non andrà mai via, impresso a fuoco sulle pareti della calotta cranica.
Forse mi sento davvero un po’ perso come Bambi, pensa Simone con un sorriso.
“Mi manchi,” dice poi Manuel con un sospiro, disegnando figure invisibili sul camice, e Simone smette di sorridere, colto alla sprovvista.
“Cioè, me manca averti in classe,” continua Manuel. “Me manca veni’ a casa tua, me manca trovarti nel mio garage, me manca cazzeggia’ co’ te.”
“Non sono mica morto,” dice Simone, e Manuel alza gli occhi al cielo.
“Sì, va beh, ce mancava solo quello, Simo’. Sei ‘n cojone, altro che Bambi. Bambi almeno nun se schianta contro casa mia.”
“Questo perché Bambi non esiste,” puntualizza Simone.
“Ce sarà un cerbiatto de nome Bambi da qualche parte.”
“Non ci sono cerbiatti in centro a Roma.”
“Va beh, Simo’, che dito in culo che sei,” dice Manuel, ma non è davvero irritato.
Per una volta, tutta la rabbia che ha sempre sentito in un angolo di sé viene sostituita da qualcosa di più caldo, più morbido, qualcosa che è più più più e che è sempre stato lì, insieme all’elefante nella stanza e a tutto lo zoo che Manuel sente scalpicciare dentro di sé.
Si sorridono, parlano di tutto e di niente, di quello che è successo a scuola nell’ultima settimana, di quello che succederà nelle prossime. Chiacchierano spensierati come non facevano da tempo, e se Manuel continua a chiamarlo Bambi per il resto della giornata, beh, sono affari suoi. E dell’infermiere che ogni tanto entra nella stanza per controllare che sia tutto a posto, lanciando loro occhiate d’intesa.
* * *
+ 1
Roma d’estate è soleggiata e afosa. I vestiti si appiccicano alla pelle per il sudore, e anche all’ombra il caldo non dà tregua. Le temperature aumentano ogni anno, dando a Manuel l’impressione di vivere all’interno del Vesuvio, chi se ne frega se è in Campania.
Non prende neanche in considerazione l’idea di mettersi a fare i compiti, tantomeno di uscire di casa per bighellonare in quelle strade roventi dove ad agosto non circola nessuno.
Manuel ama l’estate, ama abbronzarsi, ama non dover pensare alla scuola – non che durante l’anno ci pensi più di tanto, in realtà – ama prendere la moto e fare una gita al mare solo perché gli va. Odia prendere il sole, però. Odia il fatto che la sua pelle si riempia di lentiggini, che i capelli si schiariscano, prendendo delle sfumature biondastre che detesta.
Odia aver passato due settimane senza Simone, che era in vacanza con i nonni materni da qualche parte nelle Marche. Manuel non saprebbe neanche indicarle su una cartina geografica, le Marche. Le confonde sempre con l’Abruzzo, sarà che sono vicini.
Il fatto che Manuel non abbia legato particolarmente con gli altri compagni di classe, poi, fa sì che nessuno gli chieda mai di fare un giro. Prima c’era Chicca, ma nell’ultimo periodo ha conosciuto una ragazza, una certa Rachele, e sono diventate inseparabili. Non saprebbe dire cosa ci sia sotto, ammesso che ci sia sotto qualcosa, e un po' lo intristisce il pensiero che anche la sua ragazza sia riuscita ad andare avanti, mentre lui rimane fermo al punto di partenza.
Il fatto è che da quando Manuel ha capito di essere bisessuale – perché sì, dannazione, i maschi gli piacciono tanto quanto le ragazze, Simone gli piace, e al diavolo tutti i cantieri di tutta Roma – non fa altro che domandarsi se qualcuno abbia provato le sue stesse emozioni, i suoi stessi dubbi, la sua confusione.
Forse è un pensiero stupido, ma sente il bisogno di trovare conforto e comprensione in una persona che possa capirlo davvero, in ogni sua sfumatura. Quindi non sa se Chicca sia bisessuale, se Rachele sia un’amica come Luna o qualcosa di più, ma Manuel vorrebbe solamente non sentirsi l’unico al mondo ad aver passato quello che sta passando. E certo, sa di non esserlo, diamine, il mondo è pieno di persone bisessuali. Ma non nella sua classe. Forse neanche nella sua scuola, nel suo quartiere, forse nessuno in tutta Roma ha passato quello che ha passato Manuel Ferro, con tutti quei fili di pensieri ingrovigliati nella testa, quelle matasse inestricabili che forse, finalmente, è riuscito a dipanare.
Testimone dei suoi dissidi interiori unicamente quel dannato elefante che lo assilla, un po’ come la coscienza a forma di armadillo di Zerocalcare.
Ma Simone sta tornando a Roma e Manuel non ha tempo di pensare a elefanti o armadilli. Gli ha mandato un messaggio un’ora prima chiedendogli di vedersi non appena avesse messo piede sul suolo laziale, anche se forse sarà stanco per il viaggio, anche se forse avrà solo voglia di buttarsi sul letto.
Solo se mi aiuti a disfare la valigia, aveva risposto Simone, e Manuel aveva accettato, nonostante sia sempre stato una frana a piegare i vestiti.
Quando Simone gli scrive che può raggiungerlo alla villa, Manuel non se lo fa ripetere due volte e si precipita a prendere la moto. Il casco lo fa sudare il triplo, e l’aria che gli sferza il viso mentre sfreccia per strada è soffocante. Arrivato a casa di Simone, avrebbe bisogno di almeno tre docce per riprendersi.
“Cristo, sei tutto sudato,” esclama Simone appena lo vede.
“Vacci te in giro col casco co’ 40 gradi,” ribatte Manuel.
Non si abbracciano, a malapena si sfiorano. Ma sono di nuovo insieme, con il loro continuo battibeccare, con i loro scherzi e le loro battute, e Manuel si sente di nuovo a posto. Simone si sente di nuovo a posto.
“Dio, sono esausto,” sospira Simone sdraiandosi sul letto, la valigia ancora chiusa accanto alla porta.
Manuel si siede ai piedi del letto, finché non sente Simone spingerlo via.
“Levati, mi bagni le lenzuola de sudore.”
“Ma vaffanculo,” sbotta Manuel ridendo, ma si alza comunque.
Simone chiude gli occhi assaporando quell’attimo di calma, e per un attimo il mondo sembra fermo.
Manuel si toglie le scarpe silenziosamente e, con un ghigno, si lancia contro Simone, saltando sul letto e trattenendogli i polsi con le mani. Alla faccia del mondo fermo e calmo.
“Ma che cazzo fai?!” urla Simone, preso alla sprovvista, mentre cerca di togliersi Manuel di dosso.
“Che c’è, c’hai paura che te bagni il letto de sudore?” lo prende il giro l’altro.
“Guarda che sono più forte io di te,” ribatte Simone.
“Allora perché non me fai sposta’?”
Simone non risponde, arrossisce. Manuel guarda il sangue affluire al suo viso, guarda come gli dipinge delicatamente le gote e il collo di rosso, rendendogli le orecchie scarlatte. Allenta la presa sui suoi polsi, e il sorriso arrogante che regnava sul suo volto si tramuta in un’espressione di trasognata sorpresa.
“Te non vuoi che me sposti,” sussurra Manuel, e sembra di essere in uno di quei film dei primi anni 2000, pieni di cliché e vestiti orribili.
“Va beh, mo ti puoi anche levare,” borbotta Simone, il volto in fiamme, dandogli una spinta.
Manuel barcolla all’indietro, atterra sul letto e non si muove. Rimane a fissare Simone con quell’espressione indecifrabile, e Simone sente la calma e la pace che caratterizzavano quel pomeriggio frantumarsi.
Nessuno dei due dice niente, e l’aria nella stanza è pesante, troppo poca, consumata dall’elefante che li accompagna in ogni loro giornata.
“Pure quando sei triste, c’hai sempre quegli occhi da Bambi,” dice Manuel scuotendo la testa incredulo, e Simone pensa alla prima volta che si sono visti, alla voglia che aveva di tirargli un pugno. Lo farebbe volentieri anche adesso.
“Era il mio cartone preferito,” mormora Simone, e Manuel sorride.
“Il mio era il Re Leone.”
Simone gli lancia un’occhiata. “Effettivamente sembri un po’ un leone con quei capelli là.”
“Ma pensa ai tuoi!” ribatte Manuel.
“Che c'hanno i miei che non va?”
Manuel alza gli occhi al cielo. “Cristo, Simo’. Me vuoi bacia’ o devo fa’ tutto io?”
Simone lo guarda imbambolato, convinto di aver capito male. Gli occhi di Manuel sono fissi nei suoi, in attesa. Poi Manuel allunga le braccia, lo afferra per la collottola, e Simone non può fare altro che emettere un suono strozzato e lasciarsi andare.
Le labbra di Manuel sanno di sale e qualcosa di pungente che assomiglia terribilmente al fumo, e si muovono contro le sue come se fosse un’azione abituale, come se avessero sempre saputo come fare, mentre l’accenno di barba di Manuel gli brucia contro il mento.
Le mani calde di Simone gli accarezzano i fianchi con dolcezza, e un sospiro lascia le labbra di Manuel, che lo stringe a sé in una presa incandescente, e Simone sente solo fuoco attorno a sé. Sente il suo calore nella lingua che sfiora la sua, nelle mani bollenti che circondano la sua vita, e pensa che Roma ad agosto sia una bazzecola rispetto a questo.
Pensa che non vorrebbe che finisse mai, pensa che farebbe volentieri a meno dell’ossigeno pur di continuare a sentire i polmoni bruciare mentre Manuel fa incastrare le loro labbra in un perfetto meccanismo che ruota e ruota e ruota, bloccando il tempo attorno a loro, lasciando che solo i loro respiri affannati e l’umidità del loro bacio esistano in quel pomeriggio assolato.
Simone si sente inebetito, affonda le dita nei ricci di Manuel, e l’umidità del sudore lo riporta alla realtà, a quella calda giornata di agosto, alla valigia che aspetta di essere disfatta.
Lo allontana con delicatezza, lasciando che il respiro di Manuel gli solletichi le labbra. “Amore, vacci piano,” bisbiglia.
“Come m’hai chiamato?” chiede Manuel frastornato.
“Amore,” ripete Simone imbarazzato.
“Dillo de nuovo.”
“Amore.”
Manuel sorride, gli occhi socchiusi ancora immersi nel bacio. L’elefante non c’è più, e al suo posto figura una porta aperta su un mondo nuovo e da scoprire, che con Simone accanto non gli fa più tanta paura. Gli stringe la mano, intrecciando le dita.
Il suo cuore perde un battito.
E amore fu.
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fantasticazioni · 2 years
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È tutto verde.
Un racconto di David Foster Wallace tratto da La ragazza dai capelli strani, Minimum Fax Lei dice non mi importa se mi credi o no, è la verità, poi tu credi pure a quello che ti pare. Quindi è sicuro che mente. Quando è la verità si fa in quattro per cercare di farti credere a quello che dice. Perciò sento di non avere dubbi. Si rasserena e guarda dall’altra parte, lontano, ha l’aria furba con la sigaretta sotto la luce che entra dalla finestra bagnata, e io non so cosa mi sento di dire. Dico Mayfly [1] con te non so più cosa fare o cosa dire o a cosa credere. Ma ci sono delle cose che so per certe. So che io sto diventando vecchio e tu no. E che ti do tutto quello che ho da darti, con le mani e con il cuore. Tutto quello che ho dentro di me te l’ho dato a te. Tengo duro e lavoro sodo ogni giorno. Ho fatto di te l’unica ragione che ho per fare quello che faccio sempre. Ho cercato di costruire una casa per te, una casa di cui facessi parte, e che fosse una bella casa. Mi rassereno anch’io e getto il fiammifero nel lavandino insieme ad altri fiammiferi, piatti, una spugna e cose del genere. Dico Mayfly il mio cuore ha fatto il giro del mondo e ritorno per te ma ho quarantotto anni. È ora che la smetto di lasciarmi semplicemente trascinare dalle cose. Devo usare quel po’ di tempo che ancora mi resta per cercare di sistemare tutto e stare bene. Devo provare a stare come ho bisogno di stare. In me ci sono delle esigenze che tu non riesci neanche più a vedere, perché ci sono troppe esigenze tue di mezzo. Lei non dice nulla e io guardo la sua finestra e sento che lei sa che io so, e seduta sul mio divano fa un movimento. Ripiega le gambe sotto di sé, ha un paio di pantaloncini. Dico in fondo non mi importa di quello che ho visto o che credo di aver visto. Non è più quello il punto. So che sto io diventando vecchio e tu no. Ma ora mi sento come se ci fosse tutto me stesso che va verso di te mentre di te in cambio non mi viene più niente. Ha i capelli tirati su con un fermaglio e delle forcine e si tiene il mento con la mano, è mattina presto, sembra che stia sognando rivolta verso la luce pulita che entra dalla finestra bagnata sopra il mio divano. È tutto verde, dice. Guarda com’è tutto verde Mitch. Come fai a dire di provare certe cose quando fuori è tutto così verde. La finestra sopra il lavello del mio cucinino è stata ripulita dal violento acquazzone di stanotte e ora è una mattina di sole, è ancora presto, e fuori c’è un casino di verde. Gli alberi sono verdi e quel po’ d’erba che c’è oltre i dossi rallentatori è verde e allisciata. Ma non è tutto quanto verde. Le altre roulotte non sono verdi e il mio tavolino lì fuori con le pozzanghere allineate e le lattine di birra e le cicche che galleggiano nei portacenere non è verde, né il mio furgone, o la ghiaia della piazzola, o il triciclo che sta rovesciato su un fianco sotto un filo per il bucato senza bucato sopra accanto alla roulotte vicina, dove c’è uno che ha fatto dei bambini. È tutto verde sta dicendo lei. Lo sta sussurrando e il sussurro non è più rivolto a me lo so. Getto la sigaretta e volto bruscamente le spalle al mattino con il sapore di qualcosa di vero in bocca. Mi volto bruscamente verso di lei che sta sul divano in piena luce. Da dov’è seduta sta guardando fuori, e io guardo lei, e c’è qualcosa in me che non si riesce a chiudere, nel guardarla. Mayfly ha un corpo. E lei è la mia mattina. Dite il suo nome.
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devilmean · 3 years
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Per pochi.
Ci risiamo. Il cuore batte forte, le mani iniziano a tremare, l'ansia a salire. Eccomi..nuovamente seduta di fronte una scrivania appartenente all'ennesimo strizzacervelli a cui non frega nulla se non i soldi che gli verranno consegnati a fine seduta. Aspetto la classica domanda di riserva, ma tarda ad arrivare. Perché mi osserva e non parla? Sì sgranchisce la schiena, gratta la gola, sorride e finalmente le prime parole.
«Allora, iniziamo signorina: mi dica dove pensa stia il problema.»
Ecco, cazzo. Ci risiamo davvero. Non mi era mancata per nulla quell'aria da finto buonismo interessato. Vorrei urlare, sbattere i pugni già segnati al muro, ma chiudo gli occhi, faccio un profondo sospiro, riapro gli occhi, lo guardo freddamente, mi scappa una risata isterica, sto perdendo il controllo. Lo sento ed ecco che inizio a sputare tutto quanto.
«Dove sta il problema. Davvero? Sta nel fatto che nella vita non siamo i protagonisti, neanche i personaggi secondari, forse solo sognatori che provano a farselo andare bene. Da sempre nutriamo la convinzione di poter avere ancora una speranza, sfiorando l'ossessione attraverso la consapevolezza di correre il rischio di ammalarsi alla prima possibilità di non poterla avere. Sta nell'incapacità di credere all'inadeguatezza della specie umana, nella costrizione a una società basata sulla falsità, la quale chiede a ciascuno di noi di non ridere troppo, di non fare troppo casino e di far finta che vada tutto bene. In realtà siamo circondati da problemi, da bugie, da demoni e scheletri del passato. Probabilmente moriremo da fottuti idealisti, e non possiamo fare nulla per rimediare, probabilmente continueremo a vivere sentendo riaffiorare in superficie tutte le paure più recondite e il passato insieme al mostro che è in ognuno di noi. Ma non importa.. andrà-tutto-bene. Forse, allora, la domanda non è dove sta il problema, ma chi o cos'è il problema.»
Respiro. Ho l'affanno. Già immagino le chiamate ai miei genitori, gli antidepressivi, i controlli h24 e le voci iniziare a girare. No. Non posso. Respiro profondamente, sorrido sperando che riesca a far davvero il suo lavoro accorgendosi della triste verità e inizio a parlare davvero, facendo precedere una dolce risata pacata.
«Beh, che dire.. In realtà, se le devo dire la verità, non penso proprio ci sia un problema. Ho la famiglia che tutti sognerebbero, con gli amici tutto alla grande, non può capire quante nuove persone fantastiche ho trovato. Per non parlare di come va con lui, dio se sono felice, non potevo desiderare vita migliore. Le dico un segreto: sono stata davvero fortunata»
Silenzio. Mi guarda seriamente. Forse ha capito che sto mentendo? Ora si alza, sorride e mi stringe la mano.
«Signorina non avevo dubbi: questo è il millesimo caso di genitori che esagerano, lei sta più che bene. Le auguro tutto il meglio, sono contento per lei. In bocca a lupo, allora, per un futuro così roseo»
Perfetto. Sono riuscita di nuovo a mentire in maniera perfetta. Per la millesima volta. Ci risiamo.
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silenziosaa · 3 years
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Ma che rinfacci a fare?Ma tutto bene?
Allora chiariamo questa cosa…
Se ho messo una Wishlist, di certo non vado in giro ad obbligare la gente a fare “regali”.Mi piace la wishlist, e la tengo lì.
Ma ci sei o ci fai?
Guarda non ti pubblico la domanda che mi hai fatto, semplicemente perché non voglio ridicolarizzarti più di quello che già fai.
Se fai una cosa, e la fai per tua volontà, non ha senso dire determinate cose, o rinfacciarle addirittura.
E poi ho sempre ripetuto a chiunque volesse farmi qualcosa da quella lista, che se mi fa qualcosa poi mi sento in dovere di ricambiare.Lo dico a chiunque, e qualcuno può confermare.Non posso neanche dire che per gli anni che hai non dimostri la tua maturità, perché oggi giorno posso trovare un quindicenne che ha più cervello di un quarantenne.Però…
Io, per ciò che tu hai detto, scritto, non so tu dove volevi arrivare.Parole del genere, non so cercavi di impaurirmi o addirittura offendermi?No perché caro non ci sei riuscito.
Non ti permetto di rivolgerti in quel modo, non sai nulla della mia vita.E malata e altro lo vai a dire a qualcun’altra, anzi a te stesso.Perché parole del genere non dovrebbero uscire dalla bocca di nessuno.
Detto questo, buona giornata a tutti.
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sentimentalismi · 3 years
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ho sognato che camminando in una strada vicino casa che neanche faccio spesso un uomo o comunque un ragazzo piuttosto grande mi vede, mi rincorre, mi tocca sulla spalla e mi chiama sapendo il mio nome e mi chiede come va come stanno le mie sorelle (come fa a saperlo?) e mi chiede di uscire
io lo guardo e sento che è una cosa sbagliata sento che è strano il fatto che sappia il mio nome e conosca cose della mia vita che non dovrebbe sapere ma lo guardo ed è vestito da meccanico ed ha un bellissimo sguardo e quindi gli dico sì
camminiamo per un po' e lui guarda come uso il cellulare, vede che lo sblocco con l'impronta digitale e continua a sorridermi, noto lo sguardo insistente ma faccio finta di nulla
cambia l'ambientazione, sono a casa, una casa non mia, una casa di qualcuno, una casa arredata con mobili antichi e una TV davvero piccola e al tg si sente che nella mia provincia molte ragazze scompaiono e una cosa che lega queste scomparse riguarda uno strano velo
mi stranisco ma continuo a mangiare
cambia nuovamente lo scenario: è notte e mi trovo in un posto nella quale non penso di essere mai stata, è una scalinata vicino al mare
sono da sola e sono spaventosamente vicino all'acqua e sono lì per vedere qualcosa e infatti la vedo
vedo sto ragazzo che si siede e aspetta e all'improvviso vedo una ragazzina con il velo che scende queste scale e lui le salta addosso e le mangia il viso e la butta in acqua
non riesco a muovermi a pensare
lui mi vede e ride come un pazzo, si avvicina e so che vuole mangiare anche la mia di faccia ma riesco a colpirlo e a stenderlo
cambia lo scenario e sono a casa mia e ci sono i miei a tavola che non sanno nulla della situazione e io chiudo tutte le finestre e mentre cerco di metterli in guardia lui apre la porta e saluta i miei che lo accolgono
vuole farci fuori
come ho fatto a farlo entrare in casa? perché gli ho permesso di entrare nella mia vita?
e poi mi sveglio
la prima domanda che mi sono posta stamattina è: perché non l'ho ucciso quando avevo l'occasione? sarei stata in grado di farlo?
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dissonanze · 3 years
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Storia di un ormai vecchio amore.
Nota del diario,
24 Agosto 2021
A volte me lo chiedo, se ti amo dico, a volte ci penso. A volte penso anche ad altre cose, per esempio al fatto di aver amato sempre e solo te. Ma quando si tratta di te tutto va collocato nell’ambito del possibile, e quindi anche per quanto riguarda l’amore che provo nulla deve essere dato per certo. Non so se ci amiamo ma non credo sai che il nostro sia amore, almeno non è l’amore a cui sono abituata. Penso che l’amore sia qualcosa di meraviglioso, penso all’amore e penso al tepore di un camino, a una casa, a una persona che diventa la tua casa. Se penso a te non penso solo a questo. Penso più al fatto che sia davvero semplice amarti, più difficile detestarti; per me non è sempre così a volte questi due aspetti si ribaltano, facilissimo odiarti più difficile riuscire a riprendere da dove ci siamo interrotti, però poi la strada la ritrovo perché non la voglio perdere per nulla al mondo. Penso a noi e penso a qualcosa di illimitato, per questo non penso sia l’amore ben delimitato a cui sono stata sempre abituata, con te ogni possibilità è aperta e l’intesa che a volte ci lega è forte così come è sempre apparsa nei miei sogni. Spesso non ci capiamo, neanche a parole, fa ridere questa cosa che a volte ti riferisci a delle cose e io capisco proprio l’opposto, devo dire che capisco più quando ti guardo, non capirò di certo tutto, ma forse un pochino ci riesco. Dalla prima volta che ti ho visto l’ho pensato e nonostante tutto non ho mai cambiato idea e non ho dimenticato niente. A 16 anni mi dicevi che la tua persona poteva già essere passata nella tua vita o che all’opposto sarei potuta essere io, forse è questo il modo in cui ti esprimi ancora, non lo so, però se dovessi dire qualcosa su di te non parlerei di amore. Parlerei di persona giusta, del filo rosso che lega due persone, rosso come il mio braccialetto, che ti piace tanto. Parlerei di quanto scompare il mondo che ho intorno quando sono con te, di quanto poco me ne importa del resto perché ci se ci sei tu con me del resto non mi importa più di tanto. Penso alla bontà d’animo che ti contraddistingue e allo stesso tempo al tuo lato più insubordinato, testardo e rivoltoso, che amo, si questo lo amo proprio, forse perché non mi appartiene, ma ti amo disordinato e sempre in movimento anche quando dormi, in tempesta, adoro nuotare tra le tue onde e i tuoi problemi (quando non riguardano me eheheh). Amo il tuo corpo e anche questo non mi era mai successo in modo così eclatante, amo il contatto del mio corpo sul tuo, cliché, ma penso di amarlo perché è proprio quel tocco che mi fa sentire definitivamente in contatto con te. In sintesi: “Se ti dico che tu sei la mia persona, forse non capisci. Non sto parlando di anime gemelle. No. Parlo di qualcuno che ti sconvolge. Non ti scegli. E non lo scegli. Arriva. Di qualcuno che entra nella tua vita e di cui poi non puoi più fare a meno. Parlo di un amore che cresce senza che tu te ne accorga. Un amore che quasi combatti. Che non vuoi provare. E gli metti i bastoni tra le ruote. Lo allontani, lo maltratti e alla fine lo ritrovi ancora lì. Davanti a te intatto, senza un graffio. Lì che ti guarda e aspetta che tu capisca. Parlo di qualcuno con cui il tempo non esiste. Che ti lascia senza respiro e che te lo toglie quando si allontana da te. Diventa un’esigenza fisica. Una dipendenza. Per certi versi una malattia. Veleno e antidoto allo stesso tempo. Parlo di qualcuno che è i tuoi pensieri. I tuoi gesti. I tuoi respiri. Parlo di qualcuno che è te. Di qualcuno che se lo guardi in silenzio ci vedi quello che sei tu. E che a volte ti fa paura perché è come guardarsi ad uno specchio, perché ti fa riflettere, perché capisci che devi cambiare, devi essere migliore di come sei… Perché è la tua persona. E salvi lei, salvi te stessa”.
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erosioni · 3 years
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La felpa
Dovevo prendere una felpa. Sono proprio stupida, dovevo prendere una felpa, penso mentre cammino più veloce che posso. È notte, non so nemmeno che ora sia. Ogni tanto qualche macchina mi sfreccia a fianco, velocissima. Normalmente camminare sul ciglio della strada mi farebbe un po’ di paura, ma ora sono troppo ubriaca e voglio solo arrivare a casa. Incrocio le braccia sulla pancia scoperta per cercare di trattenere un po’ di calore. 
Per distrarmi ripenso alla festa in spiaggia dalla quale sono appena andata via; forse oltre al vino e alla vodka ho preso anche qualcos’altro. Mi gira la testa e ho uno strano sapore in bocca. L’immagine vaga di qualcuno che mi sorride compiacente e che mi offre quello che pensavo essere solo birra è spazzata via da una folata del vento gelido di fine estate, che soffia sulla pelle d’oca delle mie gambe scoperte. Mi metto quasi a correre, ho ancora un bel po’ di strada da fare.
Nelle orecchie sento il suono ovattato della notte. Poi una musica indistinguibile in lontananza, ma forse si sta avvicinando. Sento un’auto rallentare e fermarsi proprio di fianco a me. Please could you stop the noise? I'm trying to get some rest from all the unborn chicken voices in my head. Una canzone famosa, forse l’ho già sentita. È un grosso SUV scuro, alla guida è un uomo adulto. Non lo vedo tanto bene fino a quando non accende la luce interna dell’auto. Ha dei bei lineamenti, gli occhi scuri e profondi. È brizzolato. Un viso rassicurante, ma in questa situazione non posso che avere l’istinto di accelerare il passo e di afferrare il cellulare per cercare nella rubrica il numero di mio padre. L’auto mi segue a passo d’uomo, la musica si abbassa e sento la sua voce.
- Hai bisogno di un passaggio? - No grazie. Cosa gli fa pensare che potrei salire in macchina con uno sconosciuto, a quest’ora della notte poi? - I tuoi genitori lo sanno che sei in giro a quest’ora? Dove abiti? - Sì lo sanno e comunque sto tornando a casa e se non arrivo tra dieci minuti si preoccuperanno. Volevo usare un tono intimidatorio, ma a causa del freddo e delle sostanze la mia voce trema. Invece di spaventarlo sembro solo una bambina implorante. Lui ride. - Non ti voglio mica rapire, ti voglio solo accompagnare a casa. Anche io ho una figlia giovane, non mi piacerebbe se girasse di notte conciata così. In effetti sono mezza nuda. La gonna che mi ha prestato la mia amica Sara è stretta e mi sta leggermente corta, ogni tanto me la devo abbassare. L’ho abbinata ad un top nero in pizzo, sotto al quale non ho proprio niente. Per fortuna è buio pesto, o si vedrebbero i capezzoli duri per il freddo.
- Dai, avvisa i tuoi genitori e salta su. L’abitacolo sembra caldo e accogliente e io sono stanca di camminare. Quest’uomo è rassicurante e dubito che mi voglia fare del male. Ha anche una figlia. Voglio chiamare papà per spiegargli la situazione, ma probabilmente si è già addormentato. Decido di scrivergli un messaggio quando sarò al caldo nella macchina. Apro la portiera, e subito il tepore dell’abitacolo mi assorbe.
- Grazie. - Non è un problema. Mi chiamo Fabio. - Io Laura. - Fa freddo eh? Lancia uno sguardo alle mie gambe. Quando mi sono seduta la gonna si è alzata parecchio e a malapena mi copre le mutandine. Me la abbasso per quanto posso.
- Vai dritto per un po’, non è tanto lontano. Fabio inizia a guidare e io mi posso rilassare. You don't remember, you don't remember. Why don't you remember my name? Mi lascio cullare dalla musica e guardo le luci dei lampioni fuori dal finestrino. Vorrei chiedere chi è che canta ma la testa mi gira fortissimo. Devo chiudere gli occhi. Mi dico che li riposerò solo per un secondo. Solo un secondo.
Invece comincio a cadere dentro un pozzo infinito, come Alice nel paese delle meraviglie. Non è spiacevole però. Mi abbandono alla caduta che non controllo, è come volare. Mentre volo ho la sensazione che qualcuno mi stia accarezzando dolcemente. Sento il calore di una mano contro il fresco delle cosce scoperte. È rilassante e vagamente eccitante al tempo stesso. Una voce chiama il mio nome. – Laura… Laura… 
Apro gli occhi. Capisco improvvisamente che stavo dormendo. Sento il ritmo delle quattro frecce, l’auto è ferma. In sottofondo la canzone è cambiata: karma police, arrest this girl, her Hitler hairdo is making me feel ill. Questa la conosco. Fabio mi guarda con un’espressione un po’ perplessa. Ha una mano sul mio braccio, come a proteggermi. È caldissima. Mi fa piacere questo gesto, ma mi imbarazza un po’, mi fa sentire piccola. – Scusa, mi sono addormentata… 
Mi stava veramente accarezzando le gambe o me lo sono sognato? Comunque era un sogno piacevole. - Laura, ma sei fatta? Non riuscivo a svegliarti e mi sono fermato… - Ho solo bevuto un po’ – mi metto sulla difensiva. Sorride. – Dovresti sentire come biascichi. Non c’è niente di male se ti sei fatta un po’, ma se dormi non mi puoi dire qual è casa tua…  Cerco di orientarmi, ma è faticoso. Gli faccio il gesto di proseguire: - All’inizio del paese, da quella parte, abbiamo affittato una casa là. - Tuo padre non si incazza se rientri in questo stato? Non so cosa rispondergli. Mi sento in colpa ma non è colpa mia. Io sono sicura di non aver preso nulla, non ho neanche fumato. – Forse mi hanno dato qualcosa. Quando ha cominciato a sentirmi strana ho deciso di andarmene dalla spiaggia, ma non volevo rompere le scatole ai miei amici… - - Va bene, dai, mi dispiace, è una brutta sensazione perdere il controllo, vero? Annuisco e deglutisco. Mi sento fra le nuvole. Non so se è una sensazione brutta o bella, come se non riuscissi tanto a pensare, a parte che la voce di Fabio è molto bella e mi fa venire la pelle d’oca. Penso – Meno male che non lo sa… - e mi viene da sorridere. - Ora perché stai sorridendo? – Anche a lui viene fuori un sorriso. Un bel sorriso, mi piace proprio quando sorride. Scuoto la testa perché non lo voglio dire. Fabio continua a sorridere: - Va bene, ho capito, continui a stare un po’ fuori. Vediamo se riesco a rimetterti in sesto, così puoi rientrare senza fare incazzare tuo padre, eh? – Lo dice proprio con la voce da papà, tutta paziente. Io continuo a sorridergli anche se non vorrei, ma è che mi sento tra le nuvole, speriamo che non finisca presto. - Nel cruscotto ho del Red Bull, ora te ne bevi un po’, così ti tiri su, ok? – Allunga una mano e apre lo sportello di fronte a me. Non riesco a trattenermi e mi metto a ridere forte. Mi guarda indeciso se mettersi a ridere pure lui o preoccuparsi. Mi porge la lattina di Red Bull, ma io rido e basta. – Ehi, se fai così mi preoccupo. Che cos’è che ti fa ridere tanto? –
Non vorrei parlare, ma mi esce di bocca come se parlasse un’altra: - Ho visto i preservativi! Ho visto i preservativi! – Anche Fabio scoppia a ridere – Ma stai proprio fuori come una zucchina! Mai vista una cosa del genere, la voglio prendere anch’io ‘sta roba… ti fanno ridere i preservativi? – - Mi fanno ridere perché ho capito cosa cercavi in giro di notte da solo. E io che pensavo che fossi un buon papà… –  mi rimetto di nuovo a ridere anche se cerco di fermarmi. Fabio non ride più. - E brava la detective… sarà la droga che ti rende così intuitiva? Quindi sono un cattivo papà? -  All’improvviso mi sento una scema. Ma che sto dicendo? Perché gli ho detto una cosa così cattiva, poi è anche tanto carino, chi se ne frega cosa fa la notte? - Dai beviti questo Red Bull, così poi ti riporto a casa… - Ora la voce non è più simpatica come prima. Mi sento una stretta al cuore e mi vengono due lacrimoni agli occhi come se fossi una bambina scema. - No dai, Fabio, scusami, non sei un cattivo papà, giuro, giuro… ho detto una stronzata… - - Lascia perdere, bevi che stai fuori… e poi forse hai ragione che sono un cattivo papà… non sei certo l’unica a dirlo - Tiro un sorso di Red Bull e mi sale la nausea. Poi mi metto a piangere perché non è giusto che Fabio sia triste. Non è giusto per niente. E mi sento sempre più stupida. - Laura, non piangere così – - Non sei un cattivo papà, non lo sei… - Lo abbraccio e mi stringe a sé. Mi sento protetta adesso. Mi viene ancora di più da piangere perché gli ho detto una cattiveria e invece lui mi sta abbracciando. Sento un odore di dopobarba, gradevole. – Shhh, va tutto bene, bella. Nessuno è cattivo qui, vero? Non c’è bisogno di piangere, dai… -  Sento i brividi che mi scuotono. Dovevo portarmi una felpa. – Abbracciami, abbracciami, ho tanto freddo… - Poggio la testa sulla sua spalla. Le sue braccia mi cullano. La voce canta: It's always best when the light is off, it's always better on the outside. Ora mi sento meglio. Non ho più i brividi. Non mi viene più da piangere. Le labbra di Fabio sono vicino al mio orecchio destro. Mi sussurra: - Va meglio, piccola? – Mi fa proprio sesso quando fa la voce da papà. Mi separo dall’abbraccio e bevo un altro po’ di Red Bull. Una vera schifezza. Però mi sento un po’ schiarita. Cristo, ho fatto proprio la figura della cretina, chi sa che pensa ora Fabio di me. 
– Scusami, mi vergogno un po’, ma non ci stavo molto…  - Ora non ci pensare. Se non ti riaddormenti tra cinque minuti sei a casa. - Io penso che sei una brava persona e anche un bravo papà… se no non sarei salita in auto  - Grazie per la fiducia, bella. Anche tu mi sembri una brava ragazza.  - Pensi che sono bella? Non pensi che sono una cretina sbronza con tutto il trucco sbavato? Si fa una bella risata. – Sei proprio un bel tipo tu, sai? 
Cazzo, mi piace quando ride e anche come parla. Però non so bene cosa fare, non ho mai avuto a che fare con uno così grande. Si piega verso di me come se mi dovesse dire un segreto. Invece sento la sua mano sulla mia coscia. Un tocco fermo, caldo. Non stavo sognando prima. Ci baciamo mentre mi tira di nuovo a sé con un braccio. L’altra mano risale sotto la gonna che ormai è praticamente arrotolata attorno ai miei fianchi. Non riesco a trattenere un sospiro. Ho già l’affanno. Mi bacia a lungo e mi accarezza attraverso le mutandine. Sento lo stereo bassissimo: And no alarms and no surprises. No alarms and no surprises. No alarms and no surprises. Silent, silent.
Sento che sto per venire. Di solito non succede così velocemente, forse è la droga o forse la situazione, non so. Vengo. Vengo e lui se ne accorge. Mi infila le dita sotto le mutandine. – Quanta fretta… -- ma lo dice sorridendo, perciò non mi vergogno. – Sei bagnatissima… - Faccio scendere la mia mano dal torace verso la pancia e poi glielo tocco. È durissimo. Ci scambiamo uno sguardo di intesa e comincio ad armeggiare con la cerniera dei suoi pantaloni. – Questo lo so fare bene – penso, mettendolo tutto in bocca. Non sono quasi riuscita a vederlo nel buio dell’abitacolo, ma è un bel cazzo, con un glande molto grosso. Lo spompino lentamente, riempiendomi la bocca con gusto. Lo sento fremere sotto la lingua e mugolare piano, ha una mano fra i miei capelli e accompagna il ritmo della mia testa. Sto ricominciando già ad eccitarmi.
 – Aspetta, Laura… - Mi stacco da lui controvoglia. Mi dà un bacio molto lungo, ho ancora il suo sapore in bocca. Armeggia con il cruscotto e tira fuori uno dei preservativi che prima mi facevano tanto ridere. Sento una contrazione fra le gambe. Non l’ho mai visto in piedi, ma deve essere piuttosto alto, mi chiedo cosa farà. Ora lo vedo meglio il cazzo, ci infila il preservativo. Sposta il sedile tutto all’indietro e abbassa lo schienale mentre mi dice – Levati le mutandine, bella… - Mi affretto a farmele scivolare giù, non so neanche dove sono finiti i miei sandali. Mi prende di peso e mi sposta dal mio sedile. Non sembrava così forte, mi si mozza il fiato. Mi siede su di lui, e mi posa le mani sullo sterzo. Sento il cazzo che scivola facilmente dentro il mio bagnato, mi devo trattenere dal mugolare. Mi abbraccia e mi stringe le tette, spostando il top. – Muovi il culetto, bella, muovilo per me… - Mi puntello tra lo sterzo e il sedile e comincio a dimenarmi. La sensazione è bellissima. – Fabio… Fabio… - ansimo – Chiamami papà, dimmi che sono un bravo papà… - Questa richiesta mi fa impazzire. – Mhhh… mhhh - Non riesco a dirlo perché mi vergogno ma mi eccita anche tanto. Sono nuda con uno sconosciuto che potrebbe essermi padre. Aumento il ritmo mentre Fabio mi aiuta con le braccia. È come se mi muovesse su di lui. Mi morde il lobo dell’orecchio. – Mhhh… s-sei un bravo papà… papà… papà…- Fabio esplode in un orgasmo molto rumoroso, mi schiaccia i capezzoli. Sento un calore intenso fra le gambe e vengo anche io di nuovo. Mi escono dei suoni assurdi dalla bocca, ma tanto non ci può sentire nessuno.
Ora sento di nuovo lo stereo: Sometimes I get overcharged that's when you see sparks. They ask me where the hell I'm going? Fabio mi bacia sul collo e mi viene da sorridere. È proprio dolce. Mi sposto lentamente sul sedile del passeggero. Mi tremano le gambe come se avessi fatto step. - Stai bene, Laura?  - Sì… è stato bello  - Anche per me. Non è che l’hai fatto solo perché eri fuori di testa? - Mhhh – Mi viene da ridere. - Fai ridere anche me, bella…  - Me lo dovevi chiedere prima, no?  Ridiamo tutti e due. – Va bene, allacciati la cintura, bella. In cinque minuti ti porto in paese. E non dimenticare di rimetterti le mutandine – Meno male che nella penombra dell’abitacolo non mi può vedere arrossire. Mi risistemo un po’. Non oso pensare la faccia sconvolta che devo avere. 
– Ecco, fammi scendere qui – dico, quando siamo alle porte del paese – non proprio davanti a casa che se mi vedono non so cosa dire… - Allora aspetta, bella. Prima di tutto dammi un bacio. – E ci baciamo. – Poi ti regalo una cosa – Mette il braccio sul sedile posteriore e tira fuori una felpa blu col cappuccio. – Non preoccuparti, a casa ne ho un altro paio uguali. Così ti copri un po’. 
Sorrido come una scema. Stavolta non è la droga, ma non so bene che dire. È proprio dolce. Forse dovrei dirgli qualcosa, tipo la mia email, ma alla fine non dico niente. Ci diciamo solo buonanotte e scendo nel fresco. Mi metto addosso la felpa mentre cammino verso casa, tiro anche su il cappuccio. Speriamo che stiano tutti dormendo. Sento l’odore di dopobarba e di sudore di Fabio nella felpa. Forse stanotte ci dormo dentro. Infilo le mani nelle tasche e sento qualcosa. Un cartoncino. Mentre apro il portoncino di casa lo guardo per un secondo. Il suo biglietto da visita. Avvocato. Completo di numero di cellulare e indirizzo. Mi viene da ridere. Chi sa se prima della fine delle vacanze avrò bisogno di sentire un avvocato?
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corneliaharris · 4 years
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« Se mi fai cadere » e si interrompe rimanendo qualche secondo a pensare «Poi ti tocca una penitenza » ecco ha deciso e forse il sorrisetto che gli si stampa in viso non promette troppo bene. 
Poi pare ricordarsi di qualcosa detto in precedenza a cui non aveva prestato la giusta attenzione « Ma quindi dicevi… » forse dieci minuti fa ma dettagli « …una penitenza? Che penitenza? » curiosa « Devo sapere cosa rischio » anche se ormai sono alti in cielo e non può più tirarsi indietro.
Ah pensavo volessi ignorarla » ridacchia arricciando il naso. Ma non può di certo ignorarla, quindi è un bene che l`altra l`abbia ritirata fuori. « Ma non te lo dico » ecco qua fine. « Vedi di non farmi cadere se non vuoi pagare » la avverte ma non si tratta mica di soldi. 
« Ma no » non la voleva ignorare « Ero presa da tutto il resto » tipo coordinarsi. « Ma come non me lo dici?!? » sconvolta nel chiedere conferma « Non è giusto » e l’altro non la può vedere ma dal tono che usa può essere certo che ha messo su un mezzo broncetto indignato « Sono ancora più curiosaaaa se dici così » a quel suo “dover pagare” « E comunque dovrei farti pagare io » cos? « Ti sto facendo fare un bellissimo giro » e il fatto che l’ha proposto lei pare averlo scordato.
Poi lei ritira fuori la penitenza e lui è più che contento di tenerla sulle spine. « Sì che è giusto » e se questa è la reazione di lei, tutto è ancora più divertente. Infatti ridacchia prima di alzare un sopracciglio per le parole che seguono. « E come dovrei pagare, mh? » chiede a sua volta spostando l`attenzione. Tanto comunque la penitenza non gliela dice. (…) Non fa in tempo a finire la frase che Cornelia parte in quello scatto che a lui fa sgranare gli occhi. E con un riflesso istintivo si stringe ancora di più al manico, come se fosse possibile poi, trattenendo il fiato. « Te sei matta » sbuffa quando tornano a volare ad una velocità normale. « Mi sono andati pure i tuoi capelli in bocca » si lamenta arricciando il naso. « Ti sei guadagnata una penitenza » ha cambiato le regole, ciao.
«  No che non lo è » ribatte perché lei vuole saperla la penitenza e non demorde così facilmente « E visto che non vuoi dirmelo, ti lascerò qui » ma qui dove? (..) « E non lo so » come dovrebbe ripagarla « Ci penso e te lo dico quando scendiamo » e il suo cervellino è già in moto. (…) Ma ben presto dichiara finito il tempo del giretto panoramico da pensionati e accelera, appiattendosi sulla scopa. Dura tutto relativamente poco ma abbastanza per far lamentare Wesley e ridacchiare lei « Daaai, non ho fatto niente » mettendo su pure un’espressione angelica, che l’altro al massimo potrà intravedere «Scusaaa, li avevo legati per questo» per non infastidirlo, intende. « No. Così non vale » l’ha già detto per caso? « Tu cambi le regole e io non so ancora quale sarà la penitenza » ecco, torniamo a quello. (…) E se riuscisse a frenare la scopa fino a fermarla, volterebbe la testa indietro per osservare Wesley « Allora? » ed è ovvio cosa voglia sapere.
« Niente? » continua a lamentarsi ironico arricciando il naso. Qualche capello gli sarà anche andato in faccia ma lui sta solo borbottando perché gli piace lamentarsi. « Sì che vale » ribatte subito già di nuovo col sorrisetto in viso. Il suo broncio dura veramente poco. « Io posso » cambiare le regole ovvio. Ha già un sopracciglio alzato in un`espressione confusa mentre la vede girare il viso per osservalo. A quella domanda alza gli occhi al cielo sbuffando una risata. « Te lo dico giù » anche lui rimanda tutto a quando saranno di nuovo con i piedi per terra.
« No che non vale » piccata mentre una smorfietta le compare sul volto. « Fai tutto da solo » riferito al suo cambiare le regole ma è ovvio che si riferisca anche alla famosa penitenza ancora segreta. Però poi lui rimanda tutto a quando scenderanno dimenticandosi che è lei ad avere in mano quel potere e infatti un ghignetto le compare sul viso « Allora scendiamo » hanno volato abbastanza per oggi. (…) Una volta con i piedi per terra uno sguardo viene lanciato verso l’altro ma, per ora, non chiede niente.
Cambiare le carte in tavolo gli piace soprattutto perché lei mette il broncio e lui se la può ridere. Non le svela ancora nulla della penitenza ma solleva le sopracciglia quando lei fa quell`ultima affermazione. « Scendiamo » (…) Lei lo guarda e non parla ma lui è veloce a cogliere l`occasione. « Allora come ti devo ripagare? » e no, ancora non le parla della penitenza.
Lei non parla e lui non si lascia sfuggire l’occasione ed è il primo a chiedere qualcosa. Ci riflette su un attimo «Ti ricordi quel posto che mi dicevi?» aspettando un cenno di conferma « Mi dici che posto è? » Ora è il suo turno di chiedere cose e non se lo fa ripetere due volte « Allora? Questa penitenza? » e ora Wes non ha più scuse per non parlare e lei lo guarda, palesemente in attesa e con un sorrisetto stampato sulle labbra.
Alla fine comunque è un`espressione divertita quella che gli spunta in viso. « Te lo ricordi? » che lui l`ha accennata a casissimo. « Comunque è una grinzaficata assurda » non fa insomma il misterioso « E` una quinta sala comune » rivela sollevando le sopracciglia per enfatizzare ancora di più quanto sia grinzafica la cosa. « Magari ti ci porto » alza le spalle osservando una sua eventuale reazione. Comunque alla fine non può più scampare dalla questione penitenza, anche perché Cornelia torna giustamente alla carica con quella domanda. Lui resta in silenzio per qualche secondo solo ad osservarla per poi mordicchiarsi leggermente il labbro inferiore. « Dammi un bacio » così, dritto e conciso.
  « Una quinta sala comune? » chiede a mo’ di conferma ma è alla possibilità di essere portata lì che si entusiasma ancora di più e gli occhi le brillano appena. « Davvero? » e non riesce a nascondere l’entusiasmo « Mi piacerebbe » nel caso non fosse chiaro e vabbè, neanche a dirlo, sfodera un sorrisone dei suoi. Alla fine, però, Wesley è costretto a capitolare ma un attimo dopo quelle tre parole così schiette è lei che si sente messa con le spalle al muro, palesemente in difficoltà. Le iridi chiare che risalgono la figura del Tassorosso alla ricerca dei suoi occhi mentre un’espressione un po’ confusa le si è formata sul viso. Non dice niente, esita un po’ dopo quella frase come se dovesse riordinare le idee prima di fare qualsiasi cosa e poi, alla fine, decide. Tra lei e Wes non dovrebbe esserci un’eccessiva distanza anzi ma lei è intenzionata a colmarla completamente, provando a finire davvero vicina all’altro, pur non toccandolo ancora. Gli occhi che cercano quelli del ragazzo e il viso che viene alzato appena perché tra i due non è lei quella più alta. Ed è ormai davvero vicina alle labbra altrui ma esita ancora un attimo. « Questa è la mia penitenza o un premio per te? » glielo sussurra sulle labbra ma non gli concede la possibilità di replicare – o almeno prova a non farglielo fare - perché un attimo dopo le sue labbra finiscono per appoggiarsi su quelle altrui. Labbra morbide che si piegano sulle sue in un bacio a stampo che le fa chiudere le palpebre, in uno sfarfallio di ciglia. Molto meno leggero e fugace del precedente bacetto ma comunque superficiale, nonostante lei non sembri aver intenzione di porre fine al contatto.
(…) Poi è il suo turno di reclamare la penitenza, non senza incertezze, ma alla fine riesce a mettere da parte un velo d`imbarazzo per pronunciare quelle tre semplici parole con l`espressione abbastanza seria. Ma un pizzico di divertimento c`è sempre. Solo che la osserva andare un po` in confusione dopo quella richiesta e quasi è lì lì per rimangiarsi tutto, però poi la vede avvicinarsi e allora resta zitto. Si fa anche più serio, abbandonando l`ultima nota di sfrontatezza nell`espressione per lasciar spazio ad una certa ansia d`attesa. E mentre lei alza un po` il viso per colmare quei centimetri di differenza d`altezza, lui fa esattamente il contrario andando a piegare un po` il mento in giù solo per poterla osservare negli occhi. Le parole di lei gli fanno spuntare automaticamente un sorrisetto ed è anche pronto a rispondere se non fosse che le sue parole vengono zittite proprio dalle labbra della ragazza. Chiude gli occhi anche lui mentre la mano destra risale a posarli dietro la nuca altrui. E no, neanche lui ha troppa intenzione di replicare quel brevissimo bacetto che si sono scambiati sul treno. Infatti, più che allontanarsi da lei, cerca anche di approfondire un po` quel contatto muovendo le labbra sulle sue. Poi, però, forse anche un po` controvoglia si allontana, ma solo per sussurrarle « Tutte e due» riferito alla domanda di prima per poi tornare a posare le labbra sulle sue a concedersi ancora qualche secondo di quel bacio.
Pare ovvio che nessuno dei due voglia replicare il bacetto del treno e istintivamente la testa si inclina leggermente di lato. Lascia che l’altro le poggi la mano dietro la nuca e prendendo esempio da quel gesto, andrebbe ad infilare la sua mano sinistra tra i ricci scuri dell’altro, accarezzandoli piano e quasi distrattamente mentre quel bacio viene portato avanti. Segue il volere e il movimento delle labbra del ragazzo, plasmando le sue su quelle altrui in una specie di danza tutta loro. Ed è quando il contatto viene interrotto per un istante che le palpebre tornano a sollevarsi e gli occhi cercano quelli di Wes mentre un sorriso spontaneo le nasce sul viso « Potevi scegliere anche peggio » replica ma è solo un istante perché poi tornano esattamente dov’erano rimasti, a quel bacio.
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