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#pensieri della domenica
catsloverword · 1 year
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Comunicato Urgente!!!
Cari maschietti di chat, inutile perdiate tempo a scriverci quanto siamo acide...
...Se vogliamo darvela, tranquilli: vi scriviamo prima noi😉
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fioredialabastro · 2 months
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Un frammento di luce
L'altro giorno, arrivata al parcheggio, prima di entrare in auto, la mia attenzione ricadde su un foglietto, un punto di luce sull'asfalto tetro cotto dal sole. Mi avvicinai e sorrisi, lieta di poterne leggere il contenuto senza profanare il suo luogo di riposo: "crescenza, ditalini, conchigliette, linguine asciutte, farfalle, 2 te, 2 dadi, 2 vino rosso, 2 bianco, 2 latte, biscotti, Alice". La grafia, di mano sicura e dai tratti un po' infantili, assomiglia a quella di mia nonna e di altri suoi coetanei, perciò chi ha scritto questa lista della spesa potrebbe essere una persona anziana. Tuttavia, ciò che mi intenerisce è il fatto che, prima di annotarsi ciò che occorreva, l'autore misterioso abbia testato l'affidabilità dell'inchiostro, dalla corposità incerta ma ancora presente. Cos'altro emerge poi? Ah sì, Alice... È l'artefice? È colei che ha incaricato lo scrivente di tale quotidiana impresa? O forse non è un nome proprio ma si riferisce all'omonimo pesce azzurro, per quanto sia strano sentirlo nominare al singolare? Quanti indizi, quante suggestioni si possono cogliere da un semplice foglio scritto! Salii in macchina in preda di un'emozione febbrile, come se avessi scoperto uno scrigno ricolmo di tesori. In effetti lo era, almeno dal mio punto di vista: mi ero imbattuta in un vero e proprio spaccato di vita quotidiana, un gesto comune, ma personale, intimo, perciò autentico, naturale, non costruito. Un ritrovamento che ha il sapore delle ricerche di archivio che mi hanno accompagnato negli ultimi anni, ma anche delle ricette di famiglia, cartoline, lettere e fotografie sbiadite che hanno forgiato la mia infanzia. Spero che tale lista sia stata smarrita dopo e non prima della delicata missione gastronomica a cui siamo chiamati settimanalmente. In ogni caso, mi piace pensare che il compito di questo foglietto fosse quello di andare oltre la sua funzione primaria, divenendo una storia da raccontare ai passanti, una finestra sulle abitudini di persone sconosciute, ma che nella ricerca del cibo diventano come ciascuno di noi; un frammento di umanità e uguaglianza: un punto di luce sull'asfalto tetro cotto dal sole.
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gabritrix · 8 days
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elenascrive · 1 year
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Oggi davano pioggia, per il momento però c’è il Sole, allora godiamoci questa Prima Domenica di Primavera che vede inoltre il ritorno ufficiale dell’ora legale, con la Sua Luminosa Presenza che abbaglia anche i Nostri cuori desiderosi del Suo potente calore, per poter salutare un’altra settimana intensa in attesa di vivere la prossima, che speriamo possa essere come dire un po’ meno caotica, per fare più spazio alle piccole cose della Vita in grado di fare la
Differenza sempre. ☀️🌸
Buona domenica ❤️
@elenascrive
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Riflessione:
Oggi ho rivisto a messa dopo mesi un ragazzo con cui mi piace chiacchierare e tra le prime cose gli chiesi del lavoro, siccome sapevo che aveva ricevuto la proposta per una mansione superiore. Lui mi disse "Cavoli Leo, ti sei ricordato? Che memoria!" Io avrei voluto rispondere con "Io mi ricordo di ciò che voi mi dite o fate, ma voi vi dimenticate di me in tempo zero"
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robertoperodi · 11 months
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Ordina in me l'amore - Order love in me
Oggi mi spiazza la situazione.La Parola chiude la bocca a chi usa le parole per vivere di legge senza amore.Oggi mi spiazza la domanda.Non è un interrogativo per capire, ma capire quale interrogativo confezionare per mettere alla prova. Continue reading Untitled
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dhufflebee · 1 year
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fogliodicarta · 2 months
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Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.
Dino Buzzanti,
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gregor-samsung · 1 month
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“ Disteso sul pagliericcio del carcere, mi sentivo a casa mia, dissi a Chiellino, nel sogno ora stavo bene, ma lui mi svegliò veramente dal bel torpore dell’ultimo sonno con le parole “La campagna si fa lunga”. Il carcere era per lui, come quella della Libia e del fronte italiano, un’altra campagna. Caddi dalla branda. Volli prendere lo straccio, non so se mi spettava, e se pure mi spettava, Chiellino in mia vece era già accoccolato e così, piegato sulle ginocchia, indietreggiava man mano che con lo straccio puliva il pavimento e la striscia bagnata arrivava ai suoi piedi. «No, no, deve venire uno specchio, tu lo lisci, devi calcare; calca forte» mi diceva Chiellino. Calcavo forte e nello sventagliare lo straccio due opposti pensieri, a destra e a sinistra, mi salivano in capo: perché dobbiamo pulirci noi il pavimento? Ecco l’origine della schiavitù. Giappone, perciò, non si abbassa mai, è lì che fischietta e sorveglia, da padrone: lui, ed anch’io, faremmo crescere la polvere dei mesi e degli anni, lui per protestare e chiedere il colloquio e dire al procuratore di provvedere con uno spazzino o con una guardia, io per richiudermi nello sdegno e nell’isolamento, per non darla vinta ai boia, ai comandanti, ai giudici: essi non ci hanno soltanto messi in galera per scacciarci dalle strade, ma così ottengono che ci avvezziamo all’umile ordine interno e che ricreiamo tra noi la gerarchia dei servizi, la necessità di una legge. Loro ci volano sopra, sorridenti e beati come il generale passa a cavallo a dire col mento, col mento suo e con quello del cavallo: “Bravi, voi siete il mio ordine e la mia volontà, il mio regolamento. Fra poco morirete da cani in battaglia; anche questo è previsto”. Noi siamo le pecore e i buoi dei macellai e dei proprietari di bestiame. Così essi mantengono la loro ragione sugli operai, sui contadini, sui pezzenti e il sempre nuovo annuncio del vangelo, ogni giorno e ogni domenica, ripete la legge degli uomini e ognuno dice a se stesso: “Io sono la via, la verità, la vita” e subito corre a comandare alla moglie, ai figli, al fratello più piccolo, al più debole di sé. Il pavimento si bagnava, potevo vedermi la faccia dentro e mi arrestai nel vederla. “
Rocco Scotellaro, L' uva puttanella-Contadini del Sud, Laterza (collana Universale, n° 4; prefazione di Carlo Levi), 1977⁴, pp. 79-80.
[Prime Edizioni originali, postume: Laterza (collana Libri del tempo), 1956-1954]
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anima-complicata-80 · 5 months
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"Ogni mattina,guarda al nuovo giorno con i pensieri della speranza,con i pensieri dell'amore verso tutto e oltre le tue vedute Fa' che (ogni giorno) sia la tua splendida giornata. Proietta nel mondo la migliore immagine di te.." 🖤
Buona domenica anime preziose ☕️🌷
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Veneziani: In treno verso il nulla, stranieri a casa propria.
di Marcello Veneziani – 13 Agosto 2023
L’altra sera ho preso un treno locale tra Foggia e Bari. Ero nella mia terra, dovevo raggiungere il mio paese natale, ho preso l’ultimo regionale della sera. Non ero in prima classe, non leggevo Proust, non ero tra lanzichenecchi, come era capitato ad Alain Elkann ed ero curioso di chi mi stava intorno. Ero l’unico anziano in un treno zeppo di ragazzi, pendolari della movida, che si spostavano per andare a fare nottata in paesi vicini. Ero su una tratta che un tempo mi era famigliare, ma mi sono sentito straniero a casa mia. No, non c’erano stranieri sul treno, come spesso capita nei locali. Ricordo una volta su un locale, ero l’unico italiano tra extracomunitari, in prevalenza neri, con forte disagio perché ero pure l’unico ad avere il biglietto. Stavolta invece ero tra ragazzi dei paesi della mia infanzia e prima giovinezza, eppure mi sentivo più straniero che in altre occasioni.
Li osservavo quei ragazzi e soprattutto quelle ragazze, erano sciami urlanti che agitavano il loro oggetto sacro, la loro lampada d’Aladino e il loro totem, lo smartphone. Si chiamavano in continuazione, la parola chiave per comunicare era “Amò”, ed era un continuo chiedersi dove siete, dove ci vediamo. Era come parlare tra navigatori che si dicevano la posizione.
Le ragazze erano vestite, anzi svestite, scosciatissime, come se fossero cubiste o giù di lì, con corpi inadeguati. Era il loro dì di festa, il loro sabato del villaggio, ma in epoca assai diversa da quella in cui Leopardi raccontava l’animazione paesana che precede la domenica. Dei loro antenati forse avevano solo la stessa pacchianeria prefestiva, ma nel tempo in cui ciascuno si sente un po’ ferragnez e un po’ rockstar. Parlavano tra loro un linguaggio basic, frasi fatte e modi di dire sincopati. Mai una frase compiuta, solo un petulante chiamarsi, interrotto da qualche selfie, si mandavano la posizione e si apprestavano a incontrarsi e poi a stordirsi di musica, frastuono, qualche beverone, fumo, e non so che altro. Li ho visti in faccia quei ragazzi, erano seriali, intercambiabili, dicevano tutti le stesse cose, ciascuno in contatto col branco di riferimento. Cercavo di trovare in ciascuno di loro una differenza, un’origine, un qualcosa di diverso dal branco; ma forse erano i miei occhi estranei, la mia età ormai remota dalla loro, però non ravvisavo nulla che li distinguesse, che li rendesse veri, non dico genuini. Eppure parlavano solo di sé, si specchiavano nei loro video, si selfavano, un continuo viversi addosso senza minimamente preoccuparsi di chi era a fianco, insieme o di fronte. Sconnessi.
Magari è una fase della loro vita, poi cambieranno; magari in mucchio danno il peggio di sé, da soli sono migliori. Però non c’era nulla che facesse vagamente pensare al loro futuro e al loro piccolo passato, alle loro famiglie, ai loro paesi, al mondo circostante; tantomeno alla storia, figuriamoci ai pensieri, alla vita interiore, alle convinzioni. Traspariva la loro ignoranza abissale, cosmica; di tutto, salvo che dell’uso dello smartphone. Anche i loro antenati, mi sono detto, erano ignoranti; ma quella era ignoranza contadina, arcaica e proletaria, carica di umiltà e di fatica, di miseria e di stupore; la loro no, è un’ignoranza supponente e accessoriata, non dovuta a necessità, con una smodata voglia di piacere e vivere al massimo il piacere, totalmente immersi nel momento. Salvo poi cadere negli abissi della depressione, perché sono fragilissimi.
Mi sono detto che i vecchi si lamentano sempre e da sempre dei più giovani, li vedono sempre peggiori di loro e dei loro nonni. Però, credetemi, la sensazione più forte rispetto a loro, era un’estraneità assoluta, marziana: nulla in comune se non il generico essere mortali, bipedi, parlanti. In comune non avevamo più nulla, eccetto i telefonini. Per confortarmi mi sono ricordato di quei rari ragazzi che mi è capitato di conoscere e che smentiscono il cliché: sono riflessivi, pensanti, leggono, studiano con serietà, sanno distinguere il tempo del divertimento dal tempo della conoscenza, hanno curiosità di vita, capiscono l’esistenza di altri mondi e altre generazioni, capaci di intavolare perfino una discussione con chi non appartiene alla loro anagrafe. Però ho il forte timore che siano davvero eccezioni. E mille prove personali e altrui confermano questa impressione. Raccontava un amico che fa incontri nelle scuole che davanti a una platea di trecento ragazzi, chiese loro se leggessero giornali, o addirittura libri, se vedessero qualche telegiornale, se sapessero di alcuni personaggi, non dico storici o i grandi del passato, ma almeno importanti nella nostra epoca. Uno su cento, e poi il silenzio. Hanno perso la loro ultima piazza, il video, ognuno si vede il suo film e la sua serie su netflix o piattaforme equivalenti, segue il suo idolo, ha vita solo social.
Qualunque cosa in chiave politica e sociale, storica o culturale, non li sfiora, non li tocca, non desta il loro minimo interesse. Certo, sono sempre le minoranze a seguire attivamente la realtà o a coltivare una visione del mondo e condividerla con un popolo, un movimento, una comunità. In ogni caso non è “colpa loro”, se sono così. E’ anche colpa nostra; anzi non è questione di colpe. E l’impossibilità di comunicare con loro dipende pure da noi. Però, mi chiedo: cosa sarà tra pochi decenni di tutto il mondo che si è pazientemente e faticosamente costruito lungo i secoli, attraverso scontri, guerre, sacrifici, fede, conoscenza, lavoro, lavoro, lavoro? Nulla, il Nulla. Sono questi i cittadini, gli italiani, di domani? Sono forse diversi, e più nostrani, rispetto agli stranieri extracomunitari che sbarcano da noi a fiumi?
Tabula rasa, zero assoluto, il postumano si realizza anche senza manipolazioni genetiche, robot sostitutivi, intelligenze artificiali e mostri prodotti in laboratorio. Quel treno della notte non portava da un paese a un altro, portava solo nella notte.
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lunamarish · 3 months
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Vorrei che tu venissi da me in una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo.
Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi geni ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi.
Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento.
Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi, e in date ore vaga la poesia congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene.
Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre delle città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo, sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola.
Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrar la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti di essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dei prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne.
Tu diresti “Che bello!”. Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora. Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti attorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata a esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno.
E non diresti “Che bello! “, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici. Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di sé una specie di musica.
Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni.
Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. È inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda.
Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina.
E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo con donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo. Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso fra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
Dino Buzzati
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pensieri-di-dea · 2 months
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Agosto è come un’alba soleggiata e malinconica, è come la mattina di domenica quando i ricordi freschi della notte ti tengono legata al sabato e coi pensieri sei già immersa nel lunedì. È il culmine dell’estate, il momento degli abbracci trattenuti, dei tuffi prolungati, delle letture smisurate, del distacco rimandato fino all’ultimo secondo. È il mese di mezzo tra il piacere e il dovere, l’anello sabbioso che lega i sogni ai progetti che si affacciano ai lati del calendario. È il periodo dei viaggi a lungo attesi, il momento in cui tutto è ancor più vivo, eccitato, poetico, nostalgico. È quasi sempre l’occasione dei bilanci e dei mutamenti, e lo è di sera quando, sdraiata beatamente sulla spiaggia, ricordi come eri prima di partire, ed intuisci in cosa cambierai al tuo ritorno.
~Gabriela Pannia
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Buon pomeriggio tumbleriniii da quanti secoli non si fa un qualche contest su questo social, che mortorio uhmmm va bene prendo io le redini sfruttando il "tirocinio" da braccio destro fatto con il maestro dei contest di Tumblr e spero ci divertiremo numerosi ;)
Contest foto cielo notturno 🌕
Durata da oggi 22 giugno a sabato 29 giugno, con premiazione reblog domenica 30 giugno
Come si partecipa:
Ogni partecipante scatta una foto in questa settimana attinente al tema "cielo notturno" magari sfruttando la presenza della luna piena in queste notti o le stelle che illuminano quest'estate e la posta rebloggando questo post sul proprio blog taggandomi @persa-tra-i-miei-pensieri e usando #contestcielonotturno, a proprio piacimento si può aggiungere una didascalia al proprio scatto.
Durante questa settimana chiunque potrà votare scrivendo nei commenti a questo post il nickname del blog che ha pubblicato la foto a suo parere più bella 📸
Vince chi a mezzanotte del 29 giugno ha ottenuto più voti alla propria foto
Premi 🏆:
1° posto -> 5 reblog
2° posto -> 4 reblog
3° posto -> 3 reblog
Gli altri partecipanti -> 1 reblog
Partecipate numerosi e facciamo brillare insieme Tumblr ✨✨✨
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corrilibero · 4 months
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Eravamo lì perché è lì che volevamo Essere.
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L'adrenalina che si prova sulla linea di partenza di una gara storica come il “Passatore”, che il prossimo anno compirà 50 anni, è qualcosa che non si può raccontare.
Puoi essere arrivato fin qui tranquillo e sereno, ma quando entri in griglia e inizi pian pianino a cercare quella che, nella tua testa, è la migliore posizione per partire, l'emozione si fa sentire. Nell'aria si percepisce quella tensione che fa vibrare la voce e che accende gli sguardi dei tanti amici che non vedevi da tempo: ci si saluta, una pacca sulle spalle, una stretta di mano, un abbraccio… è bello rivedersi, ma non raccontiamoci bugie, siamo tutti qui per altro e non vediamo l'ora di partire.
Non c'è nulla di epico o di eroico, anche se qualcuno prova a raccontarcela in un altro modo. Non siamo qui per salvare il mondo, non ci siamo schierati dietro la linea di partenza perché siamo l'ultimo baluardo dell'umanità nella battaglia contro le forze del male anzi… molto probabilmente siamo qui proprio perché, da qualche parte nelle nostre profondità, si nasconde quel "malessere" che non riusciamo in nessun modo a vincere se non in quei pochi momenti di grazia che ci regala la Corsa.
Parte il conto alla rovescia, l'ultimo sguardo d'intesa al socio, giusto per ricordargli che qualsiasi cosa succederà ci si vede domani in piazza a Faenza e… via si parte!
Le strade sono strette, il tifo nei pressi alla partenza è galvanizzante, sgattaiolo come posso tra i tanti corridori, tanti quanti sono i pensieri del momento, e si attacca la prima salita, quella che mi porterà in circa 1h40 in cima alle Croci.
Sto bene, mi sento in ottima forma e finalmente ora si scende. Lascio andare le gambe fino a Borgo San Lorenzo è da lì che inizia la seconda ed ultima (più o meno) salita impegnativa, quella che mi porterà al Passo della Colla.
Ed è quasi al termine di questa salita, che via via si fa sempre più impegnativa, che arriva "la crisi"; la stavo aspettando, senza girarci troppo intorno, la verità è che ci iscriviamo a queste gare soprattutto per incontrare "la crisi".
Chi sostiene il contrario, mente!
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"Benvenuta crisi",  vediamo di trovare il modo di metterci d'accordo perché io non ho nessuna intenzione di fermarmi qui, che mi aspettano a Faenza.
Il resto del viaggio è tutto in salita, anche se il profilo altimetrico racconta un'altra storia. Dopo il cambio d'abito, riesco in qualche modo a correre fino a Marradi e di lì a poco sarò in Romagna. In qualche modo arrivo a San Cassiano: mancano circa 20 km… è fatta.
Impiegherò parecchio tempo prima di raggiungere il traguardo e passerò sotto l'arco dell'arrivo, felice e soddisfatto, alle 03:47:01 di domenica 26 Maggio.
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È stata una notte lunga e impegnativa, passata a correre sotto un inaspettato cielo stellato; è stata, come qualcuno mi ha suggerito, una stupenda "sera dei miracoli".
Non sono un eroe, e non credo lo sia nessuno di quelli che sono partiti da Firenze e in qualche modo, chi prima chi dopo, sono arrivati a Faenza.
Eravamo lì perché è lì che volevamo essere, perché ci piace questo sport essenziale dove ci sei tu, la strada e poche altre cose che non si raccontano, ma si corrono.
CORRI LIBERO!
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s-a-f-e-w-o-r-d--2 · 11 months
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Domenica... Un intera giornata di silenzio... Ore in cui i pensieri vagheranno incessanti... Dove i dubbi diventeranno pesanti e la solitudine immensa... Ricamerò nella mia testa mille scenari diversi... Scriverò mille discorsi... Consumerò fiumi di parole che ti dirò in mille modi immaginari... Tutta una grande illusione... Proprio come il nostro rapporto... Una grande farsa che io mi ostino di tenere in piedi tra le ombre della tua indifferenza... Tra la tua incapacità di essere quello che mi aspetto da te...
~ Virginia ~
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