Tumgik
#stavamo dormendo così bene
teredo-navalis · 1 year
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Parliamo del fatto che non posso dormire col mio ragazzo quando mi va perché qui c'è gente che si offende perché mi ha messo un tetto sopra la testa quindi manco di rispetto a non usarlo anche per un singolo giorno ogni tanto :)))))))))))))))
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ross-nekochan · 1 year
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Come al solito questo paese mi ruba il tempo, la vita, le parole e la voglia di scrivere. Forse perché non c'è niente da dire eppure come 5 anni fa da una parte avrei così tanto da dire da poter diventare un fiume in piena, ma, appunto, non ho il tempo di ordinare nessuno dei centomila pensieri e metterli per iscritto.
Oggi sono andata a lavorare, in sede. Con divisa fatta da giacca, camicia a maniche lunghe, pantaloni e tacchi da 5cm. Quindi sveglia alle 6:30 perché Tokyo è lontana e solo così puoi arrivare in orario (che non è alle 9, ma alle 8:45 perché essere in orario qui vuol dire essere in ritardo). Il lavoro consisteva in un training su come creare una rete LAN. In cosa è consistito? Hanno dato delle slide con dei comandi scritti e mezze istruzioni, ci hanno dato i PC, i router, gli switch e hanno detto: fate. Io uno switch so a malapena cos'è e qual è la sua funzione (solo perché mi sono messa a vedere qualche video prima di partire, sennò non saprei nemmeno quello). Fortuna che c'erano due ragazzini giapponesi volenterosi e insieme ci siamo messi e siamo riusciti a fare qualcosa, sennò fossi stata sola non avrei saputo nemmeno da dove cominciare. Gli altri due cinesi, entrati in azienda 2 anni fa, erano più ignoranti di me. Molto poco chiaro che cazzo si faccia in questa azienda e come funzioni il sistema.
Martedì si è concluso il "training" di 8 giorni che è consistito per l'80% in "filosofia aziendale", questionari giornalieri e settimanali su cosa si è imparato (spoiler: un cazzo), lavori di gruppo inutili, spiegazioni su come fare carriera aziendale (tramite un sistema di punteggi assurdo e complicato) e giusto qualche volta ci hanno parlato delle piattaforme che si utilizzano per "timbrare" o per richiedere i rimborsi ecc (uniche cose utili). Il resto dei giorni? Meeting alle 9 per check di: 1. Che non stai dormendo 2. Che sei vestito correttamente e che sei "sistemato" 3. Per sapere se fisicamente stai bene o sei malato. Il resto della giornata: rispondi alle email degli uffici, fai qualche meeting e studia per prendere le certificazioni - che non ti pagheremo noi e che non dovrai fare durante l'orario di lavoro. Perché mica le sto prendendo per lavorare, le prendo per sport personale giustamente. Va bene.
In tutto questo pagheranno il primo stipendio 25 Agosto e non avremo la possibilità di chiedere nessun permesso per 6 mesi. Fortunatamente ci hanno recentemente pagato il supporto per il trasloco perché sennò stavamo freschi.
Benedico un po' il cielo per aver conosciuto questo indiano che è mio collega e che vive nel mio stesso dormitorio. L'India a quante parte è il Sud Italia del Sud-est asiatico, per molti aspetti (non c'è niente di stupefacente in fondo). Malediciamo questo paese, questa azienda e noi stessi per essere venuti tutti i giorni. Qui è tutto così caro che non ci facciamo capaci di come la gente riesca a vivere. Si pensa sia il paese del pesce e del riso e invece il pesce è quasi inacquistabile da quanto costa (filetti di soli 200gr intorno a 4/5€), il riso che dovrebbe essere come la nostra pasta e invece 5kg costano 15€ (5€/kg). Non è un caso infatti che il tasso di povertà stia salendo alle stelle: gli stipendi sono gli stessi da 25 anni. Questi di che cazzo dovrebbero vivere?
Personalmente, non so mai che cazzo mangiare e vivo di tofu e pesce -che compro solo perché mi piace e perché sono anni che evito la carne nella mia quotidianità. Ma qui è quasi impossibile evitarla, dato che la carne rossa è persino nei contorni di verdure (che non so mai come cazzo cucinare e ogni volta che trovo una ricetta di verdure taaac carne di manzo dentro machecaaaazz - viva il paese del sushi come sempre insomma).
Soffro perché mi manca già la palestra e non è passato nemmeno un mese. Ma con la situazione economica di adesso non mi sembra il momento adatto per ricominciare. Oltretutto non ho ancora una routine e non ho ancora capito come cazzo funziona in questa azienda. Avere un quantitativo proteico adeguato è stato difficile perché le mie fonti proteiche preferite (ovvero yogurt greco e albumi) qui sono inesistenti o insostenibili economicamente nelle quantità che mi servono (tipo yogurt greco a 20€/kg). Mi manca fare le mie colazioni specie le mie omelette e i miei pancakes di albumi.
Ho pensato a quanto sia difficile andare a vivere in un altro paese. Sembra di diventare bambini viziati perché le cose minuscole, quotidiane, che davi per scontato, diventano voragini. E per me la voragine è legata soprattutto al cibo. Persino sui biscotti: noi abbiamo pacchi minimo da 350gr, oltre a una varietà da fare invidia a un biscottificio. Qui i biscotti oltre ad essere di pochissimi tipi (quasi solo cookies/biscotti al burro) hanno pacchi sono da massimo 150gr e finemente impacchettati singolarmente creando bustoni enormi ma leggeri come una nuvola perché sono 80% plastica. I loro dolci sono bombe a mano di carboidrati: mangi 2 daifuku o 2 dorayaki e hai mangiato la stessa quantità di carboidrati di un piatto di pasta da 100/120gr. Ti viene da pensare: se mi mangio la pasta almeno mi sazio, con ste cacatine piccoline mi faccio salire solo la fame. Per le verdure o piatti già pronti idem, vedi i valori nutrizionali e hanno una quantità di zucchero all'interno che manco una fetta di torta.
Banalità... eppure no. Ci vuole tanto spirito di adattamento, tanta pazienza e tanto coraggio ad andare via dal proprio paese. Andare al Nord è letteralmente NIENTE in confronto (sebbene la sofferenza ci sia sempre).
L'unica cosa che potrebbe migliorare di gran lunga la situazione è avere così tanti soldi da permettermi tutto quello che voglio. Ma a volte nemmeno quello basta.
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a volte sto bene
a volte sto male.
non so che mi prende,
ma so che in qualche modo ci sei tu di mezzo, anche e se continuo a negarlo,
davanti all’evidenza.
Sarà perché la sera mi abbraccia la solitudine, e non riesco a non pensare a quando stavamo in chiamata le ore,
adesso tu stai con un altro, che ti ha reso molto più felice di me, continuo a convincermi che forse è stata solo la distanza a distruggerci..
anche se sappiamo tutti e due che non è stata quella..
ti ho amata posso dirlo, veramente tanto, e non mi rendo conto di come sia finita così velocemente..
E se penso al perché ho soltanto un nodo alla gola, che se lo mando giù mi accoltella il cuore.
Il fatto che quando stai con lui non mi pensi, mi fa stare male, ed è come se non fossi stato così importante come dicevi, tutte le notti che aspettavo solo un tuo messaggio, le vorrei rivivere altre mille volte, e so che è stupido pensare al passato, ma non posso farne a meno.
Mi hai beccato nel periodo in cui ero più felice che mai, che avevo trovato la pace con me stesso, il periodo in cui stavo provando ad aprirmi con le persone, a fidarmi delle persone, a completarmi, stavo bene da solo, mai stato meglio, poi sei arrivata tu, nonostante io ho voluto mettere subito le mani avanti, tu non mi hai capito, e mi hai distrutto.
Pezzo per pezzo mi avvicinavo sempre più a te, mi svegliavo e pensavo “oh cazzo che bello, un’altra giornata insieme a te”
Non puoi capire quanto ti ho amata, quanto cazzo sei stata importante per me.
La settimana che smettemmo di scrivere, misi la felpa nell’armadio, sperando si levasse l’odore, ieri la presi e sapeva ancora di te, inutile dire che.. vabbè..
il primo giorno con la speranza che tornassi, ti chiamai, non era solo per sapere come stavi.
Forse tutto questo è anche un po’ colpa mia, ma neanche tanta, perché alla fine, volevo solo che tu fossi felice e se non ti avessi detto certe cose, forse stavi ancora a parlare con me e quel ragazzo non ti starebbe neanche interessato..
Ma sai, ero diventato anche un po’ il tuo migliore amico e avevo capito che ti piaceva, anche più di me.
buonanotte, spero tu stia dormendo bene.
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i-am-a-polpetta · 4 years
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Cara mamma,
adesso stai dormendo sul divano perché anche se abbiamo detto "stasera film" lo so che tu sei troppo stanca per arrivare alla fine, anche se comunque quando dici "e stasera ci arrivo in fondo" ci credi sempre tantissimo e vorrei avere la stessa speranza e la stessa aura positiva con cui pronunci queste parole. Oggi è stata una giornata vissuta di corsa tra mal di testa, sorprese che non ti aspettavi e torte farcite all'ultimo minuto con cose a caso trovate in casa che l'hanno resa brutta sì ma comunque buona e piena di amore. Eppure non cambierei nulla di questa giornata, nemmeno il mal di testa, nemmeno le mascherine, nemmeno il film visto a metà. È stato un anno un po' devastante e mentre stavamo giocando a nascondino tra gli alberi di Natale ti ho detto "guarda, questo è nero, come la mia anima" e tu mi hai risposto con "non dire cazzate! La tua anima non è nera. Le persone cattive hanno l'anima nera e tu non sei una persona cattiva...". Non lo so mamma. Probabilmente allora sono una persona buona che fa cose cattive o forse sono una persona cattiva che sta provando a redimersi, a ritrovare la sua strada tra ricadute e salti nel vuoto, che sta cercando in tutti modi di seguire queste lucine che si illuminano a tempo sperando che quel ritmo possa far ripartire il mio cuore lacerato. Probabilmente avevo davvero bisogno di questo oggi: probabilmente avevo bisogno di ridere come una scema mentre tu fai le foto buffe con babbo natale. Sai mamma, mi hanno detto che molto probabilmente perderò la vista da un occhio e diventerò sorda ma questo non te l'ho detto dopo la visita. Ho pensato che fosse già sufficiente il resto. Quindi sai cosa? Sono contenta. Nonostante tutto. Nonostante questo ultimo mese in cui non sapevo nemmeno di essere viva, in cui ho schifato la mia vita e ho vomitato il dolore in bagno ogni sera. Sono contenta di averti visto felice mentre ti trovavi in questo mondo pieno di palline colorate e di luci dai mille colori che ti appartiene più di ogni altra cosa. Lo so che sono stata un peso incredibile in questo ultimo anno e so che starmi vicino è veramente difficile eppure anche quando ti allontano per essere portata via dalla corrente, tu mi vieni sempre a riprendere. E probabilmente è troppo e a volte meriterei di essere lasciata in balìa delle onde che mi tirano sempre più verso il fondo, eppure tu torni sempre. Eppure tu mi riporti sempre a casa. Vorrei essere capace di fare così anche io. Essere capace di tornare e bussare alla porta delle persone a cui voglio bene con una torta in mano e delle lucine nell'altra e poter dire "Ho lasciato che tutto mi uccidesse ma io senza di te non sono capace di starci perché si fa veramente fatica quando non ci sei e anche se perderò la vista da un occhio e vedrò il mondo a metà, sei ci sei tu, è come se fosse sempre intero".
Ci provo mamma.
Sono sempre stata una persona che ci prova ma ci riesce tipo una volta su dieci ma comunque ci continuo a provare e come dici sempre tu "non importa se cadi ricordati sempre che è la vita che ti sta dando una nuova prospettiva per vedere il mondo".
E hai ragione mamma.
Ho visto il mondo da sdraiata sul pavimento per cinquanta giorni di fila e ho capito finalmente cosa volessi dire.
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Adesso esprimi un desiderio e mentre soffi la candela pensa a quando eri piccola e facevi la stessa strada che abbiamo fatto oggi. Pensa alle lucine che vedevi dal finestrino, erano le stesse che ho visto io stasera.
Una sintonia temporale che viaggia attraverso gli anni.
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Adesso ti lascio riposare e sorrido pensando a quante volte mi hai salvato la vita nell'esatto momento in cui io la condannavo. E sorrido perché sinceramente io non so cosa farei se non ti avessi con me.
Buon compleanno mamma, per tutto l'amore che mi dai ripetendomi sempre che "per amore si fa questo ed altro". Forse ho finalmente imparato cos'è questo "altro" ♥️
Kla
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gloriabourne · 4 years
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The one with a million things to tell you
È notte fonda quando Ermal sente il cellulare vibrare sul comodino.
Chiara, accanto a lui, sta dormendo. Ermal, invece, non riesce a chiudere occhio.
La serata è stata elettrizzante, di certo non si aspettava di essere primo in classifica. Quindi, anche se ormai i festeggiamenti si sono conclusi da un po' e lui è tornato in camera da più di un'ora, non riesce a dormire. È colpa di tutte quelle emozioni, lo sa.
Essere di nuovo sul palco dell'Ariston, anche se senza pubblico, è un'emozione enorme. E poi la canzone...
Lo sa che la maggior parte delle emozioni di quella sera sono dovute a quella canzone.
Allunga la mano verso il comodino e sblocca lo schermo, strizzando leggermente gli occhi per la luce improvvisa.
Il messaggio che ha ricevuto è di Fabrizio, ma questo Ermal già lo sapeva. A nessun altro dei suoi amici o conoscenti verrebbe in mente di mandargli un messaggio alle 4 del mattino.
Apre la conversazione di WhatsApp e legge le poche righe sullo schermo, in cui Fabrizio si congratula per il primo posto nella classifica provvisoria. Dice di essere orgoglioso di lui ed Ermal non può fare a meno di sorridere.
Si volta leggermente e osserva Chiara. Sta dormendo profondamente, quindi cercando di non svegliarla si alza, si infila una felpa sopra alla maglia del pigiama, ed esce sul piccolo balcone della sua camera.
Socchiude la porta alle sue spalle, cercando di non svegliare la sua ragazza, e afferra sigarette e accendino dalla tasca della felpa.
Ne accende una aspirando con calma, riempiendosi i polmoni di nicotina. Sta fumando di meno rispetto al solito, ma deve ammettere che gli piace concedersi una sigaretta ogni tanto.
Quando ormai l'ha fumata quasi fino al filtro, prende il cellulare e cerca il numero di Fabrizio in rubrica. Poi fa partire la chiamata, consapevole di trovarlo sveglio.
"Non dirmi che ti ho svegliato" dice Fabrizio preoccupato, rispondendo dopo il secondo squillo e senza nemmeno preoccuparsi di salutare il collega.
Ermal sorride gettando il mozzicone nel posacenere. "No, figurati. Non penso dormirò questa notte."
"Male. Poi vedi che occhiaie ti ritrovi domani!"
"E quando mai sono senza occhiaie?"
Fabrizio dall'altra parte del telefono ride, ed Ermal chiude gli occhi beandosi di quella risata che gli manca così tanto sentire dal vivo.
"Davvero, Ermal, perché non dormi?" chiede Fabrizio serio, qualche attimo dopo.
"Non lo so, Bizio. Credo di essere un po' troppo su di giri per come è andata. Non mi aspettavo tutto questo successo."
"Io invece me lo aspettavo."
"Davvero?" chiede Ermal sorpreso.
"Certo. Non avevo dubbi che la tua canzone sarebbe stata un capolavoro."
Ed Ermal, non sa nemmeno spiegarsi perché, crede più alle parole di Fabrizio che a chiunque altro prima di quel momento gli abbia detto che la sua canzone era effettivamente bella.
È come se le cose dette da Fabrizio fosse più vere.
"Ricordi quella sera a Lisbona? Prima della finale, quando stavamo sul divano del camerino ed eravamo agitati per come sarebbe andata?" dice Ermal a un certo punto.
"Tu eri agitato, parla per te" scherza Fabrizio.  
"Non solo io. Ricordi cosa mi hai detto?"
"Ho detto un sacco di cose quella sera."
"Hai detto che avevi paura di fare la fine della cantate di Israele e cadere dalle scale mentre scendevamo dal palco."
Fabrizio sembra ricordarsi improvvisamente di quel momento e si mette a ridere, mentre dice: "E tu mi hai detto che allora avresti fatto finta di cadere anche tu per solidarietà."
"E se non riesci ad alzarti starò con te per terra" mormora Ermal.
Fabrizio rimane in silenzio.
Ha ascoltato solo una volta la canzone del suo compare, eppure sa benissimo che Ermal ha appena citato il suo stesso testo.
Ermal, non sentendolo replicare, capisce immediatamente cosa sta pensando Fabrizio, a che conclusione sta arrivando. E sa che è la conclusione giusta.
Ma lui sta con Chiara, lui è innamorato di Chiara, e tutto ciò che poteva esserci e che c'è stato con Fabrizio non è che un ricordo racchiuso in una canzone. E sarebbe troppo doloroso ammetterlo ad alta voce.
Quindi si limita a dire: "Quella sera, quando eravamo seduti uno accanto all'altro, avrei voluto dirti un sacco di cose."
"Ma non hai detto niente" conclude Fabrizio, citando anche lui in parte la canzone del collega.
"Mi sembrava che le parole fossero superflue tra noi."
"Infatti" concorda il romano.
Non avevano mai avuto bisogno di parole. Riuscivano a leggersi a vicenda senza alcun problema ed entrambi sapevano che c'era stato un periodo in cui le cose tra loro erano cambiate. C'era stato un periodo in cui definirsi amici sarebbe stato troppo poco.
Lo avevano capito entrambi, senza bisogno di parole. Ma nessuno dei due aveva mai fatto un passo verso l'altro.
Forse, a pensarci bene, se avessero impiegato meno tempo a guardarsi e un po' di più a parlare, se avessero usato quelle parole di cui credevano di non aver bisogno, le cose sarebbero andate diversamente. Forse avrebbero avuto il coraggio di dire ciò che provavano invece di aspettare inutilmente che fosse l'altro a esporsi.
"Ti penti di come sono andate le cose?" chiede Ermal a bassa voce, timoroso di sapere la risposta.
"A volte. Tu?"
"A volte."
"Pensa un po', avremmo potuto essere i nuovi Albano e Romina. Pensa che figurone a Sanremo" ironizza Fabrizio.
Ermal non riesce a evitare di scoppiare a ridere, coinvolgendo anche Fabrizio.
Ridono per un po', fin troppo divertiti da quella che non era poi chissà che battuta. Per un attimo ad entrambi sembra di essere tornati indietro di tre anni, ai tempi del festival che hanno fatto insieme, ai tempi dell'Eurovision.
Poi però le risate si spengono ed entrambi tornano con i piedi per terra. Non sono più le stesse persone di tre anni prima, anche se vorrebbero.
"La canzone però l'hai dedicata a una donna" dice Fabrizio dopo qualche attimo, ed Ermal non capisce se sia una semplice constatazione o se sia risentito dalla cosa.
"Sarebbe stato un po' troppo palese farla al maschile, no?" replica con ovvietà.
"Sui social mettono gli asterischi quando non vogliono specificare il genere" dice Fabrizio, ricordandosi qualche post letto negli ultimi mesi.
"E come la canto una canzone con gli asterischi, Bizio?"
Scoppiano a ridere di nuovo, questa volta un po' più forte, e a quel punto Ermal la sente davvero la mancanza di Fabrizio.
È come avere fame, come sentire lo stomaco che si stringe e il nodo alla gola. E improvvisamente le lacrime che si sono formate agli angoli degli occhi a forza di ridere, gli scendono lungo le guance e si accorge che non sono più lacrime dovute alle risate.
Sono lacrime di tristezza. Perché Fabrizio gli manca più di quanto è disposto ad ammettere, e sa che la cosa è reciproca.
Ma sa anche che il loro treno ormai è passato. Sono cambiate tante cose, troppe.
E ci sono certe occasioni che capitano una sola volta nella vita. Se si perde quel treno è finita, non passa più.
Per loro è stato così e alla fine i loro sentimenti - o almeno quelli di Ermal - sono finiti dentro a una canzone.
"Grazie, Ermal" dice Fabrizio dopo aver smesso di ridere.
"Per cosa?"
"Per avermi pensato."
Ad un ascoltatore poco attento potrebbe suonare come un semplice ringraziamento per averlo pensato in quel momento, per averlo pensato al punto da chiamarlo.
In realtà, è molto di più.
È per averlo pensato mentre scriveva la canzone, per averlo pensato mentre decideva di portare quel brano al festival, per averlo pensato mentre cantava. È dietro a tutto quello c'è un grazie per averlo amato, anche se in silenzio.
"Grazie a te per avermi ispirato" risponde Ermal. E tra le righe anche Ermal ringrazia Fabrizio per averlo amato, forse come nessuno aveva mai fatto e come nessuno sarà mai in grado di fare.
Fabrizio chiude la chiamata senza salutare, senza dire altro. E va bene così.
In fondo, tra loro ci sono sempre state milioni di cose da dire, ma nessuno dei due ha mai detto niente.
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olstansoul · 4 years
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Sacrifice, Chapter 33
Pairing: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
Le braccia di Natasha la circondarono subito, si sentiva veramente bene con lei. Era davvero la migliore amica che non aveva mai avuto ma che il destino le aveva riservato. Non aveva mai avuto un'amica del genere e si sentiva felice.
"Che bello rivederti!"disse lei.
"Ci siamo viste quattro giorni fa!"disse Wanda con un sorriso e tenendo le mani sulle spalle di Natasha.
"Si lo so, lo so. Ora potremmo passare molto più tempo insieme!"
"Certo, ma per ora ci conviene andare nella classe del signor Barton"
"Rovini sempre tutto"disse Natasha e Wanda rise.
A braccetto, insieme alla sua nuova migliore amica, Wanda si diresse nella classe del signor Barton che appena la vide sorrise, lei gli rivolse solo un sorriso leggero che a Natasha non sfuggì.
"Conosci il signor Barton?"chiese lei sottovoce.
"Certo che lo conosco...tecnicamente è mio padre"disse Wanda.
"Cosa?"chiese Natasha alzando la voce facendo in modo che l'attenzione di tutti quanti si focalizzasse su di loro.
Wanda le rivolse uno sguardo assassino mentre Natasha le rispondeva con un sorriso di scuse.
"Qualcosa non va signorina Romanoff?"chiese il signor Barton.
"Non, è tutto a posto Cli...Signor Barton"disse Wanda per far in modo che l'attenzione su loro due sparisse completamente.
"Bene, allora possiamo continuare..."
Le due ore seguenti trascorsero molto lentamente mentre il signor Barton continuava a spiegare le vicende contrapposte del romanzo del grande Robert Louis Stevenson, Dr.Jekyll e Mr.Hyde e Wanda ad ogni parola si incuriosiva sempre di più. Fin quando poi, presa da altri pensieri, la sua mente ripercorreva le parole di sua madre che le aveva detto due sere prima. E pensando ad ogni singola parola, ad ogni singolo gesto Wanda sorrise, chissà se James aveva letto il messaggio con lo stesso entusiasmo con cui lei gliel'aveva mandato. Stava quasi per prendere il cellulare, per vedere se le aveva risposto ma la campanella suonò e dovette uscire fuori per l'intervallo insieme a Natasha, ma prima ancora si avviarono alle macchinette dove si erano conosciute.
"Quindi...è il compagno di tua madre e di conseguenza anche il tuo prof di inglese?"chiese Natasha.
"Si, praticamente viviamo nella stessa casa ma non ho mai avuto modo di parlarci meglio"
"Dovresti provarci"le suggerì Natasha.
"Si...credo che lo farò. A te invece? Come è andata con Steve non mi hai fatto sapere nulla"
"Mi ha portato in un museo, abbiamo visto molti quadri, alcune mostre erano anche interattive. Poi in un ristorante, su una terrazza e quando ha capito che avevo freddo stava per chiedere al cameriere di farci cambiare tavolo ma io non ho voluto, la vista di Manhattan da lassù era bellissima così lui si è offerto di darmi la sua giacca. È stato davvero carino!"
"Oh, che galantuomo!"
"Già, ha detto che ci vedremo di nuovo domani sera..."
"Sono davvero felice per te, lo meriti davvero"
"Con James come è finita?"
"Oh...beh"disse Wanda facendo un respiro profondo.
"Non ci hai parlato? Guarda che stamattina l'ho intravisto..."
"No, Natasha non è questo...è venuto a trovarmi mentre ero in clinica e..."
"E? L'hai visto? Vi siete parlati?"
"Non proprio...quando lui era arrivato, l'orario delle visite era finito. Si era intrufolato senza farsi vedere ed è arrivato fino in camera mia e seppur stessi dormendo lui mi ha detto delle cose"
"Quali cose?"
"Che gli piaccio, che vuole stare con me e che non gli importa di quanto questa cosa fra noi potrebbe durare. Dal primo momento che mi ha vista non sono uscita dalla sua testa, che vuole veramente questo con me nonostante io lo possa allontanare per ciò che ho..."
"E tu? Che cosa vuoi? Che cosa hai fatto?"
"Appena mia madre mi ha detto ciò che ha visto e sentito sono scoppiata in un mare di lacrime, credevo che oltre te non era venuto nessuno a cercarmi ma lui è stata l'ultima ancora di salvezza, la mia speranza e dopo questo non posso fare a meno di non essere ancor di più innamorata di lui..."
"Oh...vieni qui!"disse Natasha allungando le braccia e avvicinando Wanda a sé per poterla abbracciare.
"È una cosa bella?"chiese lei appena si staccò.
"Certo che lo è! Senti...non ho mai visto James così preso da un ragazza, certo se parliamo fisicamente lui è preso da chiunque ma tu gli hai rubato il cuore, tu puoi dargli quello che lui ha sempre voluto ma mai cercato, l'amore"
"È tutto cosi nuovo per me..."
"È normale, sta tranquilla! Ora l'ostacolo più grande l'hai superato e sai perfettamente, meglio di me, che lui ci sarà sempre."
"Okay hai ragione...devo solo essere normale e tranquilla"
"Si, normale e tranquilla..."disse Natasha rimarcando le sue stesse parole.
"Ma come faccio? Non riesco a togliermelo dalla testa!"disse Wanda pochi secondi dopo presa dalla disperazione mettendosi le mani sul viso, Natasha a quel gesto sorrise e subito dopo ritornarono nelle loro rispettive classi.
Durante l'ora successiva, Wanda cercava di restare concentrata ma non era praticamente possibile considerando che la maggior parte del tempo la sua testa ricordava quello che era successo poche sere prima e ciò che Natasha le aveva detto durante l'intervallo. Scrisse il nome di James a matita su quel libro a caratteri cubitali, in corsivo e in maiuscolo. Okay...era ufficialmente cotta e anche se questa cosa avrebbe dovuto spaventarla, in realtà la rendeva molto felice l'idea di poter avere qualcuno di cui si era innamorata.
E sapendo che anche lui era innamorato di lei la faceva sorridere ancora di più, era come se il solo pensiero di James portasse felicità nella sua vita, quella che non sentiva da tanto tempo. Non si accorse che la campanella suonò e uscì con un lieve ritardo dalla classe dove era, prese tutto ciò che le era servito e quando stava camminando continuava a mettere a posto la sua roba nella borsa non accorgendosi che era andata a sbattere contro qualcuno facendo cadere il suo libro.
"Scusami non ti ho visto..."disse lei alla persona che si abbassò per prenderle il libro da terra.
Non riconobbe chi era fino a quando sentì quella voce.
"Oh, tranquilla dolcezza, per te farei qualsiasi cosa. Guarda sono già caduto a tuoi piedi"
Wanda lo guardò tutto il tempo, fin quando non le restituì il libro e la guardò negli occhi. Occhi scuri e profondi, non erano come quelli dove ci si poteva rispecchiare o vedere il mare, erano neri come la pece.
"Brock..."disse lei stringendo il libro recuperato di più al suo petto e facendo solo un passo indietro.
"Wanda, ho visto che in questi giorni non eri in giro. Non volevi farti vedere dopo quello che hai combinato alla festa?"
"Oh beh se parli di quello che è successo alla festa...è stato solo un improvvisata"
"Lascia che ti dica che è stata molto bella..."
"Oh grazie"disse lei sussurrando.
"Ma a me farebbe piacere vedere di più...insomma quella è stata davvero una performance da urlo, degna della New York Ballet Academy però..."disse lui avvicinandosi un po' troppo in modo che lei facesse un passo indietro.
"...preferirei che tu muovessi i tuoi fianchi in maniera diversa, con me"
Wanda rimase senza fiato. Mai nessuno gli aveva detto una cosa del genere, non così vicino, non con chissà quali intenzioni. Anche se si capiva da un miglio di distanza quali fossero le reali intenzioni di Rumlow con qualsiasi ragazza ma con una in particolare c'era un motivo in più.
"Io credo che...credo che debba andare a lezione"disse lei spostandosi di poco e sentendo già che per troppo tempo in piedi non sarebbe dovuta stare.
"Oh, andiamo a qualsiasi lezione hai fatto sempre ritardo ora che stai con me non puoi?"chiese lui con un tono un po' più leggero ma che nascondeva del crudele.
"Beh, Stark lo noterebbe..."disse lei facendosi ancora indietro.
"Beh, allora facciamo notare a Stark che stavamo insieme"disse lui iniziando a sfiorarla leggermente da sopra il maglioncino color senape.
In quel momento Wanda chiuse gli occhi, sperando che da un momento all'altro questa situazione potesse finire. Sapeva benissimo chi era Rumlow e le cose che aveva fatto, certamente non avrebbe voluto spendere un minuto in più con lui.
"Rumlow...sta lontano da lei"
Quella voce non la sentiva da giorni, settimane forse ed era arrivata proprio quando lei meno se lo aspettava. Pronta a salvarla per la seconda volta. O era la terza? Forse la quarta?
"Barnes, è sempre un piacere vederti"
Solo in quel momento Brock decise di fare un passo indietro e dare uno sguardo a James che lo guardava senza pietà.
"Beh, per me non lo è..."disse lui facendo un passo in avanti.
Wanda era fra loro due, quello che poteva percepire era solamente lo sguardo di James che premeva sulle sue spalle. Sentiva la sue iridi blu percorrere tutto il suo corpo, dalla testa ai piedi con apprensione e preoccupazione.
"Troppo preoccupato per la tua donzella in pericolo?"
"Si dà il caso che lei non è la mia donzella, poi da quando in qua riesci a parlare in questo modo? Hai messo la lingua nel vocabolario?"chiese James.
"Continua a ridere, tu non sai cosa ti aspetta..."
"Tu continua a portarti a letto la mia ex, mi hai fatto solo un piacere...resta lontano da lei. Non te lo ripeto un'altra volta"
"Sennò cosa fai eh? Mi spedisci in presidenza? Mi riempi di pugni? Andiamo sappiamo tutti quanti quanto fai pena"
"Almeno non giro con un cartello dietro le spalle, non vengo ricordato come quello che mette incinte le minorenni"
"Prima o poi arriverà anche il mio momento di gloria e sarà in quel momento che tu diventerai solo cenere"
"Credo che ci vorrà ancora un po' di tempo..."
"Aspetta e vedrai che io ti porterò via tutto. Il tuo posto nella squadra, la borsa di studio, la carriera nell'azienda dei Carter e anche la verginità dalla tua cara Wanda..."
Al nome Wanda, James non ci vide più e con un solo spintone lo scaraventò a terra. E senza essere fermato da nessuno, neanche da Wanda, riempi di pugni il viso di Rumlow. Aveva appena concluso quello che aveva iniziato durante la festa di Sharon, prima che Wanda svenisse. Solo dopo il signor Stark e il signor Lang li separarono. Rumlow fu subito portato in presidenza mentre James era in infermeria accompagnato da Wanda. Se da un lato lui era pienamente soddisfatto del risultato ottenuto visto che oltre al sangue dal naso, gli usciva anche dalla bocca, un leggero livido iniziava a formarsi sulla guancia di James.
"Sta fermo...brucerà un pochino"disse lei.
"Cazzo..."disse lui sottovoce e Wanda sorrise all'imprecazione.
Tamponando leggermente e senza fare troppa pressione Wanda passava l'ovatta imbevuta di acqua ossigenata sullo zigomo di James. Fin quando poi, una volta finito, si accorse che era troppo vicino a lui. Tanto da sentire il suo profumo e tanto così da permettere a James di poterle sfiorare i fianchi con le mani.
"Grazie...anche se saresti dovuta andare nella classe di Stark"disee lui alcuni secondi di silenzio dopo.
"Oh, beh...volevo solo darti una mano"
"Rinnovo il mio grazie"disse lui con un sorriso senza mostrare i denti.
Lui iniziò a mettere a posto la sua roba e anche Wanda, che prima ancora di prendere la sua borsa, gettò il batuffolo di ovatta nel cestino e solo in quel momento si rese conto che aveva una cosa in sospeso. E quella cosa aveva a che fare proprio con il ragazzo dietro di lei, James.
"Anche io devo dirti grazie..."
Appena lei parlò, lui la guardò con una strana espressione sul viso come per chiederle di che cosa stava parlando.
"Per cosa?"
"Per...per essermi venuta a trovare, non credevo che fossi venuto veramente...ci avevo perso le speranze"
"Io...io mi sentivo in dovere di farlo, non riuscivo a stare senza vederti"disse lui sinceramente.
"Beh, ora va tutto bene, no?"chiese lei spezzando il silenzio che si era creato subito dopo quello che aveva detto James.
"Si...va tutto bene"
"Bene...ehm..."
"Qualcosa non va?"chiese lui scendendo dal lettino.
"No, no va...va tutto bene...mi chiedevo solo..."
"Solo?"
"Ecco...quando ci vediamo di nuovo? Per le ripetizioni intendo...eravamo rimasti così l'ultima volta"
"Oh giusto! Potremmo vederci domani...dopo la scuola. Sempre se non hai impegni, tipo visite o..."
"No, no...domani va benissimo"
"Perfetto, allora a domani?"chiese lui speranzoso.
"Si..."gli rispose lei dandogli fiducia.
Uscirono dall'infermeria senza guardarsi, con un leggero imbarazzo ma poi si salutarono con un semplice saluto mentre si allontanavano uno nella propria classe e lei nell'altra. Sperando entrambi che quel saluto sarebbe diventato molto di più.
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Chiedo scusa ma dovevo tornare al mio format principale, dopo tornerò con Riccardino
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Capitolo 55 - Il vino, i puzzle e i suonatori di cucchiai (Seconda Parte)
Nel capitolo precedente: Meg e Angie fanno spese per la serata romantica di quest’ultima con Eddie, tra vino, cibo e abbigliamento sexy. Le due discutono anche di uno schizzo di Meg per un tatuaggio basato sulla grafica di un puzzle. Eddie arriva a casa di Angie e la trova intenta a cercare di aprire una bottiglia di vino sbattendola fuori dalla finestra con l’aiuto di uno stivale perché non ha il cavatappi. La serata scorre tranquilla tra riscaldamento impazzito, turbamenti dovuti alla seminudità di Angie e delle sue gambe, risate, momenti imbarazzanti, ma anche di intimità tra i due. Angie pensa che la serata tanto progettata si sia trasformata in un disastro, Eddie non riesce a interpretare i segnali ambigui di lei, che un po’ lo provoca e un po’ gli sfugge. Lui propone di nuovo di raccontare a qualcuno, magari a Meg, della loro storia.
***
“Torna presto però, ok?”
“Sì, certo” come se facesse qualche differenza. Un'ultima occhiata a Eddie, alle sue palpebre socchiuse e ai suoi capelli sparpagliati sul cuscino e mi alzo dal letto per andare in bagno. Mi ritrovo faccia a faccia con una me sbuffante allo specchio, apro l'armadietto a sinistra e prendo dischetti e latte detergente. Mentre mi strucco e vedo il cotone diventare sempre più sporco penso all'inutilità di tutta la preparazione iniziale. A cosa è servito farmi carina... beh, provarci, se poi non ho cavato un ragno dal buco? Pensavo che questa potesse essere la volta buona, invece, arrivati a letto, dopo un po' che ci stavamo baciando, Eddie mi ha gentilmente fatto notare che ero ancora truccata e che gli sembrava strano che io non mi struccassi prima di andare a dormire, visto che sono sempre 'così precisa'. Precisa un cazzo. Oggi non ne ho combinata una giusta: il vino giù dalla finestra, la musica d'atmosfera levata quasi subito, le candele e i fiori non cagati nemmeno per sbaglio, neanche mezzo commento sulla maglietta... e adesso? Mi dice pure di levarmi il trucco. Complimenti Angie, hai proprio fatto colpo! Butto i dischetti sporchi nel cestino e già che ci sono decido di lavarmi i denti. Mi guardo allo specchio mentre cerco di sincronizzare il movimento dello spazzolino a quello della mia testa che sto scuotendo sconsolata. Pensavi davvero che con una bottiglia di vino in più Eddie avrebbe fatto sesso con te? Sei proprio convinta che un album diverso l'avrebbe spinto a saltarti addosso appena entrato? O che la sottovestina di pizzo da puttanella suggerita da Meg l'avrebbe eccitato di più? Non capisci che il problema non sta in queste cose, né nella varietà di fiori né nel colore del rossetto? Puoi anche mettere il rossetto a un maiale... ma resta sempre un cazzo di maiale. E' chiaro che non gli piaccio, Eddie può dire ciò che vuole a parole, ma le sue azioni mandano un messaggio completamente diverso. Sciacquo la bocca, mi asciugo con la salvietta, rimetto lo spazzolino nel bicchiere blu e, notando il barattolo di crema lì accanto, è come se mi apparisse, non il fantasma del padre di Amleto, ma Meg con le mani sui fianchi che mi dice Le creme antirughe sono una puttanata per fare soldi. L'unico modo per ritardare la comparsa delle rughe è idratare la pelle e tenere la faccia lontana dal sole. Mi idrato per bene con questo prodotto dal profumo dolciastro, prendendomi anche un pochino a sberle con la scusa di farlo assorbire bene, spengo la luce e torno in camera. Eddie è girato dall'altra parte e probabilmente starà già dormendo. E meno male che soffriva d'insonnia. Da quando ci frequentiamo non l'ho mai visto metterci più di dieci minuti per addormentarsi: o è un cazzaro o l'ho guarito. Mi metto a letto e tiro su solo il lenzuolo perché fa ancora caldo. E' a questo punto che Eddie si muove e si gira verso di me, dandomi un bacio sulla guancia e appoggiando la testa sulla mia spalla. Allunga anche una mano sulla mia pancia, io la intercetto prontamente e me la porto sul fianco. Evidentemente ci ho messo meno di dieci minuti.
“Che buono...” Eddie continua a baciarmi, praticamente a mangiucchiarmi la guancia.
“Ti... ti piace?”
“Adoro questo profumo. E poi sei... tutta... cremosa...” io cerco di rimanere impassibile perché, insomma, non è che puoi prenderti solo i pezzi che più ti garbano: o ti piaccio tutta o non se ne fa niente, prendere o lasciare. Ma gli argomenti di Eddie sono sempre molto convincenti e finisco per rotolarmi nel letto N volte assieme a lui, un po' dalla mia parte e un po' dalla sua, e sono ancora di più in balia di Eddie qui, nella quasi totale oscurità della mia stanza, non potendo prevedere le sue mosse, che di volta in volta mi colgono di sorpresa. Perché mi sembra sempre che abbia, non so, dieci mani? Perché mi tocca così? Dovrebbe essere illegale. E' troppo bello per non essere illegale.
Rotoliamo ancora, Eddie finisce sopra di me, la foga è tanta e la stoffa che ci copre è poca e... e Meg è proprio una cretina e finirò per picchiarla un giorno perché per colpa dei suoi discorsi del cazzo (no, giuro che non era voluta...) di stamattina, sono costretta a mordermi le labbra a sangue per non scoppiargli a ridere nell'orecchio. Posso quasi vederla, qui ai piedi del letto, braccia conserte e faccia da culo, mentre mi chiede Cos'è, sta morendo anche adesso?
“Angie?” la voce di Eddie, profonda e affannata mi distoglie dai miei pensieri sciocchi.
“Sì?”
“Dove sei?” mi chiede senza smettere di muoversi sopra di me, ma solo rallentando, il che rende il tutto se possibile ancora più intenso.
“In... in che senso? Sono qui”
“Fisicamente sei qui, ma con la testa sei da un'altra parte” ok, come cazzo fa? Come fa a saperlo? Ci vede al buio come i gatti e mi ha vista fare qualche faccia delle mie? Mi legge nel pensiero? A giudicare dai miei pensieri, spero proprio di no.
“E' colpa tua... mi fai... mi fai perdere l'orientamento”
“Addirittura?”
Sta morendo proprio male, eh?
Zitta tu!
“Beh sì” rispondo e anche i miei occhi si stanno abituando al buio perché vedo benissimo sia l'azzurro degli occhi di Eddie sia la scintilla che li illumina brevemente e che contemporaneamente trasmette una specie di ghigno alle sue labbra irresistibili. Le sfioro con le dita, che lui bacia ad una ad una, prima di attaccarsi di nuovo alla mia bocca e io non riesco più a ragionare, non riesco più a pensare a niente che non sia il suo respiro, la sua pelle, i suoi capelli che mi solleticano il collo, i suoi denti, le sue mani che, Dio...
“Dormiamo?”
“Eh?” che ha detto? Un momento, quand'è che ha rallentato con i baci?
“Ho detto, dormiamo?” ripete e stavolta lo sento,  e sento che mi accarezza i capelli, mentre vedo solo puntini luminosi nel buio.
“Ok” rispondo.
Sei proprio una cogliona. Ci caschi OGNI. CAZZO. DI. VOLTA. Ma questa cosa deve finire: o siete amici o state assieme. O fate sesso o non fate sesso. Anzi, o fate sesso o non fate NIENTE.
Ce ne ha messo di tempo a morire, eh?
Vaffanculo, proiezione mentale di Meg!
“Domani devi alzarti presto? Te lo chiedo così mi preparo psicologicamente alla tua sveglia killer” scherza e io avrei voglia di fargli saltare qualcuno dei suoi bellissimi denti con un pugno.
“No, domani no, la sveglia killer suona alle otto e mezza”
“Eheh caspita, mi va di lusso allora” ride e rotola via da me, stendendosi dall'altra parte del letto.
“Già. Beh, allora... buona notte”
“Buona notte, Angie” lo sento scivolare sotto il lenzuolo verso di me, appoggia la fronte sulla mia tempia e fa un respiro profondo. Io chiudo gli occhi praticamente strizzandoli e spero che il sonno mi colga presto “Angie?” ma Eddie vanifica i miei progetti chiamandomi ancora.
“Sì?”
“E il bacio della buona notte?”
“Non ce lo siamo già dato prima?”
“Non mi pare, quando?”
“Prima... più di uno” rispondo e resto immobile con gli occhi serrati.
“Ma quelli erano baci di altra natura, non erano della buona notte”
“Ah no?”
“No”
“Esiste un tipo di bacio specifico per la buona notte?”
“Certo. E gli hanno dato anche un nome, sai? Alcuni lo chiamano... bacio della buona notte”
“Originale”
“Posso averlo?”
“Cosa?”
“Il bacio della buona notte”
“Ok”
“Ok?”
“Va bene. Vada per il bacio della buona notte” meno male che avevo detto basta un minuto fa.
“Sì?” Eddie respira piano sulla mia guancia, di tanto in tanto sembra quasi trattenere il fiato.
“Sì, me lo puoi dare” faccio Risolutezza di secondo nome.
“Ah. Posso” risponde con un tono di voce un po' strano, un secondo dopo le sue labbra sono sulle mie per un bacio a stampo, dopodiché si rigira dall'altra parte “Notte”
“Notte Eddie” tutto qui? Beh, meglio così, no?
**  
Sono sola. Ok, c'è Eddie qui a letto con me, ma è come se fossi da sola. Continuo a girarmi e rigirarmi sotto il lenzuolo senza riuscire a prendere sonno; adesso mi sono fermata in posizione supina, in silenzio e totalmente immobile da almeno cinque minuti, intenta a fissare il soffitto in cerca di qualcosa di interessante. Se fossi a casa dei miei in Idaho a quest'ora almeno avrei Frou Frou con cui parlare, la mia macchia di umidità/cavallino/amico immaginario preferito. Osservo le crepe sull'intonaco cercando di attribuirgli una forma conosciuta, la forma di una persona, di un animale, di un essere a cui possa sembrare lecito fare una domanda da adulti. Non che le cose di cui parlavo con Frou fossero solo ed esclusivamente infantili, però non mi ci vedo a chiedere al mio amico quadrupede immaginario d'infanzia perché il mio ragazzo non vuole scoparmi. O meglio, perché il mio amico che non è attratto da me si ostina a voler giocare ai fidanzati. Se pongo a me stessa la domanda, beh, so già cosa mi risponderò. Ho bisogno di un fittizio interlocutore esterno che bilanci la mia insicurezza dicendomi che magari non c'entro io, che forse è perché non riesce a dimenticare del tutto la sua ex o ha qualche problema intimo o è semplicemente asessuale e non sa come dirmelo. Quei segni di muffa non potrebbero ricordare vagamente una salamandra? Non potrebbe pensarci lei a raccontarmi un po' di quelle cazzate? Così poi io potrei ribattere che è stupido stare a impazzire dietro a ipotesi complicate quando la risposta è quasi sempre quella più facile. Insomma, per tirare fuori il rasoio di Occam in maniera più credibile mi serve un contraddittorio, non posso fare tutto da sola. Comunque più che una salamandra sembra un pesce. Uff, forse è meglio chiudere gli occhi e provare a prendere sonno. Mi giro di nuovo sul fianco, verso la porta.
“Tutto ok?” per un attimo mi sembra quasi sia stato il poster di Patti Smith a parlare, ma con una voce assonnata e decisamente più maschile.
“Sì Eddie”
“Non dormi?”
“No” e a quanto pare nemmeno tu, mi viene da dire.
“Che dici, apro un po' anche questa finestra?”
“No, tanto abbiamo chiuso il calorifero. E poi abbiamo già aperto di là, non voglio prendermi un malanno”
“Ok”
“Comunque non ho caldo”
“No?”
“No. E tu?”
“Mmm no, io sto bene”
“Allora ok” concludo e spero che anche lui la finisca qui e si rimetta a dormire. Non vedo l'ora di sentirlo russare.
“Ma quindi perché non dormi?” Cristo santo...
“Boh, così...”
“C'è qualche problema?”
“No” rispondo forse fino troppo in fretta.
“Sicura?” nella semi-oscurità vedo i miei stivali ai piedi del letto e la tentazione di metterlo ko con un'anfibiata è forte.
“Sì”
“Sicura sicura?” sempre più forte.
“Non c'è nessun problema, Eddie, non lo so... magari ho mangiato troppo, magari sono i pensieri, boh...”
“Che pensieri?” ovviamente lui deve soffermarsi solo sulla seconda ipotesi.
“Pensieri normali, su cose normali” siamo pericolosamente vicini alla mia linea di tolleranza.
“Tipo?”
“Tipo le cose da fare domani”
“Che devi fare domani?”
“Cose normali... la spesa, pagare l'affitto, lavare le finestre”
“Non hai i soldi per l'affitto?”
“Sì che ce li ho”
“Allora non vedo cosa non dovrebbe farti dormire” il pericolo si avvicina sempre di più.
“Infatti, non c'è nulla che non va, te l'ho detto”
“Altri pensieri?”
“No”
“Sicura?” una volta superato il limite non si può più tornare indietro.
“No. Beh, c'è un problema in effetti”
“Ah sì? Quale?”
“C'E' CHE MI SONO ROTTA IL CAZZO, EDDIE!” sbotto accendendo il lume sul comodino e mettendomi seduta sul letto.
“Angie che-”
“NON CE LA FACCIO PIU'!” gli urlo di nuovo in faccia, facendo sobbalzare lui e il materasso sotto i nostri culi.
“Troppe domande eh? Scusa, ti lascio dormire...” Eddie, piuttosto intimidito, si scusa perché ovviamente non ci sta capendo nulla, poverino, ma questo non fa che irritarmi ancora di più.
“DORMIRE UN CAZZO! NON VOGLIO DORMIRE!”
“Ok”
“E NON DORMI NEANCHE TU”
“Va bene...” Eddie, che stava per girarsi dall'altra parte, capisce che è il caso di mettersi a sedere proprio come la sottoscritta. Ho il fiatone, il muso e le braccia incrociate sul petto. Ogni tanto i nostri sguardi si incrociano, il mio probabilmente da pazza, il suo perplesso, ma nessuno apre bocca per svariati minuti. E' Eddie a rompere il silenzio “Vuoi che ne parliamo?”
“Sì.” rispondo prima di fare un bel respiro profondo “Direi che è proprio arrivato il momento di parlarne”
“Ok”
“Ok”
“Ti ascolto” eh ma allora lo fa apposta!
“TU MI ASCOLTI?? TU ASCOLTI ME?!”
“Uhm... no?” Eddie fa di tutto per non scomporsi e sembrare tranquillissimo, non riuscendoci.
“NO! Sono io che ascolto te, sei tu che devi parlare!” cerco di riprendere il controllo perché mi sto spaventando da sola.
“Io?”
“Certo, mi devi una spiegazione”
“Come faccio a spiegarmi se non so neanche di cosa parli?”
“Perché non mi vuoi?”
“Eh?”
“Perché stai con me se non ti piaccio?”
“CHE?!” stavolta è lui a perdere la compostezza e lanciarmi un acuto in faccia.
“Lo sai che è così”
“Angie, di che cazzo stai parlando?”
“Perché non vuoi fare sesso con me?”
“Oh mio dio” Eddie china la testa e se la regge tra le mani mentre la scuote.
“Insomma, io lo so di non essere una strafiga, però...”
“Angie”
“Però tu insisti con il fatto che stiamo insieme e... se due stanno insieme si suppone che si piacciano, in tutti i sensi”
“Tu mi piaci in tutti i sensi possibili e immaginabili”
“E allora... allora, perché non me lo dimostri?”
“Io non te lo dimostro??” Eddie alza la testa e mi guarda come se avessi appena detto che la terra è piatta.
“Perché non vuoi farlo... con me?”
“Credi davvero che io non voglia?”
“Beh, sì, considerato che non l'abbiamo ancora fatto”
“Angie, io muoio letteralmente dalla voglia di farlo... di fare l'amore con te”
“E allora perché non-”
“Sto solo aspettando”
“Aspettando cosa?”
“Che tu sia pronta”
“Pronta? Ma io sono pronta, sono prontissima!”
“Ne dubito, Angie”
“Ma guarda che... io non... non sono più vergine, se è quello che pensi” il solo pensiero di essere qui a fare questa conversazione con Eddie mi imbarazza a morte, ma non posso stare in questo limbo di incertezza per sempre.
“Lo so, cioè, lo supponevo,” risponde con una smorfia un po' tesa e non posso fare a meno di pensare alle volte in cui senza volerlo ha beccato me e Jerry in atteggiamenti inequivocabili “non è questo il punto”
“E qual è?”
“Non mi sembri pronta a farlo, con me”
“Perché?”
“Perché non sei ancora totalmente a tuo agio assieme a me”
“Ahah io non sono mai a mio agio con nessuno, nemmeno con me stessa, sono fatta così, non vuol dire niente!” la risata nervosa mi scappa. Se aspetta che io diventi Miss Sicura di Sé per fare roba, allora faccio prima a farmi suora.
“Per me significa molto, invece” Eddie resta accigliato e io cerco di tornare seria.
“Lo so. Quello che intendevo dire è che io sono sempre così... sono timida... è il mio modo di essere, non vuol dire che io non stia bene con te”
“La timidezza non c'entra. Credimi, lo so che stai bene con me, lo percepisco. Quello che non so è cosa provi. Per me. Cioè, a volte mi sembra di capirlo, ma poi magari fai o dici qualcosa che mi comunica l'esatto opposto e io non so più che pesci pigliare”
“Cosa provo?” come se fosse facile.
“Già”
“Non è semplice... parlare dei propri sentimenti, lo sai che io non sono brava a parlare in generale”
“Non sempre serve parlare, Angie, ci sono anche altri modi per dimostrare cosa si prova”
“Io te lo dimostro in continuazione!”
“No, io te lo dimostro in continuazione. Tu... tu non fai niente”
“COME NIENTE?!” alzo di nuovo la voce, anche stavolta spontaneamente.
“Angie, tu... tu non mi baci neanche”
“Io cosa?”
“Non mi baci. Mai” che cavolo sta dicendo?
“Non è vero!”
“Sì invece. Da quella volta alla stazione degli autobus a San Diego, fino al bacio della buona notte di prima. Sono sempre io che bacio te e tu rispondi e basta”
“Sono sicura che ti sbagli. Ti avrò baciato anch'io... qualche volta”
“Qualche volta? Qualche volta quando?”
“Non lo so, non è che mi ricordo ogni singola volta”
“Se fosse successo davvero, me lo ricorderei, fidati”
“Eddie”
“Sarebbe stato un evento storico perché tu non mi baci mai per prima. Non fai nulla per prima. Non prendi mai un'iniziativa che sia una con me”
“Beh ecco... può darsi che spesso, essendo timida, io lasci che sia tu ad avvicinarti per-”
“Spesso? Diciamo pure sempre”
“Scusa...” rispondo imbarazzatissima e il suo sguardo si addolcisce.
“Non ti devi scusare! Non voglio scuse, voglio solo sapere qual è il problema e cosa devo fare per rassicurarti” mi accarezza il braccio e si capisce che sta cercando di farmi sentire meglio, ma io mi sento sempre peggio.
“Non devi fare niente, non sei tu il problema”
“Non mi baci, non mi chiami, se non chiedendomi prima con precisione quando sono a casa, quando puoi chiamarmi, quando non mi disturbi, eccetera. Quando sei passata da me con la torta prima del concerto non sai quanto mi hai fatto felice”
“Eheh per così poco?”
“Sì, perché non è poco”
“E quella di stasera? Non ti sembra che io abbia preso l'iniziativa stasera?”
“No, per niente”
“Ah no? Mi sono fatta trovare praticamente mezza nuda, vestita solo di una maglietta del tuo gruppo preferito... ho allestito tutto questo scenario romantico e sexy, ho pure sabotato la caldaia condominiale... se non è iniziativa questa!”
“Tu... hai fatto cosa?”
Ops.
“Non potevo farmi trovare scosciata con quattro gradi in casa, mi avresti presa per una deficiente. Volevo solo alzare un po' la temperatura, perché se qui si gela non è per un malfunzionamento dei riscaldamenti, è perché quegli stronzi dei proprietari li tengono bassi per risparmiare! Poi non è colpa mia se la manopola mi è rimasta in mano, ecco” svelo il mio piano diabolico a un Eddie sempre più basito.
“Quindi per te è più facile fare tutto questo casino che non semplicemente, non so, la butto lì, dirmelo?”
“Dirti cosa?”
“Che vuoi fare l'amore con me”
“Ah, quello”
“Come puoi farlo se non riesci nemmeno a dirlo serenamente?” mi sembra quasi di sentire Meg, che  a quanto pare non ha ancora lasciato la mia camera da letto.
“Te l'ho detto, sono timida!”
“Comunque, se lo vuoi sapere, la tua non la definirei un'iniziativa. Questo non è prendere l'iniziativa, questo è stato... cercare di provocarmi perché fossi poi io a prenderla, come sempre”
“Non sono la donna fatale che ti salta addosso e ti mangia in un boccone”
“Non devi esserlo! Beh, a meno che tu non voglia, in quel caso non avrei certamente nulla da ridire” aggiunge con un sorrisino ammiccante.
“Non succederà mai, neanche nelle mie prossime cento vite”
“Dai, scherzavo. Quello che voglio dire è che mi 'accontenterei' di qualcosa di molto più semplice”
“Cioè?”
“Di un bacio, Angie. Un cazzo di bacio, che tra parentesi non mi hai ancora dato”
“Stiamo parlando”
“E allora? Chissenefrega, baciami e mettimi a tacere”
“Come tu hai fatto con me a San Diego?” sorrido ripensandoci.
“Sì. Voglio che mi baci, cazzo. Voglio che tu ti senta libera e tranquilla tanto da baciarmi, abbracciarmi, chiamarmi, prendermi a schiaffi quando ti va, come ti va, senza accertamenti, preavvisi o permessi in carta bollata”
“Non è facile per me”
“Ma perché? Perché non riesci a lasciarti andare con me?”
“Perché... perché ho paura” mi costa una fatica enorme rispondere, soprattutto perché sto dicendo la verità.
“Paura di cosa? Angie, io lo so che siamo agli inizi e so che hai avuto fregature in passato. Voglio essere onesto con te: io non sono un santo. Sono molto lontano dalla perfezione, sono pieno di difetti e quelli peggiori non li hai ancora visti, ma ci tengo davvero a questa cosa con te e non ho intenzione di mandare tutto a puttane”
“A quello ci sto pensando già io, a quanto pare” rispondo sconsolata.
“Ma figurati! Perché dici così?”
“Beh, stiamo discutendo...”
“Stiamo parlando, non stiamo mica litigando. Stiamo cercando di capire perché non ti fidi di me”
“Io mi fido di te”
“Non abbastanza”
“Eddie, credimi, io mi fido di te. E' di me che non ho fiducia”
“Di te?”
“Non mi fido di me stessa perché ho paura. Ho paura di fare casini e mandare tutto in merda. Cosa che per altro sto già facendo”
“Non hai fatto proprio niente, come ti ho detto stiamo solo parlando. E' così che le persone risolvono i problemi, parlando. O baciandosi. Come ti ho chiesto già da un po', ma tu non hai ancora provveduto...” Eddie mi sgomita piano cercando di farmi ridere e un pochino ci riesce.
“Eheh ecco, io cerco di fare un discorso serio e tu mi prendi in giro”
“Non ti prendo in giro, la mia è una richiesta autentica. E ancora valida”
“Forse non prendo iniziative perché... perché ho paura che siano quelle sbagliate”
“Sbagliate?”
“Ho paura di sbagliare, di fare casini. Di essere troppo appiccicosa. O troppo poco. Di essere troppo presente o troppo assente. Io... non faccio niente perché così ti osservo, in modo da capire quello che vuoi”
“E quello che vuoi tu? Non conta?”
“Io... io voglio te, è questo che conta” è come se sentissi qualcun altro rispondere al mio posto e vedessi questo qualcuno arrossire di botto di fronte a un Eddie rimasto a bocca aperta.
“Oh Angie...” mi prende il viso tra le mani obbligandomi a guardarlo negli occhi “Anch'io voglio te, ti voglio come sei e non cambierei una virgola. Vorrei solo che non avessi paura di essere te stessa quando sei con me. E che mi baciassi quando ti va. O quando te lo chiedo. Cosa che, non so se te l'ho già detto, non hai ancora fatto”
“Fosse per me ti bacerei sempre, Eddie”
“Lo dici come se fosse una cosa brutta” allunga i pollici per accarezzarmi le guance.
“No, tu non capisci. Quando dico sempre intendo proprio sempre. Cioè, immagino tu ti sia guardato infinite volte allo specchio, ma non credo tu l'abbia mai fatto con gli stessi occhi che posso avere io”
“Ok, quindi sono bello e vuoi baciarmi” mi toglie le mani dal viso e fa spallucce.
“Non è una questione di bellezza, che comunque non ti manca. E' proprio... voglio dire, la tua bocca... ok, ti serve per tante cose... per parlare, per cantare da dio, per bere e mangiare... ma le tue labbra, è come se mi chiamassero, in continuazione, e non per fare due chiacchiere”
“Ah no?” mi domanda con quella faccetta da cazzo compiaciuta.
“No. E non è che le tue labbra siano fatte per baciare: le tue labbra hanno inventato il bacio stesso. Cioè, io non ho studiato questo aspetto della storia nello specifico, ma credo che la gente non si baciasse sulla bocca finché sulla terra non è comparso qualcuno con delle labbra come le tue e a quel punto l'evoluzione non ha potuto che seguire il corso più naturale”
“E' un modo contorto per farmi un complimento?”
“E' un modo contorto per dirti che se io mi lasciassi davvero andare, come vuoi tu, mi attaccherei a quelle labbra come una cazzo di ventosa e probabilmente non ti permetterei di fare nient'altro e anch'io non potrei fare nient'altro e finiremmo per perdere i sensi come Marina e Ulay, solo che noi non siamo artisti, cioè io no, e comunque non potremmo vivere di questo tipo di arte, sembreremmo solo due imbecilli” e poi succede anche che quando provo a lasciarmi andare vado in ansia e quando vado in ansia comincio a blaterare cose a caso senza prendere fiato. E in tema di fiato...
“Marina e chi?”
“E Ulay. Breathing in/breathing out, non ne hai mai sentito parlare?” Eddie fa no con la testa “E' una performance artistica. Marina Abramovic e Ulay sono due artisti contemporanei. Un bel giorno questi due si sono tappati le narici con dei filtri di sigaretta e si sono incollati l'uno alle labbra dell'altra in questo bacio soffocante, scambiandosi anidride carbonica mista a quell'unica dose di ossigeno iniziale, che si è consumata in pochi minuti, portandoli a perdere quasi i sensi”
“Eheh tu mi fai perdere i sensi anche senza tappi nel naso, quindi direi che si può fare” lui ride e io non riesco ad articolare il pensiero, ci metto un quarto d'ora a rispondere.
“E se mi lascio andare e non mi sopporti? Se divento fastidiosa? Se ti bacio in un momento in cui non ti va?”
“Angie, ti svelo un segreto”
“Mi sveli sempre un sacco di segreti tu”
“Sì, perché sono più vecchio e più saggio”
“Ahahah ma per favore”
“Allora, il segreto: il segreto è che non c'è un momento in cui non mi va”
“Esistono momenti opportuni e momenti meno opportuni”
“Non esiste, non riesco a pensare a un solo momento in cui io potrei mai anche solo pensare di non voler essere baciato da te. Voglio dire, potrebbero legarmi e torturarmi infilandomi spilli sotto le unghie delle mani e dei piedi e io avrei ancora voglia di un tuo bacio”
“Esagerato”
“Potrei aver appena cagato lamette o aver subito un intervento all'appendice senza anestesia, ma se tu ti avvicinassi per baciarmi io di sicuro non mi volterei dall'altra parte per evitarti”
“Ahahahah”
“Guarda che è la verità, non sto scherzando. Ma anche in positivo! Potrebbero avermi appena proclamato vincitore di un Grammy, un Oscar o un altro premio del cazzo a caso e magari mi chiamano sul palco per ritirarlo, ma se tu sei lì che mi stai baciando io non mi muovo di un millimetro e non me ne frega un cazzo del resto. Anzi, no, me ne fregherebbe solo perché la vittoria sarebbe una scusa per farmi baciare da te, solo in funzione di quello”
“E se i Cubs vincessero le World Series?” troppo facile coi premi, parliamo di cose che contano davvero per Eddie.
“A maggior ragione vorrei un cazzo di bacio da te per festeggiare l'evento memorabile! Ma mi auguro di non dover aspettare che quell'evento si verifichi per avere un tuo bacio”
“Non dovrai aspettare tanto” rispondo spostandomi nel letto per avvicinarmi un poco a lui.
“No?” domanda sottovoce.
“No” mi avvicino ancora un po'.
“E quanto allora?” insiste posando lo sguardo alternativamente sui miei occhi e sulle mie labbra.
“Poco, pochissimo”
“Sì?”
“Già”
“Ok”
“Ok”
“Sto aspettando”
“Un attimo! Come sei impaziente”
“Sì, sono piuttosto impaziente, sai com'è? Sono solo...” Eddie si interrompe e fissa un punto indefinito alle mie spalle, mentre contemporaneamente accenna un conto con le dita, poi torna a guardarmi negli occhi “Sono solo tre mesi che aspetto questo momento”
“Tre mesi?” gli chiedo perplessa.
“Beh sì, tre mesi che aspetto consapevolmente. Inconsapevolmente un po' di più...”
“Che significa inconsapevolmente?”
“Non stavi per baciarmi?”
“Eddie, cosa vuol dire inconsapevolmente?” alzo un po' la voce, Eddie solleva gli occhi al cielo e mi risponde rassegnato.
“Significa che, come dire, non è che mi sono alzato una mattina e ho deciso di avere una cotta per te, è stata una cosa... lenta e graduale”
“Iniziata più di tre mesi fa?”
“Iniziata la prima volta che ti ho vista, da Roxy”
“Ma se mi hai detto due parole! E poi stavi ancora con la tua ex”
“Non proprio... e comunque ho detto che è iniziata allora... e continua anche oggi. Dalla prima volta che abbiamo parlato ho iniziato a conoscerti ed è come se ti fossi insinuata dentro di me, come un seme, che germogliava e il germoglio cresceva giorno per giorno. E più ti conoscevo, più la pianta continuava a crescere e più mi piacevi. Poi quando ho realizzato cosa mi stava succedendo, ormai era troppo tardi perché ci ero dentro fino al collo e la piantina era diventata un fottuto albero”
“Ahahah un albero?” anche lui ha i suo monologhi nonsense indotti dal panico?
“Sì, un cazzo di baobab, Angie. Ora se magari la smetti di ridere delle mie metafore, mi baci, per favore?”
“Ok”
“Ok. Ti rendi conto che non ci riesci anche se te lo sto letteralmente chiedendo, vero?”
“Ci riesco! Solo un secondo, non è facile così... a freddo”
“Non c'è un cazzo di niente tra noi due che sia freddo in questo momento, Angie”
“Va bene, adesso ti bacio, così la pianti!” mi avvicino e gli stampo un bacio sulle labbra, dopodiché lo guardo trionfante “Visto?!”
“E quello che cazzo era?”
“Come cos'era? Un bacio, no?”
“Me lo chiami bacio quello?”
“Certo! Perché tu come lo chiami?”
“Non lo chiamo, non me ne sono neanche accorto”
“Ah, allora i miei baci ti lasciano indifferente...” faccio per allontanarmi verso il mio lato del letto, ma Eddie mi trattiene per la vita.
“Non mi lasciano indifferente, so come baci, per questo gradirei un bacio vero”
“Uno vero eh?”
“Sì, grazie”
“Tipo... così?” parlo sulle sue labbra prima di avvicinarmi con lentezza e posarci sù le mie, all'inizio delicatamente, poi premendole con un po' più di forza.
“Mmm... già meglio” gli concedo una piccola pausa per rispondere, poi lo bacio ancora, finché non lo sento infilare le mani sotto la mia maglietta.
“Eh no, non puoi...” lo blocco e continuo a baciarlo, spingendolo dalla sua parte del letto e portandogli le mani unite sopra la testa, come se fosse in trappola.
“Che ho fatto?” mi domanda e sembra seriamente preoccupato.
“Se non ho capito male devo prenderle io le iniziative adesso, o sbaglio?”
“Oh” lo sguardo accigliato lascia spazio a un sorriso tutto fossette.
“Quindi tu stai fermo, ok?”
“Non è che devi fare proprio tutto tu”
“STAI FERMO, OK?” alzo la voce e lo sguardo divertito diventa qualcos'altro.
“Va bene, mia regina” risponde e io lascio andare le sue mani e affondo le mie fra i suoi capelli, prima di tornare a baciarlo con un tale trasporto da ritrovarmi a un certo punto a cavalcioni su di lui senza neanche sapere come ci sono arrivata.
“Allora?” mi stacco di poco dalle sue labbra, che tiene ancora schiuse, mentre respira affannato, poi mi alzo “Andava bene?”
“Benissimo...” risponde aprendo finalmente gli occhi e usandoli per incendiarmi sul posto “allora ti piaccio?”
“Ahahah ma va?? Grande deduzione, Sherlock!”
“Non ridere tu” mi afferra le cosce e mi scuote come se volesse disarcionarmi.
“Perché, non lo sapevi?”
“Come facevo a saperlo?”
“Che significa, è ovvio che lo sapevi”
“Ovvio? Ovvio per te. A parti invertite tu cosa avresti pensato?”
“In che senso?”
“Se fossi stata al mio posto, se fossi stata tu a fare sempre il primo passo, non dico solo a baciarmi... Se avessi dovuto cercarmi sempre tu, chiamarmi sempre tu... E in tutto questo, io ti avessi anche chiesto di mantenere il segreto più assoluto e di non dire a nessuno che stiamo insieme e avessi evitato accuratamente di farmi vedere in giro con te in atteggiamenti anche solo poco più che amichevoli in posti frequentati dai nostri amici... Se non ti avessi mai detto una parola sui miei sentimenti o su di noi in generale, se non a fatica e su tua esplicita richiesta... In questo caso, tu che avresti pensato? Come ti saresti sentita?” una merda vale come risposta? Mi ricorda quando stavo con quello stronzo di Drake. Beh stavo è una parola gro-... Aspetta un momento.
“Non voluta. Oh ma tu non ti senti così, vero?”
Cazzo.
“Non più. Forse”
“Eddie, io...” mi chino su di lui e riempio di baci la sua faccia, illuminata da un sorriso di sollievo, mentre io mi sento uno schifo e parlo tra un bacio e l'altro “io... non... credevo... che-”
“Che anch'io potessi sentirmi insicuro? Invece sì”
“Sono una stupida” sospiro e appoggio la testa sul suo petto, allungando le gambe fino a stendermi completamente su di lui.
“Sono io lo stupido perché avrei dovuto parlartene subito” replica accarezzandomi i capelli.
“Non è facile parlare con me, sono sempre sfuggente. Sono una maestra della fuga dalle situazioni difficili e dai discorsi seri”
“Ma ora non mi scappi più” aggancia le mie gambe con le sue e mi blocca in una trappola da cui non ho la minima intenzione di liberarmi.
“Scusami”
“Smettila di scusarti. Non l'ho detto per farti sentire in colpa, l'ho detto per farti capire perché non potevo fare l'amore con te”
“E adesso?”
“Adesso cosa?”
“Adesso... puoi?” alzo la testa per guardarlo negli occhi, che sono splendidi anche alla luce del mio schifosissimo lume.
“Non lo so, non sono più io quello che prende le iniziative adesso”
“Ti odio”
“Non è vero”
“Invece sì” torno nella mia metà del letto e lo trascino con me, sopra di me, afferrandogli i lembi della maglietta e sfilandogliela nel mentre.
“Sai cosa ho scoperto?”
“Che cosa?”
“Che mi piace un sacco quando prendi tu le iniziative”
“Ah sì?”
“Eccome” risponde mentre mi libero anche della mia t-shirt degli Who.
“Meglio così” intreccio le mani dietro alla sua nuca e lo attiro a me con poca delicatezza per un lungo bacio, che si trasforma in una lunga serie.
A un certo punto mi ritrovo con le mutandine calate alle ginocchia e non so dare nessuna spiegazione scientifica a questo fenomeno, perché per tutto il tempo le mie braccia sono rimaste allacciate al suo collo e le sue mani fisse sul mio seno, quindi o l'attrito e gli strusciamenti hanno fatto sì che si sfilassero da sole o Eddie ha delle mani extra o è successo tutto per magia. E non so cosa mi sia preso perché, mentre con una mano cerco di tirarle giù per liberarmene del tutto, allungo l'altra mano sull'elastico dei suoi boxer per abbassarglieli. Il gesto non passa inosservato perché è come se Eddie improvvisamente andasse fuori di testa. Comincia a leccarmi e mordermi la faccia, le labbra, la lingua, il collo, sul lato sinistro, avvicinandosi sempre più al mio punto debole e io non capisco più un cazzo e inizio a gemere e basta. Rinsavisco brevemente quando lo sento tornare a strusciarsi su di me, senza nessuna barriera di tessuto, dopo avermi allargato le gambe.
“Eddie?”
“Sì?”
“Secondo... secondo cassetto” spiego indicando alla mia sinistra.
Anche Eddie sembra calmarsi un attimo, mi accarezza il viso col dorso della mano, mi da un piccolo bacio sulle labbra e poi si allunga verso il mio comodino, trovando il pacchetto quasi subito. Ne estrae una bustina, che mi porge prima di lanciare la scatola sul comodino e lasciarsi cadere sull'altro lato del letto.  
“Tieni” mi dice mentre io cerco di coprirmi con il lenzuolo alla bene e meglio.
“Che significa?” gli chiedo perplessa.
“Che sei tu a prendere le iniziative adesso, te ne sei già dimenticata?” ribatte con quelle cazzo di fossette in bella mostra. E non solo quelle.
“Ah è così adesso?” cerco di fingermi arrabbiata.
“Eh sì”
“E sarà sempre così?”
“Perché? Ti dispiace?”
“Per niente” me lo sento dire, ma non so nemmeno io da dove mi esce tutta questa sicurezza. Non mi faccio domande e cerco di tenermela stretta finché dura, mentre mi chino di nuovo sulle sue labbra e apro la bustina.
**
“Smettila di ridere” sento il riso vibrare nel profondo del petto di Eddie perché il mio orecchio ci è appoggiato sopra, anzi, è praticamente appiccicato visto che siamo anche vagamente sudati. Spero di evitare l'effetto ventosa, mi dispiacerebbe rovinare il momento perforandomi un timpano.
“Sono felice. Rido” risponde laconicamente.
“No, tu ridi di me”
“Perché dovrei?”
“Lo sai benissimo” mi scollo da lui e alzo la testa per guardarlo e vedo tutti i suoi bellissimi denti in bella mostra.
“Sei adorabile quando vieni, lo sai?”
“Sì certo, a parte i suoni che produco”
“Veramente io mi riferivo proprio a quelli”
“Gli adorabili gemiti strozzati di un maialino scannato al mattatoio?”
“Ahahahah ma stai zitta!” esclama stringendomi sotto il lenzuolo.
“O di uno scoiattolo schiacciato da una macchina”
“O di uno scoiattolo fatto di crack” ribatte citando il nome della mia vecchia e unica band.
“Eheheh esatto”
“Un momento: non è quello il motivo per cui vi chiamavate così, vero?” mi domanda improvvisamente tutto serio e da come me l'ha chiesto forse preferivo quando mi prendeva per il culo.
“Ahahahah oddio! Ovviamente no, figurati!”
“Sicura? Dopotutto il tuo ex era nella stessa band...” risponde facendomi anche una specie di linguaccia subito dopo.
“Non è assolutamente quello il motivo, è stata una scelta casuale”
“Ok. Comunque mi piace, è tenero. Tu sei tenera” si rasserena e mi dà un bacio in fronte.
“Tenera? Quindi il mio tentativo di risultare figa, sicura e sexy è fallito miseramente?”
“Tenero è sexy, per me. La dolcezza è la cosa che più mi eccita in una ragazza, lo sai?” continua coi baci sulla fronte e sui capelli.
“Ah sì?”
“La dolcezza e la propensione agli atti di vandalismo. E dopo stasera, direi che hai il massimo dei voti in entrambe le cose”
“Se nel locale caldaia ci sono telecamere sono fottuta” nascondo la faccia di nuovo sul suo petto.
“Tranquilla, te la pago io la cauzione”
“Con quali soldi?”
“Beh, la venderemo qualche copia di Ten, spero”
“Ten?”
“E' uno dei nomi più papabili per l'album”
“Perché sono dieci canzoni?”
“In realtà saranno undici o dodici”
“E allora che c'entra il dieci?”
“E' il numero di maglia di Mookie Blaylock. Abbiamo dovuto cambiare nome, ma un omaggio ci sta”
“La vostra è proprio una fissazione” scuoto la testa prima di affondare la faccia nell'incavo del suo collo.
“In questo momento ho una fissazione diversa per la testa però”
“Ah sì e quale?” gli chiedo sinceramente curiosa, perché penso che stia ancora parlando di musica, e quindi mi coglie decisamente di sorpresa quando in un nanosecondo mi afferra e mi ribalta sul letto, saltandomi sopra.
“Secondo te?” domanda con un'espressione euforica mentre si strofina senza pietà sulla sottoscritta.
“Ancora? Di già?” forse reagisco con fin troppo stupore.
“Come di già? In che senso?”
“No, niente”
“Non vuoi? Se non ti va guarda che non c'è problema” smette di muoversi e io mi taglierei la lingua.
“NO, MI VA!”
“E allora perché-” fa per rispondere, non senza ridere della foga con cui ho espresso le mie intenzioni.
“Pensavo ci mettessi di più, che ne so! Non sono mai stata con uno... beh, della tua età”
“Angie, ok che sono più grande di te, ma ho ventisei anni non sessantadue” Eddie mi guarda come se fossi un'ebete e non ha tutti i torti.
“Dettagli”
“Te li faccio vedere io i dettagli” minaccia afferrando il lenzuolo e sollevandolo sulle nostre teste, coprendo entrambi completamente.
“Non dovevo prenderla sempre io l'iniziativa?”
“Maestà, mi vedo costretto a fare un'eccezione per darvi una dimostrazione pratica. Posso?”
“Prego, proceda pure signor Vedder”
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“Che ne dici di Butterfly girl?” Mike torna al tavolo con due pinte di birra in mano, mentre Stone e Grace lo seguono, portando ognuno il proprio boccale.
“Nah, non lo so. Mi sembra più il nome di un supereroe del cazzo” rispondo poco convinto.
“Supereroina semmai” puntualizza Stone, e chi se no.
“Ok, mi suona come una supereroina del cazzo. Catwoman, Batman, Batgirl, Butterflygirl... avete presente?”
“Sì, grazie Jeff per la spiegazione ragionata. Comunque è un demo finto, i titoli delle canzoni non devono avere un senso. Anzi, credo che Cam non si aspetti nemmeno che tu tiri fuori dei titoli” durante le sue considerazioni, in cui non dimentica di prendermi per il culo, Stone ha un braccio attorno al collo di Grace per tutto il tempo e meno male che Laura non è venuta. Non per altro, ma mi sarebbe dispiaciuto che a Mike toccasse il ruolo del quinto incomodo reggi-moccolo. Insomma, già non se la sta passando benissimo ultimamente.
“Se mi ha chiesto di occuparmi dell'artwork del demo, vuol dire che la cassetta avrà una certa importanza nel film” spiego ciò che mi sembra fin troppo ovvio. Se questo demo deve avere una certa immagine vuol dire che apparirà, che verrà inquadrato a un certo punto, quindi deve sembrare vero a tutti gli effetti.
“Oh certo, sarà sicuramente la parte più importante della pellicola: tutta la trama ruota attorno al tuo demo, Jeffrey” Stone annuisce prima di bere un sorso di birra e io sono tentato di fracassargli il bicchiere sul cranio.
“Jeff ha ragione! Se non fosse stato importante, Cameron non gli avrebbe affidato questo compito. Avrebbe preso delle cassette vergini e ci avrebbe scritto su al momento il nome del tipo... Com'è che si chiama il protagonista? Me l'hai detto, ma non me lo ricordo” Grace interviene in mio favore ed è troppo divertente guardare Stone fare finta che la cosa non lo irriti affatto.
“Cliff Poncier”
“Viene cacciato dalla sua band e si mette a vendere il suo demo di cinque tracce per strada” precisa McCready.
“E quante tracce hai per ora?” mi chiede ancora Grace incuriosita.
“Tre, me ne mancano due” rispondo mostrando il blocchetto per appunti su cui ho annotato i titoli e fatto una specie di schizzo della copertina.
Seasons
Nowhere but you
Spoon man
… girl
???
“E la quarta deve per forza parlare di una ragazza?”
“Sì, perché è stato scaricato anche dalla tipa oltre che dalla band. Come ogni musicista sfigato che si rispetti, riversa il suo dolore nelle canzoni” Stone risponde per me e io mi concentro di nuovo cercando di farmi venire in mente un aggettivo da accostare a questa girl del titolo. Do un'occhiata distratta fuori dalla vetrata del pub, ma quello che vedo mi spinge a darne un'altra un po' più attenta: l'inconfondibile macchina di Angie che parcheggia dall'altro lato della strada, proprio sotto casa nostra.
“Angelic girl?” azzardo ma mi fa schifo nel momento stesso in cui lo dico.
“Per carità! Lasciati consigliare da Mike, mi sembra il più ferrato in materia di due di picche” ironizza Gossard e l'altro chitarrista lo guarda in maniera inequivocabile.
“Io non ho ricevuto nessun due di picche”
“Ovvio”
“Non sono stato scaricato, ho scelto di stare da solo”
“Certo, certo”
Seguo il battibecco tra Mike e Stone e, allo stesso tempo, anche i movimenti fuori dal pub. Angie esce dalla macchina guardandosi attorno con circospezione, mentre dal lato passeggero ecco scendere il nostro cantante che, senza farsi problemi, fa il giro dell'auto fino ad arrivare alle spalle di lei per abbracciarla e darle un bacio sulla guancia. Come sono carini! Ma se non vogliono farsi scoprire dovrebbero essere un po' più discreti, cazzo. Ok che alla fine è tutto inutile, perché tanto lo sanno tutti quanti che quei due stanno assieme, però se proprio vogliono sostenere questa farsa, che almeno la portino avanti come si deve. L'altro giorno si sono fatti sgamare persino da me! Voglio dire, hai invitato la tua ragazza a casa nostra? Dimmelo, cazzo! O se non vuoi dirmelo perché devi fare l'innamorato segreto, almeno fammelo capire, dimmi di farmi un giro e tornare più tardi, dimmi che ci vediamo direttamente al soundcheck! Invece no, io devo tornare a casa e trovarvi avvinghiati sulla poltrona. Non so neanche come abbiate fatto a non accorgervi di me, nella fretta di andarmene via di lì credo di avere pure sbattuto la porta uscendo. Che poi non ci sarebbe stato niente di male, ma conoscendo Angie non mi avrebbe rivolto la parola per giorni per la vergogna.
“Fly girl?” suggerisce Mike e questa non è malvagia.
“Mmm non male, la metto in forse, bravo Mikey!” mentre scrivo vedo che Angie ha messo in pratica fin troppo bene il mio invito alla discrezione. Praticamente si scrolla Eddie di dosso in malo modo e gli dice qualcosa che a lui non deve piacere tantissimo, perché la fissa con aria delusa e a braccia conserte. A questo punto Angie gli indica il pub e io mi volto verso gli altri nel dubbio che possa vedermi attraverso la vetrata e accorgersi che li ho notati.
“Sì! Bravo Mikey! Ehi, che ha fatto Mike?” Cornell arriva al nostro tavolo e si siede accanto a me senza tante cerimonie.
“Ha proposto un possibile titolo di una canzone” risponde prontamente Grace.
“Per il vostro album?”
“No, per il demo di Cliff Poncier” rispondo prima che un altro amico si aggreghi alla compagnia.
“Li hai trovati tutti e cinque alla fine? Ciao ragazzi...” Eddie Cane Bastonato si siede vicino a Stone e io non posso fare a meno di lanciare un'occhiata fuori, dove intravedo Angie seduta al posto di guida, intenta probabilmente a far passare un numero secondo lei sufficiente di minuti prima di entrare per non destare sospetti.
“Ciao Eddie. No, solo tre e mezzo” spiega Stone.
“Chi cazzo è Cliff Poncier?” chiede Chris perplesso.
A questo punto gli faccio un aggiornamento veloce, raccontandogli del demo e di quel poco che Crowe mi ha accennato della trama del film.
“Figo! Fammi vedere... Seasons eh?”
“Cos'è? Un pezzo dedicato alle uniche due stagioni esistenti a Seattle?” la voce di Angie irrompe alle mie spalle e io non posso fare a meno di pensare che i minuti non sono stati poi così tanti.
“Ehi Angie! E quali sarebbero le due stagioni?” chiede Mike facendole posto accanto a sé.
“Umido e Più Umido” la Pacifico fa spallucce e non le pare vero di sedersi agli esatti antipodi di Eddie per non destare sospetti. Questa cretina.
“Beh, se venisse effettivamente scritta, potrebbe parlare proprio di quello eheh” scherza Eddie, cercando di dissimulare il suo malumore.
“E perché non scriverla veramente?” Chris batte un pugno sul tavolo, prima di alzarsi in piedi.
“Che vuoi dire?” gli chiedo confuso.
“Che dovremmo scrivere davvero queste canzoni, registrarle e farle sentire a Cameron. Sarebbe una bella sorpresa, non credete?”
Per un po' il tavolo resta in silenzio, probabilmente tutti, come me, cercano di capire se Cornell sta scherzando o è serio, cosa che con lui capita il 90% delle volte in pratica.
“Vuoi dire che saresti davvero in grado di scrivere...” Angie si alza per allungarsi sul tavolo e leggere mio taccuino “Spoon Man??”
“Perché no? Artis ne sarebbe felicissimo, gli faremmo pubblicità” replica Chris ed è a questo punto che capiamo che sta facendo sul serio. E se per caso non fosse così, ci penso io a incastrarlo.
“Ok, allora ti sfido: lunedì devo presentare l'artwork del demo a Cameron, hai cinque giorni per scrivermi i cinque pezzi del Poncier Demo”
“Cinque? Ahahah per domani le avrai tutte, amico!” esclama e mi porge la mano per stringere il nostro patto.
“Però vi faccio notare che mancano ancora due titoli, cioè, uno e mezzo” ricorda Stone il precisino.
“Che ne dite di Flutter girl?” Grace fa il suo tentativo e... cazzo, è il migliore!
“Mi piace! Andata. Scusa Mike” faccio un cenno al chitarrista che scuote la testa.
“Nah, tranquillo, la sua proposta stravince anche per me”
“Ok, allora ne manca una sola. Spremetevi le meningi” incoraggio gli altri e a parlare è l'altra ragazza del tavolo.
“Beh, il quinto titolo manca perciò... perché non Missing?”
“Siete due cazzo di geni!” sentenzio e aggiungo anche l'ultimo titolo ai miei appunti, prima di strappare la pagina e darla a Chris “E ora sono cazzi tuoi”
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1pensri9 · 2 years
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Intanto scusa se non sto dormendo come ti avevo scritto nella buonanotte, ma sai bene che la notte dormo poco, e ultimamente la cosa è diventata più frequente, vorrei sapere davvero come stai ultimamente, è da un pò che non parliamo come facevamo prima, in macchina, su un solo sedile, abbracciati, ed i finestrini aperti, di notte col freddo che entra e le sigarette.
Io giuro che sono poche le persone con cui ho "fumato così bene" una cosa tutta mia sul fumare, oltre al fatto che l'ho sempre preferito al bere, ma  personalmente ha un qualcosa di importante, mi permette di analizzare, e ambientrarmi, e ciò cambia in base allo stato d'animo, alla persona con cui lo stai facendo, e sopratutto da come quella persona ti fa sentire.
Io delle volte che ho fumato con te, davvero ne ho perso il conto, ricordo 3-4 volte in particolare
Proprio come dicevo poco fà, quando ancora non stavamo insieme, in macchina, nella parte più lontana della spiaggia, tu mi abbracciavi, e giuro che tutte le volte che succedeva, io a casa non ci volevo tornare, e non subito tra le tue braccia ho provato la sensazione di casa, però come un anestetico ecco, tu mi anestetizzavi i brutti pensieri, le giornate no, e tutte le cose che non andavano, insomma un posto "sicuro" dove poter abbassare la guardia.
Oppure ricordo sui muretti, ad ascoltare musica, quanto cazzo mi conoscevi bene, è sempre stata una lama a doppio taglio, mi rendeva vulnerabile ma sapevi come prendermi, capirmi, e prevedere ogni mia mossa, ed ho sempre odiato sta cosa con te, poter far credere quel che vuoi far trasparire di te ad una persona è il mio punto di forza, ciò ti permette di manipolare il suo atteggiamento nei tuoi confronti, ecco con te non è una cosa possibile, non lo è mai stato.
Ciò mi ha sempre reso inadatta, però sapevi prendermi bene, e mi sono lasciata andare, si ad oggi un paio di volte me ne sono pentita, ma solo perché hai usato questo "tuo potere" per ferirmi, e sai bene dove colpire, ora per fortuna sò gestire anche questi.
Abbiamo dormito insieme, per la prima volta, sopratutto la mia, e diciamo che in quel periodo per me c'erano davvero tante cose che non andavano, ma rimane comunque tra le mie preferite, sdraiati su un letto a fumare e parlare "in quel modo" che forse è proprio questo che mi ha legato tanto a te, quella sera non c'è stato niente, hai aspettato con tutta la delicatezza di sto mondo, e questo di te l'ho VERAMENTE amato, anche perché la prima volta che tra noi due ci fù qualcosa fù strano, quasi "sbagliato" in quel momento, io sapevo per certo che con te non me ne sarei pentita, sapevo che non mi avresti usata se così vogliamo dirlo, ma nonostante tutto è risuccesso non è stato bello, ma forse è li che ti ho amato per la prima volta, non scriverò i particolari, ma sappi che rimarranno impressi a me per sempre.
Ed una tra queste invece fu quando litigavamo in macchina, quella volta fù la prima volta che litigavamo gridando, sai quanto odio la gente che urla, parlasti di lasciarci, e giuro che fra tutte le parole che mi hanno lasciato con l'amaro in bocca li hai fatto jack pot.
Tra le sensazioni più brutte che ho provato con te ci sarà sempre quella di averti avuto al fianco, ad un passo da me e sentire la tua cazzo di mancanza.
Non avevo mai fumato una sigaretta con l'intenzione di togliere quel nodo alla gola, dolore, e non poter parlare ecco cosa ne ricordo.
Io di tutti i nostri momenti non scordo niente,
Nemmeno dei più brutti, attribuisco a ciascuno un'importanza diversa
E pensandoci bene avrei veramente tanti altri momenti impressi specialmente "fumando"
Però da tutto quello che provo scrivendo, ripercorrendo le piccolezze, i ricordi, le cose sbagliate, e tutte le cose che penso
E che si mi è sempre stato più facile scappare, mollare tutto perché richiedeva troppo impegno, ed io non possedevo abbastanza coraggio per buttarmici di nuovo, con te ho sfiorato l'idea di mollare tutto, si è vero, e ci odio per questo, le nostre continue liti, le parole, i gesti, ma se non ho mai fatto si che questo mio pensiero diventasse una certezza è perché penso veramente, dal primo giorno che tu ne sia valso la pena, e si ti amo
Non ti dirò mai per cosa, ma sappi che sono gesti minuscoli che se non ci fossero, non saresti tu.
Ti amo
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La notte
Mi chiedono se preferisco vivere il giorno o la notte, sapete qual è la mia risposta? Esatto, la notte. La notte ha il suo fascino. La notte è silenziosa ma rumorosa. La notte è infinita. La notte è l'inizio di un nuovo giorno e quel nuovo giorno noi lo cominciamo dopo perché durante la notte stavamo dormendo, sognando cose. La notte porta consigli ma porta anche ricordi. La notte ti dà emozioni. La notte ti regala sorrisi o lacrime. La notte ti regala battiti forti, per tante cose. La notte ti regala parole e a chi va, le mette giù come sto facendo io adesso. La notte rende le persone grandi piccole e quelle persone, tu vivile perché non sai quando ti capiterà ancora di viverle così piccole. La notte è fredda. Durante la notte vorrei viaggiare, trasformarmi in un animale notturno e vedere cosa fanno le persone durante la notte, chi dorme e chi no, chi sta bene e chi no.
#me
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Tratta come ti trattano
Correva l’anno 2012 quando aggiunsi su Facebook un ragazzo che trovavo molto carino, era più grande di me e abbastanza conosciuto in giro. Gli scrissi “ci conosciamo?” e in quel momento iniziò tutto quanto. Nel primo anno ci siamo soltanto sentiti per telefono, nel secondo scattò un bacio e nel terzo feci le mie prime esperienze di sesso orale con lui, nel suo garage. Mi fece provare, insegnandomi con una delicatezza difficile da trovare in qualsiasi altro ragazzo.
Nonostante questi piccoli episodi da “scopamici” se così si può definire, lui era innamorato di una ragazza da parecchio tempo ed io mi stavo frequentando con un altro, quello con cui persi la verginità a 16 anni e mezzo. Passarono mesi, però la relazione non durò molto, lui mi tradii e io mi sentii sporca dentro (ma questa è un’altra storia).
Dopo essermi lasciata, mi sono accorta che stava nascendo qualcosa con il ragazzo di cui parlavo all’inizio. Sì, quello che non mi aveva mai giudicata per le mie foto in intimo girate ad Aosta o per quella storiella falsa sul sesso anale. Mi è sempre stato vicino e quando piangevo e a volte andavo sotto casa sua per sfogarmi, lui con un abbraccio mi faceva sentire protetta. Ho sempre avuto bisogno di qualcuno che mi dia attenzioni e mi faccia sentire importante.
Iniziò a corteggiarmi all’inizio del 2016 e alla veillà mi dichiarò tutti i suoi sentimenti, eravamo nelle scale della casa di mio papà. Quella sera, per la prima volta, ci baciammo in modo diverso, un bacio intenso e passionale. Poi mi salutò dicendo una frase che porterò per sempre in me: “vediamo che vince, TESTA O CUORE”. Io non ne volevo sapere di fidanzarmi perché ero appena uscita da un periodo veramente brutto. Nonostante ciò, lui continuò a corteggiarmi, a cercarmi, a chiedermi di vederci e a volermi ogni giorno di più. Fino a quando io partii a Riccione per 18esimo, proprio lì mi accorsi che non guardavo nessun altro perché dentro di me stavo cominciando a provare qualcosa di forte per lui.
Le prime volte che andammo a letto fu terribile, scoppiavo a piangere e non riuscivo a lasciarmi andare. Sono serviti mesi e dopo alcune litigate siamo riusciti ad andare oltre, mi sono innamorata di lui. Stavamo sempre insieme, facevamo l’amore quasi tutti i giorni e non riuscivamo a staccarci mai. Eravamo belli da morire, una coppia piena di amore e così lo presentai alla mia famiglia. Lo adoravano, soprattutto mio padre, si trovavano molto e passavamo le serate tutti insieme. Finalmente dopo tanto tempo mi sentivo a CASA.
Come meta del nostro primo viaggio scegliemmo Firenze, passammo 4 giorni intensi. Purtroppo però, tornati, iniziarono le difficoltà... Lui iniziò ad uscire tutti i week end con i suoi amici, per andare a bere ed io stavo a casa ad aspettare un suo messaggio. Piano piano, mi trascurava sempre di più e così litigavamo spesso perché lui non c’era più per me. Non voleva stare con me, preferiva altro e questo mi feriva facendomi tanto male. Cercai di accettare la situazione e di lasciarlo libero come mi aveva chiesto, ma era difficile. Con il trascorrere dei giorni mi rendevo conto di stare cambiando, non ero più la stessa, piangevo la notte e non avevo più voglia di uscire, di mangiare, di divertirmi. Volevo solo stare a casa, non stavo più bene e mi sentivo sola. Cercai di accettare per il quieto vivere di entrambi ma poi arrivò l’estate e lui mi lasciò, dicendo che era confuso e che aveva bisogno di una pausa. Quando tornò da quel viaggio a Ibiza io fui lì, ad aspettarlo e ad urlargli che mi mancava come l’aria. Lui mi disse che potevamo riprovarci a condizione che io non gli rompessi più di tanto per le sue uscite. Accettai tutto perché io lo volevo e avrei fatto qualsiasi cosa per riaverlo. Anche a costo di stare male e di accettare cose che non fanno parte del mio essere.
Arrivò l’estate del 2018, mi lasciò un’altra volta, circa un mese prima della mia maturità. Sparì senza nemmeno farmi gli auguri, e io conobbi un altro ragazzo ma non riuscivo a provare nulla e troncai subito il rapporto. Lui lo scoprì e mi mandò un messaggio dove mi diceva le peggio cose. Ero furiosa e triste allo stesso tempo, io sapevo che in quel momento avevo cercato attenzioni da “chiunque” soltanto perché lui era scomparso, non mi ha degnata nemmeno di un messaggio per due fottutissimi mesi, gli sono passata vicino e non mi aveva nemmeno salutata. Mi sono sentita abbandonata, come quando i miei si lasciarono ed io, una piccola ragazza indifesa, avevo solo bisogno di qualcuno al mio fianco in una tappa così importante della mia vita, ma lui ha preferito andarsene dicendo che non sopportava il mio stress e la mia ansia per la scuola.
Era luglio, trascorsero giorni e finalmente le cose sembravano migliorate, la fiducia si stava recuperando piano piano e stavamo tornando una coppia stabile. Però dentro di me, sentivo qualcosa che non andava, che non sapevo ma che avrei dovuto scoprire al più presto. Finché, in una notte di ottobre, mentre lui stava dormendo da me, io gli presi il telefono e guardai i messaggi, trovando cose ASSURDE, parole indecenti scritte da lui. Mi sentii talmente male che ebbi un attacco di panico, andai in iperventilazione, ero bloccata con tutti i muscoli rigidi, piangevo a dirotto e volevo soltanto sparire da questo mondo. Lui sentendomi così si svegliò ed io gli chiesi subito di chiamare mia madre, così fece e gli chiesi di andarsene senza dirgli la verità. Raccontai tutto ai miei genitori, mi aveva uccisa, aveva tradito la mia fiducia, mancandomi di rispetto da mesi, mi aveva pugnalato il cuore, lo stesso che all’inizio aveva aggiustato con tanta dedizione. Con lui feci finta di niente per qualche giorno, ma poi ho sbottato dicendogli tutto, volevo vederlo per l’ultima volta per dirgli in faccia quanto mi faceva schifo, ma lui prima di vedermi ovviamente aveva già cancellato tutto. Alla fine della lite, al posto di assumersi le sue responsabilità, mi disse che era colpa mia perché gli avevo nuovamente violato la privacy, così me ne andai e non lo vidi per un po’.
Lui tornò chiedendomi scusa e dicendo che la “verità” era che con queste ragazze ci si era solo scritto ma non aveva fatto nient’altro. Io come una stupida innamorata, con i prosciutti sugli occhi, gli credetti e tornammo insieme. Lui continuava a farsi i cavoli suoi, ogni fine settimana, ed io mi stavo stufando di questa situazione costante; al posto di riconquistare la mia fiducia, preferiva pensare a se stesso. Perciò, il giorno di Natale decisi di liberarmi di tutto ciò che avevo dentro, dicendogli che così io non ce l’avrei fatta a continuare la relazione perché stavo troppo male. Poi, forse sbagliando, gli guardai di nuovo il telefono, stavolta però lo svegliai di colpo e litigammo a morte urlando tutta la notte, scesi scalza in strada per dirgli di restare e supplicandolo di dirmi la verità, ma lui se ne andò.
Trascorse un mese, mi arrivò un messaggio con scritto di scendere in garage, scesi e trovai un orso enorme con un biglietto con sopra scritto <scusami>. Gli scrissi ‘grazie’ ma non volevo più sentirlo, lui aveva timore di perdermi sul serio perché per la prima volta mi vedeva decisa a stargli lontano, si presentò sotto casa mia e trascorremmo diverse sere in macchina abbracciati. L’attrazione fisica era troppa e l’amore, beh quello non mi aveva mai abbandonata. Lo perdonai un’altra volta, con la promessa che sarebbe cambiato e che mi avrebbe messa al primo posto. Ma così non fece, mi ha soltanto illusa senza mantenere la parola data.
Era marzo, poco prima del mio 21esimo compleanno, e semplicemente non ci siamo più risposti ai messaggi, è stata una cosa reciproca. Io continuavo a guardare il suo Instagram con la speranza che venisse a prendermi e mi portasse ovunque. Bene, ciò non accadde, ognuno andò per la sua strada e così ci perdemmo, si, parlo di un noi ipotetico in cui probabilmente ho creduto soltanto io. Speravo potesse diventare lui la mia famiglia, il padre dei miei figli, ma avevamo desideri e obiettivi troppo distanti e due caratteri totalmente incompatibili.
Finisce così, un amore folle, non avevo nient’altro da dirgli, se non le stesse cose che ripetevo da due anni. Lui ha deciso di andarsene ed io questa volta ho deciso di non tornare.
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aldociambra-blog · 7 years
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You are here: Home / RISVEGLIO SPIRITUALE RISVEGLIO SPIRITUALE  . Viviamo nell’Era del risveglio spirituale. Un numero crescente di persone sente l’anelito ad allargare il proprio orizzonte di percezione, a cambiare stili di vita e ridefinire priorità, bisogni e relazioni. Lo sviluppo della consapevolezza può ora essere nutrito da un vasto numero di stimoli, che volendo sono alla portata di tutti, cosa nuova nella storia spirituale dell’umanità su questo pianeta. Siamo inoltre beneficiati da vibrazioni elevate provenienti da altre dimensioni, con le quali stiamo imparando a interagire per il nostro massimo bene. Sorgono allora spontanee delle domande. Dove stiamo andando? A che serve tutto ciò? Che cos’è il risveglio spirituale? A cosa ci porta? Chiarire questi punti servirà forse a farci prendere consapevolezza del momento che stiamo vivendo, di quanto ne siamo coinvolti, e del perchè siamo qui proprio ora. Per il CORSO INTENSIVO DI RISVEGLIO clicca QUI direttamente. . 1. Risveglio spirituale: che cos’è? Il risveglio spirituale è un insieme di fenomeni che comportano un cambiamento di percezione: l’individuo si sente chiamato a contattare realtà o aspetti di sé e dell’universo, ai quali prima non dava importanza, o dei quali ignorava completamente l’esistenza. Dapprima intuisce, e poi realizza pienamente, che la vita vera non è la piccola vita ristretta così come ce l’hanno insegnata, non è la vita meschina dettata da abitudini e gesti meccanici; la vita vera si svolge in un altro ambito: quello dell’Essere, dell’unità, della presenza, della crescita; la vita vera è quel fiume sotterraneo silenzioso che scorre pieno d’energia, in unione con tutti gli esseri, e che finalmente può essere contattato, visto, esplorato, fino a essere riconosciuto come il fulcro, il SE’, il Divino. E’ completamente risvegliato chi ha conseguito l’illuminazione spirituale e percepisce, vive, interagisce da quello spazio. Colui che è in un cammino di risveglio spirituale intuisce di vivere simultaneamente in più dimensioni di esistenza, “sente” che è un essere multidimensionale, e che il cammino stesso serve a estendere via via la consapevolezza alle molte, infinite, dimensioni che si intersecano e danno forma alla sua percezione. Letteralmente, risveglio spirituale significa “risveglio dello spirito”: attenzione cioè posta sul senso spirituale dell’esistenza; ciò attiva l’interesse e la capacità di vedere oltre le apparenze, e di aprire il cuore e la coscienza a far esperienza di una vita più piena e ricca di senso. . 2. Svegliarsi da un sonno Cosa significa risveglio? Il termine stesso indica che prima stavamo dormendo. Chi ha un’esperienza di risveglio lo comprende senz’altro: non puoi accorgerti che fino a un istante prima stavi dormendo, finché non ti svegli! Non è possibile che tu ti accorga di dormire, continuando a dormire. Sembra una banalità, invece è un’evidenza importante da considerare, per comprendere che cos’è il risveglio spirituale, di che cosa si tratta. Ciò ti è utile per riconoscere dove sei, per renderti conto se ti stai risvegliando, e per inquadrare nell’ottica giusta certi fenomeni, che altrimenti saresti portato a giudicare negativamente. Quindi ricorda: quando incominci a renderti conto di quanto sia profondo il tuo sonno, vuol dire che ti stai risvegliando; quando inizi a diventare consapevole di certe auto-limitazioni assurde, di certe cecità, e le lasci andare, è perché ti stai stiracchiando e stai uscendo dal sonno; quando incominci a imboccare con slancio la strada del tuo cambiamento, sei desto. Il timore di risvegliarsi e non accorgersene, è infondato, perché è proprio lo stato di risveglio che ti fa accorgere di te e che ti da la giusta misura di ciò che ti sta succedendo. Sì, funziona proprio come quando ti svegli al mattino: poco prima dormi, sei incosciente, non ti accorgi di te stesso, di ciò che accade, sei immerso nel sonno, e poco dopo sei sveglio; un istante prima le tue funzioni vitali sono a riposo, vanno al minimo, e un istante dopo si attivano per permetterti di interagire col mondo: sei passato dallo stato di sonno allo stato di veglia, dall’incoscienza alla coscienza. Il risveglio spirituale è il passaggio dallo stato di sonno spirituale allo stato di illuminazione spirituale. Quale parte di noi dorme o dormiva? Di che tipo di sonno stiamo parlando? E’ evidente che non si tratta del sonno fisico, ma di un sonno spirituale: apparentemente si vive, apparentemente al mattino ci si sveglia e si affronta la giornata, si fa quel che si può e si “tira a campare”, ma la nostra vita non è completa, e lo si può vedere nell’insoddisfazione e nei problemi che affliggono la coscienza dormiente. Intanto che ci si muove appiattiti nel solito “tran tran”, la Vita Vera si sta svolgendo da un’altra parte, e finché si dorme non si sa dove sia. Sonno spirituale è oblio della Vita Vera, è vivere una vita solo apparente, svuotata però di energia e quindi priva di senso, di direzione e di gioia. Lo stato di sonno spirituale fino a pochi decenni fa era considerato “normale”, accettato socialmente; il risveglio accadeva a pochissimi, per alcuni si trattava di sprazzi di luce che presto si interrompevano per lasciar posto al sonno di sempre, i più dormivano sonni beati. Ora le cose stano cambiando perché sempre più persone si stanno risvegliando, anche grazie alla Nuova Energia e alla maturazione della coscienza collettiva. Ci stiamo avvicinando alla cosiddetta “massa critica”: ben presto essere risvegliati sarà considerato normale, e non più una stravaganza di pochi individui fuori dal coro. . 3. La sveglia Il risveglio fisico che ti succede ogni mattina, avviene o spontaneamente dopo che ti sei fatto una bella dormita, o in seguito allo squillo di una sveglia. Allo stesso modo il risveglio spirituale può accadere spontaneamente quando l’anima è matura e ha trascorso diverso tempo nella condizione di sonno, oppure può essere provocato da una sveglia: sopraggiunge un evento, esterno o interno a noi, che crea una discontinuità. Può essere un lutto, un brusco cambiamento, una malattia, un rovescio di fortuna, o anche un incontro; può essere una nuova disponibilità a guardarsi dentro, accorgersi che qualcosa si accende e richiede attenzione…. Sono esempi di cesura, di nuovo inizio: sono sveglie di cui l’Universo, o se preferite il Divino, si serve per ridestarci dal sonno spirituale. Gurdjeff chiama la sveglia “shock addizionale”, altre tradizioni spirituali utilizzano la vibrazione del gong per indicare la coscienza che risveglia se stessa. L’antichissimo simbolo dell’OM raffigura 4 stati: la veglia, il sogno, il sonno profondo, e lo stato di risveglio spirituale o suprema realizzazione, che trascende i precedenti. L’intensivo di illuminazione è una potente sveglia: un corso finalizzato a risvegliare la tua consapevolezza e a farti addentrare nel tuo risveglio spirituale qualora tu sia già risvegliato o abbia già avuto esperienze o sintomi di risveglio. Un sonno lungo molte vite può richiedere più sveglie: non è raro oggigiorno incontrare persone che raccontando di sé e di come è cambiata la loro vita, riferiscono di più fatti concomitanti che hanno contribuito a risvegliare una nuova prospettiva con cui vedere le cose, un nuovo sentire, nuove attitudini. Chi si sta risvegliando è facilitato dalla sincronicità dell’esistenza: scopre via via sempre più profondamente che nulla accade per caso, che tutto è governato da un disegno divino che conduce al massimo bene. . 4. Risveglio della consapevolezza Da quanto detto sinora, appare chiaro che per sonno spirituale si intende quello stato in cui dorme la nostra parte spirituale: la consapevolezza, la facoltà umana più elevata, quella in grado di farci evolvere, di liberarci e di farci cogliere un senso nell’essere qui sulla terra. Il risveglio spirituale è il risveglio della consapevolezza: è l’auto-riconoscimento che sei un essere di luce, che sei Dio, e che tra te e Dio non c’è differenza, non c’è separazione. Questo auto-riconoscimento non è una semplice informazione, non è un’idea o una convinzione. La consapevolezza non è fatta di concetti presi a prestito, ma è qualcosa di assolutamente originale, di vivo e di unico. La consapevolezza non è fatta di pensieri, ma di verità. Quando la consapevolezza si risveglia, tu sai, perché finalmente percepisci, e ciò forma la tua stessa strada. Il corso intensivo di illuminazione è chiamato anche “intensivo di consapevolezza” per indicare che l’intensificazione del lavoro di consapevolezza è la strada verso il risveglio. . 5. Cambiamento della percezione Il risveglio spirituale è un processo di cambiamento del modo di percepire se stessi e il mondo. Si comincia a vedere le cose da un’angolazione diversa: la prospettiva cambia perché mentre si dorme si considera con la mente, quando si è risvegliati si guarda con la consapevolezza. La mente nel suo gradino più basso, la mente condizionata, è un meccanismo automatico che va avanti per conto suo e ti tiene addormentato. La mente che mente ti fa credere che la tua vita possa scorrere felicemente senza di te, mentre tu dormi. E così nello stato di sonno spirituale alla guida della tua vita vi è una sorta di “pilota automatico” che non hai programmato tu, pertanto non sai dove ti sta portando e perché: ne derivano sofferenze di ogni tipo. La mente condizionata è stata programmata da tutti tranne che da te: come puoi fidarti? Essa è stata programmata da genitori, avi, insegnanti, preti, figure influenti, società… essa è il frutto di tutti i condizionamenti e le memorie di tutte le vite che hai vissuto nelle tue incarnazioni. La mente condizionata esige che tu permanga nello stato di sonno, perché sa bene che non appena ti svegli, non appena ci sei, si accende in te la tua facoltà più alta, la tua consapevolezza, l’unica in grado di fermare l’automatismo e rimettere le cose a posto. Nello stato di sonno i vari fenomeni appaiono casuali e sconnessi gli uni dagli altri, e tu tenti di capirli attraverso ciò che ti hanno insegnato gli altri e che credi sia frutto del tuo pensiero, invece non lo è: tant’è vero che ogni conoscenza a cui puoi arrivare mentre sei addormentato è una conoscenza parziale, confusa e contraddittoria. Se fosse davvero farina del tuo sacco, non avresti tutta quella confusione, non saresti preda del dubbio, del conflitto, dell’ignoranza e della presunzione. Un attimo prima credi di aver stabilito qualcosa di certo, un attimo dopo affermi esattamente il contrario e magari non te ne rendi neanche conto. Questo succede perché nello stato di sonno non percepisci le cose come realmente sono, ma attraverso la distorsione del condizionamento: stai sognando, esattamente come quando dormi nel tuo letto. E’ evidente che il sogno -sia quello notturno che quello spirituale- non ha alcun valore di verità; può contenere delle tracce di verità, che possono essere colte solo da una consapevolezza sveglia, ma non ha valore di verità oggettiva. Nello stato di risveglio tutto appare chiaro e connesso: c’è lucidità perché finalmente ci sei, sei presente. La consapevolezza è il tuo nucleo divino, e quando è desta è in grado di unificare i fenomeni, collocare ogni cosa al suo posto e nel giusto rapporto con tutto il resto: sei finalmente in grado di percepire dal tuo centro. La vera conoscenza è la visione consapevole e integrata, che avviene ad un piano superiore rispetto a quello in cui dormivi. “Ubi maior, minor cessat”: laddove la consapevolezza è risvegliata, cessa la mente in quanto interferenza. La mente sopravvive come struttura funzionale alla vita sulla terra, ma non spadroneggia più su di te; la mente risvegliata impara a servirti, apprende dalla consapevolezza. E’ ciò che si intende parlando di “mente amica”, ed è ciò che nel Buddhismo Tibetano si intende col termine “chiara mente”. Con il risveglio spirituale ha inizio un processo di addestramento della mente, che viene riprogrammata a partire da ciò che si è realizzato con la consapevolezza. Il vecchio programma, fatto di schemi ripetitivi e frammentari, viene via via lasciato andare a livelli sempre più profondi, viene cancellato e sostituito col nuovo, che utilizza alcune delle forme precedenti, arricchite però di una funzione e di un significato completamente diverso. E’ ciò che si intende quando si dice che un individuo che ha conseguito l’illuminazione spirituale usa la personalità: non modifica se stesso, non ce n’è bisogno, il “trucco” del cambiamento positivo è tutto nella consapevolezza, più ti risvegli a te stesso, più sei in grado di utilizzare nel modo migliore ciò che già hai.
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18 Gennaio 2017 “Più importanti delle persone con cui si beve la birra la sera, ci sono quelle con cui si beve il latte, o il caffè, al mattino.” Ho trovato questa frase a mezzanotte, mentre scorrevo la mia dash su Tumblr. Non saprei dirti per quale ragione, probabilmente per il "caffè al mattino", mi sei venuto in mente tu. Solo che non volevo riempirti di messaggi. Sai bene che ti penso e che ti scriverei anche mille messaggi ma domani hai scuola, quindi non converrebbe se ti mettessi a leggere tutto in prima mattina, più che altro magari rischi di perdere tempo e arrivare tardi, non conviene. In ogni caso non so. È mezzanotte e mezza precisa. Non ho sonno. Ti penso. Mi manchi. Hai ragione, sei facilmente amabile. Non saprei dirti se è un pregio o un difetto. Perché comunque questa cosa come ti avvantaggia, ti svantaggia anche. Ma in ogni caso va bene così, l'importante è che nessun'altra oltre me si innamori di te. Altrimenti faccio una strage. Dio, se faccio strage. Ammazzo tutte. E poi sei costretto a stare per sempre e solo con me. Eh, già. Eh, già. So solo che mi dispiace non vederti sempre. So solo che spero tu venga il prima possibile a vivere qui. Mi manchi. E se dovessi elencarti tutto ciò che mi manca di te farei mattina. Te le scriverò più tardi. Ora è mezzanotte e 52. Ho anche giocato un po' col telefono. Ho scaricato un paio di giochi stupidi e nuovi, giusto per passare il tempo. Dici che mai ci rivedremo? Dio se mi manchi. So che te l'ho già detto tante volte.. Ma mi manchi davvero tanto. Pomeriggio ho amato tanto la chiamata da un'ora. Dovremmo farle più spesso. Tu parlavi, io ridevo e boh, mi sembrava di averti qui. Pensa che mi manca perfino quando fumavi la sigaretta elettronica addosso. Nonostante ti avrei ucciso. Chiariamolo. Metto un sacco di punti per ogni volta che vado a capo. Segnano un messaggio inviato e boh, è carino mettere i punti a fine della frase. Non è carino? Sì, è carino. Punto. È l'una e ventitré. Sono appena entrata su WhatsApp. Tu stai dormendo, a quanto pare. Fai bene a dormire. Beato te. Ho riguardato tutte le nostre foto. Continuo a pensare che se non fossi uscita con te il 29 mi sarei persa il mondo. Mi sarei persa il viaggio a Pavia. Mi sarei persa i giri per Pregnana. Mi sarei persa le soste ai parchi. Mi sarei persa il tempo al bar. Mi sarei persa le colazioni migliori. Mi sarei persa anche i viaggi a Milano o a Rho. Beh, magari a quest'ora il pacchetto di tabacco sarebbe ancora pieno, però mi sarei persa tutto. A proposito di tabacco. Mica preferivi le sigarette? Eh? Hai scoperto che conviene di più il tabacco? Nonostante lo sbatti è quello di farle? Eh. Boh, torniamo a tempo fa e domani ci vediamo? Alla fermata vicino a casa mia? Ci passo ogni mattina e non ti vedo mai. Quando torni? Torna dai! Rileggendo i messaggi sembro depressa. No, non lo sono hahaha È solo che non riesco a dormire e non ti scrivo. Dai, domani ti faccio leggere ciò che scrivevo pensandoti. Così mi blocchi e sparisci dalla mia vita hahaha. No scherzo, non te ne andrai mai. Perché l'ho deciso io. Sai già troppe cose. E in più mi ami. Quindi non te ne andrai. Fine. Sono le due in punto. Che bello, non ho ancora sonno, ma ancora ti sto pensando. Ho stalkerato tutto il tuo profilo Instagram. In un musical.ly tua madre ti ha commentato sotto hahaha, l'adoro. Poi ho visto che l'ultima foto che hai messo, quella con me. Un sacco di tipe che segui ti mettono like. Ma quanti omicidi dovrò fare? Non mi bastano i proiettili che ho! Ho capito, vado ad affilare la Katana. E se tu non fai il bravo la uso anche per affettarti. Ho visto anche che tuo papà ti mette like. Anche mamma prima me li metteva, poi ha visto una foto con la sigaretta e ha smesso. Sai che i miei sanno che fumo, mi pare. Papà non la prende a male, perché anche lui fumava da giovane. Fumava con il fratello di mia madre prima di tornare a casa, dopo che era stato da lei. E non fumava solo sigarette. Quindi non dice nulla. È mia madre quella che rompe il cazzo. Minchia se lo rompe. Quando inizia a parlare del male che fanno non la smette più. Pensa che una volta da quanto parlava avevo pure intenzione di buttare il pacchetto. Non l'ho fatto, però. Hahahaha, ti pare che vado a buttare via un pacchetto da 20 che avevo appena comprato? Nono, guarda. Non ci tengo. Mi ha scritto un mio ex compagno di classe, qualche minuto fa. Era con me in seconda superiore poi ha cambiato scuola. Niente, ci siamo messi a parlare di tatuaggi e mi ha chiesto se vado con lui a fare il prossimo. Conoscendolo ci proverà, perché prima ero troppo piccola per lui e in quel periodo ero fidanzata. Non ci tengo. Tengo solo a te. Vorrei evitare di fare casini, solitamente non ne combino mai una giusta, quindi non vorrei farne altri. Ma soprattutto non voglio fare casini con te. Perché? Beh, perché ci tengo. Magari tu dirai che non è vero perché a volte magari non sembra. (Come quando eravamo a Milano con Celeste, Matteo e Nicoló) Ma se non ci tenessi non starei qui a scrivere. E non so dimostrare quello che provo. Non ne sono mai stata capace. Ceh, devi essere veramente paziente a sopportarmi e a non incazzarti con me. Per questo ti dicevo "ne sei sicuro?" Perché mi conosco e so di essere ingestibile. Ci perderesti dietro una vita a capirmi. Quindi dirò chiaramente che tu mi piaci. Sei iniziato a piacermi pian piano quando al posto di starti difianco sul treno, appoggiavo la testa sulla tua spalla. Quando non ero più fredda nel gesto del "darsi il bacino sulla guancia quando ci si saluta". Io che odio il contatto fisico. È una cosa che proprio non concepisco. Mi devo fidare io di fare il primo passo per far sì che tu possa avere a che fare con me. Infatti, se ora ci pensi, prima ti stavo dalla parte opposta del sedile. Poi ho iniziato a mettermi difianco. E infine ho appoggiato la mia testa sulla tua spalla. Beh, poi è un altro conto se pure tu mi facevi spostare vicino a te. Lì anche tu ti sei preso una bella cotta! E infatti hahaha. Ma la cosa più strana. È che volevi baciarmi. Ma non ne trovavi il coraggio. Correggimi se sbaglio. Ma riprendiamo la scena dell'ultimo giorno che ci siamo visti. Sulla panchina. Che ci facevamo le foto. Che ti ho dato un bacio sulla guancia. (Che oltretutto tu non hai immortalato!) Volevi baciarmi eh? VOOOOLEVIII! Ma io sono stronza e l'ho fatto apposta a dartelo sulla guancia. Devi fare tu il primo passo, altrimenti non ha senso! Hahaha Sono le 3:36. Io direi che provo a dormire. Ti lascio con una delle scene di noi due che ho impresso in testa. Non quella del nostro primo bacio, nono. E nemmeno quella dov'è hai provato a dirmi "ti amo tanto" in spagnolo, ma con scarsi risultati hahahah. Quella dove. Sul tuo balcone. Ce ne stavamo lì, a prendere freddo. E tu mi abbracciavi. E il tatuaggio non faceva male. E tu mi stringevi. Avrei bloccato il mondo in quel momento. Dio, se l'avrei bloccato. Buona Luna Lorenzo, torna presto a ridarmi un abbraccio così. ❤ 3:42 Oggi, 18 Febbraio 2017, mi ha dato quell'abbraccio che ho aspettato per un mese!
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maledettaconsole · 8 years
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Doppio post mortem di Pulse Wave: Revenge e Global Game Jam 2017 a Torino
Questo è un doppio post mortem perché parla sia della GGJ17 di Torino in generale, sia del gioco che ho fatto presentandomi, quest’anno, in duplice veste di organizzatore e jammer.
Ho provato a essere breve. Ho fallito!
Nuovo luogo, nuovo inizio
Quarta edizione a Torino. Prima volta in Toolbox Coworking. Perché dove abbiamo fatto le prime tre edizioni non ci stavamo più.
Siamo cresciuti tanto in questi anni, passando dai poco più di 70 della prima jam a più di 180 persone tra jammer, mentor, organizzatori e ospiti di questa. Avevamo bisogno di un nuovo posto dove stare comodi e abbiamo trovato il posto perfetto.
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Toolbox ci ha dato spazi, comodità e una logistica che ha impressionato positivamente tutti quanti.
I jammer venivano a ringraziare per averli portati in un posto dove la collaborazione e lo spirito di gruppo era favorito non solo, banalmente, dalla distribuzione dei luoghi di lavoro ma, anche e soprattutto, dalla presenza e disponibilità di luoghi di relax e svago.
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È stata una jam che, vista come organizzatore, sembrava più nordica che italiana, con persone che si davano il cambio, che dormivano più liberamente anche durante il giorno, che lavoravano meglio.
Tornando a jammare
L’unica jam alla quale ho preso parte come partecipante è stata la Global Game Jam del 2014. Da allora ho solo organizzato, sia Global che MEGA (la jam che, da tre anni, avviene durante gli MTV Digital Days in collaborazione tra T-Union e MTV), che la JamToday (jam verticale sui serious games organizzata in Italia da CPS Piemonte).
Il ricordo della jam del 2014 è fantastico ma anche pesante per quanto riguarda le fatiche dell’affrontare tutte quelle ore di veglia poco preparato e in condizioni fisiche precarie. Per chi fosse curioso di sapere che mi successe c’è il post mortem di quell’anno a disposizione.
Quest’anno però volevo fortissimamente jammare. Quindi, memore dell’esperienza fatta di persona e dell’attenta osservazione degli altri partecipanti negli anni, ero arrivato preparato psicologicamente e fisicamente. E così è stato. Primo a fare il check-in (e grazie tante, li ho organizzati io) e jammer numero 1 pronto all’opera!
Il panico di trovare un gruppo
Il sentimento più forte era quello di inadeguatezza. Voglio dire: sono passati 3–4 anni e le cose nel mondo dei giochi, soprattutto quelli da jam, sono andate avanti.
Alla Global del 2014 c’erano ancora giochi fatti in Flash, e comunque ci sono stati ancora, per l’anno a seguire, giochi in 2D puro. Io di 3D non è che non ne capisco, ma non lo pratico dai tempi di, uhm, 3DStudio Max 5!
Quindi, visto che secondo me “siamo tutti game designer” l’unico ruolo in cui mi sarei potuto vendere era il concept artist o 2D artist. Avrei protuto disegnare e animare personaggi piatti, che sarebbero finiti nel gioco o direttamente così o passati per le mani di 3D artist capaci con i quali avrei collaborato a stretto contatto. Con un po’ di sforzo avrei puntato a fare qualcosa di bello come il prossimo futuro Wonder Boy: the Dragon’s trap. Magari!
E forse avrei potuto fare delle musiche per il gioco, sia perché un po’ me la cavo, sia perché i muscisti e i sound designer sono merce rara.
Interludio 1: più musicisti per tutti!
Appunto. Quest’anno è successa una cosa veramente fantastica.
Un musicista, non di Torino, Flavio, ci ha chiesto di poter partecipare prestandosi alla comunità di appassionati come help desk del suono. Si è proposto di venire, piazzarsi ad un tavolo e accettare richieste da tutti per produrre musica e suoni per i gruppi sprovvisti delle figure necessarie.
Fin qui niente di così strano. Anche l’anno scorso avevamo con noi Lorenzo Salvadori che ha fatto il sound designer di tutti e Aram Jean Shahbazians che ha scritto durante l’ultimo giorno di jam, musiche per cinque giochi che ancora non l’avevano.
La cosa unica che ha fatto Flavio è stato portare con sé il proprio figlio di 9 anni che è rimasto alla jam con noi, andando in giro, provando i giochi, dando consigli e dormendo nel suo piccolo sacco a pelo rendendolo, di fatto, il più giovane jammer che abbiamo mai avuto.
Una passione così forte, nata in questa tenera età, ha il potenziale di dare grandi frutti col tempo.
Allora, ’sto gruppo?
Come spesso accade paure e preoccupazioni si risolvono da sole.
Tornando dall’essermi preso una piadina veloce per pranzo, trovo un paio di ragazzi di AllGoRhythm Studio che stanno in ingresso con una lavagnetta a testa con su scritto “cercasi concept artist”.
Quando ci incrociamo mi chiedono se conosco qualche concept artist da suggerirgli. Io, ingenuamente come mio solito, gli dico che dovrebbero avere vita facile perché, di tutti quelli che hanno fatto il check-in, il numero di artisti del 2D che ho visto era decisamente alto.
Poi Marco, quello alto alto alto, mi fissa e fa: “ma tu sai disegnare!”. E allora Federico mi chiede di partecipare con loro. E visto che ci si conosceva già, anche se non abbiamo mai fatto nulla insieme, e questo mi dava quella sicurezza in più di un gruppo solido capace di lavorare bene su giochi anche di un certo livello, ho subito accettato.
Certo, un secondo dopo mi hanno detto che eravamo in nove (9!) e io ho sempre paura dei gruppi grandi perché sono di gestione difficile (ma su questo tornerò dopo) un po’ di dubbi li avevo.
Via alle presentazioni
Ore 14. Tutti nel salone e via alle chiacchiere degli ospiti.
Uno dei vantaggi di essere l’organizzatore è che, uh, organizzi, e quindi mi sono lasciato un po’ di spazio chiacchiera per me. Ah! Se mi piace parlare. Anche se spesso non dico realmente nulla.
Giusto poco tempo prima della jam avevo giocato un paio di giochi che mi avevano fatto pensare a quanto sia complesso valutare un gioco uscito da una jam, o un’idea mentre si partecipa.
Avevo preparato quindi un “breve” intervento per sensibilizzare sia i partecipanti che i giudici alla valutazione delle idee cercando di guardare più in là delle sole 48 ore dell’evento. Facciamola breve, vi lascio le slide (sono senza video, ma dato il nome del gioco sono piuttosto sicuro che Google aiuta).
Via alla jam
Scoperto il tema, waves, la prima cosa è stata il vuoto, ma tanto avevo da fare.
C’erano da far spostare i jammer nelle sale e riorganizzare il salone per il team forming. C’erano sedie da spostare, tavoli da montare, persone che chiedevano cose. Chi aveva il tempo di pensare ad un gioco!
I primi 15 minuti sono andati via in logistica. Quindi, dopo un po’, sono passato a vedere se il gruppo aveva ancora bisogno di me. Intendo dire che, giusto per essere certo che la cosa avesse un senso sono andato fino al tavolone (un tavolo tutto per noi e un altro a metà condiviso con un gruppetto da tre) e ho semplicemente chiesto se, nonostante fossero già in otto, la mia presenza fosse voluta e necessaria.
Mi hanno detto sì, e così è iniziato il tutto.
Brainstorming. Pausa. Brainstorming. Pausa…
Dura la vita di chi jamma e organizza.
C’è sempre qualcuno che ha bisogno di te e pure in mezzo al brainstorming, iniziato appropriandoci del salottino relax prima di tutti gli altri, c’è stata gente che veniva a chiedermi cose. Mi sono dovuto assentare un po’ di volte per qualche minuto, e mi sono perso parte dell’inizio del pensieri al quale sono tornato a contribuire ogni volta che si poteva.
Dopo un assestamento iniziale però le cose hanno cominciato a girare bene. Eravamo lì, su divani e poltrone tenute insieme con le fascette da elettricista, con un computer per comunicare con il nostro musicista, Matteo, che stava in Francia, e sparavamo idee mischiandole ed elaborandole.
C’era tanta roba sul tavolo, alcune cose troppo “scolastiche” (questo commento me lo porterò dietro per sempre tanto è stato acuto, grazie Marco), altre belle ma complesse, da prototipare bene per capire se avrebbero potuto funzionare.
Si girava a limare concetti quando Marco se ne è uscito con un’idea incredibilmente semplice quanto ricca di potenziale.
Aveva i suoi buchi, ma era buona. Pareva quella giusta, ma volevo pensarci ancora. Abbiamo fatto ancora un po’ di pensiero e, un po’ per gioco, un po’ perché la cosa aveva senso se fatta in un certo modo, ho illustrato un possibile gioco di calcio con le dovute modifiche per stare nel tema.
Dai! Siamo italiani, col calcio si vince facile. E il gioco non sarebbe manco stato brutto per una jam.
Eravamo lì, insomma, con due idee che potevano funzionare. E fu allora che dissi: “facciamo così: prendiamoci un paio d’ore al massimo per fare un prototipo dell’idea di Marco. Se vediamo che è divertente e funziona, lavoriamo su questa. Altrimenti facciamo il gioco di calcio”.
La nostra jam era effettivamente partita.
Ad ognuno il suo
Marco era partito a creare un prototipo. Aveva in testa l’idea di base, era completamente autosufficiente.
Federico, Nicolas ed io ci siamo quindi messi da parte per iniziare a definire ambientazione, stile, storia. Non dico tutte le “5W” ma una buona parte.
Il gioco sarebbe stato uno sport futuristico, tipo il Roller Ball. Lo stile, di conseguenza, doveva essere un’immaginario futuro classico, che pescava da stereotipi del genere.
Nicolas per primo ha suggerito qualcosa legato proprio al filone del retro futurismo, e su questo eravamo davvero tutti d’accordo. Un po’ perché sta tornando di moda, un po’ perché (almeno per quanto riguardava me che avrei dovuto visualizzare il tutto) permetteva un certo livello di astrazione fatto di forme e colori e di palette note alle quali aderire.
Tron era la via, insieme a tutto quello che era l’immaginario neon-reticolato da Blood Dragon a Gridd: Retro Enhanced.
Era divertente, peccato! :P
Neanche un’ora dopo il prototipo c’era. E pure vuoto aveva il suo perché.
Era chiaro che sarebbe stato divertente se fatto bene quindi, mio malgrado, niente gioco di calcio (che poi venga proposto un gioco di calcio proprio da me che lo odio…). Era ora di fare sul serio e dare forma e sostanza a questo gioco.
Mio era il ruolo del concept artist e quindi la responsabilità di tutto l’immaginario visivo e delle interfacce, feedback e qualunque cosa colpisse gli occhi del giocatore. E mio è stato.
Mi sono messo di buzzo buono, facendomi dare da Marco uno screenshot di quanto aveva fatto, per vestirlo per bene, mentre gli altri si dividevano il lavoro per mettere cose al posto dei cubi. Sono stato quindi distratto per un po’, mentre disegnavo lo stage di gioco principale, praticamente l’unica schermata che il gioco avrebbe dovuto necessariamente avere per essere giocato.
In effetti una delle cose vantaggiose di questa idea è che se anche avessimo fatto solamente la parte dove si giocava senza fronzoli, senza intro, senza nient’altro, il gioco sarebbe stato presentabile lo stesso.
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Di lì ad un’ora, circa, avevo fatto la prima bozza di stile, pronta per la discussione con gli altri, dove definivo il mood generale, l’uso del colore e il linguaggio visivo. Sono letteralmente impazziti tutti, all’unanimità. E gonfio di soddisfazione ho veramente capito, in quel momento, che ce l’avremmo fatta senza fatica (più o meno).
Nove persone sono tante
Un gruppo di 9 persone può salvarti la jam come rovinare tutto.
Lo dico perché quando si è in tanti hai certamente più opzioni di backup quando ci sono dei parallelismi da fare, quando qualcuno sa cose che gli altri no, quando si potrebbe, volendo, turnare per poter dormire.
Allo stesso tempo, però, tutti dovrebbero avere da fare e, quando questo non succede, il rischio di sovrapposizioni, di lavorare su cose inutili o che verrano scartate diventa alto. Da questo possono nascere malumori che, se gestiti male, potrebbero portare alla frammentazione del gruppo o al naufragio del progetto.
Fortunatamente a noi questo non è successo. Intendo la frammentazione, anche se un po’ di lavoro sprecato c’è stato. Mentre mi occupavo del mood generale si è partiti, ad esempio, a fare delle prove con i personaggi e, senza un design definito, sono stati messi in piedi dei robottini che sono presto diventati un Iron Man e un Master Chief. Personalmente ero poco d’accordo sull’avere questo genere di personaggi nel gioco da jam (in un eventuale gioco completo gli “ospiti indie” ci stanno sempre), ma ci si poteva fare poco, o mi mettevo a pensare ai personaggi o finivo il resto; inoltre andare a dire un secco “no, non voglio questo nel gioco” non avrebbe giovato all’umore generale. Abbiamo quindi aspettato di avanzare abbastanza per poter rivalutare il tutto. La stessa cosa è successa in parte con la programmazione dell’interfaccia di gioco che stava partendo ancora prima di definire i flussi di ingresso in partita. 
Queste parti di lavoro sono state poi riviste tutti insieme quando, più avanti nelle giornate, ci siamo messi d’accordo su come procedere e, almeno per l’impressione che ho avuto, tutto è andato per il meglio e siamo stati soddisfatti del risultato anche sacrificando un po’ di quanto fatto.
Alla fine essere in nove è stato d’aiuto per tutta una serie di cose tra test e confezionamento finale, probabilmente il momento che più ha visto una strettissima collaborazione.
Interludio 2: una proposta per la gestione di gruppi numerosi
Ripensando ai gruppi tanto numerosi, ai pro e ai contro, un’idea di possibile gestione mi è venuta qualche giorno dopo la jam.
Penso che un gruppo dovrebbe essere composto da alcune figure chiave, nello specifico ci starebbero bene (come fosse un cocktail):
2 programmatori “pro”;
2 game designer, dei quali è sufficiente che uno sia un po’ esperto;
1 sound designer e/o compositore (che già sono rari, uno basta);
2 grafici, concept artist, 3D, 2D, quello che ne viene (non di più perché altrimenti litigano, come dice TheTMO :D);
programmatori meno “pro” a colmare.
In questo caso, un gruppo di 9, ma anche 10, persone viene fuori facile. 
Si affronta la parte di ideazione insieme. Brainstorming senza confini, tirare fuori le idee e metterle tutte sul tavolo. Rielaborare, agitare, mescolare e filtrare.
A questo punto è possibile tenere per buone due idee. Il gruppo ha la possibilità di spartire le risorse doppie su due progetti paralleli e preparare due giochi, usando le risorse singole in comune, e quelle che “avanzano”, prestandosele secondo i carichi di lavoro.
Con l’avanzare dello sviluppo verranno naturali due cose, l’una o l’altra:
il progetto che richiede più risorse riceverà aiuto da quello che ne richiede meno, se questo secondo gioco è a buon punto o addirittura finito;
uno dei progetti muore e/o si unisce all’altro riunendo il gruppo sotto un’unico sforzo.
Penso che sia una possibile soluzione interessante che, alla prossima jam, potrei proporre di applicare ad alcuni gruppi, o al gruppo in cui mi potrei infilare.
E poi, con questo tipo di approccio, forse il gioco di calcio lo avremmo pure fatto!
Jam. Notte. Jam. Ripetere…
Il resto è andato tutto come da copione di una jam perfetta.
Tanto lavoro fatto con passione, sinergia, discussioni sempre costruttive, a volte qualche imposizione ma sempre, spero, non come dittatura ma con motivazioni argomentate con razionalità (ma questo dovranno confermarlo gli altri).
Colpi di genio e collaborazione. Complimenti e strette di mano, pugni d’acciaio e abbraccioni.
E, memore dell’esperienza passata, la notte avevo ben chiaro che c’era da dormire almeno un po’. Ed è per questo che fatta una certa ora mi sono appropriato di uno dei “comodi” divani presenti nei vari ambienti e mi sono messo giù.
Non avevo però considerato che ero, in quanto organizzatore, il detentore della chiave di ingresso uscita al luogo dell’evento. Ed ecco che ogni mezz’ora circa mi suonava la tasca di qualche numero sconosciuto che mi chiedeva: “può farmi entrare?”, “può farmi uscire?”. Sì, dandomi del lei!
Ad un certo punto, sfatto come pochi, ho tentato il colpo grosso, per semplificarmi la vita, e invece ho fatto la più grande cavolata del secolo!
Ho dato le chiavi a Roberto, il lead designer di Brain In The Box, quelli di Voodoo, che si era fermato anche lui la notte per aiutare, chiedendogli se per qualche ora poteva occuparsi del cancello, ma… il numero di telefono che ormai la gente aveva segnato ovunque era rimasto il mio, e il mio telefono era sempre nella mia tasca.
Immagino avrete già capito che la cosa si era trasformata in: suona il telefono, rispondo, vogliono entrare/uscire, cerco Roberto che ha le chiavi, lui va ad aprire, io torno a provare a dormire.
Sono stato un vero idiota, sì!
Sopravvissuto alla prima notte, nuova giornata di jam, e alla seconda notte ci siamo fatti furbi e abbiamo dato chiavi e numero ad un altro dei “guardiani notturni”. Sbagliando s’impara.
Il rush finale
Non si può parlare di rush, perché in effetti non siamo arrivati corti con i tempi del gioco.
Come ho anticipato prima per tipologia e meccanica il tutto era relativamente pronto già a metà del sabato. Il resto del lavoro è stato migliorarlo, aggiungendo pezzi, sistemando meccaniche, calibrando punteggi e feedback, aggiungendo selezione dei personaggi, classifica di fine partite, e tanto altro.
Qualcosa è rimasto comunque fuori. Volevamo metterci fin da subito alcuni power-up per variare l’esperienza in partita. Avevamo già la definizione di tre tipologie e mezza e la programmazione di una era stata fatta. Ma non li abbiamo integrati per la paura di spaccare tutto a poche ore dalla consegna.
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Tutto sommato è andata bene così. Nella durata di 2 minuti che abbiamo imposto alla partita il gioco risultava divertente e non serviva metterci altro.
Abbiamo iniziato a giocarci noi, a fare casino e attirare l’attenzione. Gli altri passavano a giocarci, i mentor, che poi sarebbero stati i giudici per le menzioni locali (la GGJ non è una competizione, ma per aggiungere un po’ di pepe le sedi sono autonome nel creare menzioni e premi a loro discrezione), già ci davano per vincitori (che non mi è dispiaciuto affatto, anzi, però è una situazione strana, devo dire).
Poi qualche grana (parecchie grane) con gli upload dei giochi sul sito della Global. Tutto lento, tutto piantato. Il sito che crolla e va in errore. Il canale Slack degli organizzatori diventa caldissimo con segnalazioni, lamentele e consigli sul posticipare gli upload e la rassicurazione che saranno tenuti aperti i form più del necessario per garantire a tutti di farcela. Qualche giro a rassicurare gli altri e poi, a forza di provarci, ce l’abbiamo fatta.
Il gioco
Giusto! Perché fin qui, del gioco, non ho parlato.
Si tratta di un multiplayer locale asimmetrico dove i giocatori si sfidano per il controllo del centro di un campo composto da anelli concentrici che ruotano in direzioni e velocità diversi.
Scopo del gioco è raggiungere il centro e prenderne il controllo per più tempo possibile. Quando un giocatore è al centro può creare onde d’urto dove vuole per tenere gli altri giocatori lontani.
Sugli anelli sono disposti alcuni monoliti indistruttibili (per ora) che possono essere usati, tenendoseli alle spalle, per non retrocedere troppo quando si è investiti dall’onda d’urto ma non possono essere usati come scudo perché “sono fatti di un materiale trasparente all’energia delle onde” (che lévati!).
Quando un giocatore riesce a prendere il centro a chi lo controllava prima, tutti gli altri giocatori, compreso chi era al centro, tornano al perimetro esterno e si ricomincia.
Finito il tempo di gioco, chi ha più punti vince.
Semplice, forse troppo, ma in gruppo è sempre divertente. E quindi abbiamo deciso che si gioca in 8 su 4 controller, controllando ognuno il proprio personaggio con una leva analogica e usando un tasto dorsale per lanciare le onde d’urto quando ci si trova al centro.
Curiosi? Provatelo!
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Lo trovate sul sito della Global Game Jam ma, occhio, che questa versione funziona SOLO se avete 4 controller collegati per poter passare lo schermo di selezione dei giocatori. Appena possibile sistemeremo un paio di cose e rilasceremo degli aggiornamenti, nel frattempo c’è sempre questo video che spiega come giocare e fa vedere una partita.
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Il team
Fantastico! Tutti quanti appassionati e capaci con una visione dell’obiettivo chiara e personale. Tutti capaci di raggiungere un grande risultato sapendo lavorare insieme anche se era, salvo un paio di coppie, la prima volta.
Eccoli, in rigoroso ordine alfabetico e senza ruoli, perché a parte alcune specializzazioni, tutti si è contribuito a tutto tondo: Matteo Benedetto, Federico Boccardo, Andrea Colombo, Marco Lago, Stefano Mauri, Nicolas Mihoc, Valeriu Moraru, Marco Murgia e Maurizio Nigro.
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La foto ufficiale è un grande classico, ma quella che rende veramente giustizia al team e al gioco, rinforzando il concetto fondamentale del “raggiungere il centro” è stata fatta grazie alla camera 360 che Stefano si era incredibilemnte portato dietro (insieme a mille altre cose che gli sono valse il soprannome di “uomo gadget”). Qui non funziona, ma potete vederla su Facebook. Perfetta!
E la volete sapere una curiosità, che per alcuni potrebbe suonare pazzesca? A parte me, nessuno degli altri ha visto i mondiali Italia ’90
Il game design
Il concetto chiave del gioco è stato chiaro fin da subito. Marco ha avuto questa idea della corsa verso il centro usando i muri come “freno” quando si indietreggiava e così è stato fino alla fine. Non è cambiato nulla.
Ad un certo punto ho proposto di fare in modo che chi avesse raggiunto il centro avrebbe controllato le onde d’urto fino a quando non gli fosse stato rubato questo ruolo da un altro giocatore, puntando anche e soprattutto a rendere le partite più caotiche e a risolvere lo pseudo-problema di round troppo brevi.
Il resto del game design è stato speso sui power-up, quasi tutti opera di Federico e Nicolas. Come detto prima non li abbiamo messi per vari motivi, sarebbe però stato divertente avere la possibilità di incasinare la vita agli avversari con la classica inversione dei controlli, o facendo sparire i muri vicino agli altri o potendo emettere una potente onda d’urto anche senza essere al centro.
Il mio contributo a questa parte è stata la proposta di avere il dodge roll, in modo da poter evitare un’onda d’urto con stile, perché Enter The Gungeon mi è entrato nel DNA.
La programmazione
Non ho molto da dire su questo punto, perché proprio non è il mio.
Marco, Stefano, Andrea, Stefano, Valeriu e Federico — e anche gli altri se hanno contribuito e non me ne sono accorto — hanno fatto un lavoro fantastico con una competenza e una sinergia invidiabili.
Ma la cosa che mi ha impressionato di più è la fedeltà del risultato finito alla visione che avevo in testa.
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La musica
Ho trovato incredibile il lavoro fatto da Matteo, soprattutto considerando che non era con noi e lavorava solo con i riferimenti che gli mandavamo scrivendo e mandando screenshot.
Inoltre la capacità che ha un buon comparto audio di rendere un gioco “finito”, soprattutto in un contesto da jam, è una cosa che sebbene possa sembrare ovvia io ho compreso a fondo solamente durante questa edizione della GGJ.
Fondamentali anche le voci sintetizzate che informano su quale giocatore è entrato al centro e come sta andando la partita indicando, se sono passati un certo numero di secondi, che il giocatore sta “dominando” mettendo pressione agli altri. Immancabile il count down finale che decreta la fine della partita.
La grafica
I personaggi, anche se semplici e squadrati (ma è uno stile, non una mancanza), sono colorati e simpatici al punto giusto.
Durante il brain storming una delle mie idee fisse era un gioco dove dei supereroi si davano battaglia e ognuno di questi aveva nomi, colori e grafica del costume ispirati ad una delle principali forme d’onda; avremmo avuto quindi SineWave, SquareWave, TriangleWave e SawtoothWave.
Avendo questa idea in testa, quando ho realizzato una veloce bozzetto di come mi immaginavo un possibile concorrente per il nostro strambo sport, ho voluto mantenere la caratterizzazione anche in funzione di un possibile futuro fatto a squadre.
Ecco che, lavorando sul modello già realizzato da Maurizio ho solamente disegnato una testa e indicato come le forme d’onda avrebbero potuto presentarsi sul torso. Alla fine le forme d’onda sono presenti sui bolli ai lati del casco, sul torso, e sulla grafica dell’interfaccia utente, sempre con il colore principale del giocatore associato.
L’ispirazione per il caso è principalmente presa da Vanquish, con la visiera irragionevolemtne più in basso di dove dovrebbe essere. La pinna in cima e le strisce colorate sono state messe per creare una superficie colorabile che avrebbe aiutato la leggibilità del proprio personaggio.
Avendo otto giocatori contemporaneamente su schermo ho quindi definito i colori prendendoli di peso dai cavalieri di Knight Squad sostituendo però al bianco un grigio leggermente più scuro (per motivi che illustrerò a breve).
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La schermata di selezione dei personaggio è stata quindi un risultato naturale dove ogni personaggio ha il suo spazio fisso e, per ora, non è modificabile (il giocatore uno è sempre il robot rosso, il giocatore due quello verde, e così via).
Maurizio e gli altri hanno poi avuto un’idea eccellente che è stato il far ballare i personaggi quando attivati dai giocatori, e ogni robot fa un balletto ispirato alla forma d’onda associata, quindi chi ha l’onda sinusoidale fa un’onda morbida con le braccia, chi ha l’onda quadra fa una classica robot dance, e così via. Genio!
L’ultima cosa degna di nota sui personaggi è che, nonostante la testa grossa e le grandi aree colorate, una volta messi nel gioco non erano leggibili come avremmo voluto. Abbiamo quindi provato a mettere un disco colorato pieno sotto ogni personaggio, ma era pesante, quindi un disco bianco con il bordo colorato, ma distraeva, e allora abbiamo provato con un triangolo semi trasparente con il bordo colorato. Ed era perfetto! Non solo aiutava la leggibilità e rendeva chiaro chi si era, ma aiutava anche a leggere la direzione in cui si stava andando. Inoltre, complice la pinna sulla testa, alcuni hanno incominciato a chiamare “squaletti” i robottini, facendo partire un effetto simpatia inaspettato.
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Il colore aveva fatto il proprio dovere su tutti i fronti. L’ultimo consiglio ci è arrivato, dopo una prova del gioco, da Andrea, game designer di Milestone nostro amico che ha giustamente suggerito di avere il puntatore del giocatore al centro, quello che può lanciare le onde d’urto, dello stesso colore del personaggio. Una cosa alla quale fino a quel momento non avevo proprio pensato e che in effetti a posteriori è stata la soluzione migliore.
In effetti, nella progettazione dell’interfaccia di gioco, un posto per questa informazione l’avevo messo, così come gli indicatori di punteggio in-game. Nella volontà di avere queste informazioni periferiche ma raggiungibili a colpo d’occhio avevo però messo anche questa indicazione un po’ troppo in un angolo.
Una cosa che non siamo proprio riusciti a mettere ma che avrebbe dato ancora più leggibilità al gioco, e avrebbe fatto parecchio scena, era la scia che i giocatori avrebbero dovuto lasciarsi dietro. Luminosa e della stessa forma d’onda della squadra di appartenenza del giocatore. Sarebbe potuto diventare anche un ausilio visivo per chi ha problemi a distinguere i colori.
Il resto dell’interfaccia è stata realizzata cercando un forte contrasto con la natura colorata e iper satura di quello che succede a schermo. Ho preso la decisione, quindi, di realizzare le informazioni testuali e grafiche utilizzando solamente font e grafiche bianchi.
Il bianco puro di questi elementi li posiziona naturalmente su un livello superiore al resto dell’azione rendendo immediato per chi gioca comprendere che tutto quello che è bianco non è un elemento di gioco attivo ma uno strato informativo.
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Con lo stesso stile ho quindi realizzato la classifica finale di fine partita dove, un po’ per fissa personali, un po’ per aumentare il livello di competizione tra un match e l’altro, ho voluto rappresentare un podio per i primi tre punteggi mettendo gli altri 5 giocatori sullo stesso piano sotto l’etichetta di “perdenti”.
Per il logo del gioco, dato il font usato già nel resto dell’intefaccia preso di peso da una vecchia locandina del film Rollerball (sport retro futuristico, appunto, fonte di ispirazione per il “tono narrativo” del gioco), ho creato qualcosa che rendesse chiaro il gioco (le onde in espansione dietro a tutto, e che rendesse omaggio allo stile retro futurista ma con una nostra identità più marcata.
Quindi sì al doppio stile delle scritte, con una più geometrica e principale — Pulse Wave: — ma senza cromature e effetti di luce, puro bianco anche qui, e una più sopra le righe — Revenge — elaborata anche in questo caso partendo da un font script ma trattandola non secondo il canone ma con un approccio simile alle aberrazioni cromatiche da lente che si possono vedere, come effetto in post precessing, agli angoli del gioco.
Chiude il tutto un payoff che ho voluto inserire per chiarire a chiunque che quello che si trovava davanti era un gioco riassumibile in giusto quattro parole: Couch Asymemtric Competitive Multiplayer, scritto con un carattere geometrico semplice e compatto. Che non si dica che noi non si sia stati onesti nel presentarlo.
Per finire, all’apertura del gioco, si voleva qualcosa che fosse un classico dell’era arcade, con una schermata che in accompagnamento con la musica, attirasse l’attenzione. E con una grafica neon satura come la nostra non c’era niente di meglio che una lenta panoramica di camera sullo stage di gioco. Non abbiamo praticamente dovuto fare nulla, se non creare una scena con l’animazione a volo d’uccello che riprendesse quanto già avevamo, con il logo in sovra impressione e il testo JUST PLAY! come invito secco a giocare.
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Il risultato finale
La jam è stato un enorme successo tra la soddisfazione di tutti, i grandi numeri e la contagiosa felicità che si è respirata durante tutto il tempo.
Il gioco è piaciuto a tutti e la nostra soddisfazione nel farlo è stata totale.
Il lavoro di gruppo, la sinergia e la capacità di comprendersi e, sì, anche di sopportarsi sono i valori che ci ha permesso di raggiungere l’obiettivo.
A fine jam, dopo il giro di tutti i giochi, la giuria ci ha anche promossi con il riconoscimento di miglior gioco della Global Game Jam di Torino.
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Una enorme gratificazione per tutto il gruppo e a me, oltre ovviamente al piacere di aver vinto, resta ancora di più la soddisfazione di avercela fatta, dopo anni di fermo e i dubbi che avevo a inizio jam. A chiudere il cerchio i commenti di molti che ci hanno consigliato di continuare il progetto.
Anche noi pensiamo che valga la pena vedere cosa questo piccolo gioco fatto in quarantotto ore potrebbe diventare con un po’ di tempo, calma e idee ripulite. Tra qualche mese vedremo cosa sarà successo.
Grazie per aver letto fin qui. Alla prossima jam!
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grancasini · 6 years
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È mezzanotte, ventisei giugno, un anno fa stavamo stappando una Peroni e ci stavamo abbracciando perché fui la prima a farti gli auguri. Ti ricordi che quella notte hai capito di provare qualcosa per me, vero? Io mi ricordo quando mi raccontasti tutto, che pensavi fosse nulla e che quando eri partito per il mare avevi provato con altre ma avevi in testa me. Io mi ricordo tutto quello che mi hai detto, mi ricordo tutti i "ti amo" e mi ricordo anche il promeriggio in cui io uscii con le ragazze quando Giulia mi fece capire che io e te eravamo giusti al momento giusto. E così il nostro primo bacio poi e le mille altre cose.
È partito tutto da una serata insieme. Da un "Auguri" gridato mentre ti stringevo forte a me. So che ricordi, hai anche messo una foto di quella serata sulla storia.
Chissà se, nel mentre che postavi la foto, pensavi alle cose a cui ho pensato io quando l'ho vista. Chissà se viviamo ancora in simbiosi, chissà se solo io ho ancora te da qualche parte nella testa.
Io ti auguro una vita così, una vita diversa dalle altre vite, una vita tua, in cui saprai distinguerti dagli altri perché lo sai fare bene e devi solo continuare a credere in te stesso. Mi viene da ridere pensando che tu mi risponderesti 'certo che credo in me, guarda quanto so bello' o una cosa simile perché sei un egocentrico del cazzo e mi fai morire dal ridere, mi fai anche incazzare ma ti amo lo stesso. E sei bello, sì, com'eri bello un anno fa, com'eri bello in quarta elementare e com'eri bello quando i tuoi occhi avevano voglia solo di guardare me.
Sei la persona più bella del mondo e se vuoi te lo dico anche e lo farei se solo non sapessi già il finale. In realtà farei altre cento cose, iniziando dallo scriverti un qualcosa o salutarti, se solo non sapessi che a te non frega nulla. Ti capisco.
Ecco, tanti auguri di buon compleanno amore mio, ti amo anche se non sembra, ti amo anche se non ti guardo in faccia e non posso fare altrimenti. Vorrei tanto parlarti. Sai che ti ho sognato ieri notte? Ho sognato che stavamo ai giardinetti del castello. Tu stavi con le ragazze ed io con gli altri e improvvisamente tu mi prendi e mi porti dietro l'angolo e cerchi di baciarmi. Io ti scanso, ti dico di no perché devo dirti tante cose e tu mi porti non so dove e mi fai sdraiare con la testa sul tuo petto.
E io parlo, ti dico tutto quello che scrivo su Tumblr quando mi manchi più del solito. Ah, ma che dico, mi manchi sempre più del solito. E va a finire che poi ci allontaniamo, tu eri stato tutto il tempo abbracciato a me e io a te e ci congediamo con un sorriso. Mi ricordo che non volevo tornare con te, solo dirti tutto. Dovrei farlo? No, che importanza ha.
Bene, penso di aver detto tutto ma tanto se non l'ho fatto farò finta di scriverti domani notte. Funziona scaricare tutto qui, mi sembra di sentirti un po' meno lontano.
Buonanotte e tanti auguri, anche se stai già dormendo da un pezzo.
Avrei voluto farti gli auguri così, non così secca e fredda come me lo hai fatti tu. Lo sappiamo sia io che tu. In ogni caso, ecco i miei auguri, come dovevano essere, in realtà.
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pangeanews · 6 years
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“Quella volta che mi feci 15 giorni di carcere in Messico, perché mi mancava un timbro sul passaporto”. L’avventura surreale di due italiane all’altro mondo
Dopo nove ore chiuse in un furgone che puzzava di piscio, arrivammo davanti al carcere. Ancora non avevo capito bene in quale parte del Messico ci trovavamo. Nessuno dava risposte. Ci fecero entrare in uno stanzino; eravamo io, Elena e tre agenti messicani. Tutti uomini. Cercavo di mantenere la mente lucida. Ci ordinarono di togliere i lacci delle scarpe, ci sequestrarono prima i contanti, poi i telefoni. “Che cazzo ci fate con 15.000 dollari americani?”, disse uno di loro. “Siamo andate a rubare un po’ di soldi a quei gringos di merda”, risposi. L’agente accennò un sorriso. “Che tipo di lavoro facevate negli Stati Uniti?”. “Lavoravamo come cameriere”. Finita la stagione estiva in Italia, abitualmente andiamo a fare un po’ di soldi in America. Ogni anno cambiamo città, è facile trovare lavoro. Poi, veniamo a spendere tutti i guadagni qui in Messico. Cazzata. Convincente. Elena mi guardò con approvazione. Ci hanno preso le impronte digitali e impacchettano i soldi scrivendoci sopra la cifra esatta. 10.000 erano miei. 5000 di Elena. “Ehi, quelli ce li restituite una volta uscite!”, faccio io. “Valuteremo il tutto quando sarà il momento”, disse il più giovane dei tre. Elena sbiancò. Ci tolsero le manette e un vecchio barbuto ci accompagnò alla cella. “Lei è Lela, è brasiliana, ma capisce abbastanza bene lo spagnolo. Per qualsiasi cosa, chiedete a lei. Buonanotte”. Chiuse a chiave la porta della cella e se ne andò. Io e Elena ci trovammo dentro una stanza piccolissima. Eravamo una ventina, tutte donne e un paio di bambini. Dormivano tutti, era notte fonda. Non c’erano letti e tutti erano ammassati per terra. Elena mi guardò: “Bèh, che dire, buona epifania sorella!”. Scoppiammo a ridere e poco dopo ci addormentammo abbracciate.
*
La mattina mi svegliai di colpo. Elena non era di fianco a me. “Donde està mi amiga?”m chiesi ansiosamente ad una ragazza che mi trovai di fianco. “Tranquila està en el baño”. Il bagno era un buco nel pavimento, separato da un muro divisorio. Non c’era la porta né tanto meno lo sciacquone. L’odore che c’era dentro quella stanza era nauseante. Cominciammo a parlare con Lela. Era stata rinchiusa due mesi prima. Ormai era la capoccia lì dentro. Lei e il suo fidanzato argentino, che alloggiava nella cella di fianco alla nostra, erano entrati in Messico con un passaporto falso. Durante un posto di blocco, un agente si rese conto della cosa e li arrestò. Subentrarono nella conversazione altre ragazze. Alcune, arrestate per prostituzione, erano nicaraguegne. Altre, honduregne, arrestate per spaccio. Un paio, guatemalteche, arrestate per droga. Quasi tutte con bambini. Non so se frutto dell’amore o della prostituzione. “Invece voi, cos’avete combinato?”, chiese una di loro. Presi la parola: “Venivamo dagli Stati Uniti. Decidemmo di arrivare in Messico attraversando la frontiera da Tijuana. Il punto fu che, durante i controlli alla frontiera, gli agenti si concentrarono di più sul puzzo di marijuana che impregnava i nostri vestiti e si dimenticarono di farci il timbro d’entrata nello Stato Messicano. Non ce ne siamo accorte. Fino a ieri sera. Quando un posto di blocco ha fermato l’autobus, sul quale stavamo viaggiando e al controllo documenti, siamo risultate clandestine. Ed eccoci qua!”. “Cazzo. E come mai puzzavate così tanto di marijuana?”, chiese una di loro. “Lavoravamo illegalmente nelle coltivazioni di erba ad Humbolt County, North California. Ma questa è un’altra storia. Piuttosto, mi sapete dire in quale parte del Messico siamo?”. “Tenosique de Pino Sùarez, estado de Tabasco”.
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Lei è Matilde: arrestata in Messico perché non aveva un timbro sul passaporto. Neanche i gendarmi l’hanno fermata
Non c’era orologio dentro la cella. La totale libertà del tempo angoscia. Eravamo divisi in maschi, femmine, gay e bambini sopra i 10 anni. All’interno delle celle non c’erano luci. Misuravamo il tempo dal sole. Durante i pasti era concesso uscire in giardino. Un’ora d’aria e poi di nuovo tutti dentro. Il secondo giorno, durante l’ora d’aria, Elena ha corrotto una signora che passava in quel momento dal marciapiede esterno al carcere. In cambio di un paio di spiccioli che per distrazione non ci erano stati sequestrati, Elena riuscì a ottenere dalla vecchietta un paio di sigarette. Un agente di polizia, vide la scena e il giorno dopo ci fu preclusa l’uscita dalla cella. Il terzo giorno arrivò una telefonata. Era la Farnesina. Aspettavamo con ansia questo momento.
Poco prima che ci sequestrassero i cellulari, riuscii ad inviare un messaggio a Yari, un ragazzo italiano, che viveva in Messico, conosciuto l’anno prima. “Ciao Yari, sono Matilde, sono nella merda, mi hanno arrestato, sono in Messico, ma non so dove sono, avvisa tu mia mamma”. Pensai a lui perché mi dava fiducia. Anche perché, se avessi dovuto avvisare i miei, che cosa gli avrei potuto scrivere? ‘Mamma, babbo, sono stata arrestata in Messico! Ma tranquilli, non mi sono data allo spaccio, semplicemente mi manca un timbro sul passaporto’. Infarto assicurato. La Farnesina ci rassicurò, dicendo che era in contatto con le nostre famiglie e che in giornata Elena sarebbe potuta uscire. Quanto a me, avrei dovuto avere un po’ più di pazienza. Lo stomaco mi si arrotolò come un gomitolo.
*
Dall’Italia avevo preso un volo direttamente per l’America, tre mesi prima di Elena. Dall’America, ero arrivata in Messico attraversando la frontiera da Tijuana, dove non mi era stato rilasciato nessun timbro di entrata. Elena dall’Italia prese un volo per Città del Messico, dove trascorse un paio di giorni, prima di raggiungermi negli Stati Uniti. A lei risultava il timbro di Città del Messico. Io invece risultavo clandestina da una vita. Ero nella merda più totale. Dopo tre giorni di soggiorno, Elena venne rilasciata. Fu straziante. Dallo Stato di Tabasco io invece, fui spostata nel carcere di Città del Messico. La cella era più grande di quella precedente. Ma più cupa e senza finestre. Agghiacciante. Non eravamo più in venti, ma solo in due per cella. La mia compagna detenuta era di Boston e mi stava tremendamente antipatica. Le raccontai del mio lavoro in California e del fatto che si guadagnavano molti soldi. Questa non faceva altro che chiedermi se le prestavo qualcosa una volta uscita. Ma se neanche sapevo quando cavolo mi avrebbero fatto uscire? Un’ora al giorno ci portavano una cassa con della musica che pompava baciate merdose Sud-americane. Questa era, teoricamente, l’ora di divertimento. Per quanto mi riguardava era più una tortura che altro. Due volte a settimana arrivava un carrellino che chiamavano la tienda, che vendeva schifezze, tipo merendine, patatine e sigarette. Ricominciai a fumare. Compravo sempre un pacco per me, un pacco per le salvadoregne e uno per le guatemalteche. Così non avrei avuto problemi con nessuno.
Giorno dopo giorno l’ansia mi divorava. Le paranoie erano diventate le mie compagne di avventure. Il pranzo e la cena erano sempre la stessa minestra: frijoles y arroz blanco. Avevo il vomito. Smisi di mangiare. Più passavano i giorni, più trascorrevo le mie giornate dormendo. Era concessa la solita ora d’aria durante il pranzo e la cena. Io avevo smesso di uscire. Potevo farmi una doccia ogni tre giorni, non più lunga di dieci minuti. Quindici minuti al giorno erano dedicati invece alle telefonate. Quindici minuti spartiti fra: mamma, babbo, fratelli, parenti e amici vari e ambasciata italiana. Un delirio. Un giorno pregai mia mamma di smettere di chiamarmi. Era diventato straziante. Allo scoccare del quindicesimo minuto cadeva la linea. Frustrante. Trascorsi dodici lunghissimi giorni, dentro quella stanza. Fui scortata da Citta del Messico fino a Roma in aereo, con tanto di manette, da due poliziotte messicane che mi seguivano anche fino al bagno. Imbarazzante. Ricordo ancora quando atterrai all’aeroporto di Roma.Un paio di agenti mi accolsero, erano sconvolti dalla situazione: “Cos’hai fatto?”. “Mah niente, mi mancava un timbro sul passaporto!”.
Mia madre perse 15 chili. Tanti quanti i miei giorni trascorsi nel carcere. Mio padre mi raccontò che rimase stesa nel letto per una settimana convinta di non rivedermi più.
Quanto a me, io non avevo voglia di stare in Italia. Tanto meno d’inverno. Atterrai a Roma il 21 gennaio. Il giorno dopo prenotai un volo. I soldi che mi avevano sequestrato me li avevano restituiti. Elena era ritornata in Messico. Avevamo un obbiettivo: viaggiare lungo tutto lo Stato in furgone. Decisi di sfidare la sorte: presi un volo e riuscii a raggiungerla.
Matilde Casagrande
L'articolo “Quella volta che mi feci 15 giorni di carcere in Messico, perché mi mancava un timbro sul passaporto”. L’avventura surreale di due italiane all’altro mondo proviene da Pangea.
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sheis-annie · 7 years
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Quando decisi di aprire The Red Brush, non l’ho fatto per i followers, non l’ho fatto per essere notata, non l’ho fatto per essere etichettata la blogger dei giorni nostri. L’ho fatto per un motivo preciso: cercare di trasmettere le mie passioni, almeno una parte di esse, e una di queste è proprio il make-up. Perché a tutte noi piace il make-up non nascondiamolo, siamo donne, siamo femminili e non siamo maschere. Il make-up non maschera ma crea. E’ originalità, disegno e creazione e pittura, e da grande fan della pittura non potevo che “cercare” di trasmettere questa passione (o arte? Dico troppo?). L’altro giorno però mentre scrivevo l’ennesima review, ho pensato che il blog è il mio, l’ho aperto per emozionare, dare dei consigli e sentirmi sempre più vicina a chi crede in me, alle mie potenzialità e al mio essere semplicemente Anna, quella un po’ buffa, un po’ scontrosa, sempre amichevole e sempre con quei alti e bassi che la contraddistinguono. Essendo io Anna ed essendo mio questo blog mi sono detta perché non raccontare una delle mie passioni, o alcuni dei miei traguardi, come quei viaggi che con molta fatica, molta felicità ma anche con molta libertà sono riuscita a ritagliarmi nella mia complicata vita da giovane ragazza 2.0 (si, facciamo, ragazza)?
Così ho riformulato la domanda in perchè no?  Ed eccomi stasera a scrivere il mio primo travel post (molti travel blog professionisti si sentiranno male nel leggere questo post che sono sicura non rispetterà nessuna delle regole dei travel posts…ma abbiate pazienza!) per tutti quelli che nel bene e nel male mi seguono, credono in quello che faccio, e spero possa essere davvero utile per chiunque voglia intraprendere, per motivi diversi, mete toccate in questi piccoli squarci di parole unite a voglia di scoperta e avventura.
@Anna
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Ecco era primavera quando ho iniziato a dire ai miei l’intenzione di partire, intenzione che non mi hanno negato, ma non vista di buon occhio proprio perchè per loro partire è un po’ un tabù per via dei costi economici, per via della paura e perché non credono nel potere psicologicamente curativo che un viaggio può dare. Un giorno ho deciso però di pensare a me: mi ero laureata da qualche giorno, avevo ricevuto una notizia positiva per alcuni problemi di salute passati, insomma io lo volevo ma io lo meritavo pure quel viaggio, volevo vivere Roma. Così con la complicità delle vacanze del cugino viaggiatore e della sua benedizione nel prendere la macchina e guidare fino alla città eterna, prenoto (in ritardo) il bnb. Botta de culo vicino zona San Pietro, via Cola De Rienzo, Hotel Jolie. Non si tratta di un hotel super lussuoso ma di un due stelle, ottima via, che permette di essere a San Pietro in pochissimo tempo a piedi. Perfetto. Fatto! Si parte prestissimo il 18 agosto con una playlist musicale scelta dalla sottoscritta che non ascolterà mai perché farà il viaggio dormendo (senza dare, ebbene si, alcun tipo di aiuto, che poi c’aveva il navigatore quindi usiamo la tecnologia!). Ah, dimenticavo non è vero che Roma è per gli innamorati o da vivere da soli, Roma è bella, punto. L’importante è avere persone con gusti simili, che abbiano la vostra stessa voglia di vivere la città, l’antichità, l’arte, lo svegliarsi presto e camminare, tanto.
1. Giorno uno: San Pietro/ Castel Sant’Angelo
Primo pomeriggio. Sistemazione in hotel. Sistemata veloce e sotto un bellissimo sole di Roma ci si incammina per San Pietro. Posso mettere le bellezze di San Pietro subito al secondo posto della classifica dei posti da vedere a Roma. E’ bellissima, suggestionante, ricca di arte e bellezze nascoste. Non c’è un unica cosa che non sia bella in San Pietro, anche un non credente non può far a meno di notare quella magnificenza. Domanda che continuamente mi ha balenato in testa? Può l’ingegno umano davvero arrivare a realizzare qualcosa come San Pietro, la Cappella Sistina e quella piazza che in base la prospettiva appare ricca di colonne posizionate in fila indiana oppure, un passo dopo, appare come un insieme di colonne posizionate in maniera rotondeggiante? E’ realmente possibile? E dentro? Ho pianto come una bambina, io che non me lo sarei mai aspettata ma il primo regalo, sotto 40 gradi, il primo regalo me lo ero già fatta. La Chiesa di San Pietro era quel regalo!
In poco tempo ci troviamo a Castel Sant’Angelo, uno dei musei di Roma più belli. Da fuori l’ambiente è bello, spazioso, permette di attraversare un piccolo ponte e fare delle foto pazzesche. Ambiente molto più informale rispetto San Pietro ma una visita la merita, soprattutto se siete in quelle zone. Posizione sesta.
@Anna
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2. Giornata seconda: Piazza del Popolo/ Piazza Navona/ Piazza di Spagna/ Barcaccia/ Fontana di Trevi/ Pantheon/ Altare della Patria/ Colosseo
Imposto la sveglia alle 8:00, piuttosto tardi rispetto la tabella di marcia prestabilita, per riposarci un po’ di più in vista della lunga ma intensa giornata che ci aspettava. il giorno dopo mi sono svegliata alle 7:00 perché l’adrenalina mi scorreva nelle vene più della stessa stanchezza. Alle 9:00 siamo già per le vie di Roma.
Prima sosta Piazza Del Popolo: bella, grande, soleggiata ma piuttosto vuota ancora. Se ne approfitta per un giro di foto alla fontana e delle parti più belle della piazza. Prima sosta per comprare una bottiglia d’acqua in un chioschetto vicino, raga attenti perché 2 bottiglie d’acqua piccole minerali 4 euro, si 4 EURO. Non comprate l’acqua a Roma, morite di sete!
Nel frattempo Piazza Navona. Sosta. Foto. Sorrisi e aggiungo una colonna sonora: All The Small Things – Blink 182. Carica pazzesca ma l’iter è ancora lungo quindi si riparte. Giro ancora una volta la testa verso dietro con quel paio di occhiali neri, fedelissimi compagni di avventura e per una volta non di sfiga pazzesca, ed è tutto così magico, Roma sei sempre magica!
Si fanno le 12:00: e finalmente scorgiamo quella fitta, immensa ed imponente scalinata in Piazza di Spagna. Ricca di persone, piena di colori, di cappellini e di flash che poi che te metti el flash con il sole alto e 40 gradi all’ombra, boh, ma a me piace lo stesso, vedere quella piazza dall’alto e sentirsi impotenti davanti a tutto quello spettacolo. Per fortuna gli scalini si liberano un po’ e io ne approfitto per godere di quegli istanti di magnificenza da cui ormai sono invasa, sono sicura: non c’è qualcosa che non può non piacermi! La parte più bassa della scalinata gronda anche di turisti che attendono impazienti una foto o un selfie in un altro simbolo di Piazza di Spagna, la Barcaccia. Questa particolare fontana a forma proprio di “barca” permette che l’acqua venga raccolta nella parte interna e successivamente, quando questa parte si riempe, ne permette la fuoriuscita nel serbatoio esterno. Sono presenti inoltre altri sei fori, tre a poppa e tre a prua, che permettono la fuoriuscita dell’acqua “a fontana”. Abbiamo proseguito nel viaggio nella famosa Via Condotti, presente in posizione parallela a Piazza di Spagna. Colonna sonora I lived – One Republic. Gerarchia personale dei posti più belli di Roma: quinta posizione.
Arriviamo alla fine di Via Condotti e in un giro che neanche io ho molto capito, sarà stata la fame, la stanchezza, il caldo o semplicemente perché non ci arrivo, mi sono innamorata profondamente, follemente, inimmaginabilmente e tremendamente di quel paradiso che troppi turisti stavano coprendo e più facilmente conosciuto come Fontana di Trevi. Un’atmosfera e un’insieme di arte che portano così tanto ad emozione, non so più come descriverla…foto di rito seduta sulla fontana (che il vigile mi richiama pure). Ah, quarta posizione.
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Sosta ristoro con finalmente acqua compresa nel menù e si continua nel pomeriggio verso l’infinito ed oltre. Next stop: Pantheon. Devo ammetterlo troppo sottovalutato quando in realtà è molto bello. Dentro l’atmosfera si fa sentire tutta, forse momenti giusti per riflettere e pensare o forse no, non c’è da pensare, devi viverti quella bellezza che ti circonda perché poche volte si ha quella fortuna e allora va vissuta. Non la devi sporcare e non la devi infrangere. Parimerito con Piazza di Spagna, quinta posizione.
Arriviamo lì dove ammetto finalmente di aver trovato l’amore, in quel posto che contro ogni previsione è la mia prima posizione, lì dove il mondo si ferma, dove ho capito che non mi sarei potuta aspettare nulla di meglio da Roma, perché stava regalando il meglio, dove con un sorriso enorme ho detto ad alta voce  (lo faccio poco, beccata) al mio cugino/compagno di viaggio “ti voglio bene”. Siamo così a l’Altare della Patria. Quest’ultimo si trova anche in un posto centrale, in una strada larga, quasi che te abitui alla sua vista ma all’interno tutto cambia. Ho deciso di prendere l’ascensore e arrivare in alto. Non ci credevo. Stavo per vedere Roma da uno dei punti più alti, pensai. Ed è vero da quell’altezza ti appare tutta Roma e scorge il Colosseo: che sensazione di libertà, di bellezza che ti avvolge. Se avete con voi delle cuffie consiglio Sei – Negramaro. 
Non solo scorge in lontananza ma stavamo per viverlo. Mi precipito in un’altra epoca entrando al Colosseo. Beh, #chevelodicoafa. Ogni parola sarebbe superflua, bisogna viverlo davvero per fermare il rumore delle auto, i pullman, ciò che ci disturba. Quando vedi i Fori Romani lo capisci ma quando arrivi lì, al Colosseo, ed entri, vieni davvero catapultato in una macchina del tempo che non ti da modo di pensare lucidamente. Mi blocco e, per come sono fatta io, sarei stata ore e ore a guardarlo e a fotografarlo. Terza posizione e Leggero – Ligabue.
@Anna
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  3. Giornata terza: Villa Borghese/ Zona Ambasciata/ Trastevere
Sveglia presto. Colazione. Solita borsa, Iphone al 100% e si va. Che stanchezza quella Villa Borghese, cioè la salita a piedi non ha fine eppure in alto si è arrivati. Questa è forse la parte più instagrammabile per gli amanti del verde e delle miniature decorative. Ogni cosa ha una particolarità, una villa fatta bene, posizionata ottimamente per una visuale mozzafiato e tanto decorata, come dimostrato dall’orologio sull’acqua. Parimerito con Castel Sant’Angelo, sesta posizione.
Trovata la via del ritorno, avevamo già pensato di fare un salto in zona ambasciata per vedere l’altra parte di Roma, l’altra faccia. Hotel che ti devi vendere un rene per soggiornare una notte, ristoranti per sceicchi miliardari che con un rene almeno da Carlo Cracco mangi, lì no. Alle 13:30 ci fermiamo per il pranzo, che poi dove andiamo che ci cacciano appena ci vedono§? Andata per l’Hard Rock Cafè allora. Raga un’insalata e un bicchiere di vino vi viene 20 euro. Neanche il caffè ho preso, mortacci loro! <<Tranquilla, ora andiamo a Trastevere, lo prendiamo là magari>> dice il mio compagno di viaggio esperto. Trastevere raga, è una via lunghissima ricca di mercatini fuori, di piccoli baretti, di tabacchini, di souvenir ecc…fino ad arrivare in piazza. Niente a che vedere con le altre zone, in effetti, ma è molto caratteristica e il bar in piazza, molto buono e particolare per una sosta ma un caffè e un aperitivo 7 euro. Per chi volesse, invece, proprio sostare per un pranzo o una cena, la zona è ricca di ristorantini in stile cascine e trattorie rustiche. Zona non consigliata, si dice, la notte se si è soli, ma credo che ormai nulla sia consigliato in queste circostanze. Qui finisce il nostro viaggio perchè poi l’indomani si riparte, dopo aver fatto l’ultima colazione della vacanza. Roma nel mio cuore!
Per mangiare non abbiamo fatto piani ma entravamo nei primi posti che ci capitavano, eccezione fatta per l’Hard Rock che lo avevamo già stabilito in hotel. In via Cola De Rienzo abbiamo fatto colazione tutti i giorni da Ciampini, credo di aver assaggiato il cappuccino più buono esistente, e non solo. Proprietari gentili e ben disposti con i turisti. Prezzi i tipici (quelli finora elencati). Non abbiamo speso poco a cibo! Un buon bistrot/cafè è quello che si affaccia direttamente sulla Fontana di Trevi (per le amanti di instagram è un “must”). Passando dalle varie parallele che conducono alla Fontana, sono presenti un sacco di ristorantini con menù low cost per i turisti: non ricordo il nome ma in uno di questi abbiamo fatto uno dei migliori pranzi. Per dei ristoranti più luxury e partiolari vi rimando in zona ambasciata e se volete sentire un’atmosfera diversa o semplicemente avete voglia di vederlo consiglio Hard Rock. Accanto Ciampini, per il pomeriggio o per la sera, è presente Vino e Focaccia dove si possono gustare drinks e aperitivi, con contorno di focaccia. Veramente buono, ambiente informale e servizio impeccabile.
@Anna
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Per le amanti di Instagram…devo dire altro?
Una buona Roma a tutti!
Travel Post #1: Roma o Amor? Quando decisi di aprire The Red Brush, non l'ho fatto per i followers, non l'ho fatto per essere notata, non l'ho fatto per essere etichettata la…
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