Tumgik
#tutto d'un brivido
ballata · 1 year
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Da #gliaudaci #giulioperroneditore
Il cellulare di Alessandra con la suoneria del Tempo delle Mele cominciò a squillare canticchiando in toni sempre più alti. Lo aveva lasciato chissà dove senza trovarlo subito e quel momento canoro inaspettatamente lungo, mi catapultò indietro ai miei anni testosteronici, quando ti sentivi in grado di far tutto .La mia corteccia premotoria prese il sopravvento sui movimenti dei muscoli prossimali del tronco, contribuendo alla creazione di uno schema motorio che si gongolava di quegli stimoli musicali e cominciai a muovermi in uno swing melenso e nostalgico ascoltando quel mood. I miei neuroni si sincronizzarono con il sound facendo affiorare pensieri, dando libero sfogo alla corteccia prefrontale e in quel momento i ricordi mi inondarono prepotenti. Essi affluivano misti, impetuosi,veloci. Potevo vedere ineuroni e le loro sinapsi tramutarsi in silenti messaggeri chimici di adrenalina,serotonina, dopamina, molecole di piccolissime dimensioni, tutte insieme provocare risposte immediate, come la percezione di un profumo, il brivido d’un tocco o la reazione di un sorriso; poi stanche, tramutarsi d'un tratto in scintillanti mercuri elettrici, postini neurali, e ancora una volta, sfrigolare e rilasciare vagonate di ricordi, sorrisi, pianti, dubbi e vanità. Ma da dove arrivavano? Come venivano archiviati i ricordi d’una vita? Come venivano catalogati, in base a quale priorità? Non arrivavano alla memoria come fotografie, ma erano scomposti nei loro costituenti primari: colore, sapore, movimento, profondità, intensità, suono. E poi magicamente accadeva il prodigio e appariva la memoria e tutto lì davanti a me, aveva un preciso sapore, un esatto impasto e odorava di vita passata e felice. Filamenti dispersi nelle varie aree del cervello si ricomponevano unendosi come perfette tessere di un mosaico lungo 50 anni, e muti, facevano riemergere il ricordo di una serenità ormai scomparsa, e insieme a un complesso sistema di connessioni cerebrali, procuravanola pelle d’oca.
#robertonicolettiballatibonaffini #romanzo #lettura #libro #soundtrack #memory #mental
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licaliquor · 2 years
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Zack Foster x Fem Reader
characters x reader (serie)
enemies to lovers
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Ero sola,o almeno apparentemente lo ero.
Un brivido mi percosse la schiena,non vedevo ancora nessuno,ma avvertivo la sua presenza,c’era qualcuno. Capii immediatamente che era il momento di fuggire,non sapevo per quale motivo ero dentro una foresta e non sapevo nemmeno come ero arrivata lì ma non ero più sola come sembravo. "Dove si nasconde?" mi chiesi più volte tentando di scrutarlo nell'oscurità. Non che io fossi armata,o potessi batterlo,non sapevo nemmeno se era una persona o un animale ma so cavarmela da sola,non sono orfana da ieri,ormai so fin troppo bene come funziona questo mondo. "Perchè mi sta inseguendo?" continuavo a pormi quesiti mentre correvo,eppure non importava quanto corressi avevo la sensazione che fosse comunque sempre alle mie spalle,non lo avrei mai seminato, come se nonostante la mia corsa quasi disumana, avesse sempre il suo fiato sul mio collo. Com'era possibile? Stavo correndo da tanto,non ero ferma,tuttavia avevo la sensazione d’esser già caduta nella sua trappola. La stanchezza iniziava a farsi sentire,non potevo cedere dovevo continuare a correre,non doveva prendermi. La paura di chi fosse in realtà si insinuava in me e l'ansia mi stava togliendo quel poco fiato che mi rimaneva. “è vero quando dicono che molto spesso fa più paura quando non si vede ciò che ce ne incute.” Pensai attraversando quella situazione. D'un tratto l'ansia aumentò non riuscivo più a respirare,ero ferma,piegata in due in avanti,caduta sulle mie stesse ginocchia a terra. Stavo tentando di calmarmi quando la vista iniziò a oscurarsi,stavo per svenire. Che non mi abbia trovata?... non credo. Cosa sta aspettando ad attaccarmi? Il mio tempo è scaduto,perchè non mi uccide? Buio,persi i sensi.
Mi svegliai ansimante,mi guardai intorno,ero ancora nel letto, era stato solo un incubo. Mi alzai dirigendomi in cucina,intenzionata a bere dell’acqua. Non era casa mia,ma non avendo un posto dove stare ovunque andava bene,anche se come nel mio caso è una casetta di legno in mezzo ad un bosco. Si è chiaramente rischioso ma non ho tempo per pensare alle conseguenze o ai pericoli di vivere in un bosco tutta sola,non ho un soldo e devo mantenermi in qualche modo da quando sono scappata dall'orfanotrofio,anche se in effetti di motivi per vivere non ne ho,non capisco perchè continuare. In ogni caso,posai il bicchiere sul tavolo e mi sedetti sull'unica sedia di quella stanza,dopo poco mi soffermai sulla finestra,fuori c'era una leggera pioggia, “che quadro triste”Osservai istintivamente ma rimanendo comunque amante di quei paesaggi grigi presi una felpa e infilai le scarpe,non mi rimaneva che uscire e godermi quei piccoli attimi. L'umidità era quasi visibile ad occhio,e presto iniziai a sentire più freddo che mai,eppure stare sotto la pioggia mi rilassava,mi sentivo a casa. Non ne ho mai avuta una in verità, tuttavia quando la pioggia iniziava a toccare i vestiti e la superficie della mia pelle mi sentivo finalmente parte di qualcosa,mi sentivo accolta e benvenuta,una sensazione che non provavo da tanto. Una di quelle poche sensazioni che mi fanno spesso fantasticare su come sarebbe stata la mia vita se tutto fosse andato nel verso giusto, fin dal principio. “Chissà perchè il destino mi ha fatto questo? Chissà perchè le cose sono andate in questo modo? La felicità,alcune volte,è un privilegio di pochi.” Riflettei tra me e me. Passati un paio di minuti decisi di rientrare, non volevo ammalarmi non avendo poi le possibilità per delle cure. La felpa era quasi zuppa e le scarpe erano praticamente infangate,la pioggia era aumentata fino a fondersi con il terriccio del suolo ed io non me ne ero nemmeno accorta,ero persa nei miei pensieri. Una volta entrata posai tutto in un angolo,sorprendentemente ero ancora abbastanza asciutta,o almeno i miei capelli lo sembravano.
Dopo poco decisi di provare a riaddormentarmi,quel clima mi rendeva assonnata e sperando di non fare un altro incubo mi diressi verso la camera,aprii pian piano la porta la quale cigolò lievemente e varcai l’uscio. Ma non appena fui dentro,ciò,o meglio,chi vidi nella stanza mi paralizzo alla sola vista,ero convita di essere sola…. ma la figura scura d’un ragazzo ora mi osservava nella penombra della stanza. Riuscivo a scrutare la sua forma e i suoi lineamenti con difficoltà,stava iniziando a fare buio ed egli era posizionato in controluce.
"Sembri in ottima forma nonostante la tua corsa." Esordì con quelle parole alzando il suo sguardo verso di me,in quell’istante notai le sue numerose bende su tutto il corpo compreso il viso ma fermai ogni mia analisi sul suo aspetto a quella frase realizzando che non era stato solo un brutto sogno,era accaduto veramente,ed era lui che mi aveva inseguita per tutto quel tempo... allora perchè non mi aveva uccisa prima? E come sono tornata qui? Perché è qui adesso?
Ci furono attimi di silenzio,nonostante la distanza i nostri sguardi erano dritti negli occhi dell’altro,io tentavo di non cedere alla paura ma l’ansia mi stava dovorando. Lo vedevo avvicinarsi lentamente,ogni suo passo sembrava coordinato ai miei battiti,dovevo inventarmi qualcosa. Riuscivo a percepire il mio tempo scadere,come un ticchettio nella mia testa che segnava quanto mancasse alla mia fine finché non mi voltai con un movimento improvviso e corsi di nuovo in cucina. le mie gambe iniziavano a cedere,in una questione di attimi caddi a terra accanto a una sedia,tentai di rimettermi in piedi il più in fretta possibile provando a sollevarmi aggrappandomi alla sedia con le braccia,ma anche queste ultime erano frenetiche e non rispondevano a nessun comando. Sembrava un incubo,un attacco di panico,mi dimenavo ma ormai ero nella sua trappola e non c’era più via d’uscita. “Puoi nasconderti,ma non puoi fuggire." Lo sentii pronunciare quella frase ridacchiando. Al mio movimento imprevedibile non aveva iniziato a inseguirmi,aveva continuato a venirmi in contro molto lentamente,consapevole che non gli sarei sfuggita e ad ogni suo passo sempre più vicino credevo di star per svenire.
Ero ancora li per terra,con le braccia sulla sedia,provando a rialzarmi,ma l'ansia mi teneva prigioniera. Perchè a quel mio scappare imprevedibile non mi aveva rincorsa velocemente? Perché era sicuro che non avrei corso per kilometri fino a perdere le mie tracce? E soprattutto perché voleva uccidermi? Forse era solo fame di sangue ed in effetti una ragazza sola in un bosco era proprio la vittima perfetta eppure era come se avesse previsto ogni mia mossa,e sapesse ogni mio comportamento,come ad averli progettati lui stesso. Tutto questo era premeditato,non c'era altra spiegazione ed ero consapevole di non poter vincere. Aveva ragione non mentiva dicendomi che avrei potuto nascondermi ma non sarei mai potuta fuggire e sottrarmi a quella sorte.
"Perchè io?..." Quella fu l'ultima domanda che potei pormi prima di vederlo sbattere la porta della cucina sul muro,mentre io ero ancora sul pavimento,a qualche passo da lì ancorata alla sedia. Sapevo di riuscire a controllare a stento i movimenti quindi mi ero rassegnata nel compierli,accettando il mio destino.
In pochi istanti egli era in piedi di fronte a me,con uno scatto calciò violentemente la sedia a cui ero aggrappata scansandola definitivamente,indietreggiai come fosse un riflesso involontario,facendo strusciare i piedi per terra ed aiutandomi con le mani,finché come sospettavo sarei finita con le spalle al muro.
I miei movimenti erano ancora instabili,eppure lui era così sicuro di prendermi che avanzava con calma,i suoi passi mettevano più ansia della sua enorme falce mietitrice,e ad ogni minimo rumore sentivo di perdere un battito.
D’un tratto vidi le sue scarpe fermarsi,non avevo nemmeno il coraggio di alzare lo sguardo e vedere in volto chi sarebbe stato il responsabile della mia morte,il mio assassino all’apparenza inviato dalla morte stessa a proseguire il suo lavoro in possesso della sua stessa arma. Chiusi gli occhi e abbassai il capo come quando i bambini spaventati si rifugiano sotto le coperte un pensiero infantile,ma conservavo in me la futile convinzione che sarebbe stato meno doloroso se non avessi visto nulla.
Tuttavia dopo pochi attimi di tensione mi resi conto di essere di nuovo nella stessa situazione di prima,se ormai mi ha preso perché non mi finisci? Perchè non si sbriga a porre fine a questo inferno? A quel punto,con tempismo quasi studiato,lo sentii muoversi verso di me ancora una volta,ma non avevo intenzione di guardare cosa stesse facendo nella paura di trovarmi faccia a faccia con la sua lama. Avevo ancora gli occhi chiusi aspettando il mio ultimo respiro,ma giurai di averlo sentito abbassarsi per raggiungere l'altezza del mio volto,ero confusa,che intenzioni aveva? D'un tratto divenne ancora più imprevedibile. Era così vicino che riuscivo a sentire il suo respiro quasi addosso. "Guardami" lo sentii dire con tono calmo e serio,mentre con due dita sotto il mio mento cercava di alzarmi lo sguardo contro voglia. Aprii gli occhi, non ero nella posizione di oppormi,avrei solo peggiorato le cose. Mi guardò per un istante,cercai di riprendere lucidità allora nonostante le sue iridi diverse,una marrone ed una gialla,mi avessero quasi completamente stregata. Avrei potuto guardarle per ore,ma con me avevo solo una manciata di attimi prima della fine o almeno così credevo, era diventato sempre più confusionario quello che doveva essere solo uno scenario d’omicidio...ed ora sembrava persino aver cambiato idea,possibile?
Riabbassai lo sguardo,non volevo notasse la mia debolezza alla vista dei suoi occhi,non volevo sembrare più vulnerabile di quello che già ero... e non appena volsi la testa verso il suolo,presa dallo sconforto,un forte calore mi pervase calmandomi al solo tocco. Le sue labbra erano sulle mie.
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Che ti amavo voleva dire che non riuscivo a immaginare niente che non fosse per due, per me e per te. Che ti amavo voleva dire che ogni volta che ti aspettavo, affogavo nella preoccupazione che tu non arrivassi più, che ogni volta che la sera chiudevo gli occhi per addormentarmi, ecco che d'un tratto apparivi tu, e chi ti cacciava più ormai. Che ti amavo significava che ogni brivido, ogni sorriso, ogni paura diventa a incredibile, perché vicino a te, tutto era amplificato. Voleva dire che impazzivo se qualcuno, parlando di te, mi diceva: «guarda che non è poi così bello, non è mica così speciale». Io mi mettevo a elencare tutte le ragioni per cui, per me, migliore di te non c'era nessuno. E poi, quando mi rispondevano «pensa come vuoi» io quasi mi sentivo sollevata, contenta, come una stupida, perché significava che solo io sapevo vedere in te, un te diverso, una me felice. Che ti amavo voleva dire che quando mi svegliavo avevo voglia che tu fossi lì, che quando parlavamo fino a notte fonda poi era logico che io facessi un bellissimo sogno, che quando stavamo insieme gli incubi mi lasciavano stare, io che sotto le coperte sognavo solo temporali, tsunami, cose che poi da sveglia, al ricordo, mi facevano un male cane. Voleva dire che se mi sfioravi e ti mettevi con il naso tra i miei capelli diventavo una persona diversa: non più incattivita, mai più fredda. E pensavo che con te accanto non mi apparteneva più quell'instancabile desiderio di cambiare il mondo, il mondo mi andava bene così com'era. Ma che ti amavo, credimi, voleva dire che se ti vedevo fragile, io il mondo lo volevo cambiare eccome, lo avrei rifatto da capo, per te. Nei nostri abbracci mi attaccavo a te come se ognuno di quelli dovesse essere l'ultimo, e ogni volta che ne uscivo ero felice di vedere che eri ancora lì. Che ti amo vuol dire che non smetto mai di farlo, anche quando fa un sacco male.
Marzia Sicignano
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ilmerlomaschio · 4 years
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Le accarezzo i capelli sciolti dietro di lei mentre, stesi sul letto ancora nudi e sotto le coperte, ci godiamo la calma creatasi dopo il sesso avuto.
Lei per metà su di me tiene la testa appoggiata sul mio petto e la gamba piegata sopra il mio bacino. Con le dita percorre linee astratte che vanno dalla mia pancia al mento, o sulle spalle.
«Mi fai il solletico» le dico smettendo per un momento di accarezzarle i capelli quando passa in un preciso punto sotto il braccio.
«Me lo hai già detto.»
Ma continua comunque con le sue dita a procurarmi brividi. Porta poi il suo indice sul mio viso, passando sulla fronte, naso, guance e bocca.
«Ahia» esclama divertita quando tento di morderle il dito, finendo solo per pizzicarla.
Mi guarda sorridendo e non posso che rimanerne incantato. I capelli sono tutti arruffati a causa del raccolto che portava prima, gli occhi sono luminosi e di un marrone leggermente più chiaro del normale, le guance sono ancora un po' accaldate e le labbra arrossate.
«Che c'è?» domanda cambiando posizione. Lascio che i suoi capelli mi scivolino tra le dita mentre si sposta da me raggiungendo la mia stessa altezza di viso.
«Niente, sei bella.»
«Anche tu sei bello» mi sorride portando poi una mano sulla mia testa, infilandola tra i capelli. «E sexy. Sei bello e sexy.»
«Sexy, eh?» faccio un ghigno, scivolando di lato per farla aderire con la schiena al materasso e posizionarmi a cavalcioni su di lei.
«Da morire» continua in un sussurro portando le sue braccia intorno al mio collo, abbassandomi al suo viso.
La bacio impossessandomi subito delle sue labbra che fin da subito cercano di più.
Appoggio le mani sulla base del suo viso, tracciando con i pollici la linea della sua mascella mentre lei sposta le mani tra i capelli così da arruffarli, tirarli o passarci attraverso.
Muovo le labbra sulle sue, sentendo più volte la sua lingua sfiorare le mie labbra in una domanda implicita a cui non voglio dare una risposta per il semplice gusto di scatenare una reazione.
Mi tira i capelli alla base della nuca facendomi inclinare leggermente la testa all'indietro e sfrutta la mia posizione per lasciarmi dei baci umidi sulla lunghezza del collo.
«Grace.»
«Mmh.»
«Me lo stai facendo diventare duro.»
«Lo sento.»
«Smettila.»
«No.»
Smette di baciarmi per tracciare lentamente una linea con la lingua sul mio collo che mi lascia un po' pietrificato e con uno scatto mi ritrovo con le spalle a contatto con il materasso e Grace a cavalcioni su di me, con le mani appoggiate sul mio corpo e le sue tette messe in evidenza grazie alla posizione. Non riesco a staccare lo sguardo da quelle due meraviglie che urlano il richiamo della mia bocca. Così faccio: afferro tra le labbra uno dei due capezzoli che inizio a succhiare e baciare con avidità.
Grace mi preme la testa contro aumentando la pressione e sposto le mie mani dai suoi fianchi alla sua vagina aperta sui miei fianchi.
Con l'indice controllo la situazione trovando un'accoglienza calorosa e bagnata, così, senza preavviso, infilo un dito dentro di lei mentre continuo a divorare il suo seno.
«Thomas, cazzo!» geme muovendo i fianchi contro la mia mano, così aggiungo il secondo dito e un terzo. Muovo lentamente le dita dentro di lei, trovando un ritmo in accordo al movimento delle mie labbra.
Lascia brevi e frequenti sospiri, ma voglio sentire altro da lei.
Ruoto le mie dita in lei per essere più comodo con la mano e appoggiare il pollice sul suo clitoride. Muovo il dito con movimenti circolari e non troppo lenti ricevendo da lei quel suono in più che volevo.
«Così, sì, bravo.» La sua frase mi fa diventare più duro il cazzo, che sotto di lei giace pronto ad esplodere.
Respira affannosamente sopra di me sopprimendo di tanto in tanto un gridolino e quando sento che involontariamente si stringono le pareti della sua vagina sulle mie dita aggiungo velocità ai movimenti della mia mano.
«Di più, ti prego, di più» geme forte stringendomi i cappelli con le mani.
«Pendi dalle mie mani» le dico facendola gemere in accordo.
«Sei così bagnata che scivolo.»
Aumento la velocità sul clitoride stimolandolo dalla punta, leggermente più lontano da dove nasce sulla vagina.
«Dai, piccola, lo so che stai per venire. Vieni per me, lasciati andare.»
Unisco la mia lingua alla sua, continuando a stimolarla e quando raggiunge l'orgasmo le sue pareti mi avvolgono le dita velocemente.
Continuo a stimolarle il clitoride anche quando si appoggia con la testa sulla mia spalla.
Il suo respiro diventa regolare e faccio uscire le mie mani da lei ammirando il suo succo lucidarmi le dita.
«Eccoti qua» le dico facendole vedere la mia mano.
Alza la testa dalla mia spalla e sorride.
«È anche grazie al tuo cazzo sotto di me che sono venuta, sai?»
Apre la bocca e mi avvolge il pollice ruotando la lingua intorno.
«Sei così duro.»
Continua e si prende in bocca l'indice, ruotando ancora la lingua.
«Hai invertito i ruoli, sai?»
«In che senso?»
«Volevo io succhiarti il cazzo.»
«C'è sempre tempo.»
«Poco, ma sicuro. Volevo finire di assaggiarmi» dice nascondendo un ghigno quando in velocità succhia le altre due dita.
Sa come farmi eccitare, si era già capito, ma ci sono cose che fa che mi fanno andare alle stelle, come quella di succhiarmi le dita ricoperte del suo orgasmo, che mi rendono vulnerabile al primissimo tocco.
Si sposta da sopra di me e mi fa stendere sul letto, così mi metto comodo e la guardo.
Mi fa piegare le gambe e le divarica un po', mettendosi poi tra di esse con il viso a stretto contatto con il mio cazzo.
«Sei pronto?» mi domanda guardando il pene.
Faccio appena in tempo ad annuire che sento un suo dito passare sulla zona dall'ano fino a raggiungere le palle.
«Non...» tento di parlare.
«Ssh, zitto.»
Prende in una mano i testicoli e li massaggia delicatamente prendendo poi con l'altra mano la base del pene. Mi lancia uno sguardo e si lecca le labbra per appoggiarle sulla punta fino ad avvolgerla completamente.
Un brivido mi percorre la schiena e penso a tutto e di più per evitare di venirle subito in bocca.
Il calore delle sue labbra aumenta grazie alla sua lingua che inizia a ruotare lentamente intorno alla lunghezza che pian piano arriva più in profondità.
«Grace...» gemo cercando di rilassarmi ad occhi chiusi, godendomi la sua bocca.
Con la stessa calma con cui mi ha fatto entrare in lei, esco e per quanto duro sono sbatto contro la sua bocca.
Allontana la mano dalle palle per sostituirla con la bocca.
«Oh, cazzo» gemo rilasciando l'aria che non ricordavo di trattenere.
Sono tentato ad afferrarle i capelli e guidarmi dentro di lei scopandole la bocca, così da raggiungere l'orgasmo, ma il piacere che provo quando vuole prendersi cura di me in questo modo è mille volte più bello.
Smette di succhiarmi le palle e con la lingua percorre tutta la lunghezza del cazzo lentamente staccando anche l'altra mano per toccarlo solo con la bocca.
Mi bacia la cappella lentamente, come solitamente fa con le mie labbra, e tento di distrarmi per non venirle subito in bocca, ma risulta qualcosa di impossibile.
«Cazzo, Grace. Sto per venire.»
Si allontana da me con uno schiocco di labbra e si allontana da me.
«Dove vai?»
«Da nessuna parte. Voglio solo guardarti.»
Prendo un respiro profondo e porto una mano in mezzo alle mie gambe per darmi sollievo mentre la guardo.
«No, no, no. Qui faccio io» mi sposta la mano, sostituendola con la sua.
«Fammi godere.»
Mi prende il cazzo in bocca, tutto e d'un fiato, e pompa forte e veloce mentre con le mani tiene le palle in mano e massaggia la base.
«Sì, così, brava. Succhialo forte, come ti piace fare» le dico posizionando una mano sui suoi capelli guidandola con i movimenti.
Mi piace parlarle sporco, come so piace a lei e dopo qualche secondo sento tutta la mia energia concentrarsi sul mio cazzo e venirle in bocca. Mi tiene il cazzo fino in gola mentre finisco di godere e ingoia, raccogliendo con la lingua anche i residui finiti ai lati della sua bocca.
Racconti
itsgraceee123
07
Buon giorno Amici de @ilmerlomaschio
#celafaremo
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demvlitionlcvers · 4 years
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welcome to the Hotel California
Del dolce sanguinar di un'anima in pena, ad Aris non importava nulla; non avrebbe mai scomodato se stesso per aiutare nessuno, non avrebbe mai sacrificato quel tempo che, inarrestabile, gli scorreva tra le dita. Egoista, abituale consumatore dei piaceri dell'essere, non una volta aveva chinato il capo affinché i suoi occhi incontrassero quelli puri e sconsolati di qualcuno in difficoltà; il mondo, diceva, non era un posto adatto a lui. Le creature che vi appartengono, non erano adatte a lui. Nulla, in effetti, era adatto alle sue macabre esigenze di sporco truffatore, di paladino della propria fortezza, di protettore delle mura che egli stesso aveva costruito con tenacia. Mura di orgoglio, indifferenza, presunzione. Mura che l'avevano allontanato da qualsiasi sentimento. Eppure, quella sera, qualcosa s'insinuò fra le crepe di quella fortezza, lo colpì all'altezza del petto con ferocia.
Su un'autostrada buia e deserta, con il vento fresco tra i capelli un caldo profumo di colitas, si solleva nell'aria più avanti in lontananza, vidi una luce scintillante la mia testa divenne pesante e la mia vista si indebolì dovetti fermarmi per la notte
Quella canzone. Quante volte l'aveva ascoltata,quella sera? Tante, forse troppe, sufficienti a fargli perdere i sensi, la concezione del tempo, la voglia di dimenticare. Invano tentò di mantenere il controllo delle proprie membra, dei propri arti,ora deboli e molli, come se le ossa fossero evaporate ed avessero preso il posto delle nuvole, la cui sostanza si mischiava col suo sangue, d'un rosso vermiglio ed ardente. Quella piccola dose stava facendo effetto; la sua Trilly gli aveva fornito la polvere magica e lui, eterno Peter-Pan, ne aveva abusato ancora, forse per trovare la sua Wendy. Abbandonò la testa contro il sedile, stremato, le tempie che pulsavano incontrollabilmente, tanto da fargli pensare che tutti quei sentimenti, tutte quelle emozioni represse stessero bussando alla porta del suo essere, chiedendo d'uscire. Ed Aris concesse loro la libertà, le lasciò aleggiare tra gli interni della sua Camaro, forse distruggendo le pareti delle sue vene, l'atmosfera, il suo falso,ridicolo mondo. Le mani tremavano, ancorate al volante, mentre le palpebre si abbassavano caute, come il sole all'orizzonte, che sembra affogare in quel mare agrodolce, nell'immensità dell'ignoto; fu un attimo, come un lampo, un fulmine dispettoso, un bagliore e le iridi perse si mostrarono a quel posto sconosciuto,scrutarono curiose l'imponente edificio dinnanzi a sé. Blu, le pareti erano blu come la notte impertinente, amica di tutti ed amica di nessuno. Adultera, donna lussuriosa, le curve misteriose e dolci; come chioma i raggi morbidi, come viso la Luna, rotonda e luminosa. Come occhi aveva le stelle, come labbra le foglie. Ladra, assassina, distratta madre della guerra, della paura. Del perdono. Ed Aris, il volto pallido e le mani lungo i fianchi, le chiedeva perdono, inerme, aspettando che questa lo guidasse ancora una volta. Non ebbe risposta dalla dea curiosa ed infinita, buia..o forse sì? Abbassò lo sguardo sull'uscio di quella struttura, ed ecco che una ninfa, forse ancella della calda Notte, lo incitava a correre, correre verso l'Hotel.
Lei stava sulla soglia ed io udii il campanello d'allarme mentre pensavo tra me 'potrebbe essere il paradiso o potrebbe essere l'inferno' poi lei accese la candela e mi mostrò la strada si udivano nelle voci nei corridoi e credevo che dicessero....
« Hai paura, Aris? » rossi capelli fluenti, labbra carnose, gonfie di baci. I seni prosperosi, la coscia tonica, gli occhi smeraldini come un'arma, tutto di quella donna lo attirava; e ne bramava la carne, il sangue, il respiro irregolare.
Benvenuto all'Hotel California un posto così amabile un volto così amabile ci sono tante camere all'Hotel California in ogni momento dell'anno puoi trovarne una
《No.》rantolò, i pensieri impuri che si dissolvevano pian piano, pronti a sciogliersi come neve al sole. Era bella, e lui dannato. Condannato a trascorrere il resto della propria esistenza privo di lei, privo di qualsiasi concreta gioia; perché sapeva, oh se lo sapeva, che quella era solo l'ennesima visione data dalla maga malvagia, dalla polvere bianca che si ostinata a voler assumere quotidianamente, senza fermarsi. Le sue mani delicate afferano il colletto della camicia stropicciata, lo trascinano all'interno della struttura; gli sorride maliziosa, avvicina le labbra alle sue, poi scappa. E torna, torna più veloce di prima; lo costringe a camminare a passo spedito verso una delle tante camere. La mente di Aris trascina le proprie idee, strappa ogni convinzione dalle radici del pensiero; cosa fare, ora?
Svegliati, Aris.
Non può, non ci riesce.
《Forza, Aris, cosa stai aspettando?》
La sua mente è perversa, ha le curvature di una Mercedes ha tanti bei ragazzi che chiama amici danzano nel cortile, sudati per la dolce estate alcuni danzano per ricordare, altri per dimenticare
《Danza anche tu, Aris.》lo invita, e la sua voce è il canto di una sirena. Un giardino,i cui fiori sono le dolci anime perdute, incapaci di dimenticare,si estende per tutto il suo campo visivo, circonda ogni angolo di quell'immenso spazio; e loro, angeli dannati, demoni dal volto bello e prezioso, muovono le braccia in alto, ballano come fate, come se quella fosse la loro polvere magica. Il loro credo è unico, il loro Dio un giovanotto invaghito della vita.
《 Loro sono ciò che tu non sei, ma che potresti essere. Sono le tue idee, la tua vita. Il travagliato percorso che potrebbe cambiarti. In meglio, o in peggio, Aris?》
E ride, ride divertita mentre indica le molteplici anime dalla variabile forma; alcune si colorano delle emozioni del ragazzo, altre degli attimi che ha sprecato. Lei danza con i suoi amici, fin quando non le scende una lacrima solitaria sul viso pallido La scaccia via, come un fastidioso ostacolo. Perché, dopotutto, deve portare a termine anche quella difficile e confusa missione. Lei, hostess dell'aereo bianco e candido.
D'un tratto, il suo ballo s'interrompe. La sua voce brucia ancora contro le muscolose braccia di Aris, mentre lo guida verso la propria stanza.
《 sii passionale. Sii te stesso. Vivi, poiché le imperfezioni sono libertà. E tu, tu non sei libero. la tua droga ti rende perfetto, impeccabile. Privo di emozioni. E, se il concetto di perfezione è soggettivo, allora..》 《Allora nessuno è libero?》la interruppe, forse ammaliato da quel candido discorso.
Ma lei rise ancora, scuotendo il capo oramai divertita ed al contempo rassegnata. Forse lo credeva uno stupido? O forse...
《Se vuoi uscire da questo labirinto, corri dal tuo Capitano, dal centro del tuo corpo. Mente o cuore, ti chiederai. Il tuo subconscio sa cosa rispondere.》
Chiamai il Capitano, 'Per favore, mi porti del vino', lui disse 'non abbiamo quel tipo di bevanda dal 1969'
Ad Aris mai era piaciuto il vino. Eppure, sapeva che quella bevanda rappresentava la vita che realmente doveva vivere; e da quanto, da quanto non viveva? Da quanto non beveva? Forse da quell'anno? Forse da quel tempo, in cui nulla gli era negato né concesso?
ed ancora quelle voci si facevano udire da lontano ti svegliavano nel mezzo della notte solo per sentirle sussurrare...
《Aris》 Un brivido freddo che percorre il corpo stanco, le sue labbra soffici contro il lobo dell'orecchio. Eccola, dea tentatrice. Soffoca il desiderio, risveglia i piaceri intensi. Queste gioie fanno presto a bruciare, e fatica a resistere. Questi amori sono carboni ardenti, tizzoni rossi, pietre dell'inferno; si scagliano contro la dolce vita, infuocano l'animo. E l'hotel, oh, dannata dimora del caldo sole, trattiene e stringe a sé il male, la passione. Il proibito profumo della dipendenza dalla libertà.
Benvenuto all'Hotel California un posto così amabile un volto così amabile si stanno divertendo molto all'Hotel California che bella sorpresa, ti porge le sue scuse
Ma qualcosa è andato storto, all'Hotel California. Qualcosa ha interrotto il viaggio, sviscerato il sogno; le dita oscure scorrono tra i fili di rame, carezzano gli zigomi alti e pallidi. 《Rivelami il tuo nome》le sussurra, e le iridi verdi afferrano la ragione. Strappano brandelli della carne pura, annientano i pensieri.
《Katherine.》un roco sospiro, un lamento sincero. Per la prima volta, ella mostra la sua natura umana, ma anche l'appartenenza a quel posto dannato ed infimo.
Si alza, abbandona il grembo del confuso ospite.
《Scusami, Aris.》e gli schiamazzi dei suoi amici si fanno più forti. La portano via, via da lui. Arma più potente di tutte è quella che lei tiene tra le mani. Ed è troppo tardi, per Aris, quando si accorge che gli ha strappato il cuore.
Specchi sul soffitto champagne rosato sul ghiaccio e lei disse 'Noi siamo tutti prigionieri del nostro nuovo congegno' e nella camera del padrone si sono raccolti per il banchetto lo trafiggono con i loro coltelli in acciaio ma non possono uccidere la bestia
Urla, grida disperate. Canti come gemiti, ferite come fonti. Calda è la notte in cui la ragione tenta di prevalere sulla bestia dalle iridi biancastre, fredda è l'aria che inspira il corpo vuoto. Spazi immensi, vuoti ma colmi di anime spezzate. Di vite ricucite. E lo sente, sente quanto sia forte e pericoloso l'effetto che svanisce. La sua donna ha, ora, il fuoco tra i capelli; il fango al posto delle iridi, due rose appassite al posto delle labbra. Ed ecco che la bella diventa la bestia, che il mare diventa l'oblio.
《Aris! ARIS! 》brucia sulla pelle, il marchio della droga. Brucia tra le vene, la vita che appassisce. E mentre corre, il vento lo tormenta. Trafigge la carne, come un vampiro ghiotto di vino, di vita.
L'ultima cosa che ricordo è che stavo correndo verso la porta cercai il passaggio che mi riportasse indietro nel posto in cui ero prima 'Rilassati' disse l'uomo della notte 'noi siamo programmati per ricevere tu puoi lasciare l'albergo quando vuoi, ma non potrai mai abbandonarci '
Su un'autostrada buia e deserta, con il vento fresco tra i capelli Aris sfrecciava fiero, l'effetto della coca prossimo a sparire. E con una pistola tra le dita, il sorriso fiero dipinto come la più inquietante delle maschere, si apprestava a raggiungere il proprio inferno. La propria ninfa, il proprio credo. Il proprio hotel. L'Hotel California.
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monicadeola · 4 years
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Non esisterebbe Batman, se non ci fosse Joker. E nessuno ricorderebbe Achab se non fosse per la sanguinaria Moby Dick. Ci nutriamo di conflitti. Ed è la ragione per cui alle ferie del 2020 manca un elemento essenziale: l'odiatissimo lavoro, irreperibile causa virus. Chi l'avrebbe mai pensato? Tocca scoprire che per legittimare la vacanza, c'è un bisogno imprescindibile di ciò che alla vacanza si contrappone, altrimenti il brivido non scatta. E ne facciamo esperienza in questa kafkiana estate epidemica, in cui rito vorrebbe che ti sedessi sotto l'ombrellone contemplando come Leopardi l'infinito e annegandovi il ferale filmino dell'inverno frenetico, del tran tran familiare, del vituperato ufficio, dei colleghi molesti. Peccato che d'un tratto tutto questo sia scomparso. Abbiamo alle spalle mesi di smart working dal divano di casa, niente smog, niente traffico, niente parcheggi, niente badge, niente pausa pranzo, niente slalom emotivo fra le battute fuori luogo del caporeparto o dell'ambizioso di turno. E allora? Da cosa dovrei rilassarmi? Contro quale carcere dovrei inveire, se stavo ai domiciliari? Lo stress che fino allo scorso anno ci rendeva elettrici, si è per la gran parte di noi annacquato in una calma piatta innaturale, un elettroencefalogramma piatto, una stasi narcotizzata che ora replichiamo nella siesta sonnacchiosa della sdraio. E i conti non tornano, non tornano più, perché la dialettica fra tempo libero e occupato ha finito inevitabilmente, soprattutto dalle rivoluzioni industriali in poi, per sublimarsi in un contrasto fra bene e male, fra libertà e costrizione, fra salute e danno, ma se manca uno dei due poli, è ovvio che la narrazione non decolla, gli hobbit sono orfani degli orchi e a Hogwarts reclamano Voldemort. "Cerco l'estate tutto l'anno" cantava Celentano nel '68, e in quel verso c'era tutta l'impazienza dei lunghi grigi mesi produttivi, per grazia di Dio riscattati in pochi giorni di tuffi, salsedine, gamberi fritti e chiari di luna. L'anno trascorreva in un countdown, cui ora si è sostituito ahimè il lockdown, e la bussola è saltata. Peraltro, la stessa clausura degli adulti ha colpito duro anche la prole di casa, pure lei consegnata alla tirannia della didattica a distanza, in quel pugno di centimetri fra il letto sfatto e il computer davanti alla finestra. Non è un dettaglio da poco, se si considera che l'estate è per tutti, ancora, il grande romanzo infantile della liberazione dai banchi, dall'ansia della lavagna, dallo sguardo truce del Cerbero in cattedra, ma pure questo ha mutato forma, la campanella suonò per l'ultima volta a marzo e da lì in poi benvenuti su Zoom o Microsoft Teams. La nostra vita si è contratta, senza preavviso, e siamo stati forzati a un riposo insostenibile, che adesso rende paradossale la prassi della vacanza (che poi è il sostantivo stesso, dal latino vacuus, a raccontare di un vuoto, di un'attività sospesa, di una parentesi fra un prima e un dopo in cui si è faticato e si faticherà). Certo, il discorso cambia se pensi agli infermieri, ai medici e a tutte le truppe schierate in trincea contro il bio-nemico, gente per cui non basterebbero due mesi di lidi caraibici. Ma tutti gli altri? Se si tolgono dal novero i milioni di italiani cui il Covid ha risparmiato sì la vita ma non il bilancio familiare, quei pochi che popolano le spiagge li vedi aggirarsi attoniti, sorridenti come da copione balneare ma visibilmente due ottave sotto, talora perfino adombrati da un certo senso di colpa. E ti basta spiarne i discorsi, per realizzare che sul bagnasciuga il lavoro è passato da tema rimosso (l'anno scorso dicevano "non voglio sentirne parlare per almeno tre settimane!") a inatteso protagonista, perché costituisce la suprema incognita della ripresa: ci sarà, non ci sarà, e se ci sarà come sarà? Credo sia per questo che si respira in giro un'atmosfera così anomala, a tratti addirittura inquietante: le ferie 2020 non sono vissute come il premio finale di un anno di lavoro (interrotto quattro mesi fa), bensì come la boccata d'ossigeno del nuotatore prima di tornar sott'acqua. "Cosa ci porterà l'autunno?" è il vero tormentone, altro che hit. Ho promesso a me stesso di non cantarlo mai.
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Melissa -  un racconto submit
La conobbi per caso, grazie a un’app di dating. A primo impatto, la scambiai per una comunissima ma seducente donna. Procace, abbronzata, ammiccante, ma donna. Tette, culo, figa e tutta quella roba lì. Le misi un like – è troppo sexy, non ricambierà mai – pensai. Pochi minuti dopo, una notifica mi informò del “match”. Cazzo – pensai – è lei. Mi precipitai a scriverle in chat, sicuro di aver fatto il colpo del secolo. Nemmeno il tempo di dirle “ciao”, che mi scrisse, in un italiano stentato, di quanto costasse passare un’ora con lei e del fatto che fosse passiva e – ahi – attiva. “Mignotta e pure trans” – pensai. Però non riuscivo a smettere di guardare le sue foto e il suo corpo sinuoso, ammaliante, giunonico. Con le info che avevo a disposizione, mi misi a cercare altre foto in rete. Non fu difficile scovarla, con tutti quegli annunci disseminati sui siti di incontri, raggiungibili con pochi click. Era bellissima, con un viso dolce e sensuale che pareva spogliarti dallo schermo del cell. Ebbi un’erezione. Volevo scoprire di più. Ecco, foto hot… cliccai su… Eccola lì, in lingerie di pizzo nero, una dea… un cazzo grosso e rigido si stagliava dal perizoma, troppo piccolo per contenere tutta quella carne. Senza accorgermene, iniziai a toccarmi, ritrovandomi a immaginare a quel corpo voluttuoso davanti a me, desideroso di accarezzare – ma che sto dicendo?? – quel bastone nodoso e duro, che pareva pulsare anche dalla fotografia. Il cuore andava a mille; venni in pochi minuti. Non nascondo di avere avuto, già in passato, delle fantasie erotiche su trans maggiorate e di essermi masturbato guardando video a tema, con donne-uomo intente a ispezionare con i loro bastoni il culo di eccitati palestrati, apparentemente estasiati dall’idea di farsi stimolare la prostata da donnine superdotate. Ho sempre pensato che si trattasse di una innocua fantasia, una come tante, e che mai avrei desiderato di conoscere davvero una di queste signore con “sorpresa” annessa. Però c’era Melissa. E Melissa mi chiamava, in qualche modo. Nel tempo libero, non facevo altro che riguardare le sue foto, comprese quelle dov’era pressoché nuda, e toccarmi pensando ai nostri corpi che si sfioravano…ai nostri cazzi che si toccavano… Insomma, quella donna e il suo attrezzo erano divenuti una specie di ossessione. Non mi bastava toccarmi e venire per levarmela dalla testa. Dieci minuti dopo l’orgasmo, la sua immagine si ripresentava davanti ai miei occhi, più porca e ammiccante di prima. Così decisi. Le scrissi e prendemmo appuntamento per la sera stessa.
L'appuntamento a casa di Melissa era fissato per le 21. Avevo il cuore in gola e il cazzo in subbuglio; dovetti farmi un paio di seghe prima di andare da lei. Alle 20 mi misi in macchina: non ce la facevo più ad attendere. Arrivai fuori al suo palazzo con dieci minuti di anticipo, così pensai di fare due passi per scaricare la tensione prima di salire da lei e capire come sarebbe cambiato, da lì a poco, il mio orizzonte sessuale. Alle 21, teso e adrenalinico, suonai al suo citofono. “Sali, sono al secondo piano…”. Una voce dolce e femminile fuoriuscì dal microfono. Salii. Un attimo di esitazione e bussai. Rumore di passi. “Tacchi”, pensai. La serratura scattò. Ebbi la sensazione di essere in procinto di entrare in una nuova dimensione. In pochi attimi, davanti a me si stagliò una figura di donna bella come poche. Altissima, capelli neri e lunghi, Melissa indossava un vestitino rosso che lasciava poco spazio all'immaginazione. Un seno pronunciato che quasi fuoriusciva dalla scollatura, gambe lunghissime e affusolate. Scarpe aperte davanti, con un paio di tacchi vertiginosi, neri. In un breve flash mi sono immaginato inginocchiato dinanzi a lei a leccarle avidamente le dita smaltate di rosso che fuoriuscivano dalle calzature. “Ciao Roby, entra” mi disse, ammiccante. Ricambiai il saluto, con non poco sforzo, ed entrai. L'appartamento era un bilocale senza troppi fronzoli, non molto dissimile da come immaginereste la casa in cui vive una donna sola. Mi fece strada fino alla stanza da letto. “Siediti”, mi disse. Lo feci. Si sedette accanto a me. I capelli erano profumatissimi e la sua pelle, ora che lei era a pochi centimetri da me, emanava un odore dolce. Mi passò la mano sui capelli; non riuscii a trattenere un brivido, evidente. “È la prima volta?” - mi chiese. Le feci un segno di assenso con la testa. Sorrise e mi sussurrò all'orecchio di stare tranquillo… Nonostante sapessi che si trattava di una trans, la sua voce femminile traeva quasi in inganno. “Sai - sussurrò - quando arrivano qui ragazzi alla loro prima volta è più eccitante anche per me…” . Trasalii. Avevo il cazzo che pulsava dall'eccitazione. Mi baciò. Aveva delle labbra carnose che combaciavano perfettamente con le mie. In pochi secondi le nostre lingue si cercarono e si incrociarono. Lei spingeva a fondo, voleva già prendere il comando delle operazioni. La lasciai fare. Cominciai a palparle il seno sodo e rifatto. Le sue dita, invece, scesero giù alla ricerca della mia evidente erezione nei jeans. Toccava con sapienza, quasi a massaggiarlo da sopra ai pantaloni. Voltai giù lo sguardo, verso di lei. Il suo cazzo eretto premeva contro il vestitino. Me lo immaginai desideroso di svettare fuori, libero, e voglioso di sfondarmi il culo. Mi ritrovai con addosso la voglia di toccarlo, ma non osavo, eccitato ma ancora imprigionato nei miei tabù. Melissa sorrise, e fece tutto da sé. Mi prese la mano che ancora palpava le tette e se la mise, fulminea, sull'erezione. Era successo. Fino a pochi giorni prima mai avrei immaginato che un giorno avrei palpato un cazzo enorme, sapendo che non mi sarei fermato lì. Dopo un attimo di tentennamento iniziai ad accarezzarglielo, gustandomi la sensazione di quella carne pulsante sotto il tocco delle dita…
Melissa sospirava mentre ci palpavamo a vicenda i rispettivi cazzi. D'un tratto la sua mano finì sulla zip dei miei jeans, e in pochi secondi mi ritrovai con l'uccello turgido tra le sue sapienti dita, che iniziarono ad andare su e giù lungo l'asta, contribuendo a rendere ancora maggiore la mia eccitazione. Non resistetti più. Le strinsi il culo e le alzai con vigore il vestitino. Un perizoma di pizzo bianco conteneva a fatica la sua erezione. Quel cazzo mi desiderava, e io desideravo lui. in pochi istanti mi ritrovai con quel pezzo di carne in mano, che svettava in tutta la sua grandezza tra le mie dita. Era bellissimo, vigoroso e grosso come in foto, e finalmente era lì, tutto a mia disposizione. Cominciai a masturbarlo con ardore e sentii gli sbuffi di piacere della mia dea superdotata. Tornammo a intrecciare le lingue, mentre ci toccavamo a vicenda e i nostri cazzi erano a pochi centimetri l'uno dall'altro. Alternavo un saliscendi veloce a lenti massaggi con due dita. Ero quasi in trance, eccitato come non mai e contemporaneamente concentrato nel non venire e nel non far venire lei. Volevo godermi quelle nuove sensazioni per molto tempo ancora, magari in eterno. Tra un bacio appassionato e l'altro lo sguardo finiva tra le gambe di Melissa, dove la mia mano continuava a giocare con quel bastone nodoso. La focosa trans prese a baciarmi il collo, scendendo sempre più giù sul mio corpo ormai nudo, fino ad abbassarsi con la testa verso il mio inguine. Mio malgrado fui costretto a lasciare la presa di quel cazzone caldo, ma il dispiacere si dissipò subito appena Melissa ingoiò la cappella del mio uccello e iniziò a pungolare con la lingua l'asta e le palle. Andò avanti così per un po’, mentre le tenevo la testa sul mio cazzo, rischiando di venire per la troppa eccitazione. Resasi conto che stavo per esploderle in bocca, Melissa allentò la presa e si alzò, lasciandomi nel pieno dell'erezione, col cazzo pulsante e desideroso solo di sborrare. Indicò il suo arnese, facendomi intendere le sue intenzioni. Ebbi un attimo di titubanza, ma poi l'eccitazione prese il sopravvento sulla ragione. Mi abbassai e avvicinai il volto al suo inguine depilato…un odore di urina misto a profumo femminile mi penetrò nelle narici. Era strano…irresistibile… Desideravo quel cazzo in bocca con tutto me stesso, e fu facile vincere la ultime resistenze della ragione. In pochi secondi mi ritrovai la bocca piena di carne, e quell'odore era sempre più forte e inebriante…iniziai a baciare quella cappella rossa, mentre con una mano accarezzavo due palle rasate e grosse come noci. Titillavo la cappella con la punta della lingua, gustandomi queste nuove sensazioni, quando Melissa decise lei per me la prossima mossa. Con vigore mi prese per i capelli, strattonandomi verso il suo uccello, che mi finì sotto il palato, quasi per metà. “Succhia.” - Un ordine tanto perentorio quanto eccitante. Andavo su e giù con la testa quando come se volessi ingoiarlo. Con una mano tenevo l'asta mentre la bocca si riempiva della sua erezione. Mi sentivo spossato, in un altro mondo, ma felice. “Sei bravo…mi stai facendo venire…” - mi disse, e io mi sentii orgoglioso per la mia innata bravura nello spompinare. “Vuoi assaggiare il mio seme?”  Non aspettavo altro… Con un cenno del capo le feci di sì, impossibilitato com'ero a parlare vista la mole del suo cazzo tra le mie labbra. Continuai a spompinarla per altri due minuti, poi l'esplosione. Un fiotto di sborra calda mi inondò la bocca, quasi fino ad affogarmi. Mentre lo tirava fuori, qualche schizzo finì sulle mie labbra. Le leccai avidamente, desideroso di non perdere nemmeno una goccia di quel liquido così caldo e amarognolo. Le ripulii la punta del cazzo, poi mi misi sul letto, sfinito ma contento e ancora eccitatissimo. Ne volevo ancora, e mi immaginavo quella sborra calda che mi fuoriusciva dal culo, dopo una feroce inculata. Mentre ero assorto in questi pensieri, Melissa si abbassó, ricambiandomi il favore. Venni in pochi minuti, inondando la sua bocca da zoccola…
Nei giorni successivi all'incontro con Melissa, nella mia testa frullava un solo pensiero: essere inculato dalla mia dea brasiliana. Al contempo, la ragione tentava ancora di sottrarmi alla prossima scoperta, ma l'eccitazione e il desiderio stavano prendendo il sopravvento. Il ricordo di quella serata caldissima, del corpo nudo di Melissa e di quel cazzo saporito che mi riempiva la bocca, era ancora troppo vivo. Pensai che sarebbe stato ora o mai più, e le scrissi un messaggio telegrafico. “Fammi il culo”. Lei mi rispose con uno smile ammiccante e mi diede appuntamento per la sera del giorno dopo. Eccitato com'ero, non riuscivo a pensare ad altro nelle ore precedenti al nostro incontro, al punto tale dall'essere costretto a farmi una sega furiosa anche nel bagno dell'ufficio in cui lavoravo. Fantasticavo su come sarebbe stato ricevere quel grosso pezzo di carne dentro di me, sulle sensazioni che Melissa mi avrebbe fatto provare e su ogni altro genere di nuova esperienza che mi aspettava dentro quella casa. Tra una sega e un caffè arrivò l'ora di prepararmi all'incontro. Feci una doccia, mi vestii e in pochi minuti ero sotto il suo palazzo. Suonai il citofono e pochi istanti dopo fui accolto dalla sua voce calda: “Bello, sali!”. In men che non si dica ero fuori il suo appartamento. Stavolta la porta era socchiusa. Bussai con le nocche delle mani per avvertire Melissa della mia presenza. Solito rumore di tacchi sul pavimento e lei era lì, ancora più sexy e provocante, se possibile, della volta passata. Stavolta indossava un tubino nero che premeva sul basso ventre. Il mio sguardo, che la volta precedente si era posato innanzitutto sul suo seno, stavolta fu richiamato naturalmente dalla sporgenza che premeva tra le sue gambe. Lo striminzito abito che indossava esaltava già la forma del suo cazzo ancora moscio ma dalle dimensioni rispettabili. Mi accolse con un veloce bacio sulle labbra, invitandomi a entrare. La porta si chiuse, lasciando dietro di me non solo il resto del mondo ma anche le mie ultime resistenze. Meno teso dell'altra volta, dopo un veloce scambio di saluti, mi ritrovai a limonare la mia trans sul suo lettone pochissimo tempo dopo essere entrato nel suo appartamento. Presi a palparle il seno per qualche minuto, mentre lei accarezzava l'erezione sui miei pantaloni. Preso com'ero dalla voglia del suo uccello, mi ritrovai ad imitarla, felice di notare come la sua erezione crescesse sotto il tocco delle mie dita avide di cazzo. Ci spogliammo a vicenda. In pochi attimi mi ritrovai vestito solo dei miei boxer, mentre Melissa era coperta del suo intimo di pizzo rosso e delle sue scarpe coi tacchi aperte davanti. La guardavo come si guarda una dea. Desideravo solo essere sopraffatto dalle sue forme, dalla sua passione e da quel cazzo eretto. Volevo essere la sua troia e la sua schiava… Glielo dissi. “Mel, trattami come merito…”. Lei rise. In un italiano biascicato ma comprensibile, mi rispose: “Sei venuto qui la volta scorsa con la paura che ti piacesse il cazzo e ora già non riesci a farne a meno… Da adesso in poi farai tutto ciò che desidero, capito?” Eccitatissimo, le feci un cenno di assenso con la testa. Mi indicò i suoi piedini. “LECCALI!” - mi ordinò, in tono perentorio. Non replicai e invece mi accovacciai quel tanto che bastava per avvicinarmi alle sue gambe lunghe e lisce, poi alle sue caviglie, che iniziai a leccare dapprima con lentezza, poi con crescente voracità. La mia lingua finì sulle sue dita smaltate, che iniziai a succhiare immaginandole come una versione più piccola del suo cazzo. Poi fu la volta Delle scarpe e del tacco a spillo, che bagnai facendo scorrere su e giù la lingua su tutta la superficie. Ma la cosa più eccitante era alzare lo sguardo e poter godere della vista della culotte di pizzo rosso che lasciava intravedere le palle e l'uccello enorme. Accortasi di quanto bramassi quel pezzo di carne, Mel mi fece cenno di salire. Non esitai un istante. La mia lingua leccò, vogliosa e umidissima, prima le sue lunghe gambe, per poi fermarsi all'altezza dell'inguine. Mi fiondai sul pizzo rosso, gustandomi l'odore di piscio misto al suo solito profumo che emanava il cazzo ormai sofferente, stretto com'era in quella culotte non adatta a contenere un uccello di quelle dimensioni. Non avevo altro desiderio che succhiarle cazzo e palle, ma volevo sembrarle un servo ubbidiente. Così iniziai a leccarle tutto il pacco da sopra la culotte, cercando avidamente con la lingua i lembi di pelle che fuoriuscivano in minima parte dalla mutandina. Per un po’ la adorai così, ma a lei non bastava. Non poteva bastare. E non bastava neanche a me. Mi sentii tirare per i capelli. Alzai lo sguardo verso di lei ma non ci fu bisogno del suo ordine per capire cosa volesse. In meno di un secondo mi ritrovai a baciarle la punta del cazzo, mentre facevo scorrere la mano alla base del suo uccello fino alle palle. Iniziai a spompinarla con ardore, mentre lei guidava i miei movimenti tenendomi la testa. Prima lentamente, poi accelerando, poi di nuovo più piano, Melissa giocava con la mia e la sua eccitazione, sapendomi ormai succube e devoto al suo cazzo di marmo. Poi mi bloccò. Era pronta, e lo ero anche io. Forse lo ero da settimane, chissà. Mi ordinò di stendermi sul letto, a pancia in giù. Avevo il cazzo che mi pulsava ma non osavo toccarlo, per paura che la troppa eccitazione mi facesse venire subito. Divaricai leggermente le gambe quando sentii la punta bagnata della sua lingua toccare il mio ano. Mi sentivo indifeso e arrapato, pronto ad affrontare il mio destino da brava puttana. La lingua si fece più insistente e un piacere nuovo iniziò a impadronirsi di me. Prima un'unghia, poi un dito. Infine due. Melissa si stava facendo strada dentro il mio culo. Mi stava massaggiando la prostata. Me ne accorsi dalla folle eccitazione che provai, così diversa da quella usuale. Giocherellò col mio buchetto per qualche minuto, poi, quando forse ebbe l'impressione che mi fossi abituato abbastanza alla presenza di un corpo estraneo dentro di me, sfilò le dita, che nel frattempo erano diventate tre, e iniziò a spalmarmi un liquido oleoso nello sfintere. “E’ arrivato il momento”, pensai. Non mi sbagliavo. Pochi secondi dopo, sentii qualcosa di duro premere contro le pareti del mio culo. Senza esitare, portai entrambe le mani all'altezza dell'ano per divaricarlo quanto più possibile, così da aiutare quel cazzo a entrarmi dentro più facilmente. Quasi in maniera naturale, mi misi alla pecorina, desideroso di essere scopato dalla mia Dea e Signora. Mi sentivo invadere dalla carne della trans. Quel cazzo aveva un diametro più grosso delle tre dita che poco prima invadevano il mio culo, per cui inizialmente provai un misto di dolore e piacere, fino ad abituarmi alla presenza dell'uccello dentro di me. Sentivo il cazzo farsi strada tra le pareti del culo, e mi meravigliavo di quanto fossero elastiche e disponibili ad accogliere tutta quella massa di carne pulsante. Eccitato, desideroso di essere inculato per sempre, pregai Melissa di rompermi il culo a colpi di cazzo. Non se lo fece ripetere due volte. Mentre all'inizio mi riempiva con attenzione, dopo un po’ prese a stantuffarmi con violenza e voracità, eccitata anche lei come una ossessa. Mi sentivo piena di lei e stavo benissimo, nonostante il sudore e il dolore che la penetrazione comportava. Ne volevo tanto. Ne volevo ancora. Iniziai a urlare per il piacere, mentre allo specchio posto sopra al letto ammiravo Melissa che mi teneva le mani sulle natiche e mi sfondava con colpi ritmati e potenti. Poi cambiai posizione, su suo ordine. Mi ritrovai a gambe aperte, in una posizione oscena, da donna, a pancia in su, col suo cazzo che mi batteva dentro mentre mi teneva per le cosce. Io, intanto, riuscivo a toccarmi l'uccello, sempre attento a non venire. Dopo circa mezz'ora dall'inizio di questo folle gioco, i suoi colpi rallentarono e capii che era al limite. “Vienimi in bocca, ti prego…” La Dea sorrise…
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QUADRO AUTUNNALE
Il nero dell'asfalto, degli alberi l'argento s'intona con il grigio d'un cielo ormai spento.
Un cane derelitto scodinzola scontento, s'incurva il vecchio gatto, s'acquatta sonnolento.
La donnola veloce percorre lo stradale, scivola lungo il ciglio s'intana a riposare.
Un bimbo birichino si bea col pallone, creando mille spruzzi in mezzo allo stradone.
Il vecchio contadino s'appoggia alla sella, si asciuga con la mano sudore e pioggerella
La pioggia scende fitta, sottile, quasi zitta: trasforma in un pantano le pieghe del terreno
Le foglie intirizzite, cadute sul selciato, non sembrano già morte, ma rosse e soffocate:
son anime smarrite che cercano sgomente la vita già passata, adesso che son niente.
La tramontana soffia spingendo dal puntale, ammucchia pioggia e foglie, riposa e poi risale.
Dai rami scheletriti, dal vento tormentati, scendono grosse gocce di pianti sconsolati.
Un brivido gelato percorre la natura: tutto s'è rintanato nella terra scura.
Eppur... nello squallore... io vedo ancora il sole. Odi sussurri e canti voci di bimbi e pianti
Chiudo così le ciglia, mi aggrappo alla mantella, e sogno beata che il mondo si risveglia.
Anna Maria Catanese
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tonyght · 5 years
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E' una notte di quelle che non riesco a dormire
mi rigiro nel letto e non so
cosa mi può mancare cos'è che mi tiene sveglio
poi tutto d'un tratto avverto che
...
Mi manca un brivido un'emozione una sensazione
e vorrei urlare tutti quanti svegliare ma non si può
Poi decido di alzarmi cerco di distrarmi
poi mi affaccio di fuori e vedo che...
Il cielo è pieno di stelle
le comincio a contare
e mi accorgo che una di quelle sei tu
...
Ed ecco un brivido un'emozione una sensazione
e vorrei chiamarti
ma dovrei svegliarti
e non si può
in certe ore no
è vietato amare
...
La notte se ne sta andando
con sè ti sta portando
e si sta portando via
anche un brivido un'emozione una sensazione
e dovrei dormire invece di amare
perché non si può in certe ore no
...
Ma era solo un brivido un momento magico
una sensazione un'emozione
una sensazione un'emozione
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spiraledecadente · 6 years
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SULL’ORLO
Stare sull'orlo
della sera come
sull'orlo dell'Abisso,
mentre un brivido
malsano di una
proposta sale
da dentro.
La Vertigine
d'un tratto è
estasi.
Il Vuoto,
poesia e
desiderio.
Avvertire
chiaramente
il veloce
polverizzarsi
delle cose,
rimanendo
seduto sul
mio trespolo
di sospiri.
E nonostante
tutto essere
ancora qui.
E nonostante
tutto essere
ancora vivo.
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edsitalia · 3 years
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EDS6 VENTO D'ESTATE
MAGIA D'ESTATE
Sono passati cinque anni dalla mia ultima vacanza qui in Liguria.
Da piccola era piacevole, il mare, gli amici la spensieratezza del non avere problemi, al massimo si dovevano evitare i gavettoni o organizzare qualche gioco da spiaggia.
Poi con le prime cotte e i primi baci tutto è cambiato. A me non interessavano i ragazzi e d'un tratto mi sono ritrovata sola, con gli occhiali,  qualche chilo di troppo e le ore che non passavano mai.
Avevo 15 anni.
Entro in casa e uno strano brivido mi corre lungo la schiena.  L'odore del sale è evocativo.  Rivedo la mamma che mi porta la focaccia, che mi guarda con amore e mi dice che sono la Stella del suo cielo … rivedo la mamma e piango. Non mi accorgo nemmeno che le lacrime scorrono sul mio volto.
Mi manca, mi manca come l'aria.
Sono qui per sentirla vicina, per prendermi del tempo da Milano  dal lavoro e da Luca, con cui sto da un anno, ma che credo essere forse poco più di una routine.
Lancio il borsone sul letto e apro le persiane. Il mare, nello splendore della sua onnipotenza, mi riempie lo sguardo, il cuore e l'anima. Respiro e mi tolgo i vestiti, tutti.  Nuda, spogliata dal superfluo, nuda nella piccolezza della mia natura di essere umano, fragile e finito, finito nell’infinito delle acque che mi osservano e mi chiamano.
Passa il tempo, non so quanto e mi sveglio fa questo stato di rinnovamento, entro in camera e prendo al volo un bikini, lo infilo e scalza esco con l’asciugamano in spalla.
Arrivo, mi chiami e io arrivo.
Aspetto di essere accolta dalle tue acque calde, fredde imperscrutabili, mi tuffo con gli occhi chiusi e resto sott’acqua.
Sono nel tuo grembo mamma, sono protetta, al sicuro da ogni male. Mi rannicchio come un feto e resto con le braccia a tenere le ginocchia. Adesso esco, vedo la luce per la prima volta e trovo il tuo sguardo, questo sguardo che solo gli occhi di una madre innamorata del proprio figlio possono avere. Lo sguardo del vero amore.
Ma quando l'aria mi riempie i polmoni tu non ci sei.
Sono sola, ancora sola.
Stendo l’asciugamano e mi sdraio aspettando che il sole mi scaldi e mi addormento.
Sento una mano sulla spalla, un tocco leggero. Mi sveglio e con tutta la calma del mondo apro gli occhi.
In controluce un volto, occhi blu mi fissano, capelli neri e un sorriso timido. Mi alzo e d’istinto mi copro,  ancora come fossi la quindicenne goffa che si vergognava del suo corpo. Le gote si fanno fuoco e rimango zitta.
“Silvia, ma sei tu? Non ci potevo credere è passata una vita! Non fosse stato per il tuo sguardo non ti avrei riconosciuta"
Nella mia testa si affollano ricordi, e ti trovo, nel cassetto più nascosto della memoria. Marco, il figlio del proprietario del piccolo  chiosco della spiaggia sotto casa. Il ragazzo più bello, quello che tutte amavano e quello per cui tutto è andato a rotoli
“Marco ciao, eh sì,  sono arrivata oggi”
Silenzio ,  non so cosa dire. Lui lo comprende e mi saluta con quel sorriso pazzesco
“Sarai stanca, ti lascio riprenderti dal viaggio, ma devi assolutamente venire alla festa in spiaggia di questa notte”
“Ok" dico e lui se ne va mentre lo saluto con la mano.
E adesso? Non pensavo certo si sarebbe ricordato di me, anche se è stato il mio migliore amico fino a 5 anni fa, poi mi sono stufata delle lacrime delle ragazze abbandonate dopo un bacio e dei  suoi racconti di come tutte lo adoravano.
Vado a casa, mi lavo e butto giù un pezzo di pane e salame avanzato dal viaggio.
Mi trucco leggera e metto due mollette a tener su i ricci selvaggi, neri che mi cascano sugli occhi
Scelgo una mini tuta bordeaux,  zeppa nera tacco 12 e aspetto che il tempo passi.
Finalmente il sole sta calando. Esco e scendo in spiaggia. Che spettacolo! Musica e luci che si riflettono nelle acque ormai scure. Gente che beve, corpi seminudi che si muovono al ritmo della musica senza pensieri.
Anche io voglio liberarmi dai miei e mi lascio trasportare nel magico mondo dei balli sinuosi e ammiccanti, disinibiti
Ora però tutti mi guardano, lo so, sento gli occhi come fossero mani sulla pelle, mani che non arrivano a toccare, ma vorrebbero
Tutte tranne le sue, che arrivano e si fanno sentire.  Partono dai fianchi. Io non apro nemmeno gli occhi, ma so che è lui, ne riconosco il profumo e il tatto. Lo lascio fare e ci stringiamo mentre le nostre carni diventano una e un soffio arriva al mio orecchio, leggero e invadente allo stesso tempo “sei splendida Silvia"
Non rispondo e non mi fermo, non penso e non voglio pensare. Leggerezza, estasi d'estate, ecco cosa voglio.
La sua lingua mi sfiora le labbra e mi faccio assaggiare senza resistenza, sono diversa ora, conosco i piaceri della carne e li cerco, tanto quanto cerco emozioni, quelle che con Luca non provo.
Il tempo vola, intorno a noi ora non c’è più nessuno, siamo una cosa sola fusa nella sabbia fresca della notte. Le stelle ci invidiano e i grilli friniscono solo per accompagnare la nostra canzone del piacere
Solo ora apro gli occhi, mentre il cuore mi batte all'impazzata e il suo abbraccio ha sostituito quello del mare o di mia madre.
Ci guardiamo sapendo che forse finirà o forse no, ma adesso non importa, adesso conta solo questa brezza d'estate che sta spazzando via la mia tristezza,  la mia solitudine
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geminicolecollins · 4 years
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[ James & Rosalie _ #anewmayor #Ravenfirerpg _ Maffei’s Party _ #gifrole ]
* L’aveva vista, e come se non l’aveva vista. Era lì, a pochi passi da lui, tutta tranquilla, come se tutto il mondo era in equilibrio, come se ogni cosa fosse al suo posto. Chissà perché, invece, James vedeva l’esatto opposto di quel mondo in delirio e, per di più, vederla così tranquilla gli dava il voltastomaco.* « Quindi esisti. Pensavo fossi morta. » * Pronunciò per poi deglutire e soffermarsi affianco a lei, sorseggiando un cocktail. Crudo, netto, come chi voleva essere pungente di proposito e assumeva quell’aria piena d’orgoglio e negatività. James era proprio cambiato, sembrava essere un lugubre verme. * Rosalie Campbell ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ Il DJ set era iniziato da poco. L'atmosfera era allegra e spensierata. Molti giovani ballavano scatenati davanti alle casse, mentre Rosalie osservava la scena da lontano, sotto un abete. La vicinanza con la natura le dava sicurezza e calma. Non pensava a niente in particolare; dopo il pomeriggio passato a struggersi per James aveva finalmente ritrovato la serenità di cui aveva bisogno. ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ Poi, come un fulmine a ciel sereno, la sentì, quella voce che le era tanto familiare eppure estranea da un po' di tempo. La frase di James la pugnalò dritta allo stomaco, la tranquillità che credeva di aver riconquistato crollò come un castello di carte. « James » rispose, senza riuscire a proferire altra parola. Le si irrigidirono le spalle, era palesemente scossa. « C-che ci fai qui? » continuò, confusa e imbarazzata.
James Cole Collins * Il Dj set? Gli faceva profondamente schifo, soprattutto con tutte quelle persone che emettevano sensazioni positive. Aveva dimenticato cosa significava per gli umani “essere felici”, d’altro canto egli aveva dovuto adattarsi a quella nuova vita, a quel “non-essere-umano” e aveva incominciato a nutrirsi delle paure di questo, codesto e quello. In quel suo stato mentale già assai particolare, vedere Rosalie così tranquilla fu come ricevere uno schiaffo dal Destino. Era sempre punito, ma perché? Che aveva fatto? Era soltanto perché era nato? Ah! Scosse la testa, quelle erano delle idiozie sulle quali poteva concentrarsi più tardi, ora aveva da fare. * « Ricordi il mio nome, wow. » * Rispose per poi continuare nei secondi successivi. * « La stessa cosa che fai tu, Campbell» * Aveva una mano in tasca e lo sguardo altrove, ma quando pronunciò il cognome della ragazza si voltò con gli occhi di fuoco. * Rosalie Campbell ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ La freddezza di James era più che palpabile. Dopo la sua scomparsa e mesi di completo silenzio era anche comprensibile, ma non per questo meno sconvolgente. Era cambiato e non certo in meglio, e in parte era anche colpa sua. ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ La giovane fata era totalmente spiazzata, non sapeva cosa fare né cosa dire. Ogni parola le sembrava vana e vuota, perciò rimase in silenzio di fronte all'affermazione del ragazzo. ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ Lei l'aveva lasciato solo quando lui ne aveva più bisogno e ora le sue scelte passate le si stavano ritorcendo contro. Un semplice "scusa" non sarebbe bastato e in quel momento James non sembrava dell'umore adatto per discuterne. Chissà se ne avrebbero mai parlato… Rosalie temeva quel momento. ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ ‍ ‌ ‍‌ ‍ ‌ ‍ ‌ ‍ « Io… ehm… » fu l'unica cosa che riuscì a dire. Sospirò e poi continuò, come se nulla fosse: « Non mi aspettavo di vederti qui… adesso… ». Che insolita coincidenza: poche ore prima era combattuta se scrivergli o meno ed ecco che il destino glielo faceva spuntare fuori proprio quando stava iniziando a non pensarci più. ( https://66.media.tumblr.com/.../107c1511368ae3f113f9dc300... )
James Cole Collins * James mostrava freddezza, ma all’interno del proprio cuore era come come se gli ribollisse tutto, forse perché quell’amore non era finito come voleva, forse perché tutto quell’orgoglio gli aveva costruito una barriera protettiva nei confronti di lei. Rosalie era stata un punto focale della vita di James, forse, sotto sotto, lo era ancora, ma mai avrebbe pensato ad una cosa del genere. La rabbia, la delusione, l’orgoglio ormai lo controllavano e se vi era una sola cosa vuota in quella scena era di certo la sua anima che, lacerata, era scappata via di fronte agli occhi della ragazza. La faccenda era complicata, ma non perché quel loro “chiacchierare” sembrava ormai troppo freddo, ma perché non sarebbe bastato. Forse nulla sarebbe bastato davvero, Rosalie gli aveva tradito l’anima. * « C’è il libero arbitrio. Posso andare ovunque adesso che sono fuori, fuori dalle gabbie. » * La risposta era chiara e Rosalie non avrebbe potuto fraintendere secondo James. Gli stava indirettamente rinfacciando il fatto che, innocente, era stato imprigionato e lei non si era mossa per niente. Ora, invece, era libero, libero da tutto seppure il suo futuro lo immaginava differente. Rosalie Campbell  Un'altra pugnalata, questa volta dritta al petto. Aveva capito perfettamente il riferimento alla sua prigionia e non poteva negare che non se lo sarebbe aspettato da lui. Era il suo orgoglio ferito che parlava, non il James di cui si era innamorata, il James affettuoso e premuroso, che metteva il bene degli altri prima del suo… quello se n'era andato già da un po'. O meglio, si era nascosto nelle profondità del suo cuore per lasciar posto ad un animo fiero, che ora stava emergendo in tutta la sua possenza e si stava quasi vendicando dell'enorme torto subito.  Si riprese dall'imbarazzo iniziale e disse in modo secco e deciso: « Bene! ». Non c'era emozione nella sua voce. « Ti stai godendo la festa? » gli chiese, raddrizzando le spalle e ricomponendosi. I momenti di debolezza li avrebbe lasciati da parte per quando sarebbe tornata a casa. Per quanto fosse palesemente scossa dal loro incontro, non voleva che lui provasse pietà di lei, ammesso che ancora ne fosse capace. Voleva mantenere quel poco di dignità e fermezza che ancora le restava. Se non avesse indossato quella maschera, probabilmente non sarebbe nemmeno riuscita a parlare da tanto i sensi di colpa le afferravano il cuore. ( https://66.media.tumblr.com/.../5a693f4d5196aff3190cba9ef... )
James Cole Collins * L'orgoglio era sempre stato un grande difetto di James, cercava sempre di essere superiore perfino alle sue stesse parole, ai suoi stessi progetti, d'altra parte la costruzione dell'orgoglio era giunta con il passare del tempo, sconfitta dopo sconfitta, perdita dopo perdita, o forse meglio solitudine dopo solitudine. Era colpa di quella maledetta vita che se l'era presa fin troppo con lui, se in quel momento, i suoi occhi cangianti apparvero come due fari spenti, due ghiacciai che non ricordavano neppure di amare quella persona che avevano intorno a loro, che accarezzavano attraverso il loro sguardo. Fu, però, proprio quel ''bene'' a richiamarlo all'umanità perduta, alla brutalità della vita. Rosalie sembrava decisa e quel tono secco appena utilizzato sembrava solo il preludio di una delle sue sparizioni per evitare di litigare, o chissà cosa, d'altra parte, la sua inettitudine, James non l'aveva ancora compresa. * << Bene . >> *Fece per imitare il suo tono di voce secco, freddo, ma ciò non era nient'altro che un modo per farle comprendere che aveva capito il suo cambiamento nei propri confronti. La domanda successiva fu come un pugnale nel petto, James si sentì trafitto, totalmente trafitto e fu probabilmente per questo che per i primi secondi si zittì.* <<Mi sto godendo tutto tranne la festa, forse era questa la domanda. >> * Rispose con una freddezza tale da far tremare i polsi, che le stava dicendo che quella conversazione era già stata sufficientemente tirata per le lunga? Che le stava dicendo che lei era bella più della festa? Che le stava dicendo che stava per andarsene sia da lei che dalla festa? Chissà * << E tu? >> Rosalie Campbell  Per un momento pensò che la temperatura fosse calata improvvisamente perché l'atmosfera tra i due sembrò raggelarsi e un brivido le attraversò le gambe, che le si irrigidirono d'un tratto. L'unica cosa che sentiva di riuscire a muovere in quel momento erano i suoi occhi. Per la prima volta da quando l'aveva rincontrato quella sera, con lo sguardo cercò di osservare e memorizzare ogni dettaglio della sua presenza, dai capelli, alle mani, fino alle scarpe. Dopo mesi di assenza, non sapeva quando l'avrebbe rivisto di nuovo e voleva ricordarselo così. Vestito elegante, tutto ben curato. Chissà forse aveva anche indossato un profumo, ma da quella distanza non riusciva a capirlo. Sarebbe stato però un dettaglio alquanto piacevole per la sua memoria. In effetti, non ricordava più né il sapore né l'odore della sua pelle.  Non capì, però, quella sua affermazione. Cosa ci poteva essere in quel momento oltre alla festa? E soprattutto che si stava godendo di più... Il suo sguardo stranito rispose al posto suo. Preferì non entrare nell'argomento, era meglio non rischiare di far scoppiare una lite al loro primo incontro.  « Solitamente mi diverto di più. Oggi è una giornata un po' no » disse incrociando le mani. Il suo corpo era finalmente libero di tornare a muoversi. ( https://66.media.tumblr.com/.../15f34944fbe2278c706f4ddea... )
James Cole Collins * Il Polo Nord non sembrava così freddo come quei due che, vicini eppure fin troppo lontani, sembravano costruire un vero e proprio ghiacciaio attorno a loro, attorno ai loro cuori. Avevano incominciato a ferirsi con l’assenza ed ora quell’assenza, divenuta leggera presenza, urlava di cattiveria, di freddezza, di “bene” pronunciati al posto di qualsiasi altra parola meravigliosa che avrebbero potuto scambiarsi. Erano scelte, avevano intrapreso entrambi la stessa scelta ed ora la faccenda diventava preludio di un’uscita di scena, o forse di qualcosa di diverso. Se da una parte, James in cuor suo si stava avidamente beando di quella presenza, dall’altra, il ragazzo sembrava assolutamente insensibile alla sua presenza fin quando i suoi occhi non notarono quello sguardo stranito. Fu in quel momento che avrebbe voluto urlare, dire mille cose e sbraitare contro di lei, contro tutto quello che aveva procurato alla sua anima ormai abbandonata e sola. Avrebbe, ma non lo fece. I suoi occhi si scurirono leggermente e una piccola risata fuoriuscì dalle sue labbra. * « Hai anche paura di parlare adesso. Sono disgustose le scelte che prendi. » * Aveva usato quella risata per alleggerire il peso del suo cuore, ma dopo quelle parole era inevitabile non intervenire nel modo più antipatico che conosceva. * « Siamo tutti destinati a giornate un po’ no.. basta incominciare a conviverci. » * Doppio ammonimento. James stava alludendo alla lotta tra le razze e alla loro diversità. Nonostante quel suo intervento che preludeva quasi uno scontro, nulla si mosse se non i suoi occhi che si spostarono in quelli di lei. * « Vado via. È meglio. »
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iamdead013 · 4 years
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Un giorno,decisi di provare la droga più devastante,la prima volta non andò proprio bene,ci rimasi male,ma dopo un pò di tempo mi passò,poi molto tempo dopo decisi di riprovarla,all'inizio la presi molto bene,mi tirava a se,ne volevo sempre e sempre di più,ero arrivato ad un punto tale da non averne mai abbastanza,poi d'un tratto cambio tutto,e scomparve dalla mia vita,ed io da li cominciai a spegnermi,a non esserci più,mi chiudi in me stesso,non provavo più niente,neanche un piccolo brivido,tranne quando mi ricapito d'avanti,è stato per poco,ma ha solo finito di fare il suo lavoro,era tornata per finirmi,per dirmi che senza sarei stato il nulla.
Stupido da dire ma questa droga è una persona e l'amore provato per essa,che non sempre s'incontra qualcuno che ricambia lo stesso tipo di sentimento,che per me lei resta tutto e quello che mi ha sempre promesso,lo sta facendo con altri. Mi ha ucciso,devastato, e difficilmente ne uscirò.
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*
Le mani delle donne che incontrammo     una volta, e nel sogno, e ne la vita:     oh quelle mani, Anima, quelle dita     che stringemmo una volta, che sfiorammo     con le labbra, e nel sogno, e ne la vita!     Fredde talune, fredde come cose     morte, di gelo (tutto era perduto):     o tiepide, parean come un velluto     che vivesse, parean come le rose:     rose di qual giardino sconosciuto?     Ci lasciaron talune una fragranza     così tenace che per una intera     notte avemmo nel cuore la primavera;     e tanto auliva la soligna stanza     che foresta d'april non più dolce era.     Da altre, cui forse ardeva il fuoco estremo     d'uno spirto (ove sei, piccola mano,     intangibile ormai, che troppo piano     strinsi? ), venne il rammarico supremo:     - Tu che m'avesti amato, e non in vano! -     Da altre venne il desìo, quel violento     Fulmineo desio che ci percote     come una sferza; e immaginammo ignote     lussurie in un'alcova, un morir lento:     - per quella bocca aver le vene vuote! -     Altre (o le stesse) furono omicide:     meravigliose nel tramar l'inganno.     Tutti gli odor d'Arabia non potranno     Addolcirle. - Bellissime e infide,     quanti per voi baciare periranno! -     Altre (o le stesse), mani alabastrine     ma più possenti di qualunque spira,     ci diedero un furor geloso, un'ira     folle; e pensammo di mozzarle al fine.     (Nel sogno sta la mutilata, e attira.     Nel sogno immobilmente eretta vive     l'atroce donna dalle mani mozze.     E innanzi a lei rosseggiano due pozze     di sangue, e le mani entro ancora vive     sonvi, neppure d'una stilla sozze).     Ma ben, pari a le mani di Maria,     altre furono come le ostie sante.     Brillò su l'anulare il diamante     né gesti gravi della liturgia?     E non mai tra i capelli d'un amante.     Altre, quasi virili, che stringemmo     forte e a lungo, da noi ogni paura     fugarono, ogni passione oscura;     e anelammo a la Gloria, e in noi vedemmo     illuminarsi l'opera futura.     Altre ancora ci diedero un profondo     brivido, quello che non ha l'uguale.     Noi sentimmo, così, che ne la frale     palma chiuder potevano esse un mondo     immenso, e tutto il Bene e tutto il Male:     Anima, e tutto il Bene e tutto il Male. Gabriele D'Annunzio
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estpoesia · 5 years
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Poesie scelte: PIER PAOLO PASOLINI, Le ceneri di Gramsci (Milano, Garzanti 1957).
Me ne vado, ti lascio nella sera
che, benché triste, così dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea
che al quartiere in penombra si rapprende.
E lo sommuove. Lo fa più grande, vuoto,
intorno, e, più lontano, lo riaccende
di una vita smaniosa che del roco
rotolio dei tram, dei gridi umani,
dialettali, fa un concerto fioco
e assoluto. E senti come in quei lontani
esseri che, in vita, gridano, ridono,
in quei loro veicoli, in quei grami
caseggiati dove si consuma l'infido
ed espansivo dono dell'esistenza –
quella vita non è che un brivido;
corporea, collettiva presenza;
senti il mancare di ogni religione
vera; non vita, ma sopravvivenza
– forse più lieta della vita – come
d'un popolo di animali, nel cui arcano
orgasmo non ci sia altra passione
che per l'operare quotidiano:
umile fervore cui dà un senso di festa
l'umile corruzione. Quanto più è vano
– in questo vuoto della storia, in questa
ronzante pausa in cui la vita tace –
ogni ideale, meglio è manifesta
la stupenda, adusta sensualità
quasi alessandrina, che tutto minia
e impuramente accende, quando qua
nel mondo, qualcosa crolla, e si trascina
il mondo, nella penombra, rientrando
in vuote piazze, in scorate officine…
Già si accendono i lumi, costellando
Via Zabaglia, Via Franklin, l'intero
Testaccio, disadorno tra il suo grande
lurido monte, i lungoteveri, il nero
fondale, oltre il fiume, che Monteverde
ammassa o sfuma invisibile sul cielo.
Diademi di lumi che si perdono,
smaglianti, e freddi di tristezza
quasi marina… Manca poco alla cena;
brillano i rari autobus del quartiere,
con grappoli d'operai agli sportelli,
e gruppi di militari vanno, senza fretta,
verso il monte che cela in mezzo a sterri
fradici e mucchi secchi d'immondizia
nell'ombra, rintanate zoccolette
che aspettano irose sopra la sporcizia
afrodisiaca: e, non lontano, tra casette
abusive ai margini del monte, o in mezzo
a palazzi, quasi a mondi, dei ragazzi
leggeri come stracci giocano alla brezza
non più fredda, primaverile; ardenti
di sventatezza giovanile la romanesca
loro sera di maggio scuri adolescenti
fischiano pei marciapiedi, nella festa
vespertina; e scrosciano le saracinesche
dei garages di schianto, gioiosamente,
se il buio ha resa serena la sera,
e in mezzo ai platani di Piazza Testaccio
il vento che cade in tremiti di bufera,
è ben dolce, benché radendo i capellacci
e i tufi del Macello, vi si imbeva
di sangue marcio, e per ogni dove
agiti rifiuti e odore di miseria.
È un brusio la vita, e questi persi
in essa, la perdono serenamente,
se il cuore ne hanno pieno: a godersi
eccoli, miseri, la sera: e potente
in essi, inermi, per essi, il mito
rinasce… Ma io, con il cuore cosciente
di chi soltanto nella storia ha vita,
potrò mai più con pura passione operare,
se so che la nostra storia è finita?
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wolfhowls · 5 years
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Principessa (Miraculous Fanfiction)
6 Grazie
Chat Noir si allontana dalla pasticceria dei genitori di Marinette e salta dalla finestra nella stanza di Adrien proprio mentre la trasformazione termina. Adrien alza le mani davanti a sè per sostenere un esausto Plagg che gli si appoggia sui palmi e borbotta "Camembeeert". Il biondo, con un sospiro di sollievo nel vederlo tornato normale, lo posa sul cuscino del letto, poi si allontana di un paio di passi per aprire l'armadietto dove tiene la riserva del puzzolente cibo del suo Kwami. Con un espressione vagamente disgustata Adrien porta un pezzetto, di formaggio a Plagg poi si lascia cadere seduto sul materasso, facendolo rimbalzare sul cuscino.
"Che succede, Adrien?" gli chiede Plagg, la bocca piena, vedendo che il suo portatore si reggeva la testa tra le mani, gli avambracci puntellati sulle ginocchia. "Cosa accidenti ho fatto?" borbotta Adrien "Come ho potuto farla soffrire così?". Il ragazzo si volta, fissando il kwami "Plagg, credo che Marinette .... beh... ecco... insomma... " Adrien deglutisce a vuoto "leihaunacottaperme" dice, tutto d'un fiato, le guance rosse come un peperone. Plagg lo guarda e gli vola vicino al viso "Ma tu non hai.... bleah... " fa, con aria schifata "baciato quell'altra ragazza?" gli chiede, a bruciapelo. Adrien diventa ancora più rosso "eh... No!" esita "no, non ci siamo baciati, io non... eh.. Ma non c'entra. Ora io so che Marinette.. ma non lo so. Perché lo ha detto a Chat Noir". 
"Ma Chat Noir sei tu" gli fa notare Plagg. Adrien lo zittisce con un gesto e continua "Va bene, non se lo ricorda perché era akumizzata, il fatto è che adesso" si appoggia una mano sul petto "io lo so. E... e... e... cavolo non so cosa fare perché.. Ladybug... io..." tace, riprendendosi la testa fra le mani.
Plagg gli vola davanti al viso "Secondo me ti fai troppi problemi! Prenditi un po' di camembert e non pensarci più! E poi non dirmi che non ti eri accorto dello sguardo della ragazza dei macaron!" "Si chiama Marinette!" L'interrompe Adrien, nervoso "il fatto è che io.. credo di... insomma... Lei è un'amica e io non v... " si blocca e scatta in piedi "Oh, cavolo! Non va bene, Plagg!" Il Kwami lo guarda con gli occhi sbarrati, sobbalzando per la sorpresa "Non ho visto il potere del Miraculous di Ladybug! Le dev'essere successo qualcosa! Plagg, trasformami!"
La sensazione della trasformazione in Ladybug non era la solita. Marinette sente come un brivido di freddo quando l'attiva, cosa che non le era mai capitata prima. La ragazza si guarda e le sembra di vedere la solita tuta aderente rossa a pois neri, passa le mani guantate sul tessuto delle gambe, del corpo, "che strana sensazione ho avuto ma il costume sembra ok" commenta tra sé, poi trasalisce quando tocca gli orecchini. "oh no" le sfugge un'esclamazione, sentendo che uno dei due ha una specie di crepa. Subito prende lo yo yo dalla cintura e lo apre, usandolo come specchietto: uno degli orecchini ha una piccola crepa, che parte dal centro e raggiunge il bordo, lievemente luminescente nella scarsa luce della sera. 
"E adesso? Mi sembra tutto normale ma.. aspetta" pensa Marinette, chiudendo gli occhi e concentrandosi per percepire qualsiasi sensazione diversa dal solito. Niente, la brezza fresca sul viso, che le muove i capelli, la consueta sensazione del costume di Ladybug sulla pelle, no, nulla di diverso.
Ladybug riapre gli occhi con un sospiro di sollievo, poi osserva di nuovo l'orecchino con lo specchietto "hmm sembra che la crepa si sia rimpicciolita.. possibile?" pensa, notando il cambiamento di dimensioni del segno. "Calma, Marinette, hai già fatto abbastanza casini oggi. Calma" si rimprovera, chiudendo lo yo yo e facendolo roteare per lanciarlo sul lampione di fronte alla terrazza, una rapida occhiata per assicurarsi che nessuno l'abbia vista e si lancia oltre la ringhiera, atterrando a piè pari sulla sommità della lampada, che ondeggia lievemente. 
Marinette borbotta "E ora, troviamo questa Akuma..." guardandosi attorno e cercando segni di luminescenza viola, ma niente. Ladybug lancia di nuovo lo yo yo e salta dal lampione, atterrando in cima a quello a un terzo della lunghezza del  ponte sulla Senna. L'eroina dà un'altra occhiata circolare ma ancora nessuna traccia dell'Akuma, quindi salta sul lampione seguente "Devo fare in fretta o si moltiplicherà, e allora sarà dura" pensa, inquieta, scendendo sul marciapiede.
"Proviamo..." dice fra i denti, prende lo yo yo e con un salto sul posto lo lancia in aria dicendo "Lukcy Charm!". Un turbinio di luce rosata e le cade in mano un oggetto rosso a pois neri. Ladybug osserva l'oggetto che ha in mano, incuriosita "Un ombrello a scatto? E che ci faccio?" sbotta. L'eroina a pois osserva meglio l'ombrello, lo apre e quello non si blocca ma si richiude a metà.
Ladybug si rigira tra le mani l'ombrello, chiudendolo. Lo osserva di nuovo poi si guarda ancora in giro. Riapre l'ombrello e ci guarda dentro. Poi lo richiude. 
Di colpo si ricorda del primo giorno di scuola, quando Adrien si scusa per il malinteso del chewing gum e di Chloé. Il biondo le ha prestato il proprio ombrello e quello le si è chiuso in testa, facendoli ridere di cuore. E beh poi c'è stato qualcosa d'altro, Marinette si sente arrossire quando pensa a come si è sentita nel momento in cui la mano di Adrien ha sfiorato la sua.  
Ladybug ha capito il significato del Lucky Charm: "A scuola. Ma certo!" pensa,  avviandosi verso l'edificio.
Chat Noir ha quasi raggiunto la scuola, da un tetto non lontano vede Ladybug avvicinarsi alle scale, con in mano qualcosa.. "L'avevo detto io che era strano.. ma è un ombrello?". L'eroe in nero si blocca, colpito dal ricordo di quando ha incontrato Marinette su quelle scale, le ha parlato, le ha prestato l'ombrello e si sono sfiorati. "Anche prima mi è tornato in mente" pensa, confuso, poi scuote la testa e si lancia, spingendosi col bastone, sul tetto della caffetteria della scuola, notando la sagoma rossa di Ladybug sul tetto dell'edificio principale.
Ladybug ha appena riposto lo yo yo dopo essere saltata sul tetto, quando, al centro del cortile, vede il bagliore viola dell'Akuma. Prende lo yo yo, lo tocca al centro facendolo aprire, lo fa rimbalzare sul filo un paio di volte, poi carica il colpo e lo lancia verso la farfalla "Ladybug sconfigge il male!" annuncia. Lo yo yo magico imprigiona l'Akuma e Ladybug lo recupera con un "Presa!" soddisfatto. "Niente più malefatte, piccola Akuma" dice, mentre lo apre e la farfalla, tornata candida, vola verso il cielo "ciao ciao, farfallina!" dice, guardandola scomparire.
Papillon percepisce la purificazione dell'Akuma "Maledetta Ladybug! Ma la prossima volta verrai dimenticata!" grida, furioso, nella penombra violacea del suo covo.
"Bene, e ora sistemiamo le cose.."  pensa Marinette, poi lancia in aria l'ombrello con un "Miraculous Ladybug!".
Immediatamente milioni di coccinelle magiche iniziano a turbinare attorno al Lucky Charm, per dividersi e raggiungere tutte le persone colpite da Principessa Solitudine, che riacquistano i propri ricordi. Toccano anche i due eroi, riparando completamente l'orecchino di Ladybug e cancellando quasi del tutto il peso che opprimeva Adrien da quando vide l'immagine della mamma scomparire, quello stesso pomeriggio, qualcosa però non era passato, lui ne era certo.
Chat Noir rimane fuori vista di Ladybug, indeciso "Se la fermo ora si deve ritrasformare. E non mi dirà niente. Forse se aspetto mi spiegherà. Deve farlo. Mi fido di lei ma.." pensa, con un misto di sollievo e preoccupazione. Dal suo nascondiglio, Chat Noir aspetta che Ladybug si allontani, poi controlla l'ora sul bastone e si avvia verso il luogo dell'appuntamento "devo pensare a cosa dirle", riflette.
Ladybug fa un lungo giro prima di tornare verso casa, per depistare eventuali curiosi, poi sgattaiola nella botola della camera di Marinette e rilascia la trasformazione, riprendendo l'aspetto di Marinette e controllando gli orecchini allo specchio. Integri.
Con un lungo sospiro, si siede sul divanetto, i cuscini ancora fuori posto dal pomeriggio. 
Tikki, mi puoi spiegare cosa è successo?" domanda alla Kwami stringendo un cuscino tra le mani per calmarsi, sentiva di nuovo le lacrime in fondo alla gola. "Beh, sei stata akumizzata, te lo ricordi?" inizia a spiegarle Tikki. "Si, ho... ho provato a resistere ma sono troppo stanca, Tikki" risponde la ragazza "Cerca di calmarti, è tutto sistemato adesso. Sei stata bravissima. Io ho chiamato Chat Noir, che ti ha salvata da solo!" la tranquillizza la Kwami rossa, volando ad accarezzarle una guancia, Marinette alza la mano per permetterle di posarsi "Grazie Tikki,  sarei persa senza di te... ma dimmi, cosa ho fatto?" "Beh, non lo so precisamente, sono andata a cercare Alya per darle il Miraculous della Volpe. Anche lei è stata bravissima. L'ho fatto per sviare i sospetti di Papillon che magari, non vedendo Ladybug, poteva sospettare di te." spiega Tikki.
"E ... senti... " Marinette guarda la Kwami negli occhi scuri "Perché Chat Noir stava piangendo? E' qualcosa che gli ho fatto da Akumizzata? Io... io.. io ricordo solo dei flash  era... era terribile. Non potevo fare niente." Tikki la guarda a sua volta, preoccupata "non ci pensare, è finito. Mi spiace non poter fare di più ma devi trovare la forza, Marinette. Sei la miglior Ladybug che io abbia mai avuto, e ti voglio bene, ce la farai, sono sicura". Marinette si asciuga una lacrima col dorso della mano, poi tira su col naso e avvicina Tikki alla guancia in una specie di abbraccio "Grazie Tikki. Anch'io ti voglio bene. Ora mangia, che devo spiegare un po' di cose a Chat Noir. Vorrei tanto poterlo ringraziare per quello che ha fatto per me ma... come faccio se sono Ladybug?".
Tikki svolazza sulla scrivania, dove c'è un piatto con alcuni biscotti, e ne inizia a mangiare uno "hmm... potresti dirgli che te l'ha chiesto... " ridacchia "Marinette! oppure... oppure potresti chiedergli di vederti da qualche parte perché vuoi ringraziarlo. Ma forse è meglio che tu non gli dica niente." Marinette riflette "Hmm forse non dire niente è la cosa migliore. Potrei portargli un regalo dicendo che me l'ha dato... ehm.. Marinette, che ne dici?" "Mi pare una buona idea" conclude Tikki.
      Si è fatta l'ora dell'appuntamento, e i due eroi si trovano sul bordo di una cupola della cattedrale del Sacré-Coeur.
Chat Noir era già lì, sorride quando vede l'eroina in rosso, ma lo sguardo è serio. Ladybug non ne è sicura ma le sembra che lui abbia gli occhi lucidi. "Ciao, Micetto" esordisce, tentando a sua volta un sorriso.  "Ciao." fa lui, secco "Vorresti spiegarmi o intendi lasciarmi all'oscuro anche adesso?". Ladybug è un po' confusa dal suo strano atteggiamento "Si", gli dice, fissandolo negli occhi verdi, che le sembrano un po' diversi dal solito "sediamoci, vuoi?" e lo invita a mettersi accanto a lei battendo la mano sulla pietra "è che... ero in ritardo perché... è.. è imbarazzante, Chaton.. sono.. ecco... " Ladybug si guarda i piedi, nervosa "insomma cose da donne, capisci..." 
Chat noir arrossisce sotto la maschera e fa "ah. Scu-scusami ma ero molto preoccupato, temevo che ti fosse successo qualcosa di grave" Fa una lunga pausa, poi si volta verso Ladybug, che non lo sta guardando "ma dimmi... perché quando hai accompagnato Marinette hai detto che era tutto a posto e dopo eri alla Dupont? Ti ho visto catturare l'Akuma? Io... Mylady io mi fido di te ma... ma credo che tu non ti fidi di me." fa una pausa, mentre Ladybug si gira e lo guarda negli occhi "Posso sopportare se non mi ami. Ma non mentirmi. Ti prego".
La ragazza è presa alla sprovvista e pensa freneticamente a una risposta, preoccupata vedendo la preoccupazione, quasi la paura nello sguardo del suo compagno di avventure "Chat Noir, vedi io... io... l'ho fatto per proteggere le nostre identità. Siccome non sono arrivata subito, Papillon avrebbe potuto avere dei... dei sospetti che io... beh che io fossi Marinette, per cui per prima cosa l'ho portata al sicuro e tu.. tu ti stavi per ritrasformare, dovevo fare in.. in fretta e.. e.."
Improvvisamente, per la seconda volta quel giorno, Ladybug abbraccia Chat Noir, appoggiando il viso sulla sua spalla, gli occhi stretti per trattenere le lacrime. "Non ti mentirei mai, Chat Noir."
Lui sulle prime rimane immobile, poi lentamente ricambia l'abbraccio, sentendo un'altro po' di peso lascargli il petto.
"Grazie" dicono entrambi, contemporaneamente, la luce della Luna a definirne le sagome.
Fine
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