Tumgik
#Noi non abbiamo patria
falcemartello · 2 months
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Cosa si può imparare dalla cerimonia di apertura delle Olimpiadi di Parigi del 26 luglio 2024?
Sono sempre stato riluttante a criticare l'Occidente "da fuori".
Credevo, e lo credo, che la maggioranza delle critiche all'Occidente, o all'Europa, provengano da criteri o valori di natura occidentale.
L'Occidente è cioè per sua natura autocritica, e messa in discussione.
Tuttavia, credo che negli ultimi dieci anni qualcosa in più sia accaduto.
Vedo la dissoluzione di una intera civiltà come neve al sole.
Vedo il dominio del brutto, dell'osceno, del cattivo gusto.
Vedo la tracotanza estetica del male.
E la vedo esprimersi senza pudore, senza vergogna, a cielo aperto, dinanzi a capi di stato - che non dicono nulla - a vescovi - che in pochi dicono qualcosa - a giornalisti - che dicono tutto per il potere.
In confronto alla presentazione di ieri, Hunger games sembra un'esibizione di misura e di umanità.
Una società che profana il bello, che educa all'osceno, non può che essere una civiltà di guerra, di nichilismo, di ingiustizia.
Una civiltà di odio.
Quanto odio c'era ieri sera?
Quanto odio si voleva diffondere ai miliardi di persone che guardavano quella "cerimonia".
Ci sarebbero molte domande da fare.
Se una civiltà crolla in così poco tempo, significa che aveva dei problemi strutturali.
E poi ci sarebbe da interrogare la storia e il destino della Francia.
Sul piano culturale, il loro continuo voler scandalizzare, essere originali, spararla grossa, decostruire e poi post-decostruire, ha fatto danni immensi, non tanto alla cultura tradizionalista ma al filone critico.
Lo ha sottratto dalla realtà.
Un continuo "Épater la bourgeoisie", che oramai non scandalizza se non gli ultimi, i poveri, i bambini.
Cosa è che oggi realmente scandalizza? Lucio Dalla scriveva che oggi è difficile essere normali.
A me non piace il termine normale. Diciamo che oggi scandalizza la potente realtà dell'umano, il suo mistero abissale e semplice, l'umiltà di un fiore, l'esistenza di una donna e di un uomo, la verità ferita della nostra anima.
Insomma, scandalizza la bellezza, che non è che lo sprigionarsi della verità. Ecco, questo realmente scandalizza il potere, non quella buffonata oscena.
Quella di ieri è una cerimonia reazionaria, un rito di difesa dello status quo.
L'anticonformismo delle oligarchie, questo è stato. Il vero anticonformismo siamo noi.
Ecco, verrà un tempo, in cui si stabiliranno nuovi criteri di giudizio, severissimi, in cui ci sarà un esercito della bellezza, totalmente non violento, ma che manifesterà civilmente contro episodi del genere.
Perché non c'è nulla di più antidemocratico che la bruttezza diffusa come strumento pedagogico. Non c'è niente di più antisociale, e antirepubblicano di quella "cosa" che abbiamo visto ieri.
Non è una questione di estetismo ma di difesa dei diritti dell'uomo e del cittadino.
Ma in quella patria se ne sono dimenticati, sommersi da un cumulo di pseudoprogressismo e laicismo instupidito.
Gabriele Guzzi
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crazy-so-na-sega · 4 months
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Edward Hopper Stanza a New York
La nazione, la patria, un popolo non esiste se non contro, e noi non abbiamo un'identità se non rafforzata dall'altro. Mi si vuol far credere che, un giorno, non esisteranno che degli uomini. Infatti, a questo siamo arrivati. [...] Tanti nulla costretti a star buoni.
-J.Cau
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smokingago · 6 months
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Il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi". C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Eppure senza questo profilo d'ombra, quella che puerilmente chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per "amore". Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell'altro. Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati. Umberto Galimberti
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abr · 11 months
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Debunkiamo il concetto di ANTI-SIONISMO. Spoiler: l'architrave fondante di tutto il resto anti Israele è un FAKE.
Fact Statement: Israele non è solo una "Patria di Ebrei". E' UNO STATO MODERNO MULTI RELIGIOSO MULTI ETNICO. E multi opinionato (si, come da noi postano anche i cretini, ma diversamente da Gaza, codesti NON rappresentano l'intero Paese: it's democracy).
Di fatto città parte di Israele da sempre, come ad es. Haifa, sono a maggioranza arabo-islamica. Arabi islamici cittadini israeliani 100% che definiscono Israele PATRIA: votano, servono nell'esercito etc.
Quantifichiamo: la Lista Comune (Hadash - Balad - Ta'al - Lista Araba Unita) dei partiti arabi rappresenta il terzo partito nella Knesset con 15 seggi (il Likud al governo ne ha 36) su 120 totali. Un po' più dei sudtirol e anche dell'islam in Francia.
Per questo motivo la litania giudaismo vs. sionismo é fuorviante cliché da anni '60. Non al livello di vergognose fake da Hamas proxy tipo "Israele distrugge chiesa ortodossa a Gaza", ma é fallo di confusione.
A maggior ragione il trito e AMBIGUO slogan "opporsi al sionismo non è antiebraismo". Ad esser generosi è sfondare una porta aperta: anche senza contare gli arabi, la stragrande maggioranza degli israeliani NON E' SIONISTA.
Quantifichiamo anche qui: i due partiti "sionisti" han 13 voti in tutto (nell'Italì SANA li chiameremmo IDENTITARI: funny come siano anti Zion certi che "in casa nostra solo migranti che sposino i nostri valorI"); 16 in tutto quelli religiosi ortodossi, divisissimi tra aschenaziti ex est europei più leave me alone vs. sefarditi ex paesi arabi, i più radicali (han terribili memorie, più recenti di chi ha subito nazismo e pogrom).
Aldilà del debunking di un FAKE, considero gli effetti concreti della posizione "antisionista" qualunque sia la sua motivazione: oggettivamente fiancheggia le posizioni di Hamas OPPONENDOSI AL DIRITTO DI REAZIONE DI ISRAELE (anche qui, btw, so funny come molti qui condividano il diritto all'autodifesa in casa propria senza limiti, ma Israele no: LA COERENZA?).
Appendice solo per chi fosse interessato al mio punto: in sintesi è il concetto di AVAMPOSTO. Basta una cartina geografica per capirlo.
Israele stato OCCIDENTALE è un CORPO ESTRANEO, non solo nel M.O; in quanto veramente occidentale, non sta bene alle VERE LOBBY GLOBALI (non ebbraiche, o non solo: lo dice la parola stessa, so' globali), quelle che investono dinero sonante - o dovrei dire renminbi - nelle Ong della Tratta, nelle armi iraniane e non, nei woke e nelle Grete, per farvi la transizione energetica addosso a vostre spese, e finalmente il COMUNISMO la trionferà.
Non potendo rimuovere l'avamposto prima e l'Occidente per come (ancora) lo conosciamo poi, han deciso di eroderli, corromperli progressivamente. Coi razzi e il terrore l'uno, con l'appeasement al terrore e la demografia l'altro. Ovunque usando genti sfortunate come oggetti, mai soggetti: corpi contundenti da sacrificare, bambini inclusi, come nei barconi. Lo scontro sia lungo, logorante, senza escalation fino a quando saranno maggioranza. LI' COME A CASA VOSTRA. Eh la valenza degli avamposti.
Cetero censeo Hamas esse delendam.
Si, SONO ESPLICITAMENTE DI PARTE: LA MIA - OCCIDENTALIS SUM.
Conscio di quanta merda abbiamo in pancia in Occidente oggi, proprio per questo non voglio ulteriori input di shit dis-umana in-civile da est e da sud, mentre combatto la mia. E VOI?
nb: non faccio mai il troll - chiedere al buring mai caghé; argomento solo con persone che stimo, nella vita reale come in quella virtuale. So che chi ha ispirato questo debunking non usa il sionismo come altri, a mo' di coprivergogna per non far coming out antiebraico. Purtroppo c'è questo elefante nella stanza, quelli che ancora adesso ebrei ai forni. Problemi non miei: isolateveli voi "anti Zion" ma intellettualmente onesti, se capite il danno di in-credibilità che vi apporta la nostalgia dei perdenti.
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curiositasmundi · 6 days
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È il turno di Salvini. Mentre il mondo va a rotoli, l’Italia si occupa delle grane della sua classe dirigente. Avevamo appena finito di asciugare le lacrime di coccodrillo del ministro della cultura di destra ed avevamo appena preso atto che il martire Toti ha preferito patteggiare con la coda tra le gambe e ci risiamo. Con la Meloni siamo alla via crucis ed eccoci alla stazione dell’indimenticato Ministro dell’Interno del governo gialloverde che passava le giornate in giro per il Belpaese in una sorta di comizio permanente. Mentre i suoi alleati del fu Movimento sgobbavano tra le scartoffie, il buon Salvini vagava circondato da folle semi biotte covando il colpo di genio per conquistare lo scettro più ambito. La famosa papetata, l’inizio della sua fine politica anche se non certo poltronistica. In quella torrida estate italiana, era lui il paladino della patria che ci difendeva dalle orde barbariche. Non si parlava d’altro che di navi e barchini e guardie costiere. Sembrava che il nostro paese fosse sotto scacco e i Mori sarebbero arrivati a Roma brandendo gli infradito. Sono passati diversi anni e l’unica certezza è che gli immigrati sbarcano come non mai, le navi delle ong continuano a salvare i naufraghi dagli squali e pian piano la propaganda sta lasciando spazio alla realtà. Già, il blocco navale era una fregnaccia elettorale tra le altre e degli immigrati c’è un dannato bisogno in paesi come il nostro ridotti a gerontocomii in cui ci si riproduce ai ritmi dei panda. Lo dicono i numeri. Gli imprenditori non trovano braccia nostrane, i giovani italiani preferiscono andare a scuola e prediligono lavori dove si resta al caldo e non ci si screpola le mani, pretendono perfino di venire pagati decentemente e di avere anche il tempo per respirare. Rifiuto della schiavitù o imborghesimento a seconda dei punti di vista. Altra certezza granitica, la stragrande maggioranza dei barbari sono in realtà bravissime persone che vengono qui per mantenere i loro cari e già che ci sono pure se stessi. E se vi fosse una migliore integrazione, si eviterebbero anche i rari casi di sbandati che turbano la nostra quiete. Altra verità scolpita nella roccia, l’Italia e la sua cultura sono inossidabili e i figli degli invasori sono italiani al cento percento. Cambiano giusto forme estetiche e colori migliorando il panorama, non affatto la sostanza culturale. Purtroppo o per fortuna a seconda dei punti di vista. La realtà sta facendo davvero passi da gigante, di questo passo si potrebbe arrivare a capire che invece di essere una disgrazia, gli immigrati sono la salvezza di paesi come il nostro ed invece di scatenare battaglie navali e alimentare la paura per qualche poltrona, sarebbe ora di allestire corridoi umanitari ed attrezzarsi a gestire meglio l’integrazione di una società sempre più multietnica. Di questo passo si potrebbe perfino arrivare a capire che se il mondo è ridotto in queste condizioni, i principali colpevoli siamo noi occidentali che galoppiamo un folle turbo capitalismo, abbiamo un curriculum coloniale da brividi e se non facciamo qualcosa potremmo essere solo alla punta dell’iceberg. Sarebbe ora di affrontare alla radice i fenomeni come l’immigrazione invece di subirli. Fenomeni globali che richiederebbero perlomeno la massa europea ma qui pare si pretenda troppo. Qualche merito a Salvini bisogna comunque darglielo. Nel suo ambito è stato un precursore. Nel nord Europa hanno smesso solo di recente di prendersela con noi terroni per passare ai Mori. È così. Più sei diverso, più fai paura, più ti becchi le frustrazioni altrui. Ma perlomeno stiamo imparando che alla fine passa.
[...]
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raffaeleitlodeo · 1 month
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i le mie lacrime stanno piangendo sto annegando non vagando più nel deserto siamo diventati il ​​faraone ii secoli di celebrazioni sacre e di sofferenza sprofondati in una stridente sottomissione lo specchio si sta incrinando iii la mia disperazione è disperata sto tremando le nostre preghiere così piene di desiderio ci prendono in giro cantiamo all'ombra di una patria che chiude per mezzo secolo le vite degli esseri umani che respingiamo dalla vista dietro i muri (della prigione) iv la mia rabbia è furiosa sto tremando il nostro silenzio diventa mortale con l'accordo che abbiamo fatto per difendere i nostri cuori dal sapere che amano i loro figli le loro risate le loro vite tanto quanto noi v la mia rabbia infuria sono piegata madrina ebrea di un esuberante ragazzo palestinese, ora un uomo il mio amore per lui una specie di genesi, il suo amore per me una specie di grazia ci odierebbe altrimenti nessun tipo di antisemitismo conseguenze per averlo trasformato in un demone, e averlo scartato ogni giorno nella polvere di così tanti, troppi posti di blocco vi il mio trauma è traumatizzato sono distrutta li condanniamo per aver fatto cadaveri dei nostri figli come noi facciamo cadaveri dei loro la matematica di tutto questo ci sta dissanguando asciutta vii mia gente, mio popolo ebraico, non so come raggiungerti la nostra paura è paura e dimentica che siamo noi a stabilirci, a rinchiudere, a sequestrare accumuliamo paura su paura come mucchi di macerie di case demolite sogni distrutti per decenni viii il mio dolore è lutto sto piangendo non siamo sopravvissuti agli orrori dell'olocausto per accumulare la sopravvivenza in questo modo per svuotarci ix o lo abbiamo fatto? x mio popolo, mio popolo ebraico, dimmi che non è troppo tardi per scegliere un'altra strada
Tema Okun, "Se la nostra sopravvivenza è essere Ebrei", Ottobre 2023
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29/10/2023
Una citazione da Una trilogia palestinese al giorno
Mettiamo subito in chiaro che non difendo l'antica felicità né canto l'infelicità passata. Non hanno patria gli operai? Anche chi ne viene privato ne ha una. Forse, fortunatamente per noi, la nostra patria è diritto e bellezza. Non è diventata così corrosivamente bella grazie alle sottrazioni che ce l'hanno tolta? È sogno nella sua realtà e realtà nel suo sogno. Non abbiamo affatto nostalgia di una landa desolata, abbiamo nostalgia di un paradiso. Abbiamo nostalgia di esercitare la nostra umanità in un posto che sia nostro.
Mahmud Darwish
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susieporta · 6 months
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Il tradimento non è solo un esercizio di sessualità a bassa definizione, io penso che abbia una sua dignità e soprattutto che non debba essere giudicato da figli adulti che, nel condannarlo, pensano di più alla loro quiete perduta che al percorso anche drammatico in cui chiunque di noi, a un certo punto della sua vita, può venirsi a trovare. Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa infatti svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica e vera. Nasciamo infatti nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato e a tutti quelli che dopo di loro sono venuti, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi". C'è infatti in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee e delle cause che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto che è la fedeltà che non dobbiamo tradire. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze, troppa incapacità di amare se appena si annuncia un profilo d'ombra. Eppure senza questo profilo d'ombra, quella che puerilmente chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a briglia sciolta e a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio". E in ogni addio c'è lo stigma del tradimento e insieme dell'emancipazione. C'è il lato oscuro della fedeltà che però è anche ciò che le conferisce il suo significato e che la rende possibile. Fedeltà e tradimento devono infatti l'una all'altro la densità del loro essere che emancipa non solo il traditore ma anche il tradito, risvegliando l'un l'altro dal loro sonno e dalla loro pigrizia emancipativa impropriamente scambiata per "amore". Gioco di prestigio di parole per confondere le carte e barare al gioco della vita. Il traditore di solito queste cose le sa, meno il tradito che, quando non si rifugia nella vendetta, nel cinismo, nella negazione o nella scelta paranoide, finisce per consegnarsi a quel tradimento di sé che è la svalutazione di se stesso per non essere più amato dall'altro, senza così accorgersi che allora, nel tempo della fedeltà, la sua identità era solo un dono dell'altro. Tradendolo l'altro lo consegna a se stesso, e niente impedisce di dire a tutti coloro che si sentono traditi che forse un giorno hanno scelto chi li avrebbe traditi per poter incontrare se stessi, come un giorno Gesù scelse Giuda per incontrare il suo destino. Sembra infatti che la legge della vita sia scritta più nel segno del tradimento che in quello della fedeltà, forse perché la vita preferisce di più chi ha incontrato se stesso e sa chi davvero è, rispetto a chi ha evitato di farlo per stare rannicchiato in un'area protetta dove il camuffamento dei nomi fa chiamare fedeltà e amore quello che in realtà è insicurezza o addirittura rifiuto di sapere chi davvero si è, per il terrore di incontrare se stessi, un giorno almeno, prima di morire, con il rischio di non essere mai davvero nati.
Umberto Galimberti
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gregor-samsung · 2 years
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“ Dovevo ben insegnare come il cittadino reagisce all’ingiustizia. Come ha libertà di parola e di stampa. Come il cristiano reagisce anche al sacerdote e perfino al vescovo che erra. Come ognuno deve sentirsi responsabile di tutto. Su una parete della nostra scuola c’è scritto grande «I care». È il motto intraducibile dei giovani americani migliori. «Me ne importa, mi sta a cuore». È il contrario esatto del motto fascista «Me ne frego». Quando quel comunicato* era arrivato a noi era già vecchio di una settimana. Si seppe che né le autorità civili, né quelle religiose avevano reagito. Allora abbiamo reagito noi. Una scuola austera come la nostra, che non conosce ricreazione né vacanze, ha tanto tempo a disposizione per pensare e studiare. Ha perciò il diritto e il dovere di dire le cose che altri non dice. È l’unica ricreazione che concedo ai miei ragazzi. Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca d’una «guerra giusta». D’una guerra cioè che fosse in regola con l’articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l’abbiamo trovata. Da quel giorno a oggi abbiamo avuto molti dispiaceri. Ci sono arrivate decine di lettere anonime di ingiurie e di minacce firmate solo con la svastica o col fascio. Siamo stati feriti da alcuni giornalisti con «interviste» piene di falsità. Da altri con incredibili illazioni tratte da quelle «interviste» senza curarsi di controllarne la serietà. Siamo stati poco compresi dal nostro stesso Arcivescovo (Lettera al Clero 14.4.1965). La nostra lettera è stata incriminata. Ci è stato però di conforto tenere sempre dinanzi agli occhi quei 31 ragazzi italiani che sono attualmente in carcere per un ideale. Cosi diversi dai milioni di giovani che affollano gli stadi, i bar, le piste da ballo, che vivono per comprarsi la macchina, che seguono le mode, che leggono giornali sportivi, che si disinteressano di politica e di religione. Un mio figliolo ha per professore di religione all’Istituto Tecnico il capo di quei militari cappellani che han scritto il comunicato. Mi dice di lui che in classe parla spesso di sport. Che racconta di essere appassionato di caccia e di judo. Che ha l’automobile. Non toccava a lui chiamare «vili e estranei al comandamento cristiano dell’amore» quei 31 giovani. I miei figlioli voglio che somiglino più a loro che a lui. “
* L'11 febbraio 1965 un gruppo di cappellani militari in congedo della Toscana, riunitisi in assemblea a Firenze nell’anniversario della conciliazione tra Stato e Chiesa, votarono un ordine del giorno in cui dichiaravano, fra l’altro, di considerare «un insulto alla Patria e ai suoi Caduti la cosiddetta “obiezione di coscienza”, che, estranea al comandamento cristiano dell’amore, è espressione di viltà». L’ordine del giorno, pubblicato dal quotidiano «La Nazione» di Firenze, fu fatto conoscere a don Lorenzo da alcuni giovani di San Donato e da un amico professore di Prato saliti a Barbiana la domenica successiva. Il Priore stava facendo scuola. Lesse il ritaglio del giornale insieme ai ragazzi. Se ne discusse un’intera serata, e maturò così la «Lettera ai cappellani militari toscani che hanno sottoscritto il comunicato dell'11 febbraio 1965». La Lettera, firmata da don Lorenzo, venne diffusa a stampa in forma di volantino e fu riprodotta parzialmente da vari giornali e per intero dal settimanale del P.C.I. «Rinascita» [ Nota del curatore ].
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Lettere di don Lorenzo Milani priore di Barbiana, a cura di Michele Gesualdi, Mondadori (collana Oscar n° 431), 1976; pp. 213-214.
[1ª Edizione: 1970]
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turuin · 1 year
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Sei la persona che è stata ufficialmente designata per scrivere il "MESSAGGIO nella bottiglia", non quello classico del naufrago sull'isola deserta, bensì quello concepito dall'essere umano e diretto agli altri abitanti del sistema solare.
Devi spiegare cos'è la Terra e com'è l'uomo, ciò che veramente noi siamo, perché dovrebbero venire a trovarci o non piuttosto evitarci come la peste.
Un discorso fiume, o anche poche, significative parole. Come ritieni più opportuno. Grazie a nome del pianeta.
Cari abitanti del sistema solare, visto che condividiamo lo stesso sistema non ci dovrebbe essere un gran bisogno di spiegarvi cosa sia la Terra. Magari la chiamate in un altro modo, che so io: "evitare come la peste", "pianeta velenoso a causa dell'ossigeno", "fogna umana", oppure le avete dato il nome di una pretestuosa divinità venerata nei vostri tempi antichi, un po' come abbiamo fatto noi con Giove, Venere etc. A proposito: da quale di questi pianeti venite? Sono genuinamente curioso di sapere quali costrutti organici supportino la vita in ambienti così inospitali - ma, naturalmente, "inospitale" è solo un punto di vista squisitamente umano. Noi abbiamo questo vizio, vedete, di considerare tutto dal nostro punto di vista; ci manca del tutto la capacità di assumerne degli altri e, a volte, persino di riconoscere la legittimità della loro esistenza. Questo pianeta non ci ha "accolti": ci siamo sviluppati in esso, come diretta conseguenza delle forme di vita che lo hanno popolato. A un certo punto, per uno scherzo del destino o per una bizzarra ricombinazione di geni, abbiamo inziato a parlare e ad esprimerci, e da lì in poi è avvenuto il declino del pianeta. Si, perché noi siamo stati in effetti la sua condanna: abbiamo iniziato a lasciare vagare i nostri pensieri, dopo averli espressi, e abbiamo codificato dei concetti che, per loro stessa natura, sono astratti e sfuggenti come l'aria: giustizia, Dio, amore, libertà - ed i loro contrari. Abbiamo inventato la morale traendola letteralmente dal vuoto - naturalmente, una morale secondo il personale punto di vista delle classi dominanti. Anche il concetto di classe l'abbiamo fatto uscire come un coniglio dal cilindro (ma capirete, poi, tutte queste metafore? Sospetto che anche le metafore siano un vezzo del tutto umano). Insomma: siamo da buttare? No.
Non siamo da buttare, noi siamo necessari. Noi siamo un elemento di una storia che va avanti da molto prima di noi e che andrà avanti molto dopo di noi; il pianeta, in qualche modo, ci ha permesso di esistere per fare esattamente quello che stiamo facendo. Esaurito il nostro compito, ci estingueremo.
Qual è il nostro compito? Generare la prossima forma di vita che possa soppiantarci garantendo al pianeta di continuare ad esistere. E l'abbiamo già fatto: i semi sono già stati buttati.
Probabilmente non vi interessiamo abbastanza, se non come curiosità museale: siamo le piccole api operaie che stanno costruendo un alveare per la regina madre. Moriremo, al passare delle stagioni, e tutta questa arte, tutta questa musica, tutta questa patria, tutto questo amore non saranno serviti a niente. O forse, a tutto: saranno serviti a farci compiere il nostro destino: vivere qui, amare, costruire, distruggere, odiare, voler bene, allevare, sopprimere, cibarsi, cibare.
Il più grande degli inganni che il nostro linguaggio ci ha donato è l'illusione di essere liberi e di avere una scelta: a lungo termine, nulla di ciò che facciamo ha un senso o uno scopo.
Ma noi, che siamo dei furbetti, abbiamo inventato il breve termine, ed abbiamo risolto il problema. E per chi vuol disperarsi, ci siamo inventati anche un aldilà, che non esiste.
Non interferirete nel progetto del pianeta, di questo sono sicuro: lo avreste già fatto, altrimenti. Voi state aspettando la prossima forma di vita, con cui potrete comunicare - finalmente - in maniera logica, razionale, pulita.
Con noi, sarebbe solo un gran casino.
Scusatemi per il discorso poco accogliente. Mi faccio perdonare: ecco come ha immaginato vi sareste comportati uno di noi, uno che era un tipo veramente a posto e che sapeva bene che questo pianeta, in fondo, è solo la terza roccia a partire dal sole.
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falcemartello · 9 days
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Poiché noi al contrario della svezia non abbiamo la 35.000 euri da dare all'immigrato per tornare in patria, io propongo di offrirgli una 500 elettrica, che così quando tornano salvano anche il pianeta.
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palmiz · 11 months
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Daria Aslamova: Israele è un occupante e un terrorista !
Qual è la vera causa del conflitto tra la Striscia di Gaza e Israele; quali miti utilizza Israele per giustificare il proprio genocidio contro gli arabi; cos’è una “flottiglia della libertà” e perché la Striscia di Gaza è una prigione di massima sicurezza per tre milioni di palestinesi, ha detto la corrispondente speciale della pubblicazione Daria Aslamova alla caporedattrice di Pravda.Ru Inna Novikova.
INNA NOVIKOVA 11.10.2023 15:52
Daria Aslamova: Israele è un occupante e un terrorista
Qual è la vera causa del conflitto tra la Striscia di Gaza e Israele; quali miti utilizza Israele per giustificare il proprio genocidio contro gli arabi; cos’è una “flottiglia della libertà” e perché la Striscia di Gaza è una prigione di massima sicurezza per tre milioni di palestinesi, ha detto la corrispondente speciale della pubblicazione Daria Aslamova alla caporedattrice di Pravda.Ru Inna Novikova.
— Daria, sei stata diverse volte in Israele e Palestina, inclusa la Striscia di Gaza. Come vedi questa situazione?
— La Striscia di Gaza è la prigione più grande del mondo, situata dietro un muro di cemento alto nove metri circondato da filo spinato. Lì vivono tre milioni di persone, sedute una sull’altra, intrappolate in uno stretto pezzo di terra.
Quando nasci a Gaza, non hai:
passaporti,
cittadinanza,
giustizia.
Non puoi andartene da lì. Non vedrai mai i tuoi parenti che vivono sulla sponda occidentale del fiume Giordano.
Di tanto in tanto vengono bombardati da Israele. Solo per prevenzione. Cioè, gli elicotteri israeliani volteggiano costantemente sulla Striscia di Gaza come una mosca su una torta.
Il blocco di Gaza dura da mezzo secolo. Gaza si trova sul mare. Tutti i porti sono stati bombardati. Le persone non hanno il diritto di commerciare con il mondo o di produrre alcun prodotto. La zona di pesca è di sole tre miglia, ma tutti i banchi di pesci passano oltre. Se i pescatori tentano di proseguire il viaggio, vengono colpiti dalle pattuglie israeliane e le loro barche vengono confiscate.
Le merci possono arrivare lì solo con il permesso israeliano. Ad esempio, i materiali e gli strumenti da costruzione sono vietati e, sebbene Gaza abbia una popolazione enorme, sono necessari per costruire case. Non è possibile importare cioccolato, marmellata, cibo in scatola, filo, aceto e latticini. Inoltre, i paesi terzi spesso pagano per tutto questo. E Israele finge: "Com'è possibile? Abbiamo costruito una prigione, ma dobbiamo ancora dar loro da mangiare?"
Abbiamo a che fare con un genocidio completo. Israele ora ha tagliato l’elettricità, il gas e l’acqua. Israele è uno stato occupante e uno stato terrorista.
— Non c’è davvero alcun modo per aiutare il popolo palestinese?
- Stanno cercando di aiutarli. Ad esempio, ho partecipato personalmente alla "flottiglia della libertà", ovvero quando gli ebrei cercano di rompere il blocco di Gaza. Abbiamo raccolto diverse navi con fondi provenienti da ebrei europei, canadesi e americani che comprendono quanto sia ingiusto il blocco di Gaza. Siamo salpati dall'isola di Creta su una nave con cibo e altri beni. Israele ha esercitato pressioni sulla Grecia. La nostra nave è stata abbordata e noi siamo stati arrestati.
Israele introduce costantemente un altro mito: “Questo è un conflitto così complesso, non lo capirai”. Non è vero. Tutti i fatti di base sono molto chiari e semplici. Nel 1917, il censimento rivelò che il 93% degli arabi e solo il 7% degli ebrei vivevano in Palestina. Chi erano questo 7% degli ebrei? Nel 1897 ebbe luogo il primo congresso sionista e i Rothschild britannici decisero di creare uno stato, una patria nazionale degli ebrei in Palestina. Il denaro veniva utilizzato per acquistare terreni. E solo all’inizio del XX secolo gli ebrei cominciarono ad arrivare lì. A quel tempo, la Palestina era una terra idilliaca e patriarcale, perché lì non c’erano litigi religiosi. Ci sono arabi musulmani, ci sono arabi cristiani. Erano abituati a un numero infinito di pellegrini da tutto il mondo, compreso l'Impero russo. Gli ebrei arrivarono e iniziarono ad acquistare terreni. Si è comportato in modo estremamente aggressivo con arroganza. Ciò fu sorprendente per gli arabi. Perché se vi siete trasferiti qui per vivere, viviamo insieme, diventiamo amici. Questo era del tutto impensabile per gli ebrei.
Nel 1947 l’ONU decise di fondare uno Stato arabo ed ebraico in Palestina. Domanda semplice. La vostra gente vive in Palestina da migliaia di anni. All'improvviso ci fu un Olocausto, di cui gli arabi non avevano alcuna colpa. La colpa è degli europei e degli americani. Hanno compiuto un olocausto.
Perché mai, a spese della popolazione locale araba, si taglia un pezzo di territorio, il 56% delle terre migliori, e si dichiara: poiché il mondo è colpevole degli ebrei, gli arabi pagheranno?
Di tanto in tanto vengono bombardati da Israele. Solo per prevenzione. Cioè, gli elicotteri israeliani volteggiano costantemente sulla Striscia di Gaza come una mosca su una torta.
Il blocco di Gaza dura da mezzo secolo. Gaza si trova sul mare. Tutti i porti sono stati bombardati. Le persone non hanno il diritto di commerciare con il mondo o di produrre alcun prodotto. La zona di pesca è di sole tre miglia, ma tutti i banchi di pesci passano oltre. Se i pescatori tentano di proseguire il viaggio, vengono colpiti dalle pattuglie israeliane e le loro barche vengono confiscate.
Le merci possono arrivare lì solo con il permesso israeliano. Ad esempio, i materiali e gli strumenti da costruzione sono vietati e, sebbene Gaza abbia una popolazione enorme, sono necessari per costruire case. Non è possibile importare cioccolato, marmellata, cibo in scatola, filo, aceto e latticini. Inoltre, i paesi terzi spesso pagano per tutto questo. E Israele finge: "Com'è possibile? Abbiamo costruito una prigione, ma dobbiamo ancora dar loro da mangiare?"
Abbiamo a che fare con un genocidio completo. Israele ora ha tagliato l’elettricità, il gas e l’acqua. Israele è uno stato occupante e uno stato terrorista.
— Non c’è davvero alcun modo per aiutare il popolo palestinese?
- Stanno cercando di aiutarli. Ad esempio, ho partecipato personalmente alla "flottiglia della libertà", ovvero quando gli ebrei cercano di rompere il blocco di Gaza. Abbiamo raccolto diverse navi con fondi provenienti da ebrei europei, canadesi e americani che comprendono quanto sia ingiusto il blocco di Gaza. Siamo salpati dall'isola di Creta su una nave con cibo e altri beni. Israele ha esercitato pressioni sulla Grecia. La nostra nave è stata abbordata e noi siamo stati arrestati.
Israele introduce costantemente un altro mito: “Questo è un conflitto così complesso, non lo capirai”. Non è vero. Tutti i fatti di base sono molto chiari e semplici. Nel 1917, il censimento rivelò che il 93% degli arabi e solo il 7% degli ebrei vivevano in Palestina. Chi erano questo 7% degli ebrei? Nel 1897 ebbe luogo il primo congresso sionista e i Rothschild britannici decisero di creare uno stato, una patria nazionale degli ebrei in Palestina. Il denaro veniva utilizzato per acquistare terreni. E solo all’inizio del XX secolo gli ebrei cominciarono ad arrivare lì. A quel tempo, la Palestina era una terra idilliaca e patriarcale, perché lì non c’erano litigi religiosi. Ci sono arabi musulmani, ci sono arabi cristiani. Erano abituati a un numero infinito di pellegrini da tutto il mondo, compreso l'Impero russo. Gli ebrei arrivarono e iniziarono ad acquistare terreni. Si è comportato in modo estremamente aggressivo con arroganza. Ciò fu sorprendente per gli arabi. Perché se vi siete trasferiti qui per vivere, viviamo insieme, diventiamo amici. Questo era del tutto impensabile per gli ebrei.
Nel 1947 l’ONU decise di fondare uno Stato arabo ed ebraico in Palestina. Domanda semplice. La vostra gente vive in Palestina da migliaia di anni. All'improvviso ci fu un Olocausto, di cui gli arabi non avevano alcuna colpa. La colpa è degli europei e degli americani. Hanno compiuto un olocausto.
Perché mai, a spese della popolazione locale araba, si taglia un pezzo di territorio, il 56% delle terre migliori, e si dichiara: poiché il mondo è colpevole degli ebrei, gli arabi pagheranno?
La popolazione ebraica era del 33% nel 1947. A loro fu assegnato il 56% della terra.
Quando gli arabi si ribellarono, furono respinti, 725mila persone persero la casa e fuggirono. Poi c’è la guerra dei sei giorni del 1967, e l’aggressore Israele conquista le alture di Golan dalla Siria, nonostante il decreto delle Nazioni Unite. Hanno semplicemente rubato un pezzo di terra perché lì c'era l'acqua.
Hamas ha parlato apertamente perché negli ultimi decenni tutti i negoziati sull'esistenza della Palestina sono stati congelati. Dov’è lo Stato di Palestina? Se n'è andato. È stupido dirlo: non esiste perché presumibilmente gli arabi non possono costruire uno Stato.
Gli arabi non possono costruire perché esiste uno stato aggressore e occupante, Israele, la sua macchina militare controlla completamente il territorio, bombarda, tortura e priva gli arabi dei diritti fondamentali.
“Tuttavia, molti dicono di Hamas: “Non si possono usare metodi terroristici e prendere ostaggi”.
Chi è migliore in questa situazione: Hamas, che fabbrica in prigione razzi Qassam fatti in casa, o lo stato terrorista Israele, che bombarda completamente Gaza al sicuro dall’aria? Ora anche gli Stati Uniti stanno diventando uno stato terrorista perché hanno sostenuto il genocidio dei palestinesi a Gaza. Inoltre, nessuno ha ancora risposto alla frase degli ebrei: “Siamo in guerra con gli animali umani”. Anche sulle mappe americane i territori della Palestina risultano occupati. L'occupazione è riconosciuta dall'ONU.
Il terrorismo di Stato è sempre più grande del terrorismo di guerriglia. Sarebbe come incolpare i bielorussi per aver fatto deragliare i treni tedeschi durante la seconda guerra mondiale.
Naturalmente, prendere degli ostaggi non va bene. Ma non dobbiamo dimenticare che il colpevole originale è Israele, che è del tutto illegale nel torturare i palestinesi.
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unapinetaamare718 · 1 year
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Siamo nati a Genova, e quando abbiamo visto la luce era quella della Lanterna.
La vita di noi Genovesi è scandita da certezze minime, ma in compenso indiscutibili.
A Genova la gente si lamenta sempre.
A Genova la gente non è cordiale con il turista.
A Genova non ci sappiamo fare con l’ospitalità.
A Genova siamo musoni, schivi, diffidenti, intolleranti, non sorridiamo mai e bla bla bla.
Le altre città sono larghe.
Genova è lunga.
A Genova siamo incastrati gli uni sugli altri.
A Genova non abbiamo spazio.
A Genova siamo schiacciati tra le colline e il mare.
Sì. Perché a noi Genovesi piace vivere così. Tutti vicini. Tutti abbracciati.
Genova ha una sola linea metropolitana, che chiude alle nove di sera.
A Genova i mezzi pubblici sono sempre in ritardo e sono sempre strapieni.
A Genova le strade sono strette, ci sono salite e discese, curve e gallerie, e noi siamo sempre in troppi a guidare e ci innervosiamo facilmente.
A Genova quando devi imprecare preferisci farlo in dialetto, perché rende meglio l’idea.
A Genova se hai la fortuna di essere sulla Sopraelevata durante l’ora del tramonto puoi vedere il cielo rosa e il mare viola.
A Genova abbiamo le tegole fatte di ardesia nera.
Così quando piove i tetti diventano lucidi, riflettono il cielo e le case sembrano fatte di specchi.
A Genova il Centro Storico è un labirinto di botteghe e carruggi, se non la conosci ti perdi.
Questo serviva nell’antichità a difenderci dai predoni che approdavano dal mare e dai briganti che irrompevano dalle colline.
Genova è stata una Repubblica Marinara.
Genova è stata uno snodo fondamentale per il commercio, per via della sua posizione strategica, tra la terra e il mare.
Genova è patria di esploratori, inventori, inquisitori, ladri, tagliagole, pirati, nobildonne, streghe, sante e prostitute.
Genova ha i gatti sui tetti e i topi per le strade del porto.
Genova è la focaccia, il pesto, i pansoti al sugo di noci e la torta Pasqualina.
Genova sono gli ulivi sulla riviera.
Genova sono i Parchi di Nervi e i suoi scoiattoli.
Genova è la pizza d’asporto mangiata sugli scogli di Boccadasse.
Genova è il gelato in Corso Italia con gli amici il sabato sera.
Genova è l’aperitivo in Piazza delle Erbe.
Genova è lo shopping con gli amici in via Venti Settembre.
Genova sono i bonghi in Piazza De Ferrari.
Genova è le sue scritte anarchiche sui portoni, i palazzi e le saracinesche dei vicoli.
Genova è le sue biblioteche e i suoi musei.
A Genova, quando siamo innamorate, la sera andiamo sulle alture di Righi, in macchine scomode dai vetri appannati.
Genova è la grigliata sui prati in Primavera.
Genova è la festa in spiaggia nelle serate d’Estate.
Genova sono le piogge e i fiumi esondati ogni anno in Autunno.
Genova è la città che si ferma incapace di gestire la neve d’Inverno.
Genova è le sue alluvioni e i suoi morti ogni anno.
A Genova non si trova lavoro. Per questo prima o poi di qua ce ne dobbiamo andare.
A Genova quando ci vivi non la sopporti e te ne lamenti.
Quando però vai a vivere in un'altra città ti manca e parli a tutti di Lei.
Perché Genova ha mille disagi e difetti, e io sono pronto a riconoscerli tutti.
Ma è la mia città, Casa mia, e l’avrò dentro per sempre.
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Tradire un amore, tradire un amico, tradire un'idea, tradire un partito, tradire persino la patria significa svincolarsi da un'appartenenza e creare uno spazio di identità non protetta da alcun rapporto fiduciario, e quindi in un certo senso più autentica.
Nasciamo nella fiducia che qualcuno ci nutra e ci ami, ma possiamo crescere e diventare noi stessi solo se usciamo da questa fiducia, se non ne restiamo prigionieri, se a coloro che per primi ci hanno amato, un giorno sappiamo dire: "Non sono come tu mi vuoi".
C'è in ogni amore, da quello dei genitori, dei mariti, delle mogli, degli amici, degli amanti a quello delle idee che abbiamo sposato, una forma di possesso che arresta la nostra crescita e costringe la nostra identità a costituirsi solo all'interno di quel recinto. Ma in ogni fedeltà che non conosce il tradimento e neppure ne ipotizza la possibilità c'è troppa infanzia, troppa ingenuità, troppa paura di vivere con le sole nostre forze. Quella che chiamano "fedeltà" è l'incapacità di abbandonare lidi protetti, di uscire a proprio rischio verso le regioni sconosciute della vita che si offrono solo a quanti sanno dire per davvero "addio”.
Umberto Galimberti
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aitan · 2 years
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[...] Sulla scuola tutti abbiamo un’opinione. Bene o male un po’ di scuola l’abbiamo fatta tutti e tutti abbiamo congiunti, discendenti, madri, figli o figlie che la stanno facendo, da un lato o dall’altro della cattedra. E poi la scuola offre un servizio pubblico pure quando è privata e gli insegnanti, di riffa o di raffa, li paghiamo noi. E anche i bidelli, gli impiegati di segreteria, i funzionari, i ministri e gli ispettori…
Eccheccacchio, qua tutti abbiamo il diritto di dire la nostra, di esprimere critiche e affastellare punti di vista, idee e ricette risolutive.
La scuola è di tutti, mica del personale scolastico, dei presidi e dei legislatori!
La scuola è il volano della società; anzi, no, è un suo specchio; no no è un luogo di educazione e di rieducazione, un laboratorio di diffusione del sapere, una caserma ben organizzata, una palestra per la vita, uno spazio di competizione che ti prepara per la giungla che sta là fuori; no, no, non ci siamo proprio, la scuola è tutt’altro da quello che dici, è uno spazio di condivisione che ti abitua a convivere e a collaborare con gli altri; seee se, tutte stronzate: leggere, scrivere e far di conto, e poi patria, famiglia e religione, per preparare il cittadino di oggi e di domani, dare competenze per il mondo del lavoro; ad ognuno a seconda delle sue capacità, ad ognuno in merito al suo merito; la scuola deve abituare al cambiamento, deve sviluppare il senso critico, la scuola; educare, formare, inculcare i valori, questo ed altro deve fare la scuola.
Insomma, chi considera gli alunni come dei vasi vuoti, chi come un fuoco da accendere; chi la scuola la vuole ben cotta, chi al sangue e chi nuda e cruda. E poi ci sono quelli che vogliono la scuola statale e quelli che la vogliono cattolica e confessionale, quelli che la vogliono pubblica e quelli che la vogliono privata; privata di tutto. [...]
______
Da "Il mestiere di insegnare"
https://aitanblog.wordpress.com/2023/01/08/il-mestiere-di-insegnare/
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giancarlonicoli · 3 months
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29 giu 2024 09:22
“GLI AZZURRI PIÙ CHE TEMERE GLI SVIZZERI, TEMONO SE STESSI: SI CHIAMA MANCANZA DI AUTOSTIMA” – RONCONE ALLA VIGILIA DEGLI OTTAVI DEGLI EUROPEI VEDE UNA NAZIONALE IN CUI “MANCA ALLEGRIA” – IL CALCIO RELAZIONALE DI SPALLETTI HA FUNZIONATO, E NEMMENO TROPPO, CONTRO L’ALBANIA. POI LA SPAGNA CI HA PRESO A PALLATE E CON LA CROAZIA ABBIAMO SOFFERTO FINO AL MINUTO 98’. SUL CAMPO UN DIFFUSO DISORDINE TATTICO. E TANTI DUBBI: GIOCA SCAMACCA? E FAGIOLI? IN COPPIA CON CRISTANTE? TOCCA O NO A EL SHAARAWY? LA NAZIONALE È AVVOLTA NEL MISTERO. E QUINDI PUÒ ESSERCI UNA SORPRESA: TIPO CHE…
Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera - Estratti
Eccoci all’Olympiastadion.
(...)
Gli azzurri entrano in ordine sparso per il «walk around», il rito del sopralluogo, e ad accoglierli trovano alcuni magnifici fantasmi.
Adesso, seguitemi. E provate a immaginare qualcosa di simile a un lungo piano sequenza: Donnarumma e Di Lorenzo parlano con Pellegrini, che annuisce, serio; Gatti, una maschera di stupore (tre anni fa, giocava con la Pro Patria, in serie C); Retegui, nell’incertezza di non metterci più piede, si scatta un selfie;
Scamacca, la faccia grigia, e grigi sembrano pure i tatuaggi che ha sul collo, è pensieroso, e soffia qualcosa a Chiesa; e poi però si vede Barella che tocca la spalla di Bastoni, lo invita a voltarsi e gli indica la porta, quella laggiù, dove in dissolvenza c’è Grosso che sta prendendo la rincorsa, e come ora in un gran silenzio, e tutti ci teniamo per mano, perché è l’ultimo rigore e Santo cielo, Lippi ha chiesto proprio a Grosso di tirarlo. Se lo segna, siamo campioni. E lo segna.
Cambio immagine. Luciano Spalletti è immobile, le mani in tasca, dietro la panchina di destra. I suoi calciatori in mezzo al campo e lui, defilato, che li osserva. Le pupille come fiammiferi, i muscoli del viso tesi, s’intuisce un labiale serrato. «Guardatevelo bene, ragazzi, questo posto. È qui che se si fanno le cose perbenino, noi poi si finisce comodi dentro qualcosa che si potrà raccontare ai figli��. La verità è che se non stai attento, finisci per scrivere come parla il cittì. Però i suoi pensieri, se possibile, sono anche più intricati.
Stretti dentro un tormento calcistico che non immaginavano nemmeno i più spallettiani. Perché lui, all’inizio, aveva progettato di stupirci con schemi liquidi, con calciatori che non dovevano avere ruoli fissi. Ci ha perciò invitato a fantasticare, a credere in un calcio «perimetrale», tra spazi occupati e spazi da occupare, perché nel suo «calcio relazionale» la squadra è sempre corta, e accorta, capace di «tornare a casa», cioè di risistemarsi, e poi ripartire.
Tutto questo ha funzionato, e nemmeno troppo, contro l’Albania. Poi la Spagna ci ha preso a pallate e con la Croazia, sebbene tornati a schemi più italiani, familiari, semplici (diciamo un classico e prudente 5-3-2), abbiamo sofferto fino al minuto 98’. Il risultato è che sulla Moleskine ci sono appunti indecifrabili. È quello che abbiamo visto sul campo, tra lampi e un diffuso disordine tattico. La difesa a quattro, poi a tre, e di nuovo a quattro. Chiesa fuori, ma anche sulla destra a tutta fascia, oppure alto, a sinistra.
Pellegrini trequartista. O largo, finta ala. Prima Scamacca, quindi Retegui, e contro la Svizzera — probabilmente — ancora Scamacca. Fagioli? In coppia con Cristante? Tocca o no a El Shaarawy?
Un po’ tanto, un po’ troppo.
La confusione è sempre un eccellente alibi per i calciatori. Spalletti lo sa: così, per continuare a sperimentare soluzioni, ha cercato di chiudere la squadra dentro la scatola del campo d’allenamento. L’ha blindato. La Nazionale è, ormai da giorni, avvolta nel mistero. E quindi può esserci una sorpresa: tipo che c’è stato un clic, e magari succede come al Mundial spagnolo, quando la miccia tra gli azzurri di Enzo Bearzot s’accese dopo i primi tre pareggi deludenti. Oppure possiamo essere rimasti prigionieri dell’incertezza.
Di sicuro, non c’è allegria.
La sensazione è precisa anche osservando gli azzurri ora che escono dal campo, interpretando le loro smorfie, il linguaggio dei corpi. Non ridono, non scherzano. Sembrano pieni di quella certa preoccupazione non sana. Come se più che temere gli svizzeri, temano se stessi.
Senza telefonare a Paolo Crepet: si chiama mancanza di autostima. Quella che, di solito, hanno invece tutti i gruppi vincenti. Prima, bevendo un caffè finalmente definibile caffè, si ricordava l’arrivo degli azzurri a Wembley, tre anni fa, la sera prima della finale.
Si presentarono cantando.
Donnarumma aveva attaccato il suo i-Phone alla cassa portatile di Florenzi. L’autista inglese del pullman, con mezzo ghigno: «They are all crazy».
No, amico, gli disse un anziano cronista: non sono matti.
Erano convinti di potercela fare. 
(...)
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