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#la sana gola
veggiechannel · 30 days
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Una nuova dieta per dimagrire e ritrovare salute è stata ideata dal Dott. Martin Halsey, esperto di macrobiotica e nutrizione, direttore della scuola Sana gola di Milano. Andiamo oltre le pagine dell'articolo dedicato nel nuovo numero di Terra Nuova ed approfondiamo insieme che cos'è e come funzione la Italian Rice Diet, la dieta italiana del riso.
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yep-ishouldbesleeping · 4 months
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Comunque ho iniziato Sanremo che ero sana e l'ho finito con il mal di gola e la febbre, devastata proprio manco il santino di Mengoni mi ha salvata
Un applauso al ballo del quaqua che ci ha dato da mangiare e a Diodato per essere diventato un rapitore
Ci vediamo all'eurovision... forse (perchè sono andata a controllare finalmente e ho scoperto che Israele e credo pure Arzebaijan sono ancora in gara--avevo dato per scontato proprio tranquillissima che no ma scema io che non ho socials-- ma finchè non inizia mi riservo la speranza che vengano cacciati, intanto andiamo a firmare tutte le petizioni qui e qui o almeno queste sono quelle che ho trovato, magari poi faccio un altro post)
ciau 👋🏻
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melaecrit · 8 months
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Davanti gli armadietti, giù nel magazzino, Sanji si sbottona la camicia. Per farlo non aspetta che l'altra recuperi le sue cose ed esca nel corridoio, non aspetta mai, e lei commenta sempre in qualche modo.
ㅤㅤ« Da meno di un anno », aveva confermato Nami ad una signora in cassa. Così lui l'aveva guardata e lei, di nascosto dall'interlocutrice, aveva riso sventolando la mancia. Stavano insieme – perché la domanda era stata quella – a quanto pareva, per venti dollari. « Sìì signora, è un ragazzo d'oro— ». Aveva questo modus sul lavoro, ammiccava al cliente coi tempi giusti, nei modi giusti e con disarmante complicità... faceva parte della mansione di cameriera ingraziarsi la gente, a sentir lei.
« Sei silenziosa. »
« — sì, sto andando. » È tranquilla, lo suona almeno. Lui freme, e si domanda se si percepisca il tormento in cui giace, la tensione con cui esegue i consueti movimenti. 
La segue con la coda dell'occhio, prima che inforchi definitivamente la via delle scale, decide di piazzarglisi davanti. Solo un minuto- o due, il tempo di capire se ci ha visto bene.
« È strano. »
A fermarsi per rispondere la vincola esclusivamente l'educazione, 'ché Sanji non le ha ostruito il passaggio. « Che vada via? Non direi » piega appena di lato la testa, smaliziata; è decisa insomma, continuerà su quella linea di finta tontaggine.
Il cuore a lui non accenna a rallentare.
« È strano, il tuo silenzio » si appoggia alla parete piastrellata con un fianco, braccia conserte; dunque la soppesa, dilata i tempi.
« C'è qualcosa che vorresti dicessi? » arcua le sopracciglia.
Non ho niente da dire, è piuttosto sicuro significhi questo. Eppure negli occhi accesi lui vi legge il contrario, risposte a domande che non osa porre. Quanto può esser saggio risvegliare speranze sepolte? « Domani sono di riposo. »
« Io no » si poggia al muro anche lei, a specchio.
« Lo so » lui scivola più avanti.
« Mhh » non si ritrae.
« mh-mh. »
« E sai anche come mi stai guardando già da prima? »
Mira a inibirlo, lo sa, e comunque non lo modifica lo sguardo, semmai lo infittisce. « No... come? »
Lei socchiude gli occhi, lo scruta. Dovrebbe essere un passetto ciascuno, in amore e nel corteggiamento. Con Nami quando uno va avanti l'altra gioca a soffiargli in faccia, l'altra gli ricorda con una sola occhiata quante volte gli ha dovuto dire di no, da ragazzino in preda agli ormoni. Quindi occorre ascoltare il colore della voce, cogliere la piega in cui rimangono le labbra, se fremono leggermente là dove s'affanna a nascondere l'euforia tipica dei sentimenti.
« Da adolescente alla prima cotta » si è rimessa dritta, mento sollevato in un'innocente pungolatura.
« E ti sembro alla mia prima cotta? » gli esce roco, risultato di una gola che non vuol collaborare, però in qualche modo provocatorio se detto a quei pochi centimetri. Aleggia un 'ancora ', sottinteso lì da qualche parte.
« Non lo so... » vaneggia, bugiarda. Gliela fa piacere di più quella ritrosia, il tentativo d'invalidazione protratto fino all'ultimo. Quante volte lo ha fregato con questo atteggiamento, quante volte lo ha scoraggiato? Rabbia, quella sana, quella che nutre per il sé che per tanto tempo ha rinunciato, diventa ardore. « ... sembrerebbe di sì. »
Ormai ribolle, fuori non sa se il sangue abbia deciso di fargli prendere totalmente un altro colore. Non si permette di quietare nulla, non serve più, ora è lei che lo sta guardando da innamorata, dritto in faccia. La bacia. Non c'è assaggio; lei contraccambia con la stessa voracità, è quasi un dispetto.
Gli tremano le mani nel tenerle il viso. Le sue, più sottili, gli scavano l'addome, la schiena; gelide, avide... senza incertezza. Ondeggia, vacillano, non c'è equilibrio. La percepisce ridere, non si offende finché col resto del corpo s'impegna a rimanergli incollata.
 « Ba-umh-basta » è lei, n
aturalmente; esce dal bacio con un po' d'affanno, « a dopodomani abbiamo detto? » Scherza, nel liquidarlo così.
« Non vuoi venire da me? » troppo veloce, troppo disarmato.
Ci sta pensando. È seria quando parla, dolce, « un'altra volta Sanji, sono stanca sul serio ».
Sguinzaglia un « dormiremo », disperato. « Dormiamo— » lo ripete mormorando, ma non è credibile se incombe sul suo collo, se si abbassa con cautela, con paura celata, fretta di toccare, sentire finché può; se continua attirandola a sé, saggiando le labbra, lentamente, se le bacia, lambisce con la lingua e intrappola gentile con le dita, quando lei fa per replicare. « — da me » ammonisce gentile, guardandola negli occhi. Lei li rotea veloce, sconfitta. « Va bene » cantilena dolce, ed è il più bel suono che lui le abbia mai sentito emettere. « A casa mia però, preferisco. »
« Come comanda. »
       ( ... )
L'aveva messa tra le storie in evidenza, dove le faceva gli auguri di compleanno.
La rimuove che son trascorsi cinque mesi dalla rottura.
 Armeggia su instagram sdraiato sul divano, una coperta stropicciata disordinatamente a contrastare un principio di fresco. La foto nel profilo invece, l'unica sopravvissuta di quelle che li ritraevano insieme, risale a quando erano ancora colleghi. Sta in mezzo ad una serie di altre cinque, ciascuna con altri del lavoro; qualcuno si ripete, Nami figura solo nella terza. La didascalia cita 'What a blessing to have spent this year with you all and your beautiful soul'.
Non archivia.
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abitudinidellamente · 2 months
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il tabacco si è incastrato nella gola e ora non riesco a parlare, quindi scrivo.
il cibo non riesce ad essere relegato in quel luogo scuro e acido che è il mio stomaco. lo sento ribellarsi, dimenarsi.
mi gira la testa e ho gli occhi spalancati. un pittore curioso, un gaugin, ha intinto i polpastrelli nel nero della tavolozza e l'ha messo nelle mie pupille, si sollazza a deturparmi. anche io sto deturpando qualcosa: un libro, delle parole, le sto evidenziando di verde. lolita, mi ha delusa lolita, lo ricordavo meglio.
è tutto obnubilato, non vedo. il pittore deve aver deciso di affondare di nuovo le dita nei miei occhi cagionevoli e adesso è tutto rosso.
sangue, forse. chissà se il mio sangue è sempre uguale dappertutto, chissà se è dello stesso colore delle cadute flautate che avvenivano quando acceleravo in discesa con la bici o di quando cadevo dall'albero di nespole del nonno, chissà se è dello stesso colore dei primi tagli, delle rose, della penna che uso per annotare quello che penso in una copia della nausea di sartre, dello smalto sulle unghie.
odio dover mettere lo smalto, odio dover aspettare che si asciughi, non ho pazienza. odio che se non lo faccio mangio e spezzo strati di pelle lì attorno.
non ho mai avuto una cicatrice fino a 12 anni, in quegli anni ero convinta che nessuno avrebbe saputo, mai. ora non m'importa, non sono un segreto, sono l'opposto, una bara profanata.
ci sono e non ci sono, sto scrivendo. quello sì. senza sosta. però non ricordo di aver scritto il paragrafo precedente. gli uomini sono infelici, lo dice pure bernhard. perché un essere infelice continua a procreare?
non mi piace scrivere per rendere le persone felici, non mi piace scrivere per avere un senso, non mi piace scrivere bene. mi piace scrivere e dare fastidio. sei stato male leggendo post precedenti? bene così, quello volevo, devi provare fastidio. che senso ha leggere qualcosa che non infastidisce? se non ti buca il petto perché lo leggi?
ogni tanto penso di scrivere qualcosa che stupri la mente di chi legge. lo farei, ne fossi capace.
incapace, ecco qual è il problema. l'ha detto anche quel ragazzo, ha detto che non prendo seriamente né il bene né il male, né la droga né la terapia.
il pittore si è stufato.
anche gli alcamesi sono stufi, anche gli italiani. non c'è la boheme qui, siamo in un quadro di hopper e forse non ci sono nemmeno bernhard, gaugin e sartre. c'è solo verga. forse non ci sono nemmeno io e forse nemmeno a me frega un cazzo della piega dittatoriale che sta prendendo la rai.
e se la mia sensibilità fosse solo eccentrica ribellione? "ah sì è così che va? e io estremizzo a forza i tuoi sensi, finché non li percepisci tutti, devono essere una scarica elettrica per la tua mente dormiente"
e non importa se la scarica è
così forte da essere letale,
non m’importa se muori. sarebbe il sacrificio di uno zombie.
mentre lo penso il battito cardiaco comincia a fare una maratona, non dovrei fumare tanto ma sono stressata e ho promesso alla psichiatra di non bere e al dottore che non sarei finita di nuovo in overdose, ho l'ansia, se papà scoprisse che volevo se ne andasse?
ho fallito, ogni cosa che pubblico è un fallimento e voi nemmeno lo sapete, quindi va bene, la società non si accorge del fallimento ma acclama lo spettacolo. acclama l'ennesimo scritto disturbante senza chiedersi come una cosa simile sia potuta nascere. "che persona sana di mente concepirebbe una cosa del genere?" nessuna, nemmeno una.
la cosa che non capisco è: perché addolcisco la pillola? perché m'importa di non mettere a disagio sconosciuti con la mia psiche? voglio rimanerti indigesta.
non sono uscita di casa e non ho mangiato per due mesi la scorsa estate, andavo solo al mare e guardavo film, loro non mi fanno sentire plumbea.
"sei un libro aperto, con quel che dici e quel che fai" ne sei sicuro? e anche se lo fossi, non potresti e non vorresti leggerlo comunque
il cuore martella, non riesco a respirare, rivoglio i miei occhi in ordine. nausea. è colpa del tabacco? è colpa del ragnetto che non riesco ad uccidere? è colpa del caffè latte? è colpa di quella volta in cui le coinquiline hanno chiamato troppo presto i soccorsi?
è colpa mia?
ogni tanto ho lo stesso impulso del protagonista di fight club, quello di rovinare l'arte, distruggerla.
cancellare le poesie, coprire mondrian di nero, decapitare il david, giocare a calcio tra le rovine del tempio dorico di taranto, ricoprire di graffiti la loggia del lionello di udine.
scrivere dell'arte solo per ucciderla.
tutto è un gioco, io sto avendo un attacco di panico da cinque minuti e tu te lo sei pure letto, scusami, non volevo.
voglio una seconda chance, non voglio intimorire, voglio che mi capiscano. voglio che qualcuno si innamori delle mie parole, voglio ammaliare per la magnificenza che può portare il disastro.
sento il fumo in bocca, ho il fumo in bocca. voglio toglierlo, non lo voglio più.
voglio chiedere al pittore maldestro di non deturparmi, voglio smetterla di sentirmi di troppo, voglio che qualcosa mi stupisca invece di anticipare sempre tutto, non voglio che gli altri mi diano un'occhiata e abbassino subito lo sguardo. non voglio parlare e far sentire gli altri stupidi. voglio riuscire a studiare e parlare del perché ami così tanto il mio corso di università e voglio degli amici che amino qualcosa, che amino tutto, che riescano ad amare, voglio dare un'altra possibilità agli stoici e la loro pantomima sulla disciplina.
voglio voglio voglio,
voglio un'altra sigaretta
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bicheco · 11 months
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Non ride più
Giorgia Meloni è una romanaccia simpatica. Battuta pronta, risata contagiosa e un po’ di sana autoironia. Anche sulla statura non proprio slanciata, eterno cruccio dell’altro nano ancor più della calvizie (“Sono alto un metro e 71, cribbio!”). Ma, nelle ultime uscite pubbliche, di quella Giorgia non rimane neppure l’ombra. La sostituisce una donna truce, torva, astiosa, biliosa, minacciosa, in una permanente crisi di nervi. Non ride né sorride: ghigna e digrigna. Non parla: ruggisce. Non c’è più l’underdog che, dopo un’infanzia difficile e una carriera costruita con le sue mani, ce l’ha fatta. Ora c’è una capetta che fa la spavalda per nascondere l’insicurezza e attacca per difendersi da nemici immaginari. Come se fosse ancora lì col 4% a fare opposizione sola contro tutto e tutti. Invece è a Palazzo Chigi con un potere smisurato, il 99% dei media che canta le sue lodi e le opposizioni che balbettano (quando non la fiancheggiano). E il travestimento da San Sebastiano non suscita solidarietà, ma ilarità. Dalle praterie dell’opposizione solitaria alle strettoie del governo, dai voli della campagna elettorale all’atterraggio sulla realtà, c’è un bel salto. Che però non basta a spiegare una metamorfosi che può costarle cara. Ci dev’essere dell’altro. Forse si rende conto di quanto sia scadente il personale politico di cui si circonda (e giustamente diffida). Forse in cuor suo soffre a fare o a subire tutto ciò che rinfacciava agli “altri” (migranti, accise, austerità, condoni, politiche anti-sociali e anti-legalitarie, riverenze a Usa e Ue, Mes, draghismo, Figliuolo, Panetta, scandali di ministri gaffeur o impresentabili). La “pacchia” che doveva finire per l’Ue è finita per lei. E questo suo primo luglio al governo lo ricorderà e lo ricorderemo tutti. Ci rammenta quello di un altro neo-premier che Montanelli immortalò sulla Voce nel luglio ’94, nei giorni del “Salvaladri”: “Uno strazio aggiuntivo di questi torridi giorni sono per me le apparizioni sul video del Cavaliere che, avendone a disposizione sei tra pubblici e privati, non perde occasione di abusarne… A opprimermi è il sorriso con cui Sua Presidenza accompagna le parole: tirato, stirato, studiato col consueto puntiglio cosmetico, ma ormai completamente estraneo a un volto non più bene ambrato come una volta, ma lucido di sudore. Non erano questi i sorrisi di Berlusconi quando non era ancora ‘il Cavaliere’. Anzi, quelli non erano nemmeno sorrisi, ma risate: belle, aperte, squillanti, a gola spiegata… Ecco perché mi fa tanto male vederlo sul video con quel sorriso fasullo. Quasi un ghigno, che non ricorda neanche da lontano la bella risata fresca e squillante del Silvio di Arcore, non ancora Cavaliere”. Era il ritratto di Silvio. Pare quello di Giorgia.
Marco Travaglio
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vlifestyle · 2 years
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Tisane dimagranti: quali scegliere e dove acquistarle
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Le tisane, non conoscono stagioni: se fredde sono adatte alle temperature estive, se calde sono perfette in inverno. Con questo termine si intendono tre tipi di preparazione: infusi, decotti, macerati. I primi si ottengono mettendo erbe e piante in acqua bollente dove vengono lasciate dai cinque al trenta minuti. Per i decotti, invece, le erbe vengono messe in acqua fredda, portata poi a ebollizione, e fatte bollire per qualche minuto. I macerati si ottengono mettendo la parte di pianta che si vuole utilizzare in acqua fredda o tiepida per 10/12 minuti. Per sfruttare questi molteplici benefici terapeutici, possono essere infusi in un unico prodotto o miscelati per combinare gli effetti di più piante. Ma attenzione, è meglio scegliere piante da coltivazione biologica vendute sfuse in farmacia, erboristeria o negli shop on line. Potete anche scegliere piante biologiche in bustine, disponibili nei negozi specializzati. .
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Come usare la tisana per perdere peso
La tisana in sé non è un bruciagrassi o un soppressore dell'appetito e bere una tisana non è sufficiente per perdere i chili in eccesso. D'altra parte, le tisane ti incoraggiano a bere più acqua: gli scienziati sanno che bere più acqua è essenziale in una dieta dimagrante per eliminare le scorie e reintegrare il tuo corpo con i minerali. Come integratore dietetico, la tisana può essere consumata durante la giornata e lontano dai pasti. Per perdere peso infatti, oltre a una sana e corretta alimentazione e a una attività fisica adeguata, tali bevande possono anche essere considerate come efficaci alleate per dimagrire. Tra gli ottimi espedienti per sgonfiarsi, ci sono le tisane bruciagrassi e dimagranti perfette per questo scopo. La tisana è ricca di acqua, sostanze diuretiche e depurative, quindi può favorire l'eliminazione delle sostanze tossiche. La fibra che contiene tende inoltre a stimolare la sazietà a ridurre l'assorbimento intestinale di grassi e tossine.
Quali tisane comprare
Attualmente ci sono molte varietà di tisane dimagranti, ognuna con una formula unica che combina i migliori ingredienti per garantire un'efficace integrazione nella dieta dimagrante spesso frustrante e debilitante, soprattutto dal punto di vista emotivo. Se non siete molto pratici di tisane e non volete azzardarvi a sperimentare nuove combinazioni, potreste cercare on line dove acquistare tisane dimagranti già preparate e pronte all’uso. Sul sito "Le Tisane di Zahara potete trovare un team di persone esperte che vi possono aiutare nella scelta di prodotti mirati a garanzia di un trattamento efficace e soddisfacente. Sappiamo tutti quanto sia complicato correggere velocemente le proprie abitudini alimentari e la difficoltà spesso insormontabile di non cadere nella tentazione di aprire la credenza e mangiare tutto a portata di mano nei momenti di maggiore stress. Per questo le tisane per dimagrire sono sicuramente un grande aiuto nel contrastare qualche peccato di gola di troppo. Preparatevi a ritrovare il vostro benessere e a deliziare il vostro palato con questi gustosi infusi naturali! Read the full article
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ross-nekochan · 2 years
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Perché una persona con malattia mentale non può usufruire del suicidio assistito? Ragà forse nessuno di voi qui ha idea di quando si dichiara si spengono le macchine ad un paziente ormai neurologicamente bollito e fisicamente compromesso, come dopo un grave incidente stradale, oppure al vecchiettino che gli viene l'insufficienza multiorgano che fino ad un attimo prima che gli si infilasse il tubo in gola per respirare, con gli occhi ti sorrideva pure. Ad oggi è già difficile capire quando fermarsi nel caso delle patologie degenerative e inguaribili, capire quando è accanimento, far coincidere la fine delle cure con la dignità e il rispetto della persona. Spesso questo significa "solo" spegnere delle macchine perché sono pazienti già molto compromessi. Senza sminuire in alcun modo la malattia mentale, che però non si paragona ai casi suddetti, con che etica posso accostarmi ad una persona fisicamente sana, autonoma nelle attività di vita, e farla fuori a sangue freddo? Come? Gli metto un ago nel braccio e gli faccio l'iniezione letale? La risposta ad una malattia è la cura, se la cura è sbagliata o carente ma c'è margine di miglioramento o almeno di stabilizzazione decente, la risposta non è il suicidio assistito ma la modifica e il rinforzo della rete di cura, non abbiamo la pena di morte, perché dovremmo istituire i sicari del Servizio sanitario?
Vabbè che non ho capito perché tutto questo fuoco per un post che non ho nemmeno scritto io... Ma comunque a me non pare nessuno abbia detto che il suicidio assistito, sia per le malattie debilitanti fisiche, sia per quelle psicologiche, siano una passeggiata o che sarebbe una passeggiata la modalità con cui applicarla.
La questione centrale, che forse è sfuggita, era semplicemente: perché le malattie mentali hanno sempre meno "valore" di quelle fisiche?
Si può pensare "non ce la faccio più, basta" sia con quadri clinici e fisici compromessi, ma anche dopo anni di continue lotte contro i propri mostri. È importantissimo che si parli di suicidio assistito e di eutanasia per le malattie fisiche e, sì, è difficilissimo capire quando fermarsi, capire quando è accanimento terapeutico ecc con le malattie fisiche e sicuramente sarebbe ancora più difficile determinarlo con una persona affetta da malattia mentale, ma questo non vuol dire che a una persona fisicamente sana debba essere preclusa la possibilità di poter morire in maniera tranquilla.
La risposta a una malattia è la cura, ma quando per decine di anni lotti contro una malattia mentale, perché non è accanimento terapeutico? Parli di stabilizzazione - per la malattia mentale va bene essere "stabilmente malato" e non avere il diritto di morire, mentre per uno che sta a letto e ha un quadro clinico "stabile" è giusto che possa scegliere di morire. Lo vedi che la malattia mentale non viene vista al pari di una malattia fisica?
Per quanto possa essere strano sentirselo dire, questa discriminazione non è giusta - primo perchè è provato che le malattie mentali sono delle alterazioni a livello celebrale e ormonale (quindi un riscontro "fisico" esiste); secondo, sono io padrone della mia esistenza e se voglio morire, la decisione è la mia.
Infine, si potrebbe dire: "vabbè ma se vuoi morire allora ammazzati"... non è così semplice. Siamo animali e tutto il nostro corpo è volto alla sopravvivenza, la paura di morire è viscerale. Puoi voler morire con tutte le tue forze e non riuscire a non salvarti. Oppure puoi provare a morire e farlo male, quindi ti ritrovi ad essere vivo e a dover trovare di nuovo la forza di andare contro il tuo istinto di sopravvivenza.
Non è facile per nessuno avere il diritto di morire, ma per chi soffre di malattie mentali è un pelino più difficile degli altri.
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kon-igi · 4 years
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Ciao ed eccoci con 14casi di corona virus nella zona dove vivo io. Ormai le testate giornalistiche parlano su come quando perché il ragazzo è stato infettato, ognuno ha le sue ipotesi di leggerezza da chi doveva controllare e garantire più controlli. Detto questo, ora per quanto mi fa più paura contrarre la menengite, vado a ritroso a leggermi i tuoi consigli e a capire se ci sono sintomi che non vanno sottovalutati
Beh... in primis la febbre e poi quasiasi sintomatologia che comprenda tosse, faringodinia (mal di gola) e bronchite.
Saprai che il Covid-19 è un virus influenzale con sintomatologia influenzale, quindi senza particolari sintomi o segni dirimenti da una qualsiasi altra infezione respiratoria (tant’è che deve essere eseguito un tampone specifico perché ci sia diagnosi certa).
I consigli su come non sterminare il genere umano credo che li stiano dando persino gli ortivendoli dei mercatini rionali di Culodilupo quindi mi limiterò a recitarti LA TRIADE DELL’ANTISTRONZO:
Se hai febbre, tosse, mal di gola, bronchite TIENI IL CULO A CASA. No, non vai in farmacia a chiedere il vaccino. No, non vai al supermercato a fare scorte di acqua e crocchette per gatti per fronteggiare l’apocalisse. No, non vai a fare la fila dal medico curante o in pronto soccorso.
Telefoni al tuo medico curante o alla guardia medica (o a un numero d’emergenza se è stato istituito) e descrivi accuratamente i tuo sintomi, chiedendo cosa fare. Se ci sono altri casi o se la tua è una zona cluster il medico lo saprà e ti dirà come comportarti.
Se stai particolarmente male, ti metti una mascherina in faccia (in emergenza va bene anche una sciarpa), vai verso l’ospedale evitando contatti con tutti e allontanando le persone, vai subito al triage e spieghi i sintomi senza urlare in faccia al personale. Loro sono preparati e sapranno già cosa fare.
Inoltre, se non vuoi annoiarti nell’attesa della risposta diagnostica, ripercorri mentalmente i luoghi e i nomi delle persone con cui hai avuto contatti due o tre giorni prima di avere sviluppato febbre e sintomi respiratori, magari scrivendoli su un foglio insieme ai loro numeri di telefono o ai loro contatti.
Siate sana e antistronza maggioranza.
(gentile reblog di servizio, grazie)
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lubweird · 2 years
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Di cosa era fatta
Era fatta di parole di altri
Imparate a memoria per un residuo di autismo infantile
Era fatta di canzoni disordinate
di sogni a occhi aperti
Di facili entusiasmi
Di una mano anziana e ruvida che teneva nel pugno una ghianda o una lancia di foglia d'ulivo
Era fatta di storie
Era fatta di nervi scoperti
Nata senza epidermide
Tutta cuore e curiosità
Era fatta di iperboli
Di abissi insondabili
Paure
Era fatta di persone amate e mai dimenticate
Di fame
Di fratture insanate
Di nodi irrisolti
Di sacro e profano
Era fatta di onde e di mare
Sempre ad oscillare
Di vento insulare
Era fatta di antico granito nuragico
Era fatta di lago e capelli fermi
Di racconti di streghe al focolare
Di donne vestite a lutto col capo coperto
Di gonne fruscianti e pudore
Di lussureggiante vita che trapela in una caviglia scoperta
Era fatta di segreti e bisbigli
Di cose dei grandi incomprensibili ai bambini
Era fatta di tenera e genuina ignoranza
Di compassione
Di lacrime facili
E profumo di mirto
Di emozioni che strozzano la gola
Di occhi furenti e scintillanti
Era fatta di solitudine
Di insicurezza
E senso di colpa per essere viva
Per essere sana
Era fatta di collo lungo e piccoli seni
Di sensualità e malizia
Di stravaganza
Di colori
Era fatta di giudizio degli altri
Di desiderio di approvazione
Di appartenenza
Di voglia di essere vista
Di timidezza
Di onicofagia
Di cosa non era fatta?
Non era fatta di oblio
Non era strutturata per reggere per molto tempo
non di radici solide
Né di calma e silenzio
Non era fatta di somiglianza
Né di conformismo
Non era fatta per le maggioranze
Né per le miniranze
Non era fatta per essere amata
Non era fatta di talenti
Nemmeno uno
Non era fatta di appariscenza
Né di denti dritti e unghie affilate
Non era fatta di identità solide
Ma di moltitudini tumultuose
Non era fatta di modestia o di umiltà
Ma di insicurezza e senso di inadeguatezza
Non era fatta di pazienza
Ma di rassegnata sopportazione
Non era fatta di presenza
Ma di fughe impossibili
Non era fatta per questo mondo.
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shameful-self · 3 years
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Il fumo mi riempie i polmoni e finalmente torno a sentirli, prima dimenticati nella marea d’acqua che li
faceva sparire. Sento l’esigenza di mettermi due dita in gola per vomitare il mostro che sento nel petto,
quel mostro che a 21 anni non dovrei avere. Quel mostro che mi sveglia nel bel mezzo della notte e che allo
stesso tempo mi fa essere in grado di dormire per mezza giornata e svegliarmi comunque con il sonno che
annuvola il mio cervello. A 21 anni dovrei essere in grado, dovrei aver imparato, a sputare fuori ogni cosa
che sento, ogni emozione, ogni sasso che appesantisce il mio stomaco. Invece affogo in barattoli pieni di
emozioni con etichette sfumate dal mare di apatia che mi offusca il petto. Sogno di litigare, di ferire
persone che amo perché non ho mai avuto la possibilità e il diritto di arrabbiarmi, perché io sono sempre la
persona tranquilla, la persona che si fa scivolare tutto addosso. I cuori infranti, gli abbandoni, i torti e le
cicatrici sui polsi e sulle braccia sbiadite e dimenticate ma ancora marcate a fuoco nella mente. Ogni taglio,
ogni sofferenza precisamente incastonata in un muro attorno al cuore che non mi fa provare niente e tutto
nello stesso momento. Vorrei avere la forza di urlare ciò che provo senza sentirmi un peso o un fallimento
ma non posso perché dopo chi sarei? Sarei ancora il mio corpo? Sarei ancora la mia mente? Dovrei studiare,
dovrei respirare senza problemi ma non ci riesco perché forse non me lo merito, forse non mi merito la
felicità o forse è la parte malata del mio cervello che mi impone questi pensieri. Ma ci sono e stanno
logorando ogni parte sana del mio io. Dovrei parlarne con qualcuno, ma come può qualcuno che non mi
conosce capire fino in fondo cosa intendo quando dico che se domani all’improvviso morissi sarei appagata.
Come può comprendermi quando dico che se mi svegliassi e non sentissi più niente sarei finalmente in pace
con me stessa. Come faccio ad aprirmi con qualcuno se non riesco nemmeno ad ammettere a me stessa
che ho paura di me. Che ho paura di quando finalmente arriverò al momento di rottura e non so cosa farò,
non so se ferirò chi amo o se ferirò me stessa più di quanto già non stia facendo. Come può capirmi se
annego nella mia stessa testa. La verità probabilmente è che ho solamente paura perché so che se mettessi
a posto tutto ciò che non va in me non saprei come essere felice, cercherei comunque qualcosa per
distruggermi perché è più facile soffrire che essere felice. E vorrei tornare a quando avevo quattro anni e la
cosa che più mi rattristava era non poter giocare al parco non come ora che aprire gli occhi è una
sofferenza e soffrire mi tiene viva perché se non soffrissi non avrei motivi per vivere. Perché se non soffrissi
se non fossi perennemente arrabbiata non avrei carburante per alzarmi dal letto, perché io non sono io ma
io sono sofferenza e rabbia talmente tanto nascosta sotto i polmoni, sotto lo stomaco e il fegato che c’è
sempre è sempre lì nel retro della mia testa, dei miei pensieri e dei miei respiri. Come faccio ad ammettere
che la prima persona che mi ha visto in ogni mia sfaccettatura mi ha distrutto e ha usato ogni mia paura
ogni mia paranoia per giustificare i suoi errori e le sue mancanze. Come faccio ad ammettere che mi ha
ucciso e che non sarò mai più la stessa persona, che non riesco più a fidarmi di chi amo perché io non sono
più io ma sono una versione distorta e distrutta di quello che ero. Come posso dire ai miei amici e alla mia
famiglia che non sono più sicura del fatto che voglio questa vita, che non sono più sicura di provare
qualcosa per loro se non gratitudine per non avermi abbandonato anni fa quando era giusto farlo. Come
faccio a dire alla persona che considero sorella che se non avessi paura di ferirla e lasciarla sola in questo
momento non sarei nemmeno qui. Perché non sono la prima scelta di nessuno, non sono la prima scelta di
me stessa, di mia sorella che probabilmente sceglierebbe il fidanzato, dei miei amici che hanno un rapporto
più stretto gli uni con gli altri perché io non ci sono mai perché vivo in un’altra cazzo di città e sono sola,
della persona che considero un’altra sorella perché sono troppo complicata e so che sono pesante e sento
troppo e niente allo stesso tempo, non fui nemmeno la scelta di chi mi doveva amare per com’ero che
scelse semplicemente qualcun altro di meno complicato. Non sono stata la prima scelta della persona che
ha contribuito alla mia nascita come potrebbe amarmi qualcun altro se nemmeno il mio stesso padre mi ha
amato abbastanza per rimanere. Non sono nessuno in vita e non sarò nessuno in morte, molti affetti ma
quanti rimarrebbero se dicessi tutto ciò che provo tutto ciò che penso?
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sognatricedistelle · 3 years
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Ogni tanto ho quella sana voglia di far fuoriuscire lacrime dagli occhi e dire tutto quello che mi passa per la mente, senza filtri. Piangere e dire sciocchezze, liberarmi del flusso incoscio di parole non dette, nodi alla gola, momenti apparentemente dimenticati ma che in realtà risiedono ancora nella mia memoria, in un piccolo angolino polveroso.
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mysoulishaunted · 3 years
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Il primo incontro
Il viaggio in treno non era stato chissà quanto lungo ma sentivo comunque il bisogno di rinfrescarmi. Meno male che avevo preso il primo che partiva al mattino cosi avevo il tempo di registrarmi in hotel e darmi una sistemata prima di incontrare finalmente Sonia. A quel pensiero iniziai a sentire le farfalle nello stomaco, improvvisamente mi iniziò a mancare l'aria nonostante il sorriso da ebete che avevo stampato in faccia. Era la prima volta che ci vedevamo di persona. Abbiamo passato settimane intere a parlare al telefono e in videochiamata, mai abbastanza a lungo, mai abbastanza vicine. Speravo che averla vista al telefono bastasse per scemare almeno di un pochino l'ansia che mi stava salendo per il nostro incontro ma non c'era proprio nulla da fare.
Mi registrai in hotel e andai in bagno a fare una doccia veloce. Senza bagnare i capelli me la cavai in dieci minuti, misi il burro per il corpo allo zucchero filato sulla pelle che odorava di bagnoschiuma alla pesca, spruzzai poi l'acqua per il corpo profumata sulle braccia e sul collo. Sistemato il trucco andai ad aprire il borsone da viaggio a forma di bara che avevo buttato sul letto con noncuranza: era il momento di scegliere cosa mettermi. Indossai un completino in pizzo nero e dei calzini con i panda e mi bloccai di fronte alla scelta del resto. I jeans a campana e le globe nere erano una scelta ovvia ma ero davvero indecisa sul sopra. Era la fine di maggio in fin dei conti e faceva abbastanza caldo durante il giorno, mentre con l'arrivo della sera si alzava il vento e finivo sempre per avere freddo. Avrei potuto portarmi una felpa o una giacca dietro ma non avevo voglia di avere le mani occupate. "Bene, mancano ancora due ore e io sto già andando in panico. Non riesco nemmeno a decidere che maglietta mettermi perché voglio sembrare normale ma anche attraente e non pretenziosa e non voglio avere la pelle d'oca tutto il tempo. Accidenti. Perché mi sono portata cosi tanti cambi per cosi pochi giorni?" iniziai a pensare, seduta sulla moquette per terra. Chiusi gli occhi e respirai profondamente un paio di volte. Crop top e camicia a quadri oversize. Deciso. Sicuramente non potevo sembrare più gay di cosi. Rimisi gli anelli d'argento sulle dita, sistemai il posino in pelle sul polso sinistro e raddrizzai la collana al collo. Decisi di aggiungere le bretelle viola e una catenella ai pantaloni. Dal punto di vista estetico ero pronta cosi svuotai lo zainetto e controllai cosa mettere dentro. Portafoglio, caricatore portatile, occhiali, salviette umide, sigarette e accendino, cuffie e il pacchetto incartato che avevo tolto dal borsone. Riguardo all'ultima cosa sapevo bene che era solo una precauzione. Sapevo che ne avevamo già parlato prima ma non ero sicura di come sarebbe andata la giornata, e volevo avere questa sorpresina dietro in caso fosse andato tutto bene e avessi voluto metterla in imbarazzo prima di passare di nuovo in hotel.
Il telefono segnava mezzogiorno ed era ora di uscire. Per fortuna avevo prenotato un hotel vicino alla stazione cosi potevo muovermi abbastanza liberamente. Misi le cuffie, accesi spotify e uscì sulla strada illuminata dal sole. Iniziai a camminare con calma verso il nostro punto d'incontro, controllando di continuo di non aver iniziato a sudare perché sicuramente non volevo passare per un mostro umidiccio la prima volta che l'avrei abbracciata. L'ansia si stava rifacendo sentire e si alzava ad ogni passo. Nonostante la calma il respiro iniziò di nuovo a darmi qualche problema, mancavano solo cento metri e sarei arrivata nel punto in cui avrei potuto aspettarla su una panchina. Ero in anticipo, di poco ma ero in anticipo. Ero indecisa se tenere le cuffie o meno, non volevo stare seduta a fissare le persone che passavano alla ricerca di quel dolce viso con le fossette, non ho esattamente un'espressione gentile apparentemente.
Passarono solo un paio di minuti ma notai in lontananza qualcosa di familiare. Camminava a passo svelto, allegra, con i capelli mossi dal vento e con indosso la maglietta bianca aderente che le scopriva la pancia che avevo riconosciuto. Un piccolo angelo che si incamminava nella mia direzione. Mi alzai togliendo le cuffie, occhi fissi su di lei che curvò le labbra in un sorriso raggiante non appena si accorse che ero già li ad aspettarla. Sonia accelerò il passo e in pochi secondi fu davanti a me a gettarmi le braccia al collo per abbracciarmi. Niente imbarazzo o esitazione, solo sana allegria ed eccitazione di avermi finalmente li. Rimasi un attimo bloccata per la sua foga ma mi si scaldò il cuore nell'esatto momento in cui mi toccò e la strinsi forte a me affondando la faccia nei suoi capelli e respirando per la prima volta il suo profumo.
<<Sei qui. Sei finalmente qui, ancora non ci posso credere. Sei reale vero?>> chiese Sonia in modo retorico mentre si aggrappava a me. Non volevo più sciogliermi da quell'abbraccio. Era perfetto. La differenza di altezza non si sentiva nemmeno, già adoravo la sensazione delle sue braccia dietro al collo e il calore del suo respiro sulla mia spalla.
<<Sei sulla punta dei piedi piccola>> dissi appena me ne accorsi, con il sorriso sulle labbra. Sentì le sue braccia tornare al loro posto mentre il suo viso rimaneva nascosto ai miei occhi. Non riuscivo a capire cosa fosse successo finchè non mi presi un secondo. L'avevo chiamata piccola. Non avevamo scambiato ancora nemmeno 20 parole e io l'avevo già chiamata PICCOLA. Alzò gli occhi su di me in silenzio, ancora rossa in viso. Era bellissima. Sorrisi al pensiero e il suo rossore si fece ancora più acceso.
<<Sei davvero TROPPO carina quando sei in imbarazzo. Lo so che non te lo dovrei dire ma non posso non dirlo. Sei bellissima!>> dissi attirandola a me per abbracciarla e iniziando a ridere. Non durò molto. Sonia si liberò dall'abbraccio e mi diede un debole pugnetto sul braccio. Sorrisi e le appoggiai la mano sulla guancia. Non sapevo il perché di quel gesto. Non ci avevo pensato ne lo avevo pianificato, era completamente spontaneo e inaspettato pure per me. L'inaspettato non era finito perché dopo aver mosso la testa incontro alla mia mano, mi ritrovai di nuovo le sue braccia intorno al collo. Era sulla punta delle dita dei piedi, completamente appoggiata a me e intenta a raggiungere le mie labbra. In quel momento il tempo sembrò rallentare e accelerare allo stesso momento. I pensieri non potevano più considerarsi lucidi mentre baciavo quelle labbra morbide e sentivo il suo respiro caldo in bocca. Le cinsi i fianchi con un braccio sentendo il suo respiro bloccarsi per un attimo. Il bacio si fermò e ci guardammo negli occhi, immobili in quella posizione.
<<Quello si che è stata una sorpresa. E' colpa mia o ci stavi già pensando piccola?>> chiesi scandendo bene e intenzionalmente l'ultima parola. Continuavo a sorridere guardandola negli occhi, la mia mano libera trovò il suo mento e vidi una scintilla. Si mosse impercettibilmente verso di me cosi decisi che non potevo più tenere nessuna delle due sulle spine. La baciai io stavolta, mordendo piano il suo labbro inferiore ad un certo punto mentre le infilavo la mano tra i capelli per attirarla il più vicino possibile. Da parte di entrambe questo bacio non aveva nulla a che fare con il precedente. Non aveva nulla di cauto. Sentivo le mani di Sonia stringermi i capelli, il mondo al di fuori di questo istante aveva cessato di esistere. C'eravamo solo noi, le nostre labbra e le nostre lingue che si sfioravano in una danza perfettamente armoniosa, il suo respiro che accelerava sulla mia pelle. Sistemai entrambe le mie mani sui suoi fianchi caldi mentre il cervello cercava di comunicarmi qualcosa di razionale ma non riuscivo proprio a collegare. Dopo tutto il tempo a parlare la desideravo da morire e quel bacio dimostrava un desiderio analogo anche da parte di Sonia. Volevo infilare le mani sotto i lembi della sua maglietta, stringerle il sedere mentre aumentavo un pochino la foga del bacio. "Siamo in pubblico e ci stiamo letteralmente salutando. In teoria almeno" il pensiero finalmente divenne udibile. Allentai la presa sui suoi fianchi e rallentai il bacio fino a fermarlo, una mano ancora sul suo fianco mentre l'altra tracciava il contorno del suo viso per finire con il pollice pericolosamente vicino alle sue labbra ancora umide e leggermente dischiuse. Mi bloccai con gli occhi ancora fissi sulle sue labbra, volevo cosi tanto sentirne ancora il calore. Non era stato abbastanza.
<<Dovremmo almeno spostarci da qualche parte.. Anche se credo che adesso finiremo per fare quello era nei piani>> la mia voce era improvvisamente roca. Mi schiarì la gola mentre Sonia annuiva in silenzio. Ci incamminammo sul marciapiede, la sua mano stretta alla mia non appena gliel'avevo offerta.
Spizzicammo qualcosa per pranzo alle bancarelle sparse per il centro, chiacchierando e ridendo con il tempo che passava senza che ne fossimo realmente coscienti. A pomeriggio inoltrato avevamo vagato fino ad un giardino botanico e l'idea di visitarlo fece arrossire entrambe. Si era parlato tanto di situazioni in quel luogo ed entrambe le avevamo ben fisse in mente. La tensione tra di noi era ormai tangibile, non era imbarazzo ma la consapevolezza che avremmo voluto trovarci in una stanza privata in quel momento. Era forse quello il momento di svelare la sorpresa che avevo dietro? Era un regalo comunque quindi in caso non lo avrebbe aperto in questo momento. O mi avrebbe mandata a fanculo. Tanto valeva rischiare, era la mia piccola no?
<<Senti... Ho una cosa dietro, una specie di regalo per te ma non esattamente solo per te. E' una cosa di cui avevamo parlato e ti avevo detto che te l'avrei rivelata quando me la sentivo. Non l'ho fatto ma lo faccio ora perché ce l'ho dietro.>> farfugliai in modo confuso non guardando Sonia in faccia.
<<Dai fammi vedere, non può mica essere niente di male se me lo avevi accennato no?>> disse lei incoraggiandomi con un sorriso e tendendo la mano. Le posai la piccola scatola rettangolare in mano e lei rise alla vista della carta regalo color arcobaleno. Iniziò a scartare con cura e si bloccò aprendo un lembo della carta.
<<Sei seria? Lo hai preso davvero? Da quanto ci stai pensando? Anzi da quanto ce l'hai??>> era in panico. Le sue mani stringevano convulsamente al petto la scatolina del vibratore a distanza mentre guardava le sue gambe con la faccia tutta rossa.
<<Ci penso da sempre, si l'ho preso davvero e ce l'ho da quando ho potuto permettermelo. Aspettavo il momento per parlarne ma il viaggio è sembrato un'idea migliore. Questo almeno possiamo usarlo anche quando tornerò a casa mia dato che funziona a lunga distanza, se e quando vorrai. Lo metto nel mio zaino adesso cosi sta al sicuro, volevo solo fartelo vedere. Me lo passi?>> La sola idea per adesso bastava. Ero davvero in estasi per la reazione di Sonia e non vedevo l'ora di sentirle dire che lo aveva messo e che potevo quindi fare quello che volevo.
Sonia si mosse sulla panchina per passarmi il pacchetto. Me la ritrovai a cavalcioni sopra le mie gambe che mi porgeva quello che avevo chiesto. Soffocando un gemito in gola misi via la scatola e lo zaino. Sfiorai leggermente con i polpastrelli la pelle scoperta della sua pancia, facendole venire un brivido improvviso. Tracciai una riga verticale con l'unghia nello spazio che mi era concesso, sfiorai la linea del suo fianco scendendo fino all'orlo dei pantaloni. Sonia aveva gli occhi socchiusi, era come in trance, le piaceva quello che stava succedendo e non faceva nulla per fermarmi. Con l'altra mano le scostai i capelli dal collo e avvicinai il viso all'incavo tra la palla e il collo. Respirai piano sulla sua pelle dolce e iniziai a baciarle il collo, dapprima piano poi con sempre più passione muovendomi su e giù e lasciando piccoli succhiotti qua e la in risposta alle sue mani che mi stringevano i capelli e al suo ansimare piano. Avvicinò il viso al mio orecchio e con voce ancora ansimante disse <<Possiamo andare da te? Ti prego.>> e dopo una piccola pausa aggiunse <<Ti prego papi.>>.
Il mio cervello si spense per un attimo. Le mie labbra cercarono il punto tra la mascella e l'orecchio, iniziai a succhiare e a mordere piano mentre le mie mani attiravano i suoi fianchi ancora più vicini ai miei, facendola sfregare sulle mie gambe. Soddisfatta del lavoro che avevo fatto potei finalmente rispondere alla sua richiesta. Con il fiato corto e la voce completamente rauca dissi <<Certo. Andiamo principessa.>>. La feci alzare con delicatezza dalle mie gambe e le diedi un bacio sulla punta del naso con un mega sorriso sulle labbra.
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spinerovi · 4 years
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Leggi questo se ti senti come uno zombi ogni giorno
2 settembre 2019
Un anno fa, ho iniziato a soffrire di un'orribile tachicardia, capogiri che mi facevano tremare le gambe e fortissimi sensi di svenimento.
Ho cercato, nel giro di una settimana di esaminare ogni possibile causa.
Dormivo abbastanza? Mi concedo troppo tempo di inattività durante il giorno? Troppo caffè? Eccesso di alcol? Troppo fumo?  Stavo seguendo una dieta abbastanza sana? Avevo bisogno di più esercizio fisico ?
Ho esaminato l'elenco delle possibilità: dall'eccessiva inattività ma anche di attività fisica non aerobica all'aumento dell'assunzione di caffeina, al tentativo di dormire di più ogni notte. Tuttavia, la stanchezza cronica e i malesseri persistevano . E ogni volta che riuscivo a riprendermi da uno di quei malesseri riuscivo a malapena a tenere gli occhi aperti, faticavo a respirare, anzi, non respiravo affatto e mi ritrovavo a letto, incapace di dormire, ma troppo affaticata per funzionare.
Ma nonostante tutto continuavo a fare cose da ventenne come uscire con gli amici, aiutare in casa e iniziare ad interessarmi a scegliere una possibilità facoltà universitaria. Eppure mi sentivo come uno zombi, che vagava senza fine per la casa e per le strade in uno stato di torpore; avevo voglia di mangiare, ma avevo paura che qualsiasi alimento sbagliato potesse risvegliare quel senso di irrealtà che ti porta all'incubo vero e proprio. E avevo una gran voglia di uscire e non pensarci, eppure avevo paura. Tutto quel frastuono e quelle risa non consolavano affatto le mie paure, anzi, era come se le alimentassero.
Non avevo mai preso farmaci. Non ho effettuato alcun cambiamento nella mia routine. Ero semplicemente vincolata senza motivo, da qualcosa che non sapevo nemmeno cosa fosse e che pensavo fosse soltanto di passaggio. Dio, quanto mi sbagliavo. Ho fatto un elettrocardiogramma rivelatosi perfetto, e un ECG H rivelatosi abbastanza fallimentare. Il mio medico decise di mandarmi nuovamente da uno psicologo perché non riuscivo davvero a trovare una spiegazione ragionevole per questo improvviso inizio di grave disabilità. Finché una sera, al cinema col mio ragazzo, finalmente tranquilla e felice per la stupenda serata che mi aspettava, nel bel mezzo del film, boom. Tachicardia a mille. La gola si chiuse e i polmoni era come se si strizzassero. Il mio corpo era come se venisse schiacciato da una forza subumana. Corsi in bagno cercando di respirare, premendo sul petto, pregando che il cuore rallentasse. Ma questa volta il malessere non cessò. Scoppiai a piangere, senza motivo, forse per la paura, perché stavolta era peggio. Davvero peggio. Non notando alcun miglioramento fui costretta ad uscire dal cinema e tornare a casa in autobus, col cappuccio sulla testa per non dar a vedere le lacrime e la mano ancora sul cuore e il respiro affannato. Pensavo che a casa finalmente mi sarei sdraiata e tranquillizzata, che sarebbe stato solo un brutto ricordo. Ma come mi sdrai sul divano, la vista si appannò completamente e il cuore batté così forte che potei sentirei il sangue raggrumarsi nel cervello, così caldo, bollente, che avevo il terrore che sarei svenuta e avrei inziato a sanguinare dalle orecchie. Non potevo sedermi. Sudavo e camminavo nervosamente. Se mi fermavo tornava tutto come prima. Cuore, sangue, cervello. Non respiravo più. Non sentivo il mio respiro. Fino a quando mia madre non decise di chiamare l'ambulanza. La pressione era altissima, i battiti troppo veloci. Temevano un infarto imminente. E trascorsi quella notte in ospedale convinta che fosse l'ultima notte della mia vita. Prima che la fila in cardiologia finisse, era già passato tutto. Tremavo, avevo una gran voglia di vomitare ed ero così stanca, esausta, che tornata a casa crollai nel letto.
Andai dalla psicologa e mi chiese :
"Quindi hai un'ansia che ti fa correre la mente quasi tutto il giorno?"
Ho annuito.
"E hai la depressione che ti rende difficile trarre piacere da qualsiasi cosa fai?"
Ho annuito.
"E a volte le allucinazioni ti colpiscono di notte?"
Ho annuito.
“Il tuo cervello è probabilmente così sopraffatto dalla lotta contro se stesso si è sovraccaricato, ed è come imploso. La tua ansia, repressa per anni ora ha finalmente il tuo cervello perfettamente in equilibrio e sull'orlo del panico e della sopraffazione, e la tua depressione mai curata ti reso letteralmente mentalmente disabile. Tu non pensi, non puoi pensare, non ne sei più capace. Le tue allucinazioni sono il prodotto di una vita taciturna, passata a soffrire in silenzio, una vita sotto il controllo delle persone, sotto la perfidia delle persone. Inoltre hai madre disabile con dipendenza da alcol e un padre narcista patologico, altrettanto frustrato e depresso. Come hai fatto a non realizzare che il tuo cervello è solo sovraccarico ed è per questo che sei così esausta? "
Non riuscivo a credere che qualcuno avesse capito la fonte della mia pazzia prima di me, e sono rimasto scioccata da quanto avesse senso. Avevo esaminato ogni causa tranne il mio cervello. Mi mandò da uno psichiatra e inizia la terapia di ansiolitici e antidepressivi. Lo psichiatra disse che ero malata mentalmente, ma da molti anni. La diagnosi era cambiamenti di umore, idee suicide, attacchi di panico, disturbo borderline della personalità, perdite di memoria e schizofrenia paranoie. Non ho mai considerato che il mio cervello così stanco di affrontare i propri problemi mi avrebbe lasciato con una totale mancanza di energia, anzi, con un vero e proprio abisso in cui mi ritrovavo scaraventata e che sembrava senza via d'uscita.
 Ho preso farmaci per controllare la mia ansia e miei attacchi di panico. Ho tenuto a bada un antidepressivo, poiché essendo bipolare , le mie depressioni non erano di lunga durata. Tuttavia, l'ansia e la depressione, comprese le allucinazioni non se ne sono mai andate.
Ho imparato, tuttavia, che alcune cose, come l'esercizio fisico e la meditazione, possono aiutarmi a rimettere in carreggiata il mio cervello in modo da poter continuare a fare tutte le cose almeno necessarie. Dubito che da sola mi sarei mai resa conto che quei sintomi fisici così debilitati erano sintomo di malattie mentali , eppure, ora ha molto senso. Se il tuo cervello passa tutto il giorno a combattere se stesso, che tempo ha per focalizzarsi, anche se tu lo vuoi così arditamente, sulla vita che stai conducendo?
Sto attualmente lottando con una stanchezza intensa, con le allucinazioni, le ricadute e gli attacchi d'ansia in quei periodi in cui la depressione riesce nuovamente ad afferrarmi e spingermi a sé, combatto con gli istinti suicidi e lo ammetto, a volte ricado in quel baratro che si chiama autolesionismo. Dopo anni di abusi fisici e psicologici, diretti ed indiretti, la salute del mio cervello è ormai compromessa. Non c'è una soluzione che non siano i farmaci, anche se non ho mai capito se siano stati peggio gli attacchi di panico e gli antidepressivi. A causa di questi, il mio cervello ha innescato una reazione a repulsione, ha isolato, preso e distrutto tutte le emozioni, sia positive che negative. 8 farmaci non ti curano. Sono una soluzione che ha delle conseguenze nefaste, e le conseguenze sono la perdita delle emozioni. Stai bene, ma non provi niente. Né gioia, né dolore. Né quando sei con gli amici né quando stai da solo. Prima era l'inferno, ma il massimo che riescono a fare le terapie farmacologiche è semplicemente innalzarti fino al Limbo. E tutt'ora è il Limbo in questa vita. Vivere in una estrema e ininterrotta, vuota agonia. Ed è terribile. Perché vorresti disperatamente provare quel che provavi una volta. Sentire qualcosa. Invece non senti niente. È il vuoto ad ogni respiro. Una volta che ho impedito alle mie malattie mentali di condurre lo spettacolo, la mia stanchezza è notevolmente migliorata ed ero come una persona completamente nuova ... non più vagare per casa in cerca di cervelli. Nessun trattamento funziona per tutti, ma se ti ritrovi a letto mezza giornata o più, ti consiglio di agire. Non sai mai cosa potresti ottenere se lo facessi.
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doblondoro · 4 years
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10 Ottobre 2018
Si butta sul letto.
È esausto, e alla fine non è che abbia fatto un cazzo.
Sveglia alle sette, caffè al bar perché di accollarsi le pare di sua madre di prima mattina per la nuova scuola grazie ma anche no grazie.
Che poi oggi all'interrogazione di inglese ha pure preso otto e mezzo, ma vabbé, è inglese, sai che novità. Non conta niente.
È praticamente bilingue, Niccolò.
Fin da piccolo, quando dai tre ai sette anni ha diviso il pianerottolo e i pomeriggi con Ashley, e la governante preparava loro il tè, con tanto di disgustosi tramezzini al cetriolo, very british style, parlando rigorosamente in inglese, e Niccolò l'ha imparato così.
Forse Ashley è stata la sua prima cotta, pensa, adorava le sue treccine - si chiamano cornrows specificava sempre lei - e i suoi sorrisi radiosi, e anche se era così piccolo quando se ne è andata - suo padre era un diplomatico - ricorda ancora di aver pianto per una settimana di fila, con i suoi che cercavano di consolarlo dicendogli che poteva scriverle per Natale e il compleanno e che aveva altri amici, comunque.
E Niccolò le ha scritto davvero per un po', e lei rispondeva. Teneva le sue lettere in una scatola di cartone insieme ai biglietti di sua nonna, e ai disegni che faceva che gli piacevano di più.
È durata un paio d'anni, ma poi hanno smesso. Niccolò non ricorda chi sia stato il primo a non rispondere più.
Sei stato tu. Sei sempre tu.
Si gira sul letto.
Sarebbe stato meglio avere amici di infanzia madrelingua in latino, pensa, e invece al prossimo compito si beccherà un misericordioso sei meno se va bene, residuo delle reminiscenze da ripetente, ciò che resta dei cinque mesi che ha frequentato lo scorso anno, prima di ritirarsi.
Che poi era già quest'anno, in realtà, ma il tempo si è distorto dopo tutta quello che è successo.
Chissà come sta Luai, e la vergogna del sopravvissuto lo assale di nuovo, come ogni volta che ci pensa e che la paura si insinua tra la distrazione e la routine, ma ormai non ci pensa più tutti i giorni come prima, e forse ha ragione Maddalena, forse aveva sempre avuto ragione.
Aveva deciso di finirla con lei ieri, ma poi ha lasciato perdere.
Sul serio, quando è venuta a casa ha cominciato a cianciare sull'Università, sui suoi compagni di corso che vogliono passare il Capodanno a Londra e non sarebbe stata una cattiva idea aggregarsi a loro.
"Ci sono stato tutta l'estate a Londra, sinceramente ne farei a meno"
"Okay, possiamo trovare qualcos'altro"
E Niccolò per un attimo si è commosso, perché Maddalena lo ha messo al primo posto ancora una volta, dopo tutto quello che le ha fatto passare, e gli è venuto un nodo in gola.
Perché le vuole davvero bene. Davvero tanto. E forse ha ragione lei. Il fatto che a lui sembri tutto sbagliato certe volte è solo perché ad essere sbagliate è lui.
C'è una diagnosi da qualche parte in un cassetto a dimostrarlo.
E ora gli viene di nuovo da piangere.
Non lo sa perché.
Forse doveva accettare l'invito di Saverio e andare a mangiare qualcosa con lui e poi studiare latino insieme, ma dopo aver visto Sana, che trascinata dalla sua amica bionda è anche andata di nuovo a parlargli della radio scolastica, ha preferito tornare a casa.
Gli piace, Saverio. Sono compagni di banco dal primo giorno, quando Niccolò ha aspettato attardandosi fuori dalla porta della sua classe, mentre tutti i microgruppi dei suoi nuovi compagni si componevano secondo logiche e disposizioni che lui non poteva conoscere.
Le prime e le ultime file sono state quelle che si sono riempite prima, e questa è una legge fissa di tutte le scuole.
E a metà c'era questo ragazzo con lo sguardo gentile, che sorrideva a tutti ma era al banco da solo.
"Posso sedermi qua? Sono nuovo, ho cambiato scuola quest'anno"
"Certo" ha risposto Saverio sorridendo.
Saverio è un outsider e Niccolò l'ha capito subito. Uno di quelli benvoluti, ma comunque fuori dal cerchio. Non tutti quelli seduti nei banchi di mezzo lo sono, ma quelli che lo sono si siedono sempre lì.
E Niccolò, almeno in aula, per ora ha trovato il suo posto.
Per ora.
Comunque ci andrà, alla radio.
La bionda era entusiasta, forse non è un progetto troppo scrauso, e per uno che da quasi un anno non ha più alcun social e vive come negli anni novanta sembra proprio il tocco vintage perfetto.
Che a tredici anni si era scaricato tutto, e Ashley l'aveva anche ritrovata, ora viveva in Portogallo e ogni tanto si erano scritti su Messanger, prima di passare a WhatsApp.
Ma quando, dopo quella storia atroce di Luai, aveva cancellato tutto, si era persa nell'etere di nuovo, stavolta per sempre, ed era giusto così.
Non fa male.
Anzi.
Fa male proprio perché non fa male.
Perché Niccolò ha perso il se stesso che a sette anni ha pianto per una settimana per un'amica perduta, e ora non sente più niente.
Dicono che è normale. Per lui non lo è.
Tutto svanisce, dicono, ma forse è lui che è rotto e difettoso.
Quando lascia andare una vecchia amica, quando decide di lasciare una fidanzata ma poi ci ripensa perché non ha mica capito come ci si debba sentire, quando certi giorni si dispera per Luai, a cui forse ha rovinato la vita, e in altri non ci pensa per niente.
Eppure era il suo migliore amico, eppure gli vuole davvero bene. Ma tutto è distante, e Niccolò non lo sa più cosa sia reale, il più delle volte.
È tornato a scuola solo per i suoi.
Gli ha concesso almeno questo, dopo aver puntato i piedi e essersi rifiutato di continuare con la terapia e i farmaci.
Quello psichiatra lo faceva sentire solo un numero, e sentirsi snocciolare davanti come in un rosario perverso tutte le sue sensazioni come fossero sintomi gli toglieva la speranza e la voglia di lottare.
La speranza.
Ora le lacrime hanno iniziato a scendere.
Perché ha in mente lo sguardo dei suoi quando sta male. Quello di Maddalena. Quello che ha visto qualche volta anche negli occhi di Luai, Malik, Rami e Driss, che non sapevano bene quale fosse il suo problema ma avevano capito che ce n'era uno.
Spavento, dolore.
Niccolò le fa soffrire le persone che gli vogliono bene.
Lui la uccide, la speranza.
Eppure, non sa nemmeno come, in lui non si è ancora arresa del tutto.
Strizza gli occhi, e si asciuga le lacrime.
E immagina qualcuno che riesca a sorridere con lui e per lui, anche nei momenti peggiori.
Qualcuno che lo aiuti a rialzarsi, perché farlo da solo diventa sempre più difficile.
Che aspetti, non per indicargli la strada ma per farla insieme a lui.
Si alza dal letto.
Deve mangiare.
E poi studiare, perché se sei deve essere a quel compito di latino, che almeno sia un sei pieno.
Qualcuno che mi aiuti co' 'ste cazzo di lingue morte, pensa.
Magari presto.
Magari domani.
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therefore-farewell · 4 years
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Asma
Quando hai un attacco d’asma, ti manca il respiro. Quando ti manca il respiro, fai fatica a parlare. La frase ti rimane bloccata in gola a causa della quantità d’aria limitata che riesci a espellere dai polmoni. Non riesci a dire molto, tra le tre e le sei parole. Questo ti porta a provare rispetto per la parola. Te ne vengono in mente un sacco, di parole. Scegli le più importanti, ma anche pronunciare quelle ti costa molto. Non è come per la gente sana che butta lì tutto quello che le viene in mente come se fosse spazzatura. Quando qualcuno dice “ti amo” durante un attacco d’asma, la cosa è ben diversa. C’è una bella differenza. La differenza di una parola. E una parola è moltissimo perché quella potrebbe essere “sedersi”, “ventolin” o persino “ambulanza”.
- Etgar Keret, Pizzeria Kamikaze
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lanottediamsterdam · 4 years
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Quest'ultimo mese la mamma del mio amico F mi ha incrociato almeno sei volte, due mentre ero a lavoro e le altre mentre ero libero. In ogni occasione dopo due chiacchiere di rito veloci mi ha poggiato la mano sulla spalla dicendomi -volevo chiederti una cosa...- io di tutta risposta ogni volta ho campato una scusa, una cosa urgente da fare, una telefonata, un ufo di passaggio, qualunque cosa mi permettesse di non rispondere a tale domanda nonché di non fargliela neanche terminare. So cosa vuole chiedermi, so il tono con cui vuole domandarmi come sto, come mi sento e se sto riuscendo a rimettere insieme tutti i miei pezzi, ed io non voglio rispondere a questa domanda perché faccio ogni giorno un gran lavoro di autosuggestione, autoconvincimento e recitazione per sembrare una persona sana e in equilibrio. Quando invece passo ancora le notti a guardare il soffitto, non tutte fortunatamente, a contare i respiri e cerco ancora dentro e fuori me tutti i mille pezzetti di cuore, anima e mente che sono rimasti sparsi in giro per la casa. Solo ora riesco a riappropriarmi di piccolissimi spazi, e brevissimi ritagli di tempo per me nella mia casa, ancora una stretta al cuore ad ogni tramonto, al profumo dell'erba bagnata della sera, ancora certi brutti orribili pensieri per la testa, ancora il nodo alla gola al mattino e alla sera e ancora non trovo equilibrio, così mi narcotizzo nei più comuni dei modi, in quelli più socialmente accettati e non, e recito, come non mai, perché le persone intorno a me non mi vogliono vedere star male e non vogliono affrontarmi appesantito e tantomeno riesco ad affrontarmi io. Così procedo ogni giorno dal risveglio lottando e facendomi strada, con le unghie e con i denti attraverso la giornata sperando di arrivare quasi incolume alla sera, spesso non è così e il silenzio è tutto quello che mi rimane, la mia pelle e le mie mani sono tutto quello che sento e quel buco allo stomaco non si colma mai e quel buco al cuore non si riempie mai ed io sono tossico, sono veleno per me e per chi mi sta attorno e non voglio ferire le persone e nemmeno soffrire io e non mi meraviglio della mia solitudine e nemmeno del mio autoisolamento perché in fin dei conti è la cosa migliore per tutti credo. Tempo fa qui parlavo di un documentario e della mia visione del futuro, del mio vedermi solo nel futuro, triste, disilluso e solo, così sembra essere, forse è destino o forse sono solo marcio fino al midollo, vorrei solo dire alla mamma di F che mi fa piacere che ogni volta ritenti di domandarmi come sto, che comunque non le risponderò, che non valgo tutta questa preoccupazione e che quella mano sulla spalla vale molto più della mia risposta,
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