#ruby beh

[tshihiro]

koting kembot nalang, matatapos na yung wip kong angst fic 😍 - 🧩

OMGOMGOMG HAUAHAUHAA EXCITED UMIYAK HSHAHSHDBDJDHJD

[howlingday]

Salem: Ooh! Summer's gonna be mad~!

Ruby: (Babby) Ah!

Salem: And you won't be her favorite anymore~!

Ruby: Ah!

Salem: Then I'll be her favorite~...

Ruby: (Covers eyes) Beh-heh-heh-heh!

Salem: Whoa! I'm just kidding! Ugh... Babies never get my jokes.

Salem: (Pats Ruby's head) Please stop crying.

Ruby: (Stops crying)

Salem: Do you know what a joke is? It's like you're lying, but you know they're lying. So it's funny! Those are my jokes, anyways. Y'know, funny lying. Heh heh.

Ruby: Mlem mlem. (Stands up) Oh! I get it! Thanks! Mlem mlem. I won't smash your shiny toy then.

Ruby: (Smiles)

Ruby: (Smashes relic with a hammer, Breaks)

Salem: (Watching in horror as relic shatters, Thinking) I taught her how to joke, and she punked me...

[scholarlycait]

✦ Letters from a Cait Scholar: Days 241-244 ✦

Day 241

Title: “Letter from a Cait Scholar” Message: “Day 241, don't let another beat you to the punch!

A wise cait is always ready to avoid danger before it comes. One of my favorite methods is to equip accessories that make it less likely to encounter enemies. Fur-tune favors the cautious!

P.S. I’ve sent you some more Rubies. Don’t spend them all in one place!” Received Item(s): Rubies ×10

Day 242

Title: “Letter from a Cait Scholar” Message: “Day 242, my potions have turned into goo!

The flatlands froggen and river froggen are similar, but not quite the same. The former is a green color that blends into the sweeping grass, while the latter is a shade of river blue. It's amazing how life adapts to its environment!

P.S. I’ve sent you some more Rubies. Don’t spend them all in one place!” Received Item(s): Rubies ×10

Day 243

Title: “Letter from a Cait Scholar” Message: “Day 243, your greatness I do decree!

Lately I've been thinking about how to write animal sounds. If a sheep goes "baa," a goat goes... "beh"? Capturing the differences in sound with the written word is claw-fully challenging. Regardless, I want to make sure both animals have a sound that suitably ex-purr-esses their cuteness!

P.S. I’ve sent you some more Rubies. Don’t spend them all in one place!” Received Item(s): Rubies ×10

Day 244

Title: “Letter from a Cait Scholar” Message: “Day 244, I wonder if I snore?

When my eyes get tired from all the research, I like to cover them with a piece of cloth. It really purr-ks me up! I've been thinking about selling the cloth as a purr-oduct. I'd call it "Isla's Eye Mask." What do you think? A wise investor knows opportunity when they see it!

P.S. I’ve sent you some more Rubies. Don’t spend them all in one place!” Received Item(s): Rubies ×10

[bellydancevids]

Ruby Beh 

[juuuuunaaaaaooooo]

Nbc Good Girls draw test (brio test) : Ruby Hill

[macnamaranumerocinque]

Amici? Amici! (Sala Grande, 29 ottobre, III anno)

R | Ora, la scena farebbe un po’ sorridere, con questo paperottolo biondo che corre tra i tavoli di Grifondoro e Tassorosso alla volta del portone che dà accesso alla sala grande, zigzagando tra studenti più grandi che proprio in quel momento hanno deciso di mettere fine al loro lauto pasto - un paio potrebbero aver ricevuto un colpo della cartella in pelle nera che le sbatacchia dietro. « M- » ma si blocca, ancora per quella indecisione e dubbi che l’hanno accompagnata in questi giorni. E allora che si fa? Si corre, allungando un braccio, nemmeno Mac fosse un boccino d’oro, urlando « TU! » per attirarne l’attenzione prima che sparisca via oltre e debba rimandare tutto al momento della cena « MACNAMARADITASSOROSSO » –– « Devo dirti una cosa »

K | Il pranzo è terminato poco fa e Kael, assieme a qualche altro Tassorosso, sta iniziando ad allontanarsi verso la porta quando sente qualcuno gridare, e gridare il suo nome per di più, beh tecnicamente il suo cognome, ma tant’è che questo fa voltare il Tassorosso quasi immediatamente, giusto il tempo di arrestarsi sui propri passi. E a quanto pare il grido ha fatto voltare più d’una testa, ma vabbé. Individua la figura della piccola biondina, ora piegata in due a recuperare il fiato praticamente davanti a lui. «Ruby?» e poi quella si raddrizza e quando la sente parlare all’improvviso un ricordo saetta nella testa del terzino, oddio… la lettera!

“Seb mi ha detto che sei diventato maschio! Quindi era questa quella cosa che dicevi? Però stavi meglio con i capelli corti, lasciatelo dire. Ora finisce che ti scambio per Tristran, nei corridoi. E ha detto anche che ora ti fai chiamare Kael, quindi passo a questo e smetto di chiamarti Mac? O è solo per prova, per capire se funziona e ti giri quando ti chiamano? Ruby”

Gli occhi azzurri si allargano e sul viso si apre un’espressione imbarazzata, quasi in colpa. La lettera l’ha ricevuta durante il periodo gianato e diciamo che non era stata presa bene tanto da buttarla in un cassetto e dimenticarla lì, fino ad ora. 

«Se è perché non ti ho risposto, scusa… Mi è passato di mente e tipo quando mi hai scritto ero sotto effetto di un infuso e…» 

–– «non ricordo nemmeno bene cosa ci fosse scritto.» –– «E, mh, comunque, dimmi pure.»

R | Le nasce questa piccola espressione sul volto, di confusione e perplessità che prima la vede annuire, per confermare all’altro che si tratta proprio di quello e poi… « oh » riscossa in un attimo da tutti i dubbi e le preoccupazioni che la non-risposta le ha portato. « quindi… non ce l’hai con me? » – « e che boh, ho pensato che t’avevo offeso con la storia dei capelli » che poi, sti capelli, c’è da capire pure se erano effettivamente più lunghini o non l’ha davvero scambiato con Tristran, nei corridoi. « e quindi… » le mani appese alla cinghia vengono mosse per aprire la cartella, smucinare tra le tasche interne con un « dove bolide l’ho- ah! » e cacciarne fuori un rettangolino di pergamena, su di cui sono stilizzate alla buona delle piccole cravattine di tassorosso, con tanto di freccette per indicare il movimento da compiere per andare al passo successivo. K | «No, certo che no.» replica ora rivolgendo un sorriso e mutando l’espressione in una più tranquilla «cioè, credo che non mi sia piaciuto, quando lo ho ricevuto, ma non ero proprio del tutto io… cioè è complicato.» [...] «oh. Ma… è per me?»

R | E di tutta risposta gli porge il foglietto, con un annuire del capo per confermare e ondeggiandolo appena per esortare a prenderlo « ora so come si chiudono queste » e, a mani libere, indicherebbe con orgoglio il cravattino che ha al collo, non perfettissimo come quello che si può vedere nei distinti completi di Oliver ma che, in un certo qual modo, ne potrebbe essere un figlio acerbo (...) « e l’ho fatto con cravatta locòmotor. è che ho pensato ce l’avessi per il biglietto quindi sono andata dal capocasa e c’ho chiesto se me lo spiegava, così, magari » e rotea gli occhi, guardando un po’ ovunque tranne che verso il tassorosso « magari avevo qualche possibilità in più per farmi ascoltare però ecco te lo dò comunque »

K | [...] «Lo adoro! Magari adesso imparo anche io! –– Comunque» poi abbassa lievemente il tono, chinandosi pure verso Ruby per dirle una cosa all’orecchio «ho scelto Kael» – «ma ecco, non lo sanno ancora tutti.» poi si raddrizza, tornando al tono normale prima di allungare il pugno chiuso verso Ruby, sollevato, per un bro-fist. 

«amici?»

R | l’attenzione ritorna alta al momento che Mac s’accosta, facendole tendere il collo per ascoltare meglio il bisbiglio che, ecco, le fa nascere un sorrisino completo per poi bisbigliare un « allora uso Mac » incrementando il sorrisetto fino a scoprire l’incisivo scheggiato « ancora per un po’ » ritornando dritta e allungano il braccio per rispondere a quel bro-fist con un pugnetto uguale e contrario, allargando poi la mano a stella per simulare un’esplosione.

« amici! »

[avvocatodiprovincia]

Di prostitute, spacciatori, bulli, etichette e barattoli. E del mondo. Soprattutto del mondo.

Immaginate che un ragazzo rubi una mela

da un cesto del droghiere,

e comìncino tutti a chiamarlo ladro,

il redattore, il prete, il giudice, e tutti gli altri –

“un ladro”, “un ladro”, “un ladro”, ovunque vada.

E non gli danno lavoro, né può mangiare pane

senza rubarlo; ebbene quel ragazzo ruberà.

È il modo in cui la gente considera il furto della mela

che fa del ragazzo quel che è.

da “Aner Clute” di E.L. Masters

S. era figlio dello spacciatore ‘storico’ della mia piccola città e di un’altrettanto ‘storica’ prostituta in anni, gli ‘80, in cui esisteva ufficiosamente una via “a luci rosse”.

Era stato affidato ai nonni paterni, che cercavano di ‘raddrizzare’ il ragazzino prima ancora di sapere se si sarebbe storto.

Lo conobbi alle medie, in una scuola ‘difficile’ cui mi iscrissero i miei per abituarmi al mondo, qualsiasi mondo mi capitasse.

S. era bravissimo in ogni materia, e senza fare fatica, ma nei rapporti coi compagni era un disastro; in quella terra di nessuno tra infanzia e adolescenza - in cui non si perdona uno zaino o un colore di capelli diverso dagli altri - figuriamoci qual era il prezzo di una situazione come la sua.

E lui si difendeva attaccando.

Io, dal canto mio, ricordo le medie come un incubo: bambina dentro, adolescente esternamente, davanti a dispetti e battute mi raggelavo e, soprattutto in seconda e terza media, passavo l’intervallo in un angolo a leggere, sperando che la vita passasse ignorandomi.

S. picchiava chiunque lo guardasse male o lo offendesse.

Io contestavo (tutto) alzando la mano (o gettando i compiti in classe nel cestino con melodrammatico disprezzo, se non condividevo il voto), lui se ne andava dall’aula, sbattendo la porta.

Non andavamo granché d’accordo, ma ci rispettavamo in una sorta di tregua armata tra i due più inquieti della classe: due ribelli (ognuno a modo suo) che si guardano e si riconoscono.

Un giorno, nell’intervallo, uno degli alunni più bulli mi prese per i capelli, portandomi in mezzo al salone affollato e cercando di colorarmeli di nero con l’Uni Posca.

Sembra strano che nessuno facesse niente, eh? Eppure.

Ricordo che, nonostante mi lacrimassero gli occhi per il male, la cosa che detestavo di più era essere lì davanti a tutti a cercare di liberare i capelli in silenzio, e a vergognarmi. Io.

Intervenne S., picchiando questo tizio con tutta la rabbia con cui avrebbe voluto picchiare la vita. Calci, pugni, morsi. Finimmo dal preside tutti e tre e spiegai che S. era stato l’unico a difendermi.

Dopo mi disse, burbero e guardando altrove, “non l’ho fatto per te. Quello stronzo continua a dirmi che devo andare con lui a comprare fumo o a puttane, perché ho lo sconto famiglia. Ha rotto il cazzo. E poi i tuoi capelli non sono male. E poi non si picchiano le ragazze”.

Sputava ogni parola come gli bruciasse in bocca.

Lo ascoltai con un senso di rabbia crescente: aveva un brutto carattere, ma la pietà zuccherosa che riceveva dai professori, la diffidenza di molti compagni e il disprezzo dei bulli avrebbero reso selvatico chiunque.

Da allora, diventammo in qualche modo amici: ci consigliavamo libri (gli devo Poe e Lovercraft), musica (gli devo i Guns e Bon Jovi), film (gli devo Platoon).

Dopo la scuola, col tempo, lo persi di vista.

Un giorno, sette anni fa, me lo trovai in studio.

“Ho bisogno di un avvocato” mi disse “ma non per quello che pensi tu. Non fumo nemmeno. E non bevo. Ho un problema col mio datore di lavoro, per un infortunio”

Risposi che non avevo ‘pensato’ niente e lui sorrise. Guardando altrove.

“Ho passato tutta la vita a dimostrare che sarei stato diverso da mio padre e mia madre a gente che non vedeva l’ora di scoprirmi uguale a loro. Mi è rimasta l’abitudine” mi disse.

E non ne parlammo più.

Pochi anni fa, scoprii che S. era morto in un incidente stradale:

un colpo di sonno, in auto, rincasando dal turno di notte. Era uscito di strada, finendo in un fosso.

Neanche in quella circostanza aveva fatto del male a nessun altro, se non a se stesso.

Il padre tutt’ora gironzola per la città, capelli lunghi e grigi, senza dimora, lavoro o prospettive.

Della madre, non si hanno notizie da tempo.

E io penso a S. ogni volta in cui sento inchiodare la reputazione delle persone a un loro gesto, ogni volta in cui viene definito ‘ladro’ uno che ha commesso un singolo furto, o ‘delinquente’ uno di etnia rom. Ogni volta che un giustizialista se ne frega dell’errore giudiziario o gioisce per una condanna o invoca la pena di morte. Ogni volta che chiunque se ne esce con un “se l’è cercata” rivolto a gente che non conosce, che ha fatto scelte di cui non si sanno i motivi.

Ogni volta che qualcuno nega la possibilità di redenzione a chi ha espiato la propria pena.

Ogni volta che vengono attaccate etichette alle persone come fossero barattoli.

Ogni volta, penso a S. che, col suo “marchio speciale di speciale disperazione”, ha provato tutta la vita a emanciparsi da un pregiudizio.

“È il modo in cui la gente considera il furto della mela che fa del ragazzo quel che è” dice Edgar Lee Masters.

Beh, S., cui sto ripensando in questi giorni, fu un bravo bambino, un bravo ragazzo e infine un brav’uomo, nonostante il mondo si aspettasse il contrario.

(Ah, il bullo lavora in un’impresa di demolizioni)

[nonchiamarmimacnamara]

Insulti, pugni e « Impedimenta »

Clancy: «Quindi… ricapitolando. La difficoltà di queste Trasfigurazioni risiede non solo nell’immaginarci in maniera accurata la pianta o l’animale che vogliamo ottenere e come questo si trasformi a partire dal nostro oggetto… Ma altrettanto importante è porre attenzione a tutto ciò che lo renderà vivo…» breve pausa per valutare che tutti siano attenti «Quindi i muscoli e gli organi funzionanti che avete studiato per gli animali ma anche il pulsare vitale nascosto nel gambo, nelle foglie e nei fiori che consente loro di vivere.»

H:  « ma se io visualizzassi un uccello con pelle di serpente » una piccola pausa ad enfatizzare la parola seguente « volutamente » perché insomma non lasciamo nulla al caso « otterrei un incrocio anche se in natura non esiste? »

R: « prova » a Heaven, con gli occhi che s’accendono di entusiasmo « pure se esce un abortomostro, che fa? » risponde lei, con questo sorrisone sulle labbra, mentre si sporge oltre la schiena di SEB per intercettare la Serpeverde curiosa. « al massimo crepa- ESATTO! » rigirandosi sul posto e guardando in avanti « proviamo? possiamo? » domande utili proprio no.

S: Dopodiché fa la sua domanda e trova il giusto appoggio da Ruby, la quale gli fa dipingere un ghignetto soddisfatto in volto, non solo per ciò che dice riguardo all`«abortomostro» che gli strappa una mezza risata, seguita da una battuta «peggio della Knox non può uscire» rivolto ovviamente alle due Serpeverdi lì nel banco accanto, sussurrando appena in modo da farsi sentire da loro evitando però di attirare l`attenzione del Docente.

A: «certo che può uscire peggio di me» cerca di non alzare troppo la voce, che la senta il professore è l`ultima cosa che vuole

 «guarda i tuoi genitori che pasticcio hanno combinato» 

H: Inarca un sopracciglio alla volta di ALEXA non appena osa insultare Sebastian « Knox » il tono con cui le si rivolge è più serio che mai, moderato nel tentativo di non farsi sentire dal docente « pensi che ai tuoi genitori invece farebbe piacere vedere come caschi dalla torre di astronomia? » sì? Perché nel caso ci offriamo volentieri a farti fare un giro sulla giostra.

R: Ma, a dir la verità, non sente nemmeno le risposte di tutti gli altri, che si spengono, appiattiscono, minimizzano perché l’orecchio ha captato ben altro. Ha questo movimento della testa che ruota, occhieggiando Seb per un secondo e poi gli occhi si spostano più in là, su Alexa, con il braccio che si tende sul banco ad afferrare la bacchetta e, prima ancora che se ne renda conto è in piedi, con ma con un braccio sulla spalla di Seb a trattenerlo. « Bro » ma con gli occhi che non si spostano da Alexa « andiamo alla credenza, sì? » 

S: La ascolta con un sopracciglio alzato, ma è solo quando arriva la parola "genitori" che coglie a pieno ciò che vuole dire: e chissene se si sta facendo lezione, se lì vicino c`è il Professore che potrà cogliere tutti i suoi movimenti. Prima di tutto serra i pugni man mano che mette a fuoco la sua faccia, andando a sbatterli sul banco e provocando conseguente rumore che potrà far voltare tutta la classe. E non ci mette poi molto ad alzarsi, spingendo la sedia indietro in modo brusco (lasciandola anche cadere, in caso) e cercare di avvicinarsi un po` di più alla Tassorosso, afferrando con la sinistra il colletto e così sovrastando il banco (e non importa se cadono anche libri, pergamene o bocce d`inchiostro) per tirarla a sé ed avercela a portata di mano. E probabilmente non sente nemmeno quel tocco di Ruby o l`invito che questa fa, il tutto è molto più veloce, un gesto automatico il suo, come se l`avesse fatto altre volte, dettato dall`istinto, dall`impulsività che lo caratterizza da sempre e una rabbia che cresce man mano che lui guarda Alexa, una rabbia che nasce molto prima di quel commento. Non dice nulla, cercherebbe solamente di tirargli un pugno diretto, il più violento possibile, che arriva da destra e ha l`intenzione di colpire guancia e naso, senza pensare al contesto in cui si trova o al Docente lì presente. Se dovesse riuscire non si preoccuperebbe minimamente delle condizioni della Tassorosso, andrebbe semplicemente a guardare Ruby, gli occhi che brillano di una cattiveria che non dovrebbe appartenere ad un dodicenne, un poco lucidi.

Difficile passare inosservati se si fa tutto questo rumore sbattendo i pugni sul banco, attirando tutta l’attenzione su di sé, tanto più se si parte dall’ultima fila per arrivare alla seconda. Uno spazio che Sebastian riesce anche a percorrere nella sua furia, a caricare il pugno e… ritrovarsi bloccato a metà del movimento di un colpo che non arriverà mai a sfiorare la compagna. Un Impedimenta non verbale che lo respinge indietro seppur non abbastanza da fargli perdere del tutto l’equilibrio.

Clancy: e tempo tre secondi che il professore si fa sentire, interrompendo la quiete apparente dell’aula «CHE COSA PENSAVA DI FARE? ATTACCARE LA SUA COMPAGNA?» che non è urlato ma il tono di voce è alto a sufficienza da far sollevare una serie di schiamazzi dagli abitanti delle gabbie, «FUORI. IMMEDIATAMENTE.» perentorio nel tono di voce e nel gesto secco con cui gli indica la porta, intimandolo a uscire. (...) «La lezione è finita.» annuncia scuro in volto, perché difatti è oltre la soglia dell’aula che uscirebbe, con tanto di Sebastian per fare rotta verso.. beh, Oliver.

Ho tolto -10 punti a Sebastian_MacNamara della casa Grifondoro per il seguente motivo: Per aver tentato di aggredire una compagna durante la lezione.

[tashaodinsbane]

                                                Rospi e Avvincini 17.09.76 Lago Nero

T: “Hey up. Che fai?”

Una voce, una voce che lo copia pure?Niall si volta, un movimento agile che coinvolge solo il busto. La testa segue il corpo,e pure il braccio destro che porta la bacchetta a puntarla.Una minaccia?

N:”Gnn. Mi usi come modello.” Ed è un’affermazione,eh, mica una domanda.

Lo sguardo di Tasha resta impassibile, quasi indifferente,  mentre fissa il compagno negli occhi chiari, ma le dita sfiorano il portabacchetta che tiene legato alla coscia destra.

T: “Può darsi”

Niall muove la mano sinistra a tirare indietro il ciuffo di capelli mentre si ruota con tutto il corpo,abbassando pure la bacchetta da quella posizione minacciosa. “Come si stava con un occhio solo?”

T: “Come un serpente senza denti,come pensi che si stava?”

N: “C’hai paura”. E prende pure a respirare come se sentisse un odorino. Sì, un odorino di paura.

T: “Non ho paura di te. Ma sei imprevedibile. E hai due bacchette”

N: “Gnn”. Beh,è vero.  

W: “Che combinate voi due qui fuori?” Si impiccia subito mentre si mette Artie sulla spalla destra. “Ho per caso interrotto qualcosa?”

T: “Forse sì,forse no.” Rivolge al tassorosso un sorriso misterioso “Perché?Vuoi partecipare?” E fa su e giù con le sopracciglia in un gesto invitante.

N: “Dai,dammi Artie ,almeno fa il bagno. A meno che non vogliate fare il bagno voi”

T:” Può darsi. Dipende” Ma già si sfila le scarpe e si piega a togliersi i calzini.

W:” Il bagno?Adesso?Ma chissà che c’è in quel lago...”

N: “Nulla che ti rubi l’asticello”. Prende a tirare un filo dei pantaloni che cominciare accorciare la gamba di quella tuta. Un filo di almeno due metri che viene legato attorno alla zampetta di Artie. E poi lo lascia andare a farsi il bagno,sempre che quel rospo voglia farsi la vita del rospo.

Tasha si sfila la felpa e la lascia cadere sopra le scarpe ,ostentando indifferenza. E che c’è in quel lago? Solo pesci,piovre giganti,selme... Tasha afferra il bordo della canottiera e la solleva, quindi si ferma di colpo. Ha realizzato solo ora che dovrebbe restare mezza nuda difronte a ben due ragazzi. Eppure il Lago sembra chiamarla...Si arrotola i pantaloni fino al ginocchio e si immerge nell’acqua raggiungendo lentamente Niall.

Wesley sgrana gli occhi perché è ancora un bamboccio e porta subito lo sguardo verso Niall con una faccia che vuole essere maliziosa. Niall alza le spalle ma c’è da dire che come una calamita quella canotta che viene sollevata lo attira.Gli occhi sgranano un attimo, ma dura poco visto che lei ci ripensa.

N:”Non si fa il bagno vestiti” dice,tornando agli occhi di Tasha mentre porta le due bacchette nella destra e con la mano sinistra tiene il filo del rospo “Ma non ho mani libere...” E che vuole ora?

[...] T: “Mi chiedo se sia una coincidenza.Che ci siamo conosciuti. Tu credi in questi Dèi, in questo Odino. E io,beh, ho questo cognome.” Sembra essersi dimenticata della presenza di Wesley,che probabilmente sta capendo poco e niente della loro conversazione “E’ il motivo per cui temo le tue bacchette. Devo temere una qualche sorta di vendetta per le tue credenze?” Ma a quanto pare,forse, per avere risposte più dirette bisogna stare al suo gioco,accontentarlo. Gli lancia un’occhiataccia, ma poi porta la lingua contro il palato facendo risuonare uno schiocco. E diamogliela vinta. “Vuoi una mano?”. Gli si avvicina ancora di più e allunga le mani verso la maglietta di lui, con l’intenzione di sfilargliela dalla testa. Come poi ha intenzione di liberare le braccia è un problema suo.

W: “Neanche tu ti puoi fare il bagno vestita,eh” fa notare . Dai,Tasha,accontenta i bimbi. Lui però rimane ancora ben vestito sulla riva con solo i piedi a mollo.

Niall si irrigidisce, stringendo la mandibola e gonfia un po’ le guanciotte secche. “Se continui a studiare il mio culto..,e me” perché deve conoscere pure lui “capirai molte cose”. E che risposta è?Sicuramente criptica.E poi ecco l’impensabile. Niall lancia quella domanda e lei l’accoglie in toto avvicinandosi e tirandogli su  quella maglietta larga che sale senza problemi e scoprendo il suo fisico magro e longilineo, con l’unico punto forte oggettivo dato dalle spalle larghe. E le braccia escono dalla maniche, perché prima una e poi l’altra se le libera. Allora aveva le mani libere? Poi ascolta Wesley .“Sì,appunto”.

T:”E’ quello che voglio fare. Studiare il tuo culto” A questo punto bisogna pareggiare i conti...Abbandona quindi il ragazzo,mentre ancora tiene in mano la maglia verde di lui , torna con i piedi sulla sponda ghiaiosa. “Non sbirciate”. Ci tiene proprio tanto a farsi ‘sto bagno. Per sicurezza va’ a nascondersi dietro il grande sasso e che fa?Si sfila velocemente la propria canottiera per infilarsi la maglia di Niall che le arriva a coprire la parte alta delle gambe. Un attimo di indugio per i pantaloni e poi via anche quelli. Niente malizia. Solo tanta voglia di fare un tuffo. Eccola quindi sbucare da dietro il masso per correre velocemente verso il lago.

Wesley ovviamente sbircia ,anche se riesce a vedere poco quando lei si mette dietro al sasso “E’ andata male,Bro”bisbiglia a Niall”. Poi da bravo bamboccio molesto si mette le mani a coppa davanti alla bocca emettendo un fischio “Ti si vede tutto,Tashaaaaa” anche se non è vero.

Le si vede tutto?Niall nel frattempo porta le bacchette dentro i pantaloni, su un fianco,così che stiano ferme. E poi sfiata dalle narici “Hey up” detto in un tono molto strano, così che il suo amico possa capire che qualcosa non va. Ma insomma lei corre e si tuffa e lui cerca di raggiungerla, tuffandosi a sua volta .

Tasha si allontana da lui , tenendo la schiena rivolta verso il basso e le braccia che si allargano per nuotare all’indietro “Sembri stare bene qui nel lago”

N:” Sto benissimo nel Lago” esclama. E visto che fa il morticino, lui la prende per un piede. Una presa veloce e forte,come a simulare quella degli “Avvincini. “ ecco.”c’è  da fare attenzione” come se non fosse ovvio. “Ma forse tu preferisci i morsi”

Uno strattone al piede la fa sussultare, finendo per farle immergere la testa completamente e a bersi un po’ d’acqua. Trattiene bruscamente il fiato e sorpresa, infastidita e anche un po’ spaventata si tira subito in piedi.

T: “Che troll!”

[vele-e-vento]

le conversazioni che uno spera che prima o poi su tumblr si estinguano, ma c’è sempre qualcuno che... io: ciao come va a Venezia, vedo che va il Mose. >si si meno male. ma tu che lavoro fai ? io: beh fa piacere che uno lascia il segno :)  me l’hai già chiesto altre volte.

 >  scusa ma mica mi posso ricordare di tutte le persone con cui chatto

Io: eh beh certo, neanche io mi ricordo delle chat, con  tutte le cose importanti che ho da fare... 

( altre due righe di conversazione di nulla+niente che glisso per brevità, ed evitare la noia)

(poi out of the blue, senza nessun contesto, di punto in bianco)

> però tu sei un tipo strano. sei strano per essere un  docente. (io mi penso, “ma se non ti ricordi manco chi sono” ) io: si vede che non conosci molti  ricercatori, frequenti solo i babbani e quindi ... > ma scusa tu fai sexting qua?

io: prego?

> tu fai sexting? io: tu rubi le auto? > rubare??? io: ma ti sembra una cosa normale da chiedere a uno che due minuti fa manco ricordavi chi è.. > che c’entra?

io:  tu gestisci un parcheggio abusivo? no scusa, tu mangi gatti? > si io mangio carne io: si ma ti sembra una cosa normale da chiedere a uno che chiaramente non sai manco chi è e poi, scusa ancora,   ti sembro uno che se  fa le seghe mentre scrive in chat? > le seghe?? io: ah si scusa uno mentre fa sexting, legge la bibbia e il vangelo, è vero. > forse è meglio se ci salutiamo io: si meglio, se devi offendere > ti ho offeso?

io: ah no normale procedura scusa...

> forse meglio che ti saluto

lo: se ti sembra così’ normale, chiedilo a uno dei tuoi clienti. cioè tu vendi un’ auto, e mentre quello ti sta firmando l’atto di acquisto di punto in bianco gli chiedi, scusi lei fa sexting? > beh se c’è confidenza sì io: sì, sicuro, ci credo. è nel manuale del bravo venditore. scritta in tutti i testi di economia. > guarda che l’hai presa male

Io: si certo , “ciao scusa non mi ricordo chi sei perchè sono così  piena di chat e mica posso ricordarmi di tutte le persone con cui parlo, ma scusa tu ti fai le seghe al telefono mentre scrivi? ah ti sei offeso, non capisco come mai... “ >meglio che ci salutiamo io: meglio di sì, credo proprio.

[itslexkno-w-x]

𝙸𝙸 𝚊𝚗𝚗𝚘, "𝘎𝘪𝘰𝘤𝘰 𝘋𝘪 𝘚𝘲𝘶𝘢𝘥𝘳𝘢"

«Oggi impareremo un incantesimo di difesa che funziona unicamente contro gli attacchi fisici L’incantesimo si chiama Scùtum e si casta muovendo la bacchetta in due piccoli cerchi» 

Ruby: [...] si volterebbe verso «Knox!» a richiamarne l’attenzione e guadagnare il suo fianco, borbottandole piano e a voce bassa «senti, io sono stufa di questi che ci colpiscono e noi che facciamo da bersagli a caso» mettendo in sospensione per cause di forza maggiore ogni diatriba «facciamo squadra squadra e suoniamogliele» guardando i due più grandi armati, aggiungendo un «in qualche modo». E annuirebbe alla compagna, borbottando un «ci penso io» prima di mettersi bene al suo fianco e sfruttare lo scudo che questa creerà per difenderle. Punterebbe quindi la bacchetta in avanti, spostandosi quel che basta per uscire dalla sfera protettiva di Alexa, ed individuare Alyce, puntandole la testa e cercando quanto più precisamente può alla fronte di questa, visto che si è rivelata essere la più brava con quell’arnese, per un «Confùndus!» urlato prima di ritrarsi nella protezione e gridare «CORRI!» perché chi si ferma è perduto.

Lex: [...] Prima che lo spettacolo cominci, sente chiamare il suo nome «Eh?» da quando la MacFusty le rivolge la parola? «squadra? tu ed io?» inarcando un sopracciglio, un po` confusa «beh io... posso fare lo scudo...» perchè in effetti, non ha idee migliori «poi sei tu quella con le SUPER ideone qui, no?» e a quel punto tenterebbe di stare abbastanza vicina a Rubinia con l`intento di poter riparare anche lei. Tornerebbe quindi ad osservare i quintini, e, non appena li vede apprestarsi a sparare, bacchetta in posizione e «Scùtum!» esclama per la seconda volta, eseguendo due cerchietti col catalizzatore, e visualizzando nuovamente una barriera protettiva pararsi davanti a sè -ed eventualmente alla Compagna-

L’incantesimo di Alexa è un po’ frettoloso questa volta e così la sua barriera non si concretizza come voleva e il primo proiettile di Alyce la colpisce alla spalla. ma Rubinia, beh, questa volta usa Alexa come suo scudo e, la cosa si rivela piuttosto efficace.

[becca-becky]

Pre-Valdangelo hc: Leo tried learning Italian whenever he had time so he could impress Nico. He got it really well but he didn't tell Nico he learned Italian so it could be a surprise. So, Leo picked up on whatever Nico muttered Italian.

And one day, Leo's rambling on about some new inventions he was blue printing in a mix of English and Spanish. Nico just kept staring at him fondly and muttered not-so-quietly in Italian, "Dii, sei così carino," [Gods, you're so cute]

Leo stopped and stayed quiet. He felt his face flush. "Scusa, cos'hai detto?" [Sorry, what did you say?]

"U-uh, I- um-"

"Awww, Di Angelo, pensi che io sia carino?" [Awww, Di Angelo, you think I'm cute?]

"N-no, well, sì, però-"

"Beh, se pensi che io sia carino, non penso di esserti guardato allo specchio, signor Di Angelo," [Well, if you think I'm cute, I don't think you've looked in a mirror yourself, Mr. Di Angelo]

Nico stuttered and stammered, his face burning a ruby red.

Piper walked up to their table at the Mess Hall. Her eyes looked ti Nico then back at Leo. "You broke The Ghost King, Valdez,"

Leo just smiled softly at his stuttering crush, "Sì, ma sembra adorabile quando è così, no?" [Yeah, but he looks pretty adorable when he's like that, no?]

Nico turned even more red.

(Btw this is all from google translate, I don't actually know Italian. If you're an Italian speaker and you find that the parts of the scene that is in Italian to be clunky or not grammatically correct at all, now you know)

[movedyourchair505]

Napule Nights - ventisei

Again, Elana helped me so much with this, thank you endlessly. It’s a big one, so I really hope it does not disappoint x

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Unfortunately, Turner's words turned out to hold mostly the truth, his prediction fulfilled as Jade spent the rest of the day working with the Serena and Kane, saw Turner merely in passing that evening, hardly over the course of the following day at all, only when she was heading back to her suite coming back from the shooting range did Cook stop in front of Turner's office, told her that he wanted to see her and her heart leapt with anticipation, although she had not dared to get her hopes up out of fear of disappointment.

When she stepped inside and Cook closed the door behind her, Turner stood in front of his desk,  buttoning his shirt up all the way, fumbling with his tie and this time she didn't hesitate, out of instinct took the remaining steps to minimize their distance without second thought and reached to replace his hands with her own, doing up the tie in no time and she watched his fingers tense and stretch at first, then he allowed to let it happen, his hands instead coming down slowly on her hips, guiding her forward and he stepped back to lean against the edge of his desk, kept her stood between his legs.

She sensed that she'd initially broken her own rule of getting her hopes up, because she couldn't help but be disappointed by the fact that it seemed he was going to another job, had merely called her in to have a word and a painful thought shot through her head, her body tensing, yet her mind was soothed instantly by how at ease he seemed, but the mere inkling of the possibility arising that she wouldn't get what she wanted had her defensive nonetheless.

“What is it?” She asked, her tone more forward, more challenging than she'd intended. “Do you have more work for me?” She was praying that it was just that.

A half-smile played around his lips and he shook his head slightly. “Jade” he drawled, his tongue drawing along his bottom lip slowly. “Just wanted teh talk t'yeh 'bout tomorrow.”

She swallowed, her hands slowly smoothing down his tie to calm herself down as she forced herself to hold his gaze. “Yes, Alexander?”

“Dun't worreh” he said, unable to suppress the satisfied smirk spreading across his face. “I 'ave not changed me mind.”

She breathed out, an immense weight lifted from her heart, the relief overshadowing the embarrassment of how easy he'd figured her out and she raised her eyebrows expectantly, as if to gloss over his promise like it didn't faze her, waiting for the real reason of their encounter.

“I'm workin' durin' the deh but yeh've got the deh off. Yeh can do as yeh wish, but I 'ad summat I wanted yeh teh do-...” He pursed his lips.

She sucked in a sharp breath, cutting him off. “You fucking contradictory-...”

“Jade” he snapped, the roll of his eyes almost embarrassing her further. “Fookin' 'ear meh out, will yeh? I want yeh teh get yehrself a nice new dress. Mi wanted teh spend time wif yeh so 'e's gunna take yeh.” He smiled at the way the realisation had grown on her flawless features and replaced the frozen expression of disbelief. “Is tha' alreyht?” He asked, smug, teasing.

She swallowed, pressing her lips together, her hands moving flat against his chest and she smoothed down the jacket of his dark grey suit. “I suppose” she said, nodding slowly.

He chuckled, shaking his head at her. “Alreyht” he said. “Bene.”

She sighed, stepping back as she slowly began to snap out of it, trying desperately to hide her excitement now to not give him the satisfaction after once again making a complete fool of herself. “W-Where are you going?” She asked, watching him push himself off the desk, closing two buttons of his jacket.

“Joost a meetin'” he shrugged, looking back at her with his eyebrows raised. “It dun't concern yeh, doll, I've got it under control.”

She sucked in a breath. “Someone tried to kill you yesterday.”

His face remained unimpressed and he sighed. “Tha' weren't the first time, were it? It were sum of the people I angered in San Marino, they sent...” He paused. “It dun't matter.”

“I'm worried” she stated, surprised by her own words as soon as they rushed out.

Turner swallowed, taking a breath. He was surprised by the way she told him now, sincere and outright direct, like she wasn't ashamed to admit, but he was in no state of mind to process what that meant, pressing his lips together as he looked back at her, then walked towards her again. “Dun't beh” he stated. “There's nofin' teh worreh 'bout.”

She was about to challenge him again when she was cut off by his lips pressed to hers, the kiss quick, yet never lacking in intensity, heat and promises, his arm snaking around her waist to press her body against his, moving his lips hungrily with hers, eager for something, because while he didn't want to admit, he knew that especially at the moment, any job was risky, and he needed her to ease the reality of that for him for just a moment, having all along hoped for a quiet moment to just kiss her in passing, reignite that feeling of power inside him, of being strong, of being desired, and the way she looked at him when he drew back, lips parted, eyes wide with lust, it did everything he needed for him, and it took all his strength to tear his gaze from her and step away, heading for the door.

Few things had frustrated her the way his kiss did, reduced her to her usual nightly routines, yet recharged the next morning because Kane's opinion of early mornings was as high as her own, and he picked her up fairly late, Cook and another henchman accompanying them as they made their way downtown, the day promising heat and excitement and while Jade had always enjoyed her birthday more than any other day of the year, this felt out of this world entirely, Kane taking her to a café, focused on her and her alone, be it with questions or compliments – only having his own interest in mind once when convincing her to as a present allow him to buy her a pair of leopard print heels – her confidence sky high as she returned to her suite with the gold bag in her hand that contained one of the most expensive dresses she'd ever owned.

She took her time getting ready, pampering herself with a long and thorough shower, layering smooth and richly-scented moisturizer over her skin and selecting the perfect shade of ruby red for her lips to complement the metallic indigo dress. She adjusted the deep plunge neck that barely covered any of her chest, the small curvy straps just above her elbow, running her hands down the solid, well-structured material, it was tight on her body, thick and shiny and definitely unsuitable for work, felt expensive, a reminder that it was something only Turner could have funded.

Her black stilettos clicked on the ground, she felt her legs were more shaky than usual, but she'd also never felt more confident than in the moment the doors of the lift opened and she stepped into the entrance hall, Cook shadowing her every move still, but she forgot about every other person in the vicinity when she laid eyes on Turner waiting for her by the doors, once again exceeding all her expectations. His sheeny blue suit was well-tailored and didn't require a belt. His shirt looked soft, a satin mustard colour, tucked perfectly into his trousers, white buttons,  the collar draped neatly over the jacket drawing particular attention to his slender neck which didn't help the pressing need she still had to mark it, bruise it, feel his heart rate increase. His hair was slicked back, drew attention to his window's peak and she noticed it looked tidier, suggested he might have had it trimmed, his face on full display, the crispness of his jaw matching his tight suit that defined his body in a way that had her already undressing him with her eyes as she approached him. His chain made her want to draw him close instantly, the rings on his fingers had her eyes almost roll back at the recollection. Even the glow his skin radiated had her desperate, his nose crinkling slightly and the perfect blend of cigarette smoke and spicy cologne clouded her mind and she couldn't ignore the fact that whilst his perfection was usually effortless, it was clear he'd actually made an effort to exceed her expectations tonight, whether he wanted her to know that or not.

Before he knew, Alex caught himself licking his lips, the way she looked as she strode towards him made his hand itch to cancel all the plans, take her back to his apartment and fuck her, hard and fast and until neither of them could move, his gaze wandering from her effortless strut to her the flawless features of her face, her make up accentuating her perfection as well as the impeccable combination of pure elegance and seduction that was her dress and he felt a sense of pride swell inside him, because he'd made it happen after all, his eyes fiery and full of lust as he stared right back into hers, the hint of a smile on her plushy lips hindered his speech, set him back several seconds before he could form any sort of expression, he couldn't help the surge of possessiveness he felt instantly, put at ease only when he held his hand out for her and she took it slowly, the intensity of his gaze locked on hers when he lifted their hands to his lips, pressing them lightly, yet determinedly to her knuckles, her heart missing a beat, then melting when he let go.

“'appeh birfdeh, Jade.”

Without a warning, his arm snaked around her hip, a low chuckle rumbling from his chest. He winked, shoving his other hand slowly into the left pocket of his trousers. “Weh're matchin'.” His voice was deep, the one playful and suggestive nonetheless and he led her towards the doors, his hand never leaving her hip.

She pressed her lips together, amused because the look in his big brown eyes suggested he had much more to say about the way she looked, but she remained satisfied with the silent acknowledgement for the moment, suppressed another reaction when he gave Cook a look and opened the door for her himself, sitting closer to her than he usually would in the backseat.

He cleared his throat as they drove into the streets, his eyes never having left her. “I guess yeh're aware of 'ow good yeh look.”

She toyed with a sly smile, licking her lips. “I am” she stated proudly, pleased with herself that she'd actually rendered him speechless. “But yo-...”

“Jade” he said, cutting her off and sighing heavily. “Fookin' let meh finish me-...”

She licked her lips, unable to help herself. “I always let you finish, Alexander.”

He swallowed hard, kept a straight face to not give her the satisfaction, despite the smile that was aching to form on his lips and he bit his lip. “Doll. Please. Let meh fookin' compliment yeh, alreyht?”

She was about to challenge him again, but settled for enjoying the way his eyes scanned her body, wandered up and down several times before settling on her face once more.

The way her neck and shoulders were bare and exposed to him was so inviting, as if she begged for his tight grip and the bite of his teeth, her eyes shiny and excited as she waited for him to speak. “Yeh look fookin' stunnin' tonight.”

She reveled in the way his eyes drank her in, how the words rolled off his tongue so seductively, she couldn't get enough. “Just tonight?” She asked, cocking an eyebrow up at him.

“Fookin'ell, pupa...” he drawled, shaking his head in disbelief. “Got teh talk back teh meh even when I'm complimentin' yeh.”

She hummed. “I don't know what you were expecting.”

He shrugged, chuckling. “Fook knows. Never know wha' teh expect wif yeh, do I?”

“Alexander” she smiled. “I'm not as complicated as you make me out to be.”  

Entering Venere at Alex's side was like stepping into a daydream too wild even for her. It carried the charm and charisma that he himself radiated with his every move. The floors were marble, the tables black and rose gold, a sea of a million tiny lights on the high ceiling dipping the whole place into a space-like glow, a venus sculpture by the far end of the door that led to the kitchen, the view visible through the glass walls a breathtaking panorama of the Napule's skyline, the sun setting over the far horizon, glimpses of the ocean peaking through a spectacle in itself.

His shiny black shoes clicked on the floor next to hers, heads turning from staff and guests, one waiter stepping forward to accompany them to the table that Turner was already headed for, it was perfectly secluded, yet offered a view of the restaurant and the extravagance the city offered outside, Turner drawing the chair back for her while the waiter did his, Alex's eyes hanging on to her every move, how taken aback and fascinated she was.

Jade was bathing in the attention they received, unable to believe that she was on top of the world, yet aware that she deserved it, taking it all in until the deep drawl of his voice snapped her out of it. “I'm joost gunna lay down a rule.”

Her eyes widened, her head snapping to look at him. “Turner, for fu-...”

He shook his head, lifting his hand slightly. “Just one.”

She sighed, crossing her arms in front of her chest, the dress hanging so dangerously low that it threatened to expose her to him entirely as she waited impatiently for his rule, already excited to break it.

“Yeh're not gunna tempt meh, alreyht? Weh're gunna 'ave a pleasant dinner, and weh're not gunna talk about sex.”

Her eyes widened, her elbow coming down on the table and she rested her cheek against the palm of her hand. “We are not?”

He chuckled at her disbelief, the way she blinked. “No.”

She sighed dramatically, following the way his hand moved to snap for the waiter who instantly stepped up to their table.

“Good evenin'” Turner drawled absently. “Weh're gunna 'ave the Château Mouton. The one tha' came in from Bordeaux last night.”

The waiter nodded. “The Rothschild, Mr. Turner?”

He nodded, furrowing his brows for a moment, his face scrunched up with concentration, then he focused again. “And for appetizers I want the salt-roasted shrimp. Then the squid ravioli wif mussels cacio and white seabass fillet in fish soup.” He glanced over to Jade, unflinching when he continued speaking. “And sheh'll 'ave the grilled shrimp wif oregano and lemon for a start, then the swordfish piccata. Wif extra trouffle.”

Jade leaned back, raising her eyebrow questioningly. “Will I?”

There was that spark of distinctive mischief in his eyes and he winked. “Trust meh” he said, his attention on her swaying for a moment as he turned to the waiter again. “Oh, and bring us the fritto misto wif fennel and lemons too” he added, then with a wave sending the waiter off, eyes fixated on her again. “Yeh'll like it. It's like nofin' yeh've ever tasted.”

She licked her lips, leaning closer over the table. “Really?” She asked. “Because I've had it loads of times, my mum used to make something similar.”

His eyes widened, then he began shaking his head, sucking in a breath. “No” he said. “No, no, I 'ad our chef brought in from Roma. He's fookin' sensational, makes simple dishes fookin' phenomenal. Yeh're gunna beh transported .”

She bit her lip, found his excitement as endearing as it was unexpected, tilting her head to watch him closely. “Alright then” she smirked.

“And dun't worreh, weh're gunna 'ave sum good Camus Cuvée in between courses.”

She tensed, swallowing hard, yet tried her hardest to contain her excitement at the prospect of more luxurious spirits, nodding and trying to seem unimpressed, but she could tell he'd caught on to her own excitement now, her silent anticipation difficult to hide.

Alex chuckled, sensing his chance to inquire more about her. “Yehr mamma then” he said slowly. “D'yeh miss 'er?”

She shrugged. “Haven't seen her in a while” she said, instantly wishing the wine was already on the table to distract her, allow her something other to do than to stare at his eyes, because his gaze was too intense, she had his full attention and while it was exactly what she craved, it was unnerving at the same time as she realised what it meant, especially now.

“For 'ow long?” He asked, not ready for her to stop there.

She licked her lips. “Almost five years” she stated. She hadn't thought about her family much ever since she'd left home, had been determined to not look back once her decision had been set.

“Yehr famileh dun't live 'ere.”

Jade shook her head. “No, they still live on the outskirts of Palermu. I moved away when I was twenty and never looked back. I was always able to support myself from the moment I got here.”

“Tha' 'ow long yeh've been dancin' for?” He asked, his eyes widening, he was more interested than he'd first expected, every new detail she shared that he wasn't already aware of welcome, he wanted to have her all figured out desperately, hungry for more.

“Well, that and I was waiting tables for like a few months. But then someone offered me a job dancing. That's how I got into escorting, it was just part of the job description for girls who worked at the club for a certain amount of time. Then I stopped and worked at several other clubs just dancing.” She could slowly sense the shift on his face, it wasn't necessarily judgement, rather a sense of understanding, possible sympathy. “I love it though. I love dancing” she added. “And I loved … I mean, for the most part I liked escorting as well. It was good money, but it was fun as well.”

Turner nodded slowly, relief, and a hint of admiration now spreading across his face. He was eager to find out more, yet tried hard to place another question, although didn't want to seem too invasive, like he wanted to know too much, pursing his lips before posing his next question, determined to not drag her down in any way either, it would restrict him from more information. “Where d'yeh see yehrself in the next five years then?”

She huffed, a smile instantly apparent on her face, his question doing the trick. “Really?” She laughed.

“Wha'?” He chuckled, his heart leaping at the genuine expression of amusement on her face. “Ain't tha' wha' people ask on dates?”

She smirked. “Have you never been on one?” She teased, her triumphant smile heartbreaking.

“Well, not in a while...” he shrugged. “Not since-...”

She nodded. “Right. Well, hopefully still doing what I love.”

Alex nodded along, licking along his bottom lip.

“Do I get to ask you something too?” She wondered, raising her eyebrows.

He swallowed, knowing it was a dangerous game to allow it, but it was only fair, and productive if he didn't want her to close off. “Alreyht.”

“What's your weakness, Turner?”

The question came unexpected, made his poise falter and he cleared his throat, attempted to win some time to think of a response that appeared quick-witted, yet he had nothing to offer but the truth. “Fookin' … well, at the moment 's you, doll.”

She smiled, having expected the answer, just needed to hear it and there was a genuine smile of satisfaction that made him despise and adore her at the same time. “Are you going to tell me something I don't know yet, Turner?”

He chuckled, shaking his head slightly, hardly glancing up at the waiter placing down two wine glasses in front of them, pouring the luxurious liquid, then stepping away to leave them in the intimacy of each other's company alone. “If yeh ask meh summat yeh dun't yet kno' the answer teh.”

“Right” she smiled. “Tell me what you like to do then” she said. “Outside of work, outside of everything, you're working for a reason, what's the thing that makes it worth it?” It was something she'd been wondering for a while, but only now felt safe enough to ask, like she had the chance of an actual genuine response.

“Well, tha knows I like teh joost sit and play sum cards, gamble, poker 'n tha'...” He realised now that he really didn't have that much to share, wondering if she'd get bored if she wasn't the picturebook version of himself she'd conjured up in her fantasies, but he didn't plan on lying to her straight out. “Like teh drive...”

Her eyes sparked with curiosity, she couldn't help herself interrupting him, his narrative offering something she hadn't even thought about with her question, but nevertheless a mystery she'd meant to solve. “What do you drive?” She asked, instantly knowing what he meant.

Alex chuckled, his excitement equal to hers. “Well, me favourite ride I've got's a Bugatteh Chiron.”

Her lips parted slightly, she bit the inside of her cheek to keep herself from begging him to drive it, because he probably wouldn't let her, and she didn't want to show just how desperate she was, yet once again, her excitement was written plainly and obviously across her face, and he loved it. “The matte black one. 's me babeh.”

It did the trick, impressed her the way he seeked to, yet sparked a surge of jealousy inside her with the nickname, shaking her head at how ridiculous her thoughts ran, quickly changing the subject as she worried it was obvious to read on her face. “So, do you not like the Candy Kane then?” She asked, sipping on her drink.

He raised an eyebrow, chuckling, then mimicking her movement. “Wha' do yeh mean?” He asked. “I made it.”

“You what?” She laughed.

“Mixed it togefer wif wha' I kno' Mi likes. 'e named it though, so I could put it on the menus.” He sipped on his wine again. “Yeh dun't like it” he said, a statement rather than a question. “I can 'andle yehr criticism.”

She laughed. “It's just a bit … sweet.”

He clutched his hand over his heart dramatically for a moment, then moved to lean back in his chair lazily.

“Are you going to name one after me too then? With what you think I like?”

He shrugged. “I could” he said nonchalantly, yet in his mind he was already coming up with the basis for her signature drink, the excitement plastered on his face, contradicting his words and his tone, it was strange for her to see the emotions washing over his face, going quickly as they came, but it was fascinating all the same, and she ached for more. “I kno' wha' yeh like.”

The waiter returned with their appetizers, setting their plates down, then filling up their wine glasses before once again excusing himself. Turner's face lit up at the sight of the food, a glint of anticipation in his eyes and he wiggled his eyebrows at Jade when she looked back at him, her eyes equally as wide as the steam rose from her plate, the delightful smell suggesting an equally as delightful taste. He could tell she was already impressed, thriving off every facial expression her gorgeous features offered.

“It looks good, dunnit?” He pushed, smirking. “Admit it, doll.”

She licked her lips, took a sip of wine before picking up her fork. She had been sceptical about him ordering for her, didn't want him to patronize her that way but when she gathered up some of the food onto her fork and tasted it, it required her utmost self-control to not give in and allow her face to reflect just how much she enjoyed it, unfortunately, just how right he'd been.

But of course it didn't escape him, her facial expression offering even more joy and entertainment than the delicacy on his own plate in front of him, the satisfied smirk she'd feared playing around his lips, growing wider, smug, and cocky, and everything she hated. “And?”

She nodded slowly, took another fork full of food to keep herself from being able to speak, offering merely a hum of approval while she chewed slowly on the exquisite taste, it was like nothing she'd ever had.

Turner chuckled, swallowing. “I want teh 'ear yeh say it.”

Jade sighed, composed herself to not roll her eyes at him, couldn't stand his need for unshared dominance even now, yet couldn't help but feel drawn to him for that reason precisely. Given the circumstances, she decided to cave, as much as she hated to admit, he had chosen something she enjoyed immensely, had taken a gamble after all, and once again impressed her. “Okay, Turner” she admitted, although insisted on not bouncing back all the way, unable to resist the temptation and she pushed her bottom lip forward, her face forming the most sultry smile she could muster, her eyes staring right back into his and she lowered her voice. “You know exactly what I like.”

He exhaled shakily, giving a slight shake of his head, but forcing himself not to correct her, she hadn't talked about sex after all, had not broken his rule, and he knew that if he acknowledged it, he would've given her exactly what she wanted by admitting the effect she had on him. He cleared his throat. “What else do yeh like, doll?”

She smiled, swallowing another bite and licking her lips. She'd already shared quite a few things with him that she never thought she'd share with anybody, let alone Alexander Turner, and she wondered how much of it he'd already found out when he'd first had her background checked, and how much he actually wanted to know. “Shoes?”

Turner raised an eyebrow at her, having hoped for something more profound, but he noticed her leaning back, suddenly closing up again. “Shoes?” He asked, his tone teasing, yet free of any mockery or condescension. “Is tha' why yeh're 'ere then? Gettin' tha' dress from meh were reyht up yehr street then” he joked.

“You know I have my own money, right?” She asked.

Her tone was cold, he kept his eyes down to drown out the panic in them, not liking the tension that had become so unfamiliar between them by now, but he wasn't going to be the one that broke it, looking right back at her, his gaze harder, jaw tense. “Of course I kno' tha'. I kno' wha' I pay me dancers. And escorts.”

She nodded slowly, washing the last bite of her appetizer down with the rich red wine in her glass. She could sense that her shift had bothered him. “I just like nice things” she said. “Always have.”

His mood perked up, his eyes widening as she offered more of an insight again, a rush of relief running through his veins, his fingers resting on the table top relaxing visibly as he nodded in agreeement. “And did yeh alwehs 'ave nice fings growin' up?”

“No” she said, shrugging. “Well … not as nice and as many as I would have liked. I'm an only child, but I still wanted more. I thought I'd have to become famous to be able to afford it all. But it turned out, you can combine business with pleasure perfectly and stay true to yourself at the same time, while making a lot of money.”

He watched her closely, hung on to her every word. “Yeh've mastered tha', have yeh?” He asked, his voice sounding more awestruck than he would have liked, but he wasn't able to help himself. She'd cast a spell on him that he couldn't break, and he wasn't certain he even wanted to.

She smiled complacently, shaking her head to move her hair back, once again drawing attention to her bare neck and shoulders, tempting him to no avail. “I like to think so” she stated, taking another sip of wine. “I used to want to be an actress though. Would dress up in my mother's expensive clothes and recite Cinema Paradiso lines.” She didn't know what had suddenly prompted her to share so much, she wanted to blame the wine, but it was more likely that it was the way he was looking at her, like he really was listening, wanted to know everything she was willing to share.

“Tha' were Serena's favourite moveh growin' up as well” he said, nodding.

“Are you going to tell me something about that?” She asked hopefully, although now cautious to not overstep a boundary of her own.

“About wha'?” Turner questioned, taking another sip of his wine, licking it from his lips.

“Growing up. I bet you had all the nice things.”

He chuckled, could sense the twinge of jealousy that sparked her tone. “Pretteh mooch. We was ungrateful at times, tried teh run off one time even.” He smiled to himself at the memory, before he knew better than to remind himself of a reason why him and his family were the only one that knew about it, he found himself continuing. “Weh thought weh could joost run and take off.  I fought I were in luv wif 'er and could take 'er aweh teh sum fanceh destination sheh 'adn't been. Tried teh kiss 'er even. Were so crushed tha' I ran off and were back 'ome two hours later because I were cold and 'ad eaten all me food.” He swallowed. “Sheh weren't far behind.”

She sat frozen, watched him, had never heard him talk that much all in one go and before she could make a comment, remark on how freely he was now speaking to her, maybe even tease him, the waiter brought their main courses, placing the additional dish in the middle.

Alexander wasted no time picking up his fork this time. “Buon appetito” he drawled, an effortless smile back on his face as he discarded his story.

“Buon appetito” she mumbled, the dish in front of her already exceeding her expectations by far before she'd even tasted it and when she did, it was like an explosion of different tastes on her tongue, she couldn't put her finger on it, there was no hiding her excitement this time.

“It's fookin' exquisite, innit?” He drawled, wiggling his eyebrows. “Dun't deny it, principessa, it's joost as prideful teh admit I kno' yeh.”

She smiled, unable to resist him, his excitement contagious. “I know” she nodded. “This is … it's so classic but … there's something … I...”

“Simpliciteh is key” he declared. “Me chef makes the most simple and classic dishes inteh summat spectacular.”

“He sure does” she said as she continued to eat. “What's this then?” She gestured to the food between them.

“Oh” Turner chuckled, shrugging. “I couldn't make up me mind. And I dun't 'ave teh. Weh can share it, it's fookin' incredible.”

The third dish looked irresistible and she followed the invitation, trying some as well, humming. “This is amazing” she agreed, letting her eyes wander around the restaurant as she chewed another bite. “What possessed you to create … all this? I mean, you did, right? You didn't just buy it?” She was reciting rumours now, hoping he would bring clarity, he seemed passionate, and so far, Turner being passionate was in her eyes the hottest thing he had to offer.

His eyes lit up. “Preciseleh” he confirmed. “I got the chef, them ofer cooks, they're all fookin' brilliant. Bought this location and 'ad it all redone, wanted a bit of a night sky flair, tha knows? It kicked off … I didn't kno' it would become sooch a big fing but fookin' well-deserved, innit?”

She listened intently, nodding along. “Well-deserved indeed” she mumbled, indulging in the way he spoke, the way his lip stretched, his facial expression changed by the second, his eyes glowing the way they did when he had her begging for something, his hands as expressive as his mouth as he gestured and waved them around, pointing, demonstrating, and she couldn't help but wish that she was closer to him, wish that he'd touch her.

“I picked tha' too” he said, nodding to the grand piano at the other end of the room, snapping her out of her wet daydreams. “Gorgeous, innit?”

“Do you play?” She asked as she looked at the elegant man sat behind the keys, the melody floating from the beautiful instrument surrounding them, carrying and conducting the small number of people that was ever-growing throughout the evening dancing, slow, immersed completely in the music.

“I do actualleh” he said, a smile playing around his lips, snapping for the waiter when he passed them, signaling to bring their cognac.

She couldn't help but smile back at the simple statement, it was unexpected, yet endearing. “And do you enjoy it or were you forced as a child?”

Turner chuckled. “Bof, if I'm honest.”

It was merely a second of her soft laughter that followed, low and sweet, and he once again felt his heart breaking.

“I 'ad this beautiful teacher from Athens, 'ad a fookin' deep crush on 'er.”

Another laugh, it was worth just continuing he realised, anything that came to mind, anything that would evoke the same kind of reaction that had his knees weaker than ever. “I've always wanted to go to Athens” she said absently, still focused on the way his face moved, his brows furrowed in concentration, eyes fluttering shut slightly every time he put more food into his mouth.

“I'll take yeh” he shrugged absently, still too focused on her laugh to be held responsible for the promises that flew nonchalantly off his lips. Anything to make her happy, but when that realisation dawned on him, he turned around, begging silently that the waiter would distract her with the choice of cognac, breathing out with relief as he was right on queue.

Although his quiet promise didn't escape her, she once again knew better than to explore it, she was content with just knowing, remembering, certain she would never forget, but his distraction worked well nonetheless, the bottle the waiter placed on the table and poured from into small cognac glasses had her speechless. She'd thought she'd misheard him, had surely just blurred her wishful thinking into his words but there it stood, one of the most desired bottles her father had told her about.

“N-No...” she stammered, biting her lip with how helpless she sounded, like a child allowed a colourful helium balloon for the first time.

“No?” Turner asked, his eyebrow ascending in disbelief, worried as well as confused. “Wha'?”

“No, I mean-...” She took a breath. “Fucking hell, Turner. You've already got me into bed.”

It was his turn to laugh, the sound a quiet cackle more than anything else, but it filled her heart with a warmth she'd seldom allowed. “It's yehr birfdeh, doll” he shrugged. “I dunno anehbodeh tha' 'as appreciated sum proper spirits quite like yeh, so … I wanted teh 'ave this wif yeh.”

She was now sure he was just coaxing her, wanted something, just wanted to flatter her because there was no way he meant those words, no matter how genuine and innocent his big brown eyes looked for once. “R-Right...” she said. “Right, I … that's...” She had no indifference to cover her excitement with, and he didn't deserve anything but her genuine anticipation anyway. “Thank you” she said, a sincere smile playing around her lips as she picked up the glass, watched him do the same with a nod of acceptance, then he moved it forward to ring with hers.

“To you, pupa.”

She breathed out shakily, took a tiny sip and let the gorgeous, rich taste dew her tongue, closing her eyes. She was now truly overwhelmed, and she didn't care if he knew.

“Fook...” he muttered, capturing her attention again instantly and she opened her eyes, the look in his irresistible, their silent understanding she craved thriving. “Bloodeh gorgeous, innit?”

Jade nodded, speechless, allowing herself another taste, glad she'd already finished eating to savour it properly. “I think I've actually been transported.”

He chuckled, shaking his head, furious with himself for how much he adored her, and he tried to distract himself, looked around, then back at her with a glimmer of newfound excitement. “Are yeh readeh for dessert then?”

“Oh, Turner, don't tell me you've got a sweet tooth” she laughed, her eyebrow raised expectantly at him.

“Possibleh guilteh...” he smirked, for the first time picking up the menu at the side of the table. “I can joost never decide. There's so mooch yeh need teh try.” There was no holding him back, no trace of his mark, he'd hopelessly let his guard down, and for the moment, he did not mind, the childlike smile on his face meant entirely for her, for the excitement of what was to come, what already was behind them and most of all, her invaluable company. “I mean, there's alwehs next time but … for now weh're gunna...” His eyes wandered over the gold letters on pastel pink paper. “Well, the tiramisu is a must. Sum panettone. Oh, the fookin' panna cotta 'e makes is glorious. And the truffle chocolates. Reyht, reyht.” He looked up. “Yeh trust meh?”

She was once again overwhelmed by his excitement, the words rushing out of his mouth with no regard for their consequences or her reaction and she could simply nod, bewitched by the taste of the cognac in her glass and the way he smiled at her. “Yeah” she whispered, clearing her throat. “I trust you.”

She stayed leaned back in her seat, once again allowing her to at least process a hint of the situation she found herself in. It was surreal, and at the same time it's what she'd always wanted, chased after, it was even better than she could have imagined and yet, she craved more as she watched Turner, listened to him order their desserts, the sparkle in his eyes testament to how much he'd changed his behaviour around her, how much progress she was making and she refused to be foolish from now on, to do anything that could possibly hinder this development of trust inside him as he opened up to her, it was not worth a challenge, because she craved to build the power she'd acquired, insisted and would do anything to keep it.

Without hesitation, Alex turned back to look at her and took the bottle of cognac, filling up both their glasses and pushing hers closer towards her. He could tell that for now he'd lost her attention, desperate to get it back, he wasn't ready to give up the sheer excitement that them being together in that moment had evoked inside him, desperate to make it stay, grasp the moment before it was gone because he wouldn't know how to get it back then, how to do anything different than what he'd been doing. And she shouldn't have the power to give him this sort of revelation, but somehow, she did, and with a simple smile, she snapped him right back out of it, and got more than she'd bargained for.

“Reyht” he drawled, clapping his hands, lifting his eyebrows at her. “After dessert, 'ow about sum dancin'?”

Her eyes widened, her smile freezing instantly on her face. “Have I-...” She took a breath to calm herself. “Have I not danced for you enough, Turner?” She spat.

He gasped, his eyes growing with realisation. “No, no, no...” he said, quickly shaking his head. “No, doll. Not for meh, no.” He offered a smile of his own, hesitant, yet confident that she could not possibly refuse. “Wif meh.”

Her breath shaking, she swallowed hard, needing to compose herself much more than she'd first thought, his words unexpected, and it took everything for her to remain cool, give an answer that didn't betray just how badly she wanted to say yes, just to feel him close, to get another chance to make him weak, by his own rules. “Yeah” she said, licking her lips. “Okay.”

His smug smirk was back instantly, widened into a smile when the waiter brought them three large plates of dessert. “Thaaa's wha' I'm talkin' about...” he mumbled, his spoon instantly in hand and he looked up at Jade expectantly. “Reyht, let me joost tell yeh tha' this is a recipe me famileh 'as 'ad for a vereh long time” he explained as he pointed to the panna cotta. “Yeh can try them all and then 'ave wha'ever yeh like.”

“Oh, you're passing on dessert?” She asked. While she would have found it a perfectly plausible occurrence, she now had trouble believing it.

“Well...” he cleared his throat, slowly realising how much he was letting himself go, but it was hard to keep his guard up when she looked at him with that bright intensity of green, like she burned right through the mask he'd so carefully put up. “I wanted you teh try them. I can 'ave them alwehs. 'ave them brought to me place loads.”

She raised an eyebrow as she picked up her spoon as well and popped a bit of the panna cotta in her mouth, the deep sigh of content all he needed. “What?” She asked, licking her lips appreciatively. “This place does takeout?”

Turner chuckled. “Joost for meh” he smirked. “Well, and for yeh. If yeh ever crave anehfin', tha knows? I can deny yeh maneh fings but this...” He sighed dramatically. “I'm not tha' cruel...” he winked, starting to immerse himself in the fluffy cream of the tiramisu.

Bastard.

“Turner...” she warned.

“Si?”

“You said we won't talk about that.”

A glint of mischief in his eyes, another lick of his lips to gather the chocolate. “I'm not.”

Much like her, she knew he was very much aware of what he was doing, how he reminded her of the way he could make her beg for him, cry out his name to simply allow her the pleasure he'd wanted to inflict inside her all along, how he fired images at her of his palms colliding with her red skin and she tried to distract herself with the soft sweetness of the desserts, the bliss of the memories, his extraordinary company, the exquisite food, it was perfection.

And then, he stood up and held out his hand, the glasses empty, the plates shiny, yet no match for the way Turner's eyes shone bright under the tiny lights scattered across the ceiling.

Jade's hand trembled as she took his hand, her knees weak, it required more effort to battle that feeling of weakness he'd caused than the slight buzz from the liquor as he led the way towards the grand piano, the couples dancing already moving to the side in their steps, making room for them. Jade was reveling instantly in the attention, soaked it all up to remember later, the way people were looking at her, following her around with their eyes was nothing new, but the reason excited her to no avail.

There were so many people around them, yet he only had eyes for her, his intense gaze fixed on solely her face. “What's yehr favourite song teh dance teh, pupa?”

“Morricone's Love Theme for-”

“Play Love Theme from Cinema Paradiso” he called to the pianist without taking his eyes off her, turning her around slowly, his hand coming down on her waist, then instantly wandering to her lower back the way it had when he'd caught her off guard and kissed her, pressing her body tightly against his the exact same way, her breath hitching in her throat as she realised how close he was, her hand coming down automatically on his shoulder, squeezing it as she felt him squeeze her hand.

The first few notes of the familiar song filled her ears and she moved instinctively, almost quick enough to lead, but he beat her to it, would never ever allow her leading, especially not when he'd thought about this and ached to remain complete control at least now, although the way her hips swayed, pressed to his and taking them with her, it was quite clear that control was something impossible to uphold if she continued.

His hand wandered lower, shamelessly cupped her arse, enjoying her lack of reaction immensely because he couldn't tell she wasn't surprised, welcomed it even, but she was quick to remark on it, would not allow him to get away with breaking his own rules.

“Mmmm, I thought you asked me to dance because you wanted to dance” she hummed, her lips dangerously close to his ear and it took all her strength once again to not be responsible for her own disappointment, knew that despite it all, attempting to mark him now would be her downfall, yet the way her breath tickled his skin had him almost as weak. “But you just wanted to touch me.”

He hummed, she felt the vibration in his chest, sucked in a breath, tense as she pressed herself closer to his body out of instinct, the warmth of his chest too much and she closed her eyes, relied on merely smell and touch to take her breath away.

“Well” he drawled, bringing hearing into the equation, his voice so deep, quiet, his words meant solely for her, it had her heart racing, careless that he'd feel. “It does come wif the perk of bein' realleh close.” She couldn't see him swallow but she heard, felt his skin strain, his arms flexing as he moved them. “Plus...” he licked his lips. “Can't realleh 'elp meself wif 'ow yeh look in tha' dress.”

Before she knew, his hand ran up her back slowly, loosely cupping the back of her neck to guide her head down on his shoulder, her breath shaking, her body tense. “You asked me to behave...”

Turner chuckled, the feeling vibrating against her own body and she leaned closer to him. “Well, am I tha' 'ard teh resist?” He asked, the question rolling of his tongue effortlessly, he knew the answer, but he wanted to hear it, needed to hear her voice wrapped around the words.

“You have no idea...” she moaned quietly, his voice, his hands, he was doing things to her that defied his own rules and she trembled as she felt his hand at the side of her face, his knuckles grazing her cheekbone, stroking her hair behind her ear to expose her shoulder, his lips ghosting across her smooth skin, his hot breath making her shiver before his soft lips pressed against her shoulder.

The whole room had faded out of focus, it was just her, the glow of her skin, the tight dress hugging her curves, the scent of rose and just the uniqueness of her, it had him in shambles and while he felt like it was just them, pressed together, he knew that other people were staring, rightfully so, she was a dream, and he wanted everyone to see who had her.

As strange as it was dancing like this, her being so familiar with dancing, yet not like this, it felt like it was all falling into place, like their bodies once again fit together just perfectly, his lips on her skin had her almost falling against him, the way his hand moved back to her waist and gave it a squeeze that reminded her too much of the way he held her body in his hands when he was driving himself inside her, moaning, drawing obscene moans from her and evoked the kind of pleasure only he was capable of stirring within her.

She was dangerously close to breaking her own rule.

“Jade...” he rasped, mumbling against her skin.

“Y-Yes?” She asked, quietly clearing her throat, desperate for anything he was willing to give her now, she was so on edge, helpless from just a few simple touches, slowdancing with him, having him hold her body so close, so intimately, yet with such innocence.

“D'yeh want meh?”

She breathed shakily, swallowing hard. She didn't have it in her to tease him, to lie now. “I-I do. I … I've played nice all evening, Turner, will you please-...”

“Mmmm, Jade...” he drawled, cutting her off, his hand sprawled out flat against her ass now, his fingers laced in her hair to draw her head back and look at her. “Fook...” His eyes threatened to close for a moment, but there was no way he was missing the way she looked back at him, through half-lidded eyes, full of need and desire, and there was no way he could ever deny her. She was so beautiful it hurt.

“Take me home, Alexander” she pleaded. Her desire was threatening to spill over, and she poured it all into her efforts of coaxing him.

He licked his lips, his whole body curving against hers as he tried desperately to keep his control that had slipped the second she'd pressed herself close to him. “Jade...”

“Please” she whispered, closing the space between their faces without a second thought, pressed her lips to his slowly, softly, for not more than a few seconds, her teeth sinking slightly into his lower lip, biting just teasingly before she drew back, looking back at him with wide eyes, taking his breath away once his eyes had finally opened again, the tingly feeling of her still on his lips.

He swallowed hard. “Reyht” he mumbled, clearing his throat, hands tight on her body, his jaw tense at frustration over his own weakness. “I'm gunna take yeh 'ome.”

[bellydancevids]

Ruby Beh - Tatli Ciftetelli

[gloriabourne]

The one with the closet and the bruises

Nessuno dei due sapeva con esattezza come fossero arrivati a quel punto, come fosse possibile che in quel momento fossero sdraiati l'uno accanto all'altro sul letto di Ermal dopo aver fatto l'amore.

Non che fossero stupiti che fosse successo. Al contrario, dopo tutti i baci che si erano dati di nascosto durante la settimana dell'Eurovision, sapevano che era solo questione di tempo prima di arrivare a quel punto.

Il fatto era che quel momento era arrivato senza che se ne rendessero conto.

Un attimo prima stavano tranquillamente cenando insieme e discutendo di un nuovo pezzo che Fabrizio aveva iniziato a scrivere, un attimo dopo si erano ritrovati con le mani sul corpo dell'altro e le labbra che tracciavano percorsi sulla pelle bollente.

Si erano abbandonati l'uno all'altro senza fretta, ma con la voglia di scoprirsi a vicenda, di imparare a conoscere il corpo dell'altro. Si erano studiati e poi si erano amati, con calma e un po' di incertezza nei movimenti.

E quando, alla fine, si erano ritrovati ansimanti l'uno accanto all'altro, si erano resi conto di non essere mai stati così felici.

Ermal si voltò verso Fabrizio, trovandolo già con il viso rivolto nella sua direzione e un sorriso radioso sulle labbra.

Era bello quando sorrideva.

Lo era sempre in realtà, ma quando sorrideva lo era di più. Era come se il suo sorriso illuminasse tutta la stanza e sapere che quel sorriso era rivolto a lui, faceva sentire Ermal felice a sua volta.

"Sei contento?" chiese Ermal avvicinandosi a lui e appoggiando la testa sul suo petto.

"Che fai, mi rubi le frasi?" rispose ironicamente Fabrizio, alludendo alla sera della loro vittoria a Sanremo e al fatto che fosse stato proprio lui a pronunciare quelle parole all'orecchio di Ermal.

"Dai, dico sul serio!" disse Ermal fingendosi offeso.

Fabrizio si mise a ridere. Una risata di quelle che partono dal cuore, che presto contagiò anche Ermal.

"Certo che sono contento. Era da tanto che non mi sentivo così" confessò Fabrizio dopo qualche minuto.

Ermal sollevò lo sguardo, rendendosi conto del tono serio che aveva assunto il suo compagno.

Fabrizio gli accarezzò una guancia, perdendosi a fissare ogni dettaglio del suo viso, poi puntò gli occhi nei suoi e disse: "Stare con te mi fa bene."

Ermal sorrise.

Era pronto a dirgli che per lui era lo stesso, che anche lui si sentiva bene al suo fianco, ma appena prima di poter parlare sentì la porta di ingresso aprirsi.

Rimase per un attimo in silenzio, quasi convinto di esserselo immaginato, e poi sentì la voce di suo fratello. "Ermal? Sei in casa?"

Ermal sbiancò di colpo. "Cazzo, è mio fratello."

"Che cazzo ci fa tuo fratello qui?" chiese Fabrizio a bassa voce.

Ermal si alzò di scatto dal letto cercando con lo sguardo i boxer che Fabrizio gli aveva tolto poco prima. Se li infilò in fretta e disse: "Non lo so, ma non deve sapere che sei qui."

"Come, scusa?" chiese Fabrizio perplesso.

Non credeva di certo che a quarantatré anni avrebbe dovuto nascondersi, come se fosse un adolescente che viene beccato dal padre della propria fidanzatina.

"La mia famiglia ancora non sa di noi. Non voglio che mio fratello lo scopra così" spiegò Ermal.

"Quindi cosa proponi?"

Ermal si guardò intorno per un attimo.

Passava talmente poco tempo in quell'appartamento da non avere idea di dove guardare per trovare una soluzione.

E poi la vide.

La cabina armadio sembrava essere la soluzione migliore.

Fabrizio seguì la traiettoria del suo sguardo e, notando cosa stesse fissando, disse: "Ma seriamente? Vuoi farmi nascondere nell'armadio?"

"Ti prego!" lo supplicò Ermal, mentre sentiva i passi di Rinald nel corridoio farsi più vicini.

"Ermal..."

"È una cabina armadio, starai comodissimo!" disse Ermal spingendo Fabrizio al suo interno.

Appena il tempo di chiudere la porta e suo fratello entrò nella stanza.

"Ma allora ci sei!" disse Rinald.

"Sì. Stavo per andare a dormire" rispose Ermal, usando la prima scusa che gli era venuta in mente che potesse giustificare il fatto che fosse in camera da letto con addosso solo un paio di boxer.

"A quest'ora? È un po' presto" disse Rinald scettico.

In realtà, passando dalla cucina, aveva notato i due bicchieri di vino mezzi vuoti sul tavolo, così come aveva notato i due piatti sporchi nel lavandino e le due coppie di posate. E non gli erano sfuggiti nemmeno i vestiti appallottolati sul pavimento, troppi per appartenere solo a Ermal.

Suo fratello stava nascondendo qualcuno e Rinald lo conosceva abbastanza bene da non avere dubbi su chi fosse quel qualcuno, ma avrebbe aspettato che fosse lui a dirglielo, senza fargli troppe pressioni.

"Sì, beh, sono stanco. Avevi bisogno di qualcosa?" disse Ermal impaziente.

Aveva bisogno che Rinald se ne andasse al più presto. Non poteva lasciare Fabrizio chiuso nell'armadio per tutta la sera.

"Devo per forza avere bisogno di qualcosa per fare visita a mio fratello?" chiese Rinald.

Era vero che non aveva intenzione di obbligare Ermal a parlare di qualsiasi relazione clandestina stesse nascondendo, ma non poteva negare che si stava divertendo da morire a vedere suo fratello farsi prendere dal panico in quel modo.

"Se entri in casa mia con le copia delle chiavi che ti ho dato per le emergenze, direi di sì."

Rinald sbuffò. "E va bene. Ho dimenticato dei vestiti l'ultima volta che mi sono fermato qui. Pensavo che non fossi a casa, quindi ho usato le chiavi."

"Ah, sì! La felpa rossa e quei jeans orrendi che ti ostini a mettere" disse Ermal ricordandosi di aver visto da qualche parte una borsa con i vestiti di suo fratello.

"Esatto. Dove li hai messi? Nell'armadio?" disse Rinald dirigendosi verso l'enorme porta scorrevole che nascondeva la cabina armadio.

Ermal annuì. Poi si voltò di scatto e superando suo fratello - che aveva già una mano sulla maniglia della porta scorrevole - disse: "Lascia, faccio io. Questo armadio è un casino, non li troveresti mai."

Rinald si spostò di lato nascondendo un sorrisetto. Almeno ora aveva capito che, chiunque avesse passato la serata con Ermal, ora se ne stava nascosto nell'armadio come in una delle peggiori commedie.

Ermal aprì la porta quel tanto che bastava per recuperare la roba di Rinald - che era certo di aver lasciato in bella vista, proprio per non avere difficoltà a trovarla quando suo fratello si fosse deciso a riprendersi le sue cose - e il suo sguardo incrociò subito quello di Fabrizio.

Lo stava fissando con un'espressione indecifrabile, un misto tra stupore - perché in fondo Fabrizio non riusciva a credere che Ermal lo avesse davvero nascosto in un armadio - e rabbia, per essere davvero finito lì dentro.

Ermal ricambiò lo sguardo con espressione amareggiata, supplicandolo silenziosamente di sopportare quella situazione solo per qualche minuto, poi afferrò il borsone che conteneva i vestiti di suo fratello e richiuse l'armadio.

"Tieni" disse passandolo a Rinald. Poi aggiunse: "Ti accompagno alla porta."

Percorrendo il corridoio di casa sua fino alla porta d'ingresso, Ermal non poté fare a meno di pensare a quanto in fretta fosse cambiata quella serata, a quanto in fretta fosse cambiato lo sguardo di Fabrizio nei suoi confronti.

E non poteva negare che era terrorizzato all'idea di tornare in camera e di vedere di nuovo quello sguardo che aveva visto pochi istanti prima, quando aveva aperto l'armadio.

"Ermal" lo chiamò suo fratello, mentre spingeva la maniglia della porta verso il basso e si preparava a uscire.

Ermal sollevò lo sguardo su di lui. "Dimmi."

Rinald sospirò, non sapendo come affrontare il discorso. Poi disse semplicemente: "Sai che puoi dirmi tutto, vero?"

Ermal rimase in silenzio. Era ovvio che Rinald avesse capito la situazione, era troppo intelligente per non accorgersi di nulla.

Senza contare che sicuramente sia lui che Fabrizio avevano lasciato tracce palesi della presenza di due persone in casa, visto che nessuno dei due si aspettava che qualcuno li disturbasse quella sera.

"Sono tuo fratello, Ermal. Non devi avere paura di raccontarmi cosa succede nella tua vita."

"Lo so. Solo che è una cosa nuova anche per me" rispose Ermal.

"Quando vorrai parlarne, sai dove trovarmi" disse Rinald. Poi uscì dall'appartamento, lasciando Ermal impalato sulla porta con la paura di ritornare in camera e affrontare Fabrizio.

Percorse nuovamente il corridoio fino alla camera da letto ed entrò al suo interno con lo sguardo basso, il timore di alzarlo e vedere negli occhi di Fabrizio qualcosa che non gli sarebbe piaciuto.

Il più grande era seduto sul bordo del letto, con i gomiti appoggiati alle ginocchia e il busto proteso in avanti.

Appena sentì Ermal tornare in camera, sollevò lo sguardo verso di lui ma non disse nulla.

Ermal si sedette accanto a lui in silenzio.

Sapeva di dover dire qualcosa, sapeva che spettava a lui parlare, che quella situazione l'aveva causata lui, ma non sapeva cosa dire.

Dopo qualche minuto - reso interminabile dal silenzio che era piombato tra loro - Ermal disse: "Mi dispiace."

"Ti vergogni di me?" chiese Fabrizio, dando voce ai dubbi che lo avevano assalito nel momento esatto in cui Ermal aveva sentito il bisogno di nasconderlo da suo fratello.

Ermal si voltò di scatto verso di lui. "No, certo che no! Solo che non ho ancora detto a nessuno di noi e non volevo che mio fratello lo scoprisse in questo modo."

Poi sospirò, prendendosi la testa tra le mani, e aggiunse: "Cazzo, Fabri, non lo so che mi è preso. Mi sono fatto prendere dal panico senza motivo."

Lo sguardo di Fabrizio si addolcì all'istante. Attirò Ermal a sé e lo strinse in un abbraccio, poi disse: "Non ti preoccupare, è tutto ok."

In realtà, non lo era. Non era tutto ok.

Perché per un attimo Fabrizio aveva davvero pensato che Ermal si vergognasse di lui. Per un attimo si era sentito sbagliato, aveva avuto la sensazione che tutto ciò che c'era tra loro fosse sbagliato, e odiava il fatto che fosse stato proprio Ermal - l'uomo che amava - a farlo sentire in questo modo.

Ma riusciva anche a capire Ermal.

Riusciva a capire quanto la famiglia fosse importante per lui, quanto temesse il loro giudizio anche se sapeva benissimo che non lo avrebbero mai giudicato e che lo avrebbero supportato in ogni sua decisione. E Fabrizio non poteva fargliene una colpa, soprattutto perché lui aveva esattamente la stessa paura.

"Non sei arrabbiato?" chiese Ermal sollevando lo sguardo.

Fabrizio sorrise. "Forse un pochino. Magari puoi farti perdonare."

E in una situazione diversa, probabilmente Ermal gli avrebbe tirato una cuscinata perché sapeva di non avere nulla da farsi perdonare.

Ma in quel momento, gli bastava sapere che le cose con Fabrizio erano a posto. E forse l'idea di farsi perdonare non era poi così male, soprattutto se lo faceva su quel letto su cui avevano fatto l'amore poco prima.

  Fabrizio si coprì la bocca con una mano per soffocare uno sbadiglio, mentre chiudeva la portiera della macchina e si avviava verso il portone.

Aveva dormito un paio d'ore al massimo e poi, appena sveglio, era tornato a Roma. Si sentiva a un passo dall'addormentarsi in piedi e l'unica cosa che lo faceva restare vigile, mentre suonava il campanello dell'appartamento di Giada, era sapere che di lì a poco avrebbe riabbracciato i suoi figli.

"Buongiorno!" esclamò Giada aprendo la porta. Poi lo guardò meglio e si corresse: "O forse dovrei dire buonanotte. Ma hai dormito?"

"Poco" mormorò Fabrizio entrando in casa.

Giada lo osservò mentre si trascinava pigramente nell'ingresso, domandandosi per quale motivo Fabrizio fosse così stanco. E poi, quando Fabrizio si voltò verso di lei chiedendole dove fossero i bambini, capì.

Lo sguardo finì sul collo del suo ex compagno e su due segni violacei piuttosto visibili appena sotto l'orecchio.

Cercò di trattenere un sorriso pensando al fatto che Fabrizio aveva detto che sarebbe andato da Ermal a Milano per lavorare. Beh, magari avevano anche lavorato, ma visti i segni sul collo era ovvio che non avessero fatto solo quello.

"Che c'è?" chiese Fabrizio notando lo sguardo di Giada.

"Niente. I bambini sono in salotto" rispose lei, ormai incapace di trattenere il sorrisetto che si stava formando sulle sue labbra.

Avrebbe sicuramente potuto dire a Fabrizio di coprirsi, di nascondere in qualche modo quei segni... Ma a quel punto, non sarebbe stato altrettanto divertente.

Fabrizio ignorò lo strano comportamento di Giada e raggiunse Libero e Anita, che stavano guardando la televisione seduti sul divano.

Si sedette in mezzo a loro stringendoli a sé, sentendo sparire improvvisamente la stanchezza. Era incredibile il potere che avevano i suoi figli su di lui.

"Ciao, papà" lo salutò Libero senza spostare lo sguardo dal televisore, che evidentemente - almeno per lui - era più interessante della presenza di suo padre.

"Papà?" lo chiamò invece Anita, l'attenzione rivolta completamente a suo padre.

"Dimmi, amore" disse Fabrizio sorridendo, voltandosi verso di lei.

La bimba indicò un punto sul suo collo e disse: "Ti sei fatto male?"

Fabrizio spalancò gli occhi e si toccò il punto indicato da Anita, ricordando improvvisamente quanta passione ci avesse messo Ermal nel farsi perdonare la notte precedente.

"Evidentemente papà non ha fatto molta attenzione mentre giocava con Ermal, ieri sera, e si è fatto qualche livido" disse Giada lanciando un'occhiata a Fabrizio.

Fabrizio spostò lo sguardo imbarazzato, mentre lei, rivolta alla figlia, aggiunse: "Anche a voi succede a volte."

"Sì, ma non mi sono mai fatta lividi sul collo" puntualizzò Anita.

"Prima o poi te li farai anche tu, amore" disse Giada divertita.

"Prima dovranno passare sul mio cadavere" borbottò Fabrizio, alzandosi dal divano e facendo segno a Giada di seguirlo in cucina.

Giada si mise a ridere per la battuta di Fabrizio - che forse non era poi tanto una battuta - tipica di un padre geloso della propria figlia e lo seguì, chiudendo poi la porta alle sue spalle.

"Non potevi dirmelo che avevo un succhiotto sul collo?" disse Fabrizio lanciandole un'occhiata.

"E perdermi questo spettacolo? Assolutamente no. E poi è una giusta punizione visto che, per quel che ne sapevo io, eri a Milano per lavorare. Lavorate proprio bene te ed Ermal!" rispose Giada con il tono di un'accusa, anche se in realtà si vedeva benissimo che era divertita.

Fabrizio si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli più di quanto già lo fossero. "Ci frequentiamo da poco, non c'è stata l'occasione per parlartene."

Giada si prese un momento per osservarlo meglio.

C'era qualcosa di diverso in lui, nel suo sguardo. Era qualcosa che Giada aveva già visto, durante i primi tempi della loro relazione.

Era innamorato.

Si vedeva dai suoi occhi, che brillavano quando parlava di Ermal.

Si vedeva dalle guance che si arrossavano e dai suoi movimenti imbarazzati.

Si vedeva dal fatto che ormai, sempre più spesso, parlava di Ermal. Anche quando apparentemente non c'entrava nulla, Fabrizio trovava il modo di nominarlo.

"Sono felice per te, Fabrizio. Davvero" disse Giada avvicinandosi a lui e abbracciandolo.

Fabrizio la strinse a sé sorridendo. "Grazie, Giadì."

"Però una cosa te la devo dire" disse lei scostandosi leggermente.

"Cosa?"

"Se non vuoi che i tuoi amici ti facciano domande, mettiti una sciarpa."

  Nonostante facesse caldo, Fabrizio aveva seguito il consiglio di Giada e si era avvolto una sciarpa intorno al collo.

Non che avesse paura delle domande dei ragazzi della band o del loro giudizio, anzi era certo che a loro non facesse alcuna differenza che lui frequentasse Ermal piuttosto che qualcun altro.

Il fatto era che quel pomeriggio dovevano lavorare. A breve sarebbe partito il tour, dovevano provare e Fabrizio sapeva che se i suoi amici avessero iniziato a fargli domande non avrebbero concluso nulla.

Con loro era sempre così: se si iniziava a parlare di cazzate, si finiva per non lavorare più per tutto il resto della giornata.

Gliene avrebbe parlato - anzi dopo la conversazione con Giada sentiva il bisogno di dirlo a tutti, come se ormai lo scoglio più grande fosse stato superato - ma non era ancora il momento. Non con il tour di mezzo, non con tutto il lavoro che c'era da fare.

Si lasciò cadere sul divano, esausto dopo aver provato tutto il pomeriggio, e si passò una mano sul viso, mentre con l'altra allentava leggermente la sciarpa. Stava morendo di caldo, ma non aveva intenzione di toglierla.

Lanciò un'occhiata ai suoi amici. Sembravano stanchi almeno quanto lui.

"Ragazzi, per oggi basta. Tanto la scaletta è sempre la stessa, i pezzi li sappiamo... Ci sono dubbi? Domande?" disse guardando i ragazzi della band.

I suoi amici si scambiarono un'occhiata, come se tutti stessero pensando la stessa cosa, ma alla fine solo Roberto ebbe il coraggio di parlare. "Una domanda in effetti ci sarebbe."

"Dimmi."

"Perché ti sei messo una sciarpa in piena estate?"

Fabrizio sospirò.

Aveva finito di lavorare, ma vista la domanda di Roberto, quella giornata sembrava ben distante dal concludersi. E onestamente, non gli importava.

Andava bene così.

Anche se era presto, anche se le cose tra lui ed Ermal erano solo all'inizio, anche se forse sarebbe stato meglio aspettare ancora un po'.

In realtà, non gli importava.

Era felice e non vedeva l'ora di condividere quella felicità con i suoi amici.

Così si sfilò la sciarpa senza dire una parola, lasciando scoperti i segni violacei lasciati da Ermal.

Vide i ragazzi sorridere e poi sentì Andrea dire: "Guarda, nemmeno te lo chiedo chi te li ha fatti perché se ci dici un nome diverso da Ermal, potremmo rimanerci seriamente male!"

Fabrizio si mise a ridere, consapevole che non avrebbe potuto avere amici migliori di loro.

Stava ancora ridendo per la battuta di Andrea, quando sentì il telefono vibrargli nella tasca dei jeans, annunciando l'arrivo di un messaggio.

Sbloccò lo schermo notando che il messaggio era da parte di Ermal e sorrise leggendolo.

 Ho parlato a Rinald di noi. A quanto pare l'aveva già capito prima che glielo dicessi io. Mi sa che siamo stati un po' palesi.

 Fabrizio sollevò lo sguardo sui suoi amici, ancora intenti a discutere su chi tra loro fosse stato il primo a sospettare che ci fosse qualcosa tra lui e Ermal.

Sì, forse erano stati un po' troppo palesi. Ma, in fin dei conti, non sembrava essere una cosa negativa.

[macnamaranumerocinque]

ma ce l’hai ancora con me? (davanti alla Signora Grassa, 11 ottobre, III anno)

R | « cerchi tuo fratello? » l’approccio mentre, senza troppo cerimonie, si infila un braccio nei pantaloni di almeno una taglia più grande di quello che dovrebbero essere « e ah! » staccando la mano dalla cintura per sbatterselo sulla fronte « grazie per erbologia, mi sa che è solo grazie a te che ho preso la prima O- dell’anno » - « ma ce l’hai ancora perché t’ho dato della femmina? guarda che lo dico a tutte » e fa spallucce, piegando la testa « ma così fanno vedere se lo sono davvero o meno »

Mac | «Uh?» - «Sì, lo hai visto?» un mezzo sorriso viene rivolto alla grifondoro «Figurati. Comunque hai fatto un buon lavoro anche tu a lezione.»  la ascolta mentre una smorfia attraversa il suo volto alle parole dell’altra.

«Non… Non è che ce l’ho con te.» 

«Solo che…» si ferma un momento osservando la bionda, che sa essere amica di Sebastian «Solo che non mi piace.» - «Cosa intendi con, se lo sono davvero o meno?»

R | « mi sa che dorme ancora » [...]  « beh » ondeggia ancora con la testa, facendo oscillare il caschetto scapigliato « ci sono anche femmine toste, no? All’isola tante streghe che si occupano dei draghi danno la paga a certi che se la fanno sotto e preferiscono, che ne so, occuparsi delle carte con il ministero ma » e arriccia il naso « anche il contrario. Se piagnucolano per nulla, si preoccupano di boh » e scrolla la testa all’indietro, passandosi le mani nei capelli e alzando il nasino, la voce che si fa caricatura diventando ancora più acuta 

« oggi li ho lavati con un preparato di lavanda, cannella e peti di fate, guarda come sono lucentiiiih » e poi se le porta alle guance, iniziando ad imitare con le labbra un pesce rosso e finendo per sedersi pesantemente sulle chiappe « e la mia p e l l e » scandisce, distorta con lo stesso tono « uso solo crema ricavata da un-vattelo-a-pescà dei mari del nord! » 

e fa una smorfia, « tutte bolidate inutili che piacciono a quella vipera di Hazaar, l’amica di tu fratello » perché di certo la sua difficilmente lo sarà, nonostante le preghiere notturne di Seb affinché Merlino interceda. [...]

Mac | In quel momento è impossibile mantenere un’espressione seria e addirittura sbuffa e quasi ride a quei commenti e imitazioni, una piccola scenetta che per un momento riporta sul volto stanco un sorriso e una temporanea allegria. «oh. Capito.» - «Beh, ci sono tanti tipi di femmine, certo.» su questo non ci sono dubbi ormai «Ma ci sono tanti tipi di persone, in generale.» e poi torna alla mente una discussione del giorno prima «Ognuno è diverso, no? E tutti creano il loro io come vogliono.» e queste cose così astratte o strane vengono pronunciate solo perché ne stava giusto parlando con Merrow ieri.

R | « beh, sì » con il cervellino che va a macinare quel discorso serio e che, ingenuamente, dava un po’ per scontato « ognuno può fare il bolide che vuole se farlo non fa del male a nessuno, no? »

« cioè, se si vuole fare una cosa perché ci fa stare bene è giusto farla, io mi arrampico perché è bello arrivare in alto e vedere tutta da su »

[...] « ma perché, tu che cos’è che vorresti fare che non fai? »

Mac | «Beh, diciamo che… ci sto lavorando. E’ complicato.» scrolla appena le spalle prima di proseguire «Dicevi prima, no? Se una cosa ci fa stare bene è bene farla, ecco. Io sto cercando di capire cosa mi fa stare bene ma...» - «Non so bene come fare.»

R | « mh, questo è un problema » - « Pà direbbe di provarci e basta » ma si stringe nelle spalle « ma Pà è grifondoro come me, forse non vale troppo come consiglio per te » 

« un passo alla volta...? » 

 « cioè, tu inizia » - « e se senti di sbagliare qualcosa riprovi in altra maniera » e fa spallucce, rivolgendo i palmi delle mani verso l’alto « fino a che non trovi la maniera per farlo » - « come quando cerchi la strada per arrampicarti! »

Mac | «Probabilmente anche il mio papà direbbe lo stesso.» commenta «lui era un Tassorosso come me.» aggiunge, visto che l’altra tira in ballo le casate d’appartenenza dei padri. 

«Comunque hai ragione.» dice con tono quasi solenne «un passo alla volta.» sorride, un consiglio semplice che solleva lo spirito, un passo alla volta non sembra troppo difficile. Un passo alla volta lo può fare. 

«E il primo passo l’ho fatto.» aggiunge guardando Ruby con il sorriso di nuovo in volto. Il primo passo verso lo stare bene è stato fatto, ora bisogna capire quale sarà il secondo però. 

«Una cosa. Sai come Sebastian voglia essere chiamato per nome?» 

«Ecco, io preferisco se mi chiami MacNamara, per adesso. Non per nome.» 

«Tu sei Ruby? Ti sta bene se ti chiamo così?»

R | « ma è luuungo »

« e poi rischio che si girino anche i settordici parenti che siete al castello »

« devi » gonfiando le guance « Rubinia è lungo, Lumpkinella anche di più » - « facciamo che io Ruby » e punterebbe il dito in avanti « e tu Mac, che ok, si gireranno anche tutti gli scozzesi del castello » fa spallucce, come se non avesse posto il problema dei gli altri MacNamara solo un attimo prima 

« ma se lo senti da me, in corridoio, ti sto chiamando »

Mac | «E Ruby sia. E anche Mac va bene. Poi, quando trovo un nome, te lo dico.»

R | « bene, ma non metterci troppo che siamo davvero tanti con il Mac qui in Scozia » e fa sorrisone tutto denti e guanciotte « MacFusty » indicandosi « MacNamara » - « MacKenzie, MacGillivray… »

//leggenda narra che stia ancora elencando cognomi//