Tumgik
#le mie geometrie
maledettadaunangelo · 4 months
Text
Ma lui scombina tutti i miei piani. Le mie regole. Le mie geometrie. Sovverte la mia natura quadrata. Lui mi rende un cerchio. A volte un groviglio di linee scomposte. Senza un inizio né una fine.
Roberto Emanuelli, Ora amati
15 notes · View notes
fiorenellanotte · 4 months
Text
Tumblr media
Ma lui scombina tutti i miei piani. Le mie regole. Le mie geometrie. Sovverte la mia natura quadrata. Lui mi rende un cerchio. A volte un groviglio di linee scomposte. Senza un inizio né una fine.
146 notes · View notes
oscuroio · 1 year
Text
Queste mie geometrie euclidee
ti rendono perfetta
Ti legano a me,
Imprigionano le tue caviglie
quasi da renderle ancor
più delicate.
Le ho disegnate per te,
per tenerti qui.
Sorridi ora, e danza per me,
In punta di piedi,
cosichè io possa ammirare
i tuoi movimenti sinuosi
Questo è solo l'inizio,
la corda è lunga,
ma ora lasciami proseguire,
sii paziente bambina.
OscuroIo
Tumblr media
41 notes · View notes
yourdirtiestdreams · 3 months
Note
Posso uscirtele così vedi le mie geometrie anche? Ahaha
Vai, diventerà la mia nuova materia preferita così
4 notes · View notes
Corpetto arrivato, bellissimo. Ovviamente per le mie strane geometrie è da aggiustare e in più punti, ma del resto è una cosa che a me piace fare.
2 notes · View notes
portinaio · 4 months
Text
Dove il tuo ultimo messaggio?
Nel cuore fracassato
o nel piacere in cui ti sei smarrito?
Sei riuscito a valicare il limite?
Hai consolato il giovane
che aveva contemplato il sangue?
Per te risponde l'uovo di ferro
le ceneri custodite per trovare pace
al posto tuo, le carte interpellate
per dialogare col futuro
la rabbia per la mosca
d'impeto schiacciata in mezzo al libro.
Era già tutto svelato.
Nel dolore dichiarato di sapermi
con un peso enorme sopra il petto
dalla gioia di tenere poesie tue e mie
tra le mani e verso il soffitto
le pagine che "emanano richiami".
La morte non ti riguarda ora più di quanto
non ti corresse accanto
nell'inviolato letto a baldacchino
nel rigore delle geometrie perfette
nei fiori che ti ostinavi
a volere vivi sul balcone.
0 notes
greenbor · 2 years
Audio
Poesia di Nina Cassian
Lasciatemi disporre le mie ossa
diverse da com’erano finora,
le mie ossa, quei fastidiosi ostacoli
che sbarrano la strada della carne
deviandola, obbligandola alla forma femminile,
a una pera, e le mani a una stella di mare.
Lasciate che le mie ossa atee
provino geometrie singolari.
Ad esempio: lo schema della prima nave al mondo
o lo scheletro trasparente del fiore di giglio
o l’albero genealogico dei frutti postumi
che si conclude nel discendente vergine.
Lasciate che le mie ossa cadano
in ginocchio, quando fingo di pregare,
disorientando almeno una volta nella vita
il mite Paleontologo.
1 note · View note
soggetto-smarrito · 3 years
Text
Faccio scivolare il fumo dalla bocca,
lentamente..
mentre ti osservo ballare..
con solo l'intimo addosso.
Ancheggi come sai,
sinuosa e arrendevole,
provocando alle mie mani, un indicibile voglia....
di toccarti.
Sarebbe stato meglio lasciarti stare..
invece di averti qui,
a farmi perdere la ragione
attraverso i sensi.
Tu non fai bene alla mia autostima.....
...anzi.
Tumblr media
Fammi provare cosa si prova..
mi supplichi, con quelle labbra bagnate..
fammi provare.
Il fatto è che io non so fare l'amore senza fare piano...non so dirti nulla di dolce.
Ma adoro quando ti metti davanti a cavalcioni...e ti lasci accarezzare le curve,
consapevole..
delle tue geometrie perverse.
Ubriacarmi vuoi,
col tuo sapore,
col tuo odore..
farmi morire..
dal desiderio.
😎
Togliti l'intimo di dosso e vieni qui.
voglio ripagarti,
per tutto il tumulto interiore che mi provochi.
voglio farti diventare scema,
prima di piacere,
poi dolore,
poi ancora piacere.
Sino a sfinirti.
♥️
soggetto-smarrito
15 notes · View notes
libero-de-mente · 3 years
Text
DIARIO DI UNA VACCINAZIONE
29.05.2021
Il giorno è arrivato, il momento è arrivato. Oggi mi vaccino contro il virus malvagio.
Arrivo al centro vaccinazioni allestito per l’occasione in un polo fieristico. Non c’è coda all’ingresso e percorro velocemente il percorso creato con le transenne per entrare, sono in anticipo di venti minuti sui dieci minuti richiesti come anticipo per la somministrazione del vaccino. Io ritardatario cronico mi stupisco di questo, va beh aspetterò.
All’ingresso un addetto mi chiede cortesemente di prendere una mascherina da un contenitore che mi porge, quella che indosso a quanto pare non serve a nulla. - Prenda una di queste per favore. - La mia non va bene? - Si sente figo con quella mascherina? - I-io, no, non credo. - Così nera intensa, che raccoglie la barba e le sta aderente sul naso seguendo il suo volto. - Beh si in effetti è comoda. - Si sente figo? - No, le dico di no. - Bene allora non avrà problemi a prendere una mascherina chirurgica. Prendo e indosso in un angolino, quasi a vergognarmi, la mascherina chirurgica.
ORE 17:40 Entro nell’edificio, mi accoglie un altro addetto che mi punta un specie di macchina fotografica mista a un binocolo con parti assemblate di teodolite. Come quelli usati dai geometri per i rilievi topografici.- Nelle foto non esco bene. - Come scusi? - Dico che nelle foto non esco mai bene, se vuole entro e mi riprende mentre non guardo… con espressione naturale. Se mi metto in posa esco male. - Guardi che le devo solo controllare la temperatura. - Ah. Mi scusi.
ORE 17:41 Secondo passaggio, un’addetta mi preleva il numerino per l’attesa:- Lei è il numero 230. - Quando l’estrazione? - L’estrazione? Guardi vada a sinistra c’è una sala d’attesa grande e aspetti che la chiam – la frase viene interrotta da una voce all’altoparlante “Numero 230, cabina 17!” – l’hanno chiamata ora! - Ho vinto qualcosa? - Ma… vada, vada che tocca a lei.
ORE 17:43 Arrivo alla cabina 17, mi accoglie un medico.
- Lei è Libero De Mente? - Si, ecco il documento e la prenotazione. - Bene. - Però manco l’attesa, eh? - Cioè? - L’attesa dico, stare in sala a friggere un po’. Leggere i commenti dei complottisti novax per sentirmi in affanno. Cioè così diretto appena entrato. - Perché tutto questo, mi scusi? - Ma scusi, l’attesa della vaccinazione non è essa la vaccinazione? Mi guarda fisso il dottore – Lei è sicuro di stare bene? - Sissì. Che vaccino posso scegliere. - Nein nein! Qui faccino zegliere noi, kaiaro? - Ja! - Però lei mi è simpatico, guardi abbiamo una vasta scelta di vaccini – e comincia a illustrarmeli cortesemente – Abbiamo l’AstraSeneca a base di cultura, istruisce il vaccino e gli chiede gentilmente d'istruirsi e non fare il barbaro. Consigliato da Alberto Angela.Poi abbiamo il Pfeiffer, le verrà inoculato direttamente da Michelle Pfeiffer. Se sarà fortunato le apparirà anche l’attore Al Vaccino che le reciterà il monologo tratto da “Ogni maledetta domenica”. Figata.Come terza scelta le offriamo “Classica”, il vaccino somministrato con in sottofondo l’Aria sulla quarta corda di Bach” e la presenza di Piero Angela che racconta di come si stiano estinguendo gli uomini che “sanno quello che vogliono”.Ultimo vaccino, ma non meno importante, Gionson & Gioansen. Lascia la pelle liscia e lubrificata. Oliosa e profumata, ottimo per combattimenti da wrestler o per coppie nei Motel. Lussurioso.Cosa fa il prossimo giovedì sera - Guardo Ulisse con Alberto Angela. - Bene, esca da qui e segua il corridoio e vada nel settore di somministrazione di AstraSeneca.
ORE 17:53 Seguo il corridoio con le indicazioni, arrivo nel settore AstraSeneca, mi viene indicato di mettermi in fila a un’altra cabina, la numero 17 (ancora!)
ORE 17:57 Il mio turno è arrivato, un medico mi si avvicina e dandomi del voi mi chiede: - Voi mi potete dare i documenti? - Noi glieli diamo, eccoli. - Voi chi? - Noi, le ci ha dato del voi. - Lei sente delle vocine? - Si, spesso. - Ok, allora tutto a posto.
ORE 17:55 Si avvicina l’infermiere con la siringa.- Quale braccio preferisce? - Oh guardi per me è lo stesso. - Lei ha una proficua attività sessuale? - Io? Cos’è il sesso? - Lei è mancino? - No. - Ok, allora braccio sinistro.
ORE 17:58 L’ago entra, il liquido entra in me. Ora il bastardo che ha ucciso decine e decine di persone che conoscevo è dentro di me. Anche se istruito e non più barbaro. Mi si avvicina i dottore – Voi, cioè lei e le sue vocine, quando arrivate a casa prendetevi una Taichipirinha 1000 con lime o dell’Oki con ghiaccio, agitato e non mescolato. Attenda quindici minuti nella prossima sala prima di andare a casa.
ORE 18:00 Raggiungo la sala di attesa post vaccino.Tutto bene, credo che le sensazioni che sento dentro di me siano più dovuti alla mente e a tutto quello che ho letto, che altro. Dopo cinque minuti una mano si posa sulla mia spalla.- Tutto bene? - Tutto bene graz… ooh, ma lei è Alberto Angela! - Si sono io – sento in sottofondo la musica di Heart of Courage dei Two Steps From Hell – ora sei divulgato mio caro. - Mi sento un po’ strano Alberto. - Sono le legioni degli anticorpi che stanno marciando in te. - Davvero? - Si delimiteranno i confini dell’impero appena sotto la tua pelle. - Ma tu non porti la mascherina. - Io alito cultura, che annienta ogni virus. Compreso quello del “ho sentito dire”. Passo i restanti minuti ascoltando Alberto che mi spiega come sebbene indossi spesso un completo blu con la camicia nera, risulti comunque un euro manzo di eleganza. Di come studi scientifici dimostrano che, tra i vaccinati, si sia abbassata la percentuale di quelli che usavano dire “se avrei”; che una delle prossime puntate di Ulisse sarà dedicata alla ricerca, si alla ricerca di tutte quelle persone che hanno seguito le mie indicazioni stradali, si proprio le mie, io che mi perdo anche con il navigatore inserito.
ORE 18:15 Alberto Angela si congeda – Ora è tempo che io vada – allargando le braccia e cominciando a levitare si dissolve in una nuvola di fumo, con i titoli di coda.
ORE 18:17 Esco dal centro di vaccinazione. Lei è li che mi aspetta, Scarlett Johansson intendo, mi aspetta a bordo di una Bugatti Veyron. Insieme rientriamo nella dimora che ci ha donato Tony Stark.
ORE 18:45 Il Wi-Fi a casa mia non ha mai funzionato così da dio. Sono arrivato a otto tacche e vedo DAZN, senza aver sottoscritto l’abbonamento. Per telefonare mi basta allungare pollice e mignolo di una mano e portare la mano all’orecchio, come se fosse una cornetta del telefono. Mi siedo sul divano e chiamo il centro vaccinale:- Pronto? - Pronto buonasera, sono appena stato da voi a fare il vaccino. - Mi dica tutto bene? - Guardi mea culpa, mi sono dimenticato di chiedere una cosa importante! - Mi dica – la centralinista è allarmata. - Posso mangiare la pizza questa sera? - Tu-tu-tu-tu-tu Chi tace acconsente, giusto? Che pizza sia.
Scrivo queste righe il giorno dopo, in pieno stato da farneticazione. Credo che mi sdraierò per un po’. La botta è arrivata, le legioni stanno avanzando dentro di me.
Vi ho sempre amato “sapevatelo”, non a tutti, ma qualcuno si. Dai. Pensate positivo, magari siete tra quelli.Magari no. Volete saperlo?
Sono un uomo a dieta e ho fatto il vaccino, mi sento come una donna in pre ciclo… no niente, non ho niente. Arrivateci da soli.
Quando passerà tutto tornerò alla mia grama vita. Sicuro.
Per ora godiamocela, mi chiama Scarlett, devo andare. Ciao.
12 notes · View notes
staystrong1298 · 3 years
Audio
Ho chiesto aiuto a Dio una volta sola Mi ha buttato a terra e poi mi ha preso a calci Tornai a casa con un occhio viola Ma ho imparato cosa vuol dire fidarsi La miseria non sta solo negli stracci Nei ragazzini che giocano scalzi So che un sogno vale più di ogni altra cosa Quindi guardatevi dentro, siete voi i poveracci
Condividiamo lo stesso dolore Per questo nelle mie parole ti ritrovi Ma puoi perderti se entri nel mio cuore Intricate geometrie di rovi La felicità va conquistata Quindi preparati perché la guerra è appena cominciata Lacrime di rugiada sopra i caschi dei soldati Caduti per strada in questo scontro Io contro me stesso E il mio riflesso nello specchio lo prendo a testate Lascio il sangue sopra il muro ops, scusate Stendo quattro strisce sul mio disco E tiro su dal naso la cenere nera di vecchie poesie bruciate Sono ciò che mancava al rap di adesso Uno schizzofrenico depresso mezzo pazzo Metto su YouTube un video in cui mi tiro fuori il cazzo Guardalo e facci una rap reaction Non puoi fermarmi e chi ci prova si scava la fossa Sono letale come un cobra che stringe la morsa Senza catene d'oro Puttana salirò sul palco con una collana fatta con le loro ossa Dentro quattro mura di cemento Ma più passa il tempo Più mi sento che divento violento e brutale Rinchiuso nella mia prigione mentale I miei occhi sono le finestre da cui guardo il mondo bruciare
Notti infinite aspettando quell'alba che non sorgerà Pensavo soltanto a una cosa, fuggire lontano da qua Ricordo avevo solo il buio intorno So che avrei dato luce a questo sogno Io lo sapevo, ci credevo, me lo ripetevo ogni maledetto giorno
Ogni maledetto giorno, ogni maledetto giorno Ce l'avrei fatta, lo sapevo, ci credevo Me lo ripetevo ogni maledetto giorno Ogni maledetto giorno, ho detto ogni maledetto giorno Io lo sapevo, ci credevo, me lo ripetevo ogni maledetto giorno
Ho chiesto aiuto al diavolo una volta sola Mi ha teso la mano per rialzarmi Mi ha dato un microfono ed una pistola Poi se n'è andato senza salutarmi Per caricare e calibrare ogni parola Sputo proiettili dalla mia gola Perché so cosa vuol dire stare male Fino a diventare tu quel mostro che ti divora E allora sali su quella montagna Ma se scivoli, se cadi ancora, ci riprovi ancora E quando sarai in cima salta, chiudi gli occhi e tira i dadi Apri le tue ali e vola Sognavo di non essere mai nato Pensavo che sarei finito accoltellato Che sarei impazzito, poi tutto è cambiato Quando questa musica mi ha impossessato È stato il rap che mi ha salvato Sarò sempre grato a Bassi Maestro Lui non lo sa ma è stato il mio maestro "Succhiatemi il cazzo", ricorderò per sempre quella canzone So a memoria ancora tutto il testo Ero ragazzino, rimasi scioccato Quando per la prima volta per caso ascoltai quel pezzo Mi ha insegnato che se hai merda da sputare Cristo santo, devi farlo, non esiste via di mezzo Io griderò per la gente come me Come me quella gente griderà Per la mia città Per chi non ce la fa Griderò per chi è sempre giù Per chi non c'è più però è sempre qua Per le cicatrici e i lividi Per tutte quelle cose orribili che ancora io mi porto dentro Questa penna è la chiave della prigione Stronzo comincia a scappare, le porte si stanno aprendo
Notti infinite aspettando quell'alba che non sorgerà Pensavo soltanto a una cosa, fuggire lontano da qua Ricordo avevo solo il buio intorno So che avrei dato luce a questo sogno Io lo sapevo, ci credevo, me lo ripetevo ogni maledetto giorno
Ogni maledetto giorno, ogni maledetto giorno Ce l'avrei fatta, lo sapevo, ci credevo Me lo ripetevo ogni maledetto giorno Ogni maledetto giorno, ho detto ogni maledetto giorno Io lo sapevo, ci credevo, me lo ripetevo ogni maledetto giorno
Notti infinite aspettando quell'alba che non sorgerà Pensavo soltanto a una cosa, fuggire lontano da qua Ricordo avevo solo il buio intorno So che avrei dato luce a questo sogno Io lo sapevo, ci credevo, me lo ripetevo ogni maledetto giorno
Ogni maledetto giorno, ogni maledetto giorno Ce l'avrei fatta, lo sapevo, ci credevo Me lo ripetevo ogni maledetto giorno Ogni maledetto giorno, ho detto ogni maledetto giorno Ogni maledetto giorno
2 notes · View notes
bru111271 · 5 years
Text
"Occhi. Maledetti occhi. Non escono dall'anima. Intersecati con le mie più sconosciute geometrie. Maledetti occhi. Occhi."
Christian Grasso
4 notes · View notes
sciogli-lingua · 5 years
Video
youtube
The Uncluded || Teleprompters || English lyrics + Italian translation
[Requested by @ummmfeminism; I took some liberties with the translation when the literal version sounded a bit sloppy, I hope you won’t mind.]
Ever since I was a kid È da quand'ero bambina On the backs of my two eyelids Che, all'interno delle mie palpebre, I hid two Teleprompters there Nascondo due suggeritori elettronici Transmitting words from who knows where Che trasmettono parole che vengono da chissà dove A walkie-talkie on a mission Un walkie-talkie in missione Roger, roger will I listen Ricevuto, ascolterò Or will I just pass it along O semplicemente passerò il messaggio In the form of a sing-a-long? Come fosse un karaoke? Whammies and Noids be void and null Vuoti e annientati i Whammy e i Noid I feel a tingle in my skull Qualcosa mi formicola nel cranio Like ticker tape the words appear Come su un nastro di telescrivente, le parole appaiono There’s a parade between my ears Tra le mie orecchie c'è un corteo I preach self-love, I know it’s true Predico l'amore per se stessi, lo so, è vero, It’s easier to say than do È più facile a dirsi che a farsi I send these messages to you Mando questi messaggi a te But now I need to hear them too Ma adesso devo ascoltarli anch'io I am beautiful, I am powerful, I am strong and I am loveable Sono bella, sono importante, sono forte e merito di essere amata I am beautiful, I am powerful, I am strong and I am loveable Sono bella, sono importante, sono forte e merito di essere amata
I was laying bricks in a line Facevo file di mattoni Yap full of dog toy Giocavo persino coi giochi del mio cane Picturing a life beyond that of a protocol droid Immaginando una vita diversa da quella di un droide protocollare Bleep bloop boy ox boycott pea soup Bip bip, ragazzo toro boicotta la zuppa di piselli First learn to eat paint at St. Peter’s preschool – yum Ho imparato a mangiare i colori all'asilo alla St. Peter’s – gnam! Now that's a painkiller I can speak through Questo sì che è un antidolorifico che mi permette di parlare Airbrush letters on a pristine gene pool Lettere aerografate su un patrimonio genetico immacolato See, my mother said her father drew a ton Vedi, mia madre diceva che suo padre disegnava sempre But all his cartoons had been swallowed by the Susquehanna flood in ‘72 Ma tutti i suoi fumetti furono inghiottiti dall'inondazione del Susquehanna del '72 The year that he would subsequently pass Lo stesso anno in cui, più tardi, morì I know he had a stroke but I assume that's only half So che ha avuto un infarto, ma credo che sia stata la causa solo per metà And now I’m signing up for finger-drawing class in a tux like a gentleman E adesso andrò a iscrivermi a un corso di disegno con le mani in smoking, come un gentleman Marrying his ash to his dust Farò sposare le sue ceneri e la sua polvere Last on the kickball team draft pick-list Ultimo a essere scelto per la squadra di kickball First to the King Kullen practicing his kickflips Primo davanti al King Kullen a esercitarmi nei kickflip I'd like to say it's 'cause I was a rebel Vorrei poter dire che è perché ero un ribelle Truthfully, it’s easier to say “oh hell” instead of “hello” La verità è che è più facile dire “al diavolo” che “ciao” (Hi, you need to get out more) (Ciao, dovresti uscire di più) I dunno, I don’t wanna be there when the geometry domino Non so, non voglio esserci quando partirà il domino (You need to get out more) (Dovresti uscire di più) Maybe, or maybe his pace is better suited for pacing Forse, o forse il suo ritmo va meglio per camminare (You need to get out more) (Dovresti uscire di più) Never, I am nailed to the floor, I am snail under pressure Mai, sono inchiodato al pavimento, una lumaca sotto pressione (You need to get out more) (Dovresti uscire di più) Fine! E va bene!
Ever since I was a kid È da quand'ero bambina On the backs of my two eyelids Che, all'interno delle mie palpebre, I hid two Teleprompters there Nascondo due suggeritori elettronici Transmitting words from who knows where Che trasmettono parole che vengono da chissà dove And this is why when I’m on stage Ed è per questo che, sul palco, My eyes are closed, I’m in a haze Sto con gli occhi chiusi, come avvolta dalla nebbia I look like I’m made out of clay Sembro fatta d'argilla I’m overwhelmed and under-glazed Sono sopraffatta e priva di smalto I’m making vases out of snakes Faccio vasi di serpenti I’m a kiln half-full of mistakes Sono un forno mezzo pieno di errori When kneading it, air’s overlooked Quando impasto non faccio caso all'aria It’s gonna crack when it gets cooked L'argilla si creperà una volta cotta So self-forgiveness is the key Quindi sapermi perdonare è il segreto To re-sculpting my sanity Per ri-scolpire la mia sanità mentale Mindfulness, humility Consapevolezza, umiltà And taking time to care for me E prendermi il tempo di aver cura di me stessa I preach self-love, I know it’s true Predico l'amore per se stessi, lo so, è vero, It’s easier to say than do È più facile a dirsi che a farsi I sing these messages to you Canto questi messaggi per te But now I need to hear them too Ma adesso devo ascoltarli anch'io I am beautiful, I am powerful, I am strong and I am loveable Sono bella, sono importante, sono forte e merito di essere amata I am beautiful, I am powerful, I am strong and I am loveable Sono bella, sono importante, sono forte e merito di essere amata
I was laying bricks in a line Facevo file di mattoni Yap full of coppertop Mi riempivo la bocca di coperchi in rame Picturing a life beyond that of a dish-washer bot Immaginando una vita diversa da quella di un robot lavastoviglie Buzz, ping Buzz, ping Criss-crossed arms in a tub ring Braccia seghettate in una vasca Learned heartbreak on a Zelda-1 sub screen – numb Ho imparato a conoscere il crepacuore su una sottoschermata di Zelda 1 – anestetizzato Learned dark days by the scent of poached dove meat Ho imparato a conoscere i tempi bui dal profumo di piccione stufato Some part ways and it's fugly Le strade di alcuni si separano, ed è uno schifo Maybe the sum of the parts became lesser Forse la somma delle parti è diventata meno That each individually making the same gesture Di ognuno che singolarmente fa lo stesso gesto And you don't wanna interrupt the overlapping network E non ti va di interrompere il sovrapporsi delle reti So you throw a bag together and elope with cabin pressure Quindi metti insieme le tue cose e scappi con la pressione della cabina To disappear instead of interfere with nutty customs Per sparire invece di interferire con usanze da pazzi And differing definitions of liberty and justice E definizioni discordanti di libertà e giustizia Big dummy dig a hole in the dirt Questo scemo si è scavato una fossa nella terra He put his head in the hole; he is alone in this world Ci ha messo dentro la testa; è solo a questo mondo And dying slowly from the comfort of his home full of worms E sta morendo lentamente per il comfort della sua casa piena di vermi Until you hear a little voice say “Yo, let’s go get dessert” Finché non senti una vocina dire: "Ehi, prendiamoci un dolce" Wait – what? Aspetta – cosa? (You need to get out more) (Dovresti uscire di più) I dunno – over 2 million dead bats in NY alone Non so – sono morti più di 2 milioni di pipistrelli solo a New York (You need to get out more) (Dovresti uscire di più) Maybe, maybe not Forse, o forse no Maybe I'll just stay back and survey the lot Forse me ne resterò qui a sorvegliare il tutto (You need to get out more) (Dovresti uscire di più) Never, I am nailed to the walls in a jail made of deserts Mai, sono inchiodato al muro in una cella fatta di deserti (You need to get out more) (Dovresti uscire di più) OK OK
6 notes · View notes
oscuroio · 2 years
Text
Queste mie geometrie euclidee ti rendono perfetta Ti legano a me, Imprigionano le tue caviglie quasi da renderle ancor più delicate. Le ho disegnate per te, per tenerti qui. Sorridi ora, e danza per me, In punta di piedi, cosichè io possa ammirare i tuoi movimenti sinuosi Questo è solo l'inizio, la corda è lunga, ma ora lasciami proseguire, sii paziente bambina.
OscuroIo
Tumblr media
2 notes · View notes
bianciardi · 5 years
Photo
Tumblr media
Sotto il segno dello scorpione 
Le strade di Concord sembrano rincorrersi tutte uguali, battute da auto di grossa cilindrata, braccia sinistre che sporgono dal finestrino mentre la stazione radio locale, la KWUN AM 1480, trasmette vecchi classici blues. Concord pullula di palme, parchi – il più famoso intitolato al padre di Take Five, Dave Brubeck, originario della cittadina – e grandi parcheggi. Ogni anno si tiene un festival jazz che raduna famiglie e appassionati delle città vicine; la gente si riversa nella Todos Santos Plaza, culla di negozi, cinema, e fontane pastello che sembrano uscite da Disneyland. Il 13 novembre 1977, in un ospedale molto grande e molto bianco («I was born in a hospital that was very big and white», da Lion Killer) di questa cittadina della California più assolata, nasce Cass McCombs, profondi occhi blu, segno zodiacale scorpione. Custode di una morbida ruvidezza, è intorno ai quattordici anni che il californiano inizia a suonare la chitarra e a scrivere canzoni, per scherzo, per riempire le giornate un po’ vuote di una vita nomade sempre in giro per l’America. Brani senza una struttura vera e propria che si ispirano ai protagonisti dei cartoni animati, una raccolta di storie, di vite e facce che per lui, accanito collezionista di oggetti – siano stampe, figurine del baseball, tappi di bottiglia – a mano a mano si trasformeranno in canzoni e atti di onestà verso se stesso. A ventitré anni parte per la costa orientale iniziando a esibirsi nelle serate open-mic vicino a New York e Baltimora. Il gitano Cass viaggia ovunque, dorme in macchina, alloggia a casa di amici, evita i beni materiali traendo così ispirazione per i primi testi musicali, stravaganti e talvolta criptici, che riescono comunque a spingere il pubblico ad un ascolto attento. In questi anni di vagabondaggio e scoperte musicali, il cantautore salta da un impiego all’altro: lavora come bidello, venditore di soda, camionista, proiezionista nei cinema, in una scuderia, in un negozio di specialità gastronomiche, e infine come libraio, prima di lasciarsi tentare seriamente dal mondo della musica. Dalle svariate esperienze lavorative, impara ad ascoltare le storie di persone di diversa estrazione sociale, e ne fa la sua istruzione, saltando l’idea di andare all’università. Quello che più affascina di Cass McCombs è la moderazione che ha dimostrato nella composizione, un equilibrio potente che regala alle canzoni un’intensità perfettamente circolare dall’inizio alla fine dell’ascolto. L’ascoltatore rimane spesso sorpreso dalla piega che prendono i suoi brani, poiché dietro quell’apparente semplicità, si ritrovano accordi sottili e intelligenti, dal fare avanguardista e bislacco. Profondamente diffidente verso il mondo della pubblicità e del business, avverso alla fama, McCombs è l’antidivo che non ama parlare di sé né della propria musica: vorrebbe non rilasciare più interviste da quando un giornalista di MTV ha citato erroneamente alcuni suoi pensieri sulla politica americana. Sebbene abbia poi ceduto lasciandosi intervistare altre volte, spesso via mail, viene anche da domandarsi se ci sia realmente bisogno di parlare quando si dice così tanto con una chitarra. Se McCombs non ama parlare degli artisti che lo hanno influenzato, è comunque possibile notare una forte presenza del folk americano, unito all’art-pop e a un gusto da crooner sfaticato, nelle sue produzioni Invece di soddisfare lo stereotipo del cantautore confessionale, il ragazzo di Concord descrive le vite e i sentimenti di coloro che lo circondano, più con amore che con giudizio, senza mai suggerire all’ascoltatore cosa pensare dei suoi personaggi. La sua musica è generosa, e le melodie sempre infettive – come la puntura di uno scorpione – in una produzione dove la musicalità è sempre in primo piano. McCombs parla con le persone, gli sconosciuti incontrati al bar, interessato sinceramente a sapere cosa pensino. È un figlio degli anni Settanta, la sua generazione è cresciuta ascoltando le storie del Killer dello Zodiaco, della setta di Charles Manson, delle Pantere Nere, degli effetti dell’LSD, delle rivolte di People’s Park: tutto ciò diventa la base per la sua immaginazione e per quel suo cantautorato narrativo, che dagli esordi non rinnega mai se stesso attraverso l’uso artistico della gente comune. Le storie di McCombs si rivolgono a tutti, amici e sconosciuti, parlano la loro lingua, sono ricche di dettagli e colori in cui ognuno può o meno riconoscere qualcun’altro. Se McCombs non ama parlare degli artisti che lo hanno influenzato, è comunque possibile notare una forte presenza del folk americano, unito all’art-pop e a un gusto da crooner sfaticato, nelle sue produzioni. E quel modo di portare la voce un po’ à la John Lennon, un po’ à la Morrissey, fino alle geometrie spezzate dei Velvet Underground, passando per il west coast jazz di Charlie Hunter. Nel 2017, a trentotto anni e con otto dischi pubblicati, Cass McCombs ha ormai consolidato l’idea di essere davvero «uno dei cantautori più importanti della nostra generazione», come ha detto Chris Taylor dei Grizzly Bear. 
Un uomo onesto, un uomo probo 
Le sue coinvolgenti ballad su vite tormentate e occhi oppressi, uniscono guizzi rock a magie sadcore al limite della disperazione, dando così vita a un fragile e atmosferico folk-pop. La lettera scarlatta del suo primo album A uscito per Monitor nel 2003, firma un debutto artisticamente maturo che con le sue undici ballate, a cavallo fra folk tradizionale e pop, svela tutto il carisma di uno sconosciuto ventiseienne. McCombs è alle prese con una blanda fama, una piccola schiera di devoti fan che lo segue a ogni concerto. Ma i piedi scalciano e la voglia di cambiare orizzonte torna prepotente. Per il musicista è la volta di volare in Inghilterra a cercare nuova ispirazione: nel 2005 pubblica per 4AD il nevrotico e barocco PREfection, una frenesia di chitarre, rumorismi, e propulsioni orchestrali che sfiorano il campo dell’hard-rock. La sua voce scivola con grazia e umorismo leggero nell’energia ruvida e selvaggia di un disco registrato in meno di una settimana. Il fischio noise con cui si conclude l’album apre, due anni dopo, il più cantautorale Dropping The Writ, album in cui il Nostro sembra volersi spogliare delle sperimentazioni precedenti in favore di un approccio nudo alla forma canzone. Con il successivo Catacombs del 2009 per McCombs sembra profilarsi una svolta pop, foriera di maggiori attenzioni da parte di critica e pubblico, cosa che quasi sembra infastidire il ragazzo di Concord. In mezzo all’elegia di Harmonia, il valzer di You saved my life e il fraseggio blues della splendida Dreams-come-true-girl in coppia con Karen Black, i ritmi si dilatano in un malinconico sguardo che scava nel subconscio. Il pianoforte è lo strumento dominante nel chamber-pop di Wit’s End uscito nel 2011 e in cui si nota un ritorno allo stile di A: il cantautore ha trascorso l’ultimo decennio vagando tra la California e New York in cerca di ispirazione per la sua lenta ruminazione malinconia: «Empty houses and family plots/So why is my stomach all in knots?», si chiede nella struggente Saturday Song. Ai limiti dello slowcore, i brani del disco si confrontano con il dolore e la perdita, ricchi di nuovi strumenti come il clavicembalo della funerea Buried Alive, il clarinetto e la firsarmonica dei sette minuti di Memory’s Stain o ancora il banjo e l’organo sconnesso di A Knock Upon The Door. A pochi mesi di distanza, McCombs sorprende tutti pubblicando un nuovo album, l’eclettico Humor Risk, grazie al quale il cantautore sviscera un rock quasi lo-fi, violento e trascinante. Due anni dopo è la volta di un tentacolare doppio album, Big Wheel and Others, in cui ritroviamo la voce dell’attrice Karen Black e contributi di musicisti come Mike Gordon, Joe Russo e Joan as Police Woman, per un disco che scava nelle viscere dell’America esplorando una vasta gamma di suoni e stili. Le sue canzoni di strada sposano il rock col canto popolare, il blues con il country e la poesia; con questo disco McCombs evoca narrazioni introspettive attraverso un velo di mistero e romanticismo. Prolifico e geniale, la sua musica ha assunto le sembianze più diverse – dal country al pop alla psichedelia – mantenendo alla base una disperata onestà d’intenti Alla fine del 2015 Domino Records pubblica un’antologia di rarità e B-sides di McCombs chiamata A Folk Set Apart. Un pastiche che oscilla fra pop e smooth jazz, e racconta le vertigini di un’America disordinata e complessa, nelle diciannove tracce raccolte in ben undici anni. Istantanee di un artista in continuo movimento che, come scrive il nostro Stefano Solventi nella recensione del disco, «mette in mostra la gioielleria meno appariscente, anche quella più spigolosa e stramba». Con il suo ottavo lavoro, uscito ad agosto 2016, McCombs balza agli onori della critica musicale che riconosce nel suo Mangy Love il famoso disco della maturità, nonché la quintessenza del cantautorato alt-folk del californiano più sottovalutato di sempre. Il giovane uomo ha affinato la sua poesia un po’ rude e sporca nel corso dei tredici anni che lo separano da A, continuando a combinarla con umorismo, immagini surreali e melodie alt-folk. Vuole esporre la bruttezza del genere umano, il suo Mangy Love, e come molti grandi album è allo stesso tempo in grado di lenire le ferite e disturbare i cuori. McCombs non è solo l’artista folk che racconta le storie della sua terra natale con un linguaggio moderno e sarcastico, ma è anche uno dei nomi meno facilmente inquadrabili emersi nell’ultimo decennio nella scena cantautorale americana: prolifico e geniale, la sua musica ha assunto le sembianze più diverse – dal country al pop alla psichedelia – mantenendo alla base una disperata onestà d’intenti. In un’intervista del 2016 rilasciata al magazine Flaunt, il cantautore ha rivelato: «Molte delle mie canzoni sono create per avere una specifica reazione magica. Se funziona, si perfora un buco nella realtà. È un universo alternativo attraverso il quale puoi sbirciare»· Oltre al modo in cui scivola con grazia furiosa sopra le corde della chitarra, ciò che rende così speciale McCombs è quel suo modo schietto di esporre la magia della vita come bolla dolorosa, sgradevole e sorprendente al tempo stesso, pur restando sempre attaccato alla filosofia della strada, alla voglia di salire in macchina e andare lontano, con la sensazione conturbante di go on and cry.
Articolo pubblicato su Sentireascoltare (https://sentireascoltare.com/artisti/cass-mccombs/)
2 notes · View notes
pleaseanotherbook · 6 years
Text
Il tempo delle api: recensione semiseria
Un'arnia non è un insieme di singole api e della regina.
L'intera arnia è la coscienza di un gruppo collettivo.
Non ti troverai mai a lavorare con una sola ape.
Sono cresciuta in cima ad una collina, nel cuore del maceratese, ad un passo dal mare, che vedevo brillare alla fine della strada sterrata che conduceva a quella che considererò sempre un po’ casa mia. Quella collina conserva i ricordi di una infanzia passata a scorrazzare in bicicletta, l’abbaiare dei miei cani, i gatti che arrivavano previsti e non previsti, e i filari delle vigne dell’azienda per cui lavora mio padre. Su quella collina che affaccia sul mare, ci ho passato pomeriggi interi tra la delusione di non poter raggiungere facilmente il centro della cittadina dove andavo a scuola e vivevano i miei amici e il senso di sicurezza che mi arrivava dai cipressi e le querce che vi crescevano. L’ambivalenza ha sempre caratterizzato la mia vita. Nonostante la mia infanzia circondata dal verde delle campagne, non sono sempre stata fissata con le api, anzi scappavo terrorizzata appena sentivo uno strano ronzio avvicinarsi. Se volano e fanno rumore generalmente possono causare qualche problema a umani incauti che si avvicinano. In realtà come ho scoperto poi, se le lasci in pace le api vivono nel loro mondo, alla ricerca del polline da riportare all’alveare.
Quando ho abbandonato la casa della mia infanzia per trasferirmi nel centro storico di un Borgo medievale, le cose sono un po’ cambiate. Le mie attività di volontariato infatti mi hanno portato a collaborare per l’organizzazione di una manifestazione legata al miele e alla conoscenza di un apicoltore molto speciale, F. Scoprire da vicino il mondo dell’apicoltura mi ha permesso di scoprire da vicino questi affascinanti insetti. Avvicinarmi per la prima volta alle arnie è stato qualcosa di surreale, con gli apicoltori fasciati dalla tuta protettiva e il ronzio incessante che ti pervade le orecchie. Ogni movimento deve essere controllato, puntuale e non deve creare scompiglio in un ambiente solo apparentemente disordinato. L’attenzione e la cura di chi apre con calma un’arnia, tira fuori i telai, scoperchia la cera, e raggiunge il miele, è un esempio di pazienza e di premio per il lavoro di mesi. Tutti quei mesi a chiamare apicoltori, a intrattenermi con gente che opera nel settore, mi hanno insegnato tantissimo e mi hanno dato modo di scoprire un equilibrio meraviglioso, che si nutre di piccole cose, di micro-equilibri che possiamo solo immaginarci presi dalla vita caotica delle città.
Tumblr media
Il mio esordio letterario con i libri a tema è stato con The Bees di Laline Paull (che è stato tradotto in italiano come Bees, La fortezza delle api per Salani) una distopia in cui le protagoniste sono proprio le api. Ma mai come Il tempo delle api di Mark L. Winston edito da Il Saggiatore mi ha insegnato tantissimo su quello che ormai considero il mio spirito guida. Mark L. Winston è un professore che ha lavorato per tanti anni all’università di Vancouver facendo ricerca su questi insetti impollinatori e ha raccolto conversazioni e esperienze raccolte durante gli anni da ricercatore in questo volume parlando di quello che definisce appunto “il tempo delle api” un momento da prendere per approfondire quanto questi insetti possono darci in termini di esperienza, di esempio, di consigli. Il linguaggio utilizzato è alla portata anche di chi non è esperto di apicoltura e il ritmo serrato lo rendono un ottimo saggio divulgativo. Ogni capitolo esamina un aspetto particolare legato dalle api. Si parla sia di aspetti legati alla vita negli alveari sia di aspetti più frivoli, come il rapporto delle api con arte e letteratura. I primi capitoli sono più tecnici, si analizzano infatti le cause della cosiddetta “Sindrome da spopolamento degli alveari”. Questa sindrome ha decimato tantissime colonie di api, spopolando letteralmente le arnie da un momento ad un altro. Probabilmente non c’è una causa specifica che si può addurre per la morte degli impollinatori, ma probabilmente è l’effetto combinato di pesticidi, veleni e parassiti che colpiscono le colonie, decimandole in pochissimo tempo. La cosa interessante che emerge dalle pagine è che anche noi esseri umani potremmo essere colpiti dall’effetto combinato e potenziato di sostanze nocive. Sono quasi inesistenti gli studi che analizzano gli effetti di due sostanze illegali che agiscono contemporaneamente. Anche se prese singolarmente non hanno effetti, insieme possono anche essere letali. E pensate con quante sostanze veniamo a contatto ogni giorno. Anche la riduzione dei fiori prediletti dalle api, di ambienti in cui la flora selvatica si può diffondere in libertà, rispetto alla predilezione delle monoculture estensive, campi e campi in cui si scorgono solo granturco o grano o girasoli. Winston cerca di approfondire anche le truffe legate alla vendita di miele, prodotto industrialmente in cui vengono introdotte quantità di agenti chimici. Ma soprattutto la quantità di informazioni che riesce a trasmettere Winston è impressionante, non solo su quello che riguarda le api, ma anche a tantissimi temi correlati, di biologia, arte, agricoltura, e anche sociologia. Quello che affascina di questi insetti che si sono evoluti dalle vespe 125 milioni di anni fa è che mostrano un carattere forte anche se la loro vita non supera in totale più di un mese. Le api svolgono una infinità di compiti nell’arco della loro vita prima di diventare bottinatrici (raccoglitrici di polline) e soprattutto vivono in una società sì gerarchica ma che dipende dalle scelte indipendenti di ognuna. La regina, emette i propri feromoni e permette alla colonia di vivere e andare avanti (se dovesse morire l’alveare si attiva subito per sostituirla) ma di fatto non prende le decisioni per mandare avanti tutto il gruppo. Sono le singole api che reagendo agli stimoli esterni che captano a decretare in che direzione andare e cosa fare per sopravvivere: per esempio se le larve sono affamate, le bottinatrici si attivano per andare a cercare il polline. Super affascinante è anche il linguaggio che utilizzano per comunicare, i ronzii hanno una loro decodifica particolare e anche il loro tipico volo a forma di otto che a seconda dell’inclinazione e della grandezza indica quanto è distante e in che direzione si trova il polline migliore e più abbondante. Winston affascina e incanta ad ogni pagina, ma soprattutto fa immergere il lettore in aspetti a cui solitamente non si pensa, cercando di sfatare anche una serie di luoghi comuni.
E ora vado ad afferrare il prossimo libro sulle api, giusto per non smentirmi.
Tumblr media
Il tempo delle api di Mark L. Winston
Entrare in un apiario è un'avventura impareggiabile, una sfida per la conoscenza, un'esperienza in cui tutti i sensi sono ridestati e coinvolti. L'udito è investito dal fremito di decine di migliaia di api operaie che si spostano puntuali fuori e dentro le arnie, il tatto è solleticato dagli uncini delle loro piccole zampe, l'olfatto dal profumo dolce della cera e del miele. Tra le algide geometrie dei favi, un turbinio frenetico cattura la vista: alcune api hanno il capo infilato nelle celle per nutrire le larve, altre muovono le ali come ventagli per far evaporare l'acqua contenuta nel miele, altre ancora danzano per indicare alle compagne dove trovare lavanda, tulipani e salvia nell'ambiente circostante. Mark L. Winston ci guida all'interno dell'affascinante mondo delle api, un mondo unico in natura per efficienza e complessità, da sempre legato a doppio filo al nostro. Troveremo questi piccoli insetti al centro di miti e teorie politiche, terapie e pratiche spirituali, opere d'arte e ricerche sperimentali. Li seguiremo nella produzione del miele, alimento insostituibile e dalle virtù benefiche che nelle sue sfumature aromatiche conserva la memoria di un territorio, testimoniando la perfetta simbiosi tra alveare e paesaggio così indispensabile agli ecosistemi. "Il tempo delle api" è l'opera di divulgazione di uno scienziato rigoroso, capace di comunicare la propria meraviglia per la varietà dei fenomeni naturali, di trarre preziosi insegnamenti dalla raffinata struttura sociale degli alveari, in cui il singolo individuo è sempre al servizio del benessere collettivo e il dialogo è lo strumento principe per la risoluzione dei problemi. Winston mostra come l'equilibrio dell'agricoltura e dell'ambiente dipendano ancora dal benessere di un insetto fragile e incredibilmente complesso, minacciato dall'essere umano dopo aver vissuto in perfetta simbiosi con lui per millenni.
2 notes · View notes
residancexl · 5 years
Text
Conversazione con Daniele Ninarello #Pastorale
Tumblr media
[Paul Klee, Pastorale (Rhythms), 1927]
Mi parli del tuo nuovo progetto artistico Pastorale, terzo lavoro che fa parte di un ciclo di rituali coreografici esperienziali? Molte idee arrivano mentre lavori e negli anni si accumulano contaminandosi a vicenda. Mentre alcune cerchi di cristallizzarle in una creazione, altre restano ai bordi per poi rientrare in un secondo tempo come dei tasselli che si ricorrono dando vita ad un processo di ricerca nuovo. Da tempo dedico il mio lavoro al tema del disorientamento, in particolare alle modalità in cui il corpo può orientarsi nel costruire le sue molteplici relazioni con l'ambiente, e a come organizza i suoi pensieri e i suoi gesti. Sono interessato alle relazioni che il corpo costruisce con lo spazio che esso stesso genera, uno spazio inteso non unicamente come luogo fisico ma anche umorale, emotivo col quale costantemente si misura, si conosce. Mi è sempre interessata questa relazione. In questi anni ho iniziato a fare dei laboratori di pratica condivisa con dei danzatori e con degli amatori. A Matera in occasione del festival “Nessuno Resti Fuori” ho lavorato sulla migrazione e sul tema dell'inclusione, e per l’occasione avevo ideato una serie di pratiche da condividere con il gruppo di lavoro. Stetti a lungo a guardare questa città molto particolare, costruita dall’uomo ma scavata nella roccia. Quando guardi Matera percepisci una totale armonia nel susseguirsi di forme che creano una sintonia quasi musicale. Mi sono perso in quel panorama e riappacificato. Tutte le pratiche corporee si concentravano sulla camminata, sul migrare e sul camminare come pratica estetica e creativa, ridefinendo il modo in cui descriviamo lo spazio che percorriamo e di conseguenza la relazione che creiamo con questo. Si concentravano su elementi specifici come la derivazione, la continuità, la ripetizione e la comunità. Caratteristiche rappresentative anche del rituale: anch’esso ti ricolloca, ti trasforma rinnovandoti, è comunitario. Da qui ho composto una piccola collezione di pratiche collettive che portavano i corpi ad orientarsi attraverso la percezione della realtà plastica che li circonda. Cominciavo a osservare e comprendere come tutti i segnali che ogni giorno incontriamo informano il corpo. Poi mi sono spostato a New York e qui è proseguita la riflessione sulla pratica del camminare e della migrazione, in particolare sul dualismo tra essere sedentario e essere nomade che è alla base della natura umana. Al MOMA di New York, camminando tra le opere, mi sono imbattuto in una piccola opera di Paul Klee che si chiama Pastorale (Rhythms) e sono rimasto rapito. Mi ha risucchiato, ero ossessionato da questa successione di simboli, di segni che a volte mi rimandavano a una mappa, a volte mi sembravano persone, a volte una partitura musicale e a un certo punto una coreografia. Così ho iniziato a scrivere. Mi sembravano geroglifici, una profezia, un codice da decodificare, qualcosa che appartiene a un passato che arriva semplicemente attraverso l’immediatezza del simbolo, una superficie su cui i segni vibravano tutti insieme. Da qui è arrivata la prima intuizione di scrivere una Pastorale di segni percorsa dai corpi.
Oltre a Klee, qual è l’immaginario che sta nutrendo questo nuovo lavoro? Da una parte il mondo della pastorale a partire dall’opera di Klee. Poi molti altri sono i riferimenti e tra questi c’è Moondog, un musicista non vedente di New York. È un compositore che per molti anni della sua vita si è esibito in strada. Era chiamato il “Vichingo della 6th Avenue” e stava in mezzo alla strada come fosse un oracolo. Registrava i suoni della città e le sue voci, costruiva strumenti musicali. È come se cercasse di entrare a contatto con il mondo, di fotografarlo mentre risuonava tutto insieme. La sua musica è incredibile e non appena l’ho ascoltata è arrivata l’intuizione: la pastorale come l’altrove in cui percepisci che sei mosso nel flusso eterno delle cose, il momento in cui non c’è separazione e riesci a collegarti. Voglio costruire una pratica che permetta al corpo di essere mosso solo attraverso ciò che veramente percepisce, che registra, che scrive, che sia in grado di farsi geroglifico e segno nello spazio a partire da una sensazione che ha percepito, come un gesto che nasce spontaneo nel corpo, un impulso che ti nomina. Il nostro occhio costantemente legge e incorpora le vibrazioni e la ritmica delle geometrie e delle immagini che incontra, possiamo udire e percepire come tutto cade intorno a noi e insieme a noi, come tutto risuona su di noi e di noi. Ho iniziato a lavorare sulla percezione delle realtà architettoniche, di come attivano i nostri sensi, di come noi percepiamo lo spazio in cui ci stiamo muovendo, come lo decifriamo costantemente per poi espandere questa modalità tra i corpi. Durante il processo ho poi ripreso a studiare Numeri di Philippe Sollers, ho deciso di adottare questo testo per il processo poichè ha in sé tutte le questioni centrali di Pastorale. Pastorale ora prende spunto da questi elementi.
Tumblr media
[un’immagine di Moondog]
Mi sembra che la pratica di cui parli lavori principalmente sulla presenza e in questo la relazione con lo spazio mi sembra centrale: entrando in relazione al luogo in cui è viene si modifica la struttura coreografica? Una volta costruita la struttura coreografica generalmente rimane la stessa, ma può subire delle variazioni suggerite dal luogo in cui si colloca. Da luogo a luogo ciò che varia è la percezione del corpo nell'attraversare la struttura coreografica. Tratto lo spazio come una cassa di risonanza, comunico con i suoi elementi che informano e attivano le mie percezioni. Il corpo non è mai indifferente allo spazio che abita, il più delle volte ne è succube, io cerco di ridefinire i rapporti attraverso una maniera diversa di descrivere il luogo che abito. Avviene come un’esperienza sensoriale, una sorta di reintegrazione di architetture, forme ed elementi originariamente generati dal corpo e dal suo passaggio. Credo che il corpo stia allo spazio come il gesto sta al corpo, il corpo è un segno nello spazio. Mi interessa questa relazione, questo confine in cui il corpo si muove parlando in ascolto dei pensieri che nascono da ciò che percepisce nel fuori. Il pensiero è già architettura. Non c’è differenza tra un gesto che facciamo mentre parliamo e il movimento che risponde a qualcosa percepito all'esterno. È come tentare di riallinearsi con il fuori e con il dentro, e quindi portare questo principio come dinamica di relazione tra i corpi. Con Pastorale la volontà è quella di riflettere su queste dinamiche di relazione nel mondo, sulla nostalgia dell'unisono che c'è nelle nostre relazioni, di quanto poco sopportiamo il silenzio che ci unisce. Ritornare all'unisono significa risuonare insieme, percepire come siamo gli uni inscritti negli altri. Avvicinarsi a moti della natura, alla sua bellezza, al suo incessante ed eterno perseguire l'armonia delle forme.
A che punto della tua ricerca coreografica per Pastorale si è inserita la residenza a Vicenza? A Vicenza ho consolidato alcune pratiche che da tempo sto esplorando. La cosa più importante è sempre trovare la giusta modalità di trasmettere ai danzatori questo pensiero. Mi sono posto la domanda: come posso sentirmi libero quando i segni che ho a disposizione per esprimermi sono limitati? Se per esprimere una sensazione chiara ho a disposizione un codice di pochi elementi? [...] mi sto focalizzando su questo punto, sulla possibilità di sentire come la percezione genera un impulso, un pensiero, e su come varia l'intensità e la qualità di un segno nel corpo a seconda del segnale esterno o interno che lo genera. Queste modalità di lavoro erano già nate in Kudoku, dove insieme a Dan Kinzelman esploro questi concetti tra suono e gesto. Quello che mi interessa è che il corpo colga l’istante in cui sta vivendo, che le parole e i movimenti che genera nascano da uno stato contemplativo, che siano frutto di associazioni istantanee, carichi di tutto ciò che hanno da offrire al mondo.
Per Pastorale collabori con la dramaturg Gaia Clotilde Chernetich, come nasce il confronto con la studiosa rispetto al lavoro sulle pratiche di scrittura coreografica? Prima abbiamo lavorato sulla lettura e stesura di molti materiali cercando di tenere il dialogo costante e aperto, e di analizzare da diversi punti di vista la questione centrale al lavoro. In un secondo momento ho cercato di far partire il lavoro da questi materiali, facendo molta ricerca e sperimentando diverse modalità di approccio del corpo. Per me è fondamentale affidarmi alla sensibilità di Gaia, la sento molto vicina. Lei mi ha portato riferimenti molto precisi che hanno alimentato il mio immaginario e stimolato il mio pensare. Ci scambiamo materiali e idee continuamente.
Cosa ti porti a casa dopo questi primi giorni di residenza? Pastorale vuole essere un modo per tornare alla natura, una natura intesa come concedersi alle cose che ci animano, trovare quel silenzio in cui si agitano per scorgere il loro ordine. Pastorale necessita di un abbandono al ritmo di tutte quelle cose che ci cadono negli occhi e che risuonano sulla pelle. Pastorale è una percezione che arriva, un pensiero che nasce e si manifesta in un’esistenza.
1 note · View note