#Quant And Qual
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Mastering Social Media Analytics: Insights from a Leading Agency ABOUT THE EPISODE: In this episode, we delve into the intricate world of social media analytics with insights from a leading agency that employs a dedicated team of 137 analytics experts. Discover how understanding the unique dynamics of each platform is crucial for success in the digital landscape. With 2,000 employees, this agency demonstrates the sheer scale and importance of tailoring strategies for platforms like Instagram, TikTok, and Facebook.
https://www.onlinemarketingcash4u.blogspot.com Learn why the thumbnail on Instagram needs specific attention, how certain actions on TikTok can impact performance, and why carousel ads are currently a must on Facebook. This episode uncovers the shift from traditional marketing practices to a merit-based system where the quality of creative content is paramount. Marketers are now challenged to think beyond amplification and focus on creating content that naturally reaches and engages audiences. Join us as we explore the evolution of marketing strategies and the importance of leveraging analytics to drive success in today's competitive digital environment. Click here for this episode's website page with the links mentioned during the interview… https://www.salesartillery.com/marketing-book-podcast/mastering-social-media-analytics
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thesargasmicgoddess · 6 months ago
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Hanging with Hannibal Lecter is how I'm coping with having to complete a really moronic qualitative research project at the moment...🤣🤣
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animadiicristallo · 9 months ago
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fatemi domande✨️✨️🎀
1. sei triste?
2. ti piace viaggiare?
3. colore preferito?
4. cosa ti rende felice?
5. libro preferito?
6. quale posto vorresti visitare?
7. ti piace l'estate?
8. cosa ti rende triste?
9. sei innamorat*?
10. animale preferito?
11. di che colore di vesti più spesso?
12. profumo preferito?
13. che segno zodiacale sei?
14. l'ultimo sogno che hai fatto?
15. hai una tumblr crush?
16. come stai veramente?
17. che giorno compi gli anni?
18. paese che vorresti visitare?
19. di cosa avresti bisogno adesso?
20. ti piace la notte?
21. quanto spesso ti annoi?
22. hai qualche viaggio in programma?
23. ti piace il caffè?
24. film che ti ha particolarmente segnato?
25. vorresti dei figli in futuro?
26. gusto di gelato preferito?
27. quanti anni hai?
28. sei fiero di te stess*?
29. hai mai spezzato il cuore a qualcuno?
30. festività preferita?
31. sei una persona gelosa?
32. ti piace la pioggia?
33. ti piace la montagna?
34. hai mai tradito?
35. quanto sei alt*?
36. ti piace il tuo nome?
37. credi nel destino?
38. ti piace halloween?
39. fiore preferito?
40. sei una persona vendicativa?
41. quale mbti sei?
42. quante ore hai dormito?
43. la cosa che odi di più?
44. cosa cambieresti nel mondo?
45. sei una persona riservata?
46. motivo principale per cui sei qui?
47. ti piacciono i pistacchi?
48. gioco preferito?
49. dove vorresti essere adesso?
50. credi nella reincarnazione?
51. ti manca qualcuno?
52. hai mai letto piccoli brividi?
53. che canzone ascolti quando sei felice?
54. citazione preferita?
55. bevanda preferita?
56. cosa ti rende veramente felice?
57. qual'è la cosa più bella che qualcuno ti abbia mai detto?
58. un luogo che vorresti visitare?
59. ricordo d'infanzia più bello?
60. qual'è il tuo colore preferito e perché?
61. stagione preferita?
62. un sogno ricorrente che hai fatto?
(volevo provare questo gioco✨️)
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raccontidialiantis · 5 months ago
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A te non posso e non voglio dire di no
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"Tu mi apri sempre, petalo dopo petalo. Come la primavera apre la sua prima rosa." (Edward Estilin)
www.atenablogs.tumblr.com
Ti chiedevo per favore, con non poco imbarazzo e rossore sulle guance, di lasciarmi in pace. Perché ero e sono una donna sposata. Amavo e amo mio marito e la mia giovane famiglia, ma tu hai insistito da subito. Sorridevi e andavi avanti per la tua opera di seduzione. Tutto già deciso. M’hai confessato che già al colloquio preassunzionale ti eri invaghita di me a prima vista e perciò sei andata avanti a volermi far lavorare con te, a desiderarmi sempre di più e infine a corteggiarmi sfacciatamente ogni volta che eravamo da sole, come un rullo compressore. Femmina egoista e spudorata. Volevi e vuoi soltanto godere di me e del mio corpo giovane. Ti piaccio da morire, col mio scarso seno e la mia totale magrezza. Non ti interessa altro, al momento. Non hai hobby.
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Non sei mai stata sposata e hai sempre e solo perseguito il tuo esclusivo piacere carnale. Dio solo sa quanti cazzi hai fatto venire dentro la tua fica e il tuo culo, quanta sborra hai ingoiato: per egoistico piacere o per averne poi un vantaggio professionale. E quante donne hai fatto cadere innamorate di te a colpi di lingua sul tuo sofà, quanto miele hai prodotto per loro e quanto ne hai ingoiato avida. Da vecchia ed espertissima puttana quale sei, approfitti della mia condizione lavorativa di giovane avvocato e tua collaboratrice da poco assunta nell'affermato studio di cui sei l’unica titolare. E ti fai forte anche del fatto che subisco il tuo innegabile fascino di donna matura, perché sei un avvocato dalla tempra risoluta. Da sempre abituata a esercitare il tuo potere su chiunque, senza alcuno scrupolo e avvezza a vincere.
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Sono stata una facilissima preda, per le tue fauci di sessuomane predatrice, affamata senza alcuna remora di ordine morale. “La morale è un concetto relativo, mia cara: ognuno si fabbrica la sua, secondo opportuna convenienza; il resto è solo l’invidia di chi non può.” Questa è stata la tua prima lezione di vita vera per me, il tuo mantra personale. Sei conscia del fatto che io non posso rischiare che tu mi licenzi e quindi mi sottometto e mi piego al tuo volere. Collaboro e ti riempio di baci e mugolii di piacere a ogni tuo colpo di lingua o mano infilata nella mia fica. Le prime volte fingevo. Poi, già che c'ero, ho iniziato pian piano anche a godere. Tantissimo, devo dire. Anzi: malgrado il rimorso e il senso di colpa, dopo una settimana già non vedevo l'ora che arrivassero le sette di sera, perché in quella mezz'ora restavamo completamente sole nello studio.
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Devo dire onestamente che con te durante il giorno comunque imparo veramente tantissimo: mi stai formando e plasmando a tua immagine. Sei la migliore, oggettivamente. E mi hai già detto che quando andrai in pensione mi passerai lo studio, al prezzo simbolico di un euro. Allora ti prego: inizia e prendimi tutta. Fai di me quello che vuoi. Leccami la passera, sfasciamela e bevimi a volontà. Lecca il mio culo quanto ti pare. O fammi leccare il tuo ogni volta che vuoi, fino a farmi sentire come contrai l’ano per aspirarvi dentro la mia lingua. Catturamela e non lasciarla più. Approfitta di me: guarda che culo e che bellissima fregna di giovane donna sposata a un uomo forte e totalmente ignaro puoi avere a tua completa disposizione: è tua. Adorami. Inculami come vuoi.
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Pretendi che io sia la tua schiava personale e scopami con uno strap-on, con un dildo o con le mani. Infila nel mio culo tonico e scolpito qualsiasi cosa tu voglia, preferibilmente molto grande. Fammi soffrire e muovilo. E fa così che la mia passera si gonfi di piacere per te e che coli il mio nettare prezioso. Tu leccalo, assaporalo inghiottilo: è il mio regalo esclusivo. Solo per te. E poi a tua volta fatti sfondare ciò che conosco bene essere già ampiamente slabbrato e collaudato. Ordinami di leccarti tutta, dai piedi al buco del culo e alla fica. Io eseguirò: maltrattami e strizza i miei seni di giovane mamma. Bevi golosa il latte rubato a mio figlio piccolissimo dai miei capezzoli, ti supplico. Andiamo fino in fondo: fino a entrarci nel cervello l'un l'altra e a sfinirci reciprocamente di piacere.
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Ti scongiuro: iniziamo ad essere amanti ufficiali. Stasera. Ingoia tutto il miele prodotto dal mio inguine di femmina consumata dalla passione per te e godi del mio corpo fresco quanto ti pare, mia anziana, odiata ma viziosa, adorata troia. Ti voglio anch'io tanto, ormai. Baciami la bocca e leccami il collo, succhiami la fica e fatti leccare il culo e la passera a tua volta. Certo: è già tantissimo; ma io voglio ancora di più. Lo so già: presto vorrai anche essere inculata e scopata come si deve da me. E io già adesso adoro succhiare, mordere i tuoi capezzoli e torturare dolcemente le tue grosse mammelle un po’ cadenti. Perdo la ragione, quando tu lo fai ai miei seni appena visibili. Nessuna donna resiste alla voglia di alzare l'asticella, man mano che progredisce l'intimità con un'altra femmina che ci stia e che non veda l’ora anche lei.
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Si parte sempre con un semplice e amichevole bacetto sulla guancia. Poi si passa a un bacio casualmente rubato sulle labbra: l’imbarazzo di entrambe dura poco e cede il passo al turbamento e poi al desiderio dichiarato. Parte la fase dei messaggi roventi e degli scrupoli. Frasi d’amore e passione. Ci si sfiora presto volutamente un seno o il culo, scompaiono i rossori, le esitazioni e iniziano le voglie dichiarate, i baci torridi e le esplorazioni più ardite. Si finisce con l’amarsi nude e totalmente spudorate, per bere reciprocamente il nettare della donna bramata, elisir che penetrerà in gola e disseterà per un po' la voglia. Infine, ci si desidera senza più limiti e si cerca di possedersi l’anima reciprocamente. Con la crescita esponenziale di una gelosia irrazionale e inevitabile.
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Alle sette della sera tu chiudi a chiave la porta del tuo ufficio; per interfono dici alla segretaria che quando avrà finito le ultime cose potrà andare e che finirai la serata lavorativa con me. Quindi le chiedi di non disturbarci più per nessuna ragione da quel momento. Ti spogli e ti sdrai sul sofà; mi ordini di denudarmi. Non vuoi sentire scuse. Mi guardi come una leonessa guarda la sua gazzella quotidiana. Hai l'acquolina in bocca e ti brillano gli occhi, nel vedere il mio corpo perfetto nudo tutto solo per te. E quindi inizia la danza a due. Confesso che sentirmi tuo oggetto di desiderio sessuale un po’ mi lusinga. Ma mi sento ancora leggermente in colpa. Quando mi lecchi, succhi e poi ingoi il mio nettare, un po’ mi spiace, perché so che l'area “erotismo e sesso” sarebbe esclusiva competenza di mio marito. Ma ormai non mi importa più veramente. Amiamoci. Iniziamo questa storia torbida io e te, vecchia troia. Ora sono veramente pronta.
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RDA
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ilpianistasultetto · 7 months ago
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Bisognerebbe tornare a livelli più essenziali nei dialoghi giornalieri. Io, per esempio, non mi sforzo più quando parlo con la gente. L' ultima volta che mi è uscita una frase concettualmente alta, rubata da qualche lettura di Kant, cose tipo: "ma tu quante incertezze sei capace di sopportare?" - mi sono sentito rispondere: "ma tu voti PD?"
Azz!!..Cosi', per riequilibrare il dialogo e convincere l'interlocutore sul madornale abbaglio che aveva preso, ho svoltato su discorsi più seri: "quale gusto di gelato ti piace? Io amo la zuppa inglese".
Il dialogo si aperto su nuovi orizzonti, si è passati dai piaceri primordiali per le more dell'oratorio, alla nutella rubata di nascosto, alle grandi esultanze adolescenziali sul culo di una certa "Tiziana", amica comune e desiderio morboso mai risolto, anche perché la tipa aveva un carattere abbastanza scontroso.
Usare concetti semplici e parole chiare è l'unico modo per non essere equivocati. Credo sia utile anche nella politica riportare la lancetta alle scuole elementari, basta osservare certi personaggi e il loro approccio sulle tematiche urgenti, come riescono a banalizzare ogni discorso usando concetti alla portata di tutti. Senza risvolti intellettuali e diramazioni filosofiche, vanno diretti al punto: sei un comunista! - Abbiamo abbassato le tasse! - è finita la pacchia! - stiamo facendo la storia! - Le tasse sono un pizzo di Stato! - A te piacciono i migranti, a me no, portali a casa tua!
Frasi secche, senza giri di parole, roba da cinepanettoni, frasi che anche il più distratto, mentre intinge un cornetto nel cappuccino al bar e gli arrivano da un televisore acceso frasi tipo: "hanno tolto il crocifisso dalle scuole..." - "ci vogliono rubare il presepe..." - "ci vuole di nuovo la leva militare..." pensa: " forti questi, hanno proprio ragione. @ilpianistasultetto
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dreamwithlost · 8 months ago
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DIABOLICAMENTE ANGELICAL
❝Seu colega de trabalho era odiavel, ao menos era o que achava, até o dia que ele apareceu com o famoso cabelo platinado de protagonista 2D❞
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Jaehyun x Fem!Reader
Gênero: Enemies to lovers, fluffy
W.C: 1K
ᏪNotas: Assim como a prota tenho um fraco por personagem padrão de cabelo branco, então depois do meu surto com o Jaehyun, precisei escrever essa. Boa leitura meus amores ♡
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Jaehyun era uma das pessoas mais bonitas que você já havia visto. Odiava admitir isso sobre seu colega de trabalho folgado e irritante, mas era a verdade. Seus lábios estavam sempre ocupados, falando alguma besteira e atazanando seus ouvidos na loja de discos antigos, como um diabinho no seu ombro. A beleza diabolicamente angelical dele era algo que você poderia suportar, se não fosse por aquele fatídico dia.
— Está atrasado — Você reclamou, enquanto reorganizava algumas fileiras de discos, quando a porta se destrancou e o sino anunciou a chegada do pior funcionário do mês. — Saiba que...
Puta merda.
Olhar para Jaehyun travou todo o seu sistema nervoso. A luz da manhã refletia em seus ombros largos, e suas madeixas recém-descoloridas contrastavam com o sobretudo preto, que era a única proteção contra o clima gélido. Agora, ele parecia angelicamente diabólico.
— Eu sei, eu sei, vou ficar até mais tarde — Ele retrucou, revirando os olhos e jogando sua bolsa na velha cadeira perto da porta. Normalmente, você faria uma piada sobre alguém acabar roubando aquele item, mas não conseguia pensar em nada naquele momento.
Jaehyun passou por você, indo em direção ao caixa, e suas bochechas ruborizaram como se você tivesse quinze anos novamente. Era como voltar às suas paixonites por personagens de madeixas platinadas, amor que ainda permanecia extremamente forte, especialmente porque hoje você vestia uma camiseta do Gojo de Jujutsu Kaisen.
— Se atrasou por causa desse ninho de passarinho? — Surpreendentemente, sua boca ainda conseguiu fazer uma brincadeira enquanto seus sentidos tentavam se normalizar.
— Hm? — Jaehyun murmurou, passando uma das mãos no cabelo com um sorriso travesso. — Eu sei que você gostou.
— Não vi grande diferença.
Você deu de ombros, fingindo voltar a organizar os discos, mesmo já tendo terminado. Mesmo assim ainda sentiu os passos dele se aproximando e a feição travessa queimando suas costas.
— Pelo menos meu cabelo não tá manchado — Ele sussurrou cantarolando, passando por você novamente e deixando alguns fones sobre as mesas de teste.
Você instintivamente alisou seu cabelo, lembrando do último resquício de tinta vermelha que ainda permanecia, uma prova das suas experiências capilares às três da manhã. Nunca gostou de ir ao cabeleireiro; preferia cuidar das madeixas em casa, algo que às vezes dava certo, e outras, era um arsenal para Jaehyun.
— Pelo menos ele é bem hidratado, o seu deve estar só a palha — Você tentou revidar.
— Osh, filha, você tá com inveja! — O mais alto disse, virando-se para você com uma indignação exagerada, balançando o cabelo tal qual uma diva pop.
Foi impossível para você não rir com a cena.
— Ala! Quase não mexe! — Você zombou, apontando para o Jeong como uma criança.
Não esperava que ele levasse a crítica tão a sério, agarrando seu pulso e fazendo sua mão acariciar o topo de sua cabeça. Você ficou sem palavras por alguns segundos, sentindo os dedos deslizando pelos fios sedosos, sedentos para fazer um cafuné naquela pequena amostra de neve.
— Viu? Sedozinho — Jaehyun se vangloriou.
— Pior que tá mesmo — Jaehyun não segurava mais seu pulso, mas seus pensamentos intrusivos dominavam sua mente, e sua mão continuou ali, agora, acariciando algumas vezes o cabelo do rapaz que estava levemente inclinado para baixo.
E, assim como aquela ação repentina veio, foi embora. Você se afastou rapidamente, corando intensamente. Pigarreou algumas vezes, torcendo para que ele não achasse a cena tão estranha quanto havia sido, e principalmente para que seu cérebro deletasse aquele momento. O que estava pensando? Era... só o Jaehyun, o odiavelmente belo Jaehyun.
— Acho que não ficou tão ruim assim, você até tá vermelha — Jaehyun não deixou passar em branco, sorrindo provocadoramente enquanto se aproximava novamente.
Você, nervosa, bateu em uma das estantes de disco, assustando-se com o barulho e corando ainda mais de vergonha.
— Deixa de ser besta, Jaehyun — tentou manter a postura, olhando descontroladamente ao redor. — Vai trabalhar.
Surpreendentemente, ele realmente se afastou, indo até o caixa pegar alguns itens que estavam guardados no balcão. O silêncio entre vocês se tornou quase palpável, interrompido apenas pelo tilintar dos discos.
— Eu pintei por sua causa — Jaehyun disse após alguns minutos, com a calma mais absurda do mundo, enquanto organizava coisas que claramente não precisavam de arrumação.
Você, por outro lado, finalmente tomou coragem para encara-lo, surpresa com a confissão.
— Você disse uma vez que era gamadinho por personagens de cabelo branco.
— Talvez — Você repetiu, tentando manter o tom leve, mas seu coração acelerava.
Jaehyun parou de organizar o grande vazio e levantou os olhos, o sorriso ladino se ampliando.
— Então, se eu sou um personagem agora, você precisa ser a protagonista da minha história.
— É, mas você é o vilão — Você respondeu, forçando um tom desdenhoso, mas a provocação deixou uma ponta de desejo no ar.
— Vilão ou herói, quem se importa? O importante é que estou aqui, e você também — Ele deu a volta pelo balcão, se aproximando de você mais uma vez, seus olhos pareciam um imã fixados nos seus.
— Ah, não venha com essa! — Você desviou o olhar, tentando disfarçar a crescente atração, talvez fosse acabar infartando ali mesmo. — Isso não faz sentido.
— Faz sim — Ele disse, inclinando-se um pouco, provocando uma onda de calor no seu rosto. — No fundo, você adora minha companhia, mesmo me odiando.
— Odiar é uma palavra forte — Acabou confessando, sem conseguir evitar o sorriso que surgia.
— Então, que tal a gente testar? Um encontro, só para ver quem realmente odeia quem? — A proposta saiu de seus lábios como uma provocação, mas você sentiu que havia um toque de sinceridade.
— Um encontro? E se eu não voltar? — Você brincou, cruzando os braços.
— Aí eu vou ter certeza de que sou irresistível. — Ele piscou, e você riu, odiava quando ele a fazia rir, era tão bom.
Você hesitou, sabendo que havia algo entre vocês que ia além de todas essas desavenças fingidas.
— Tudo bem, eu aceito. Mas não espere que eu vá facilitar as coisas.
— Eu gosto de desafios. — Ele sorriu, mais confiante. — E pode apostar que não vou deixar você escapar tão fácil, literalmente pintei o cabelo pra isso.
Empurrou o rapaz para longe, em um tom de brincadeira, e fingiu voltar ao seu trabalho. Você precisou se controlar naquele momento para não elevar ainda mais o ego do platinado ao dizer que: teria aceitado sair com ele não importava a cor de seu cabelo.
Ele já era, no fim, um personagem: o bonitinho sarcástico.
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raffaeleitlodeo · 7 months ago
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Discorso tenuto da Daniele Leppe davanti al papa nella Basilica San Giovanni in Laterano, in data 25 ottobre 2024.
Ringrazio Sua Santità e ringrazio il Vicariato di Roma per questa opportunità unica. Nel ringraziarLa Le rappresento una realtà invisibile, quella di una trincea dove anche Dio ha abbandonato tutti.
Credo di essere la persona meno adatta a raccontare il disagio che vivono le nostre periferie.
Nella vita di tutti i giorni faccio l’avvocato. Sono nato in un quartiere popolare di Roma, figlio di un impiegato e di una casalinga, una famiglia semplice che mi ha dato la possibilità, con molto sacrificio, di studiare. Per questo ho deciso di restituire ai quartieri dove sono nato e cresciuto un po’ della fortuna che ho avuto. Ho messo a disposizione la mia professionalità per aiutare le persone più semplici, gli ultimi quei dannati che non sanno di esserlo, gli abitanti dei quartieri popolari di questa città, troppo spesso dimenticati, che troppo spesso tornano ad essere cittadini come gli altri solo in occasione delle campagne elettorali.
Al di fuori della mia attività lavorativa, esercito il mio volontariato professionale in due quartieri difficili di Roma: Tor bella monaca e il Quarticciolo.
Il primo, nato nei primi anni ‘80, rappresenta l’ultimo intervento di edilizia pubblica fatto nella capitale, che doveva essere un quartiere modello e che, invece, è diventato il terzo carcere a cielo aperto della capitale: ci vivono ben 800 persone agli arresti domiciliari.
Il secondo, il Quarticciolo, anch’esso ultimo quartiere popolare edificato, ma questa volta durante il fascismo, negli anni 40, che è rimasto tale e quale a 80 anni fa.
A Tor bella monaca collaboro con l’associazione Tor Più Bella di Tiziana Ronzio; una donna che da sola combatte una lotta senza sconti, e per questo paga lo scotto dell’isolamento umano, contro gli spacciatori, che dispensano la vita e la morte in quel quartiere. Tiziana è riuscita, da sola, a liberare dal controllo della criminalità organizzata il suo palazzo, in via santa Rita da Cascia, con un effetto domino su tutto il comprensorio di case che costeggiano la via.
Ha lottato per i suoi figli e per le persone che vivono nel suo palazzo, e per questo paga un prezzo altissimo.
Vive sotto scorta ogni ora della sua giornata perché la sua vita è in pericolo. Non può uscire da sola nel quartiere. Riceve continue minacce da parte della criminalità organizzata mentre le Istituzioni non riescono ad andare al di là di una solidarietà formale.
Non sappiamo nemmeno quante persone abitino in quel quartiere.
Le statistiche parlano di 28000 persone, ma poiché molti degli immobili pubblici sono occupati, i dati non corrispondono alla situazione reale. Nel quartiere ci sono 14 piazze di spaccio. Gli spacciatori, il primo datore di lavoro del quartiere, pagano le vedette, i pusher; le famiglie che nascondono la droga nel proprio appartamento, corrompono l’anima dei giovani e privano le persone di un futuro dignitoso.
C’è una presenza altissima di ragazze madri con figli nati da relazioni diverse, con mariti ristretti in carcere. Di anziani disabili. Di povertà, educativa e alimentare. Accanto a un tessuto sociale straordinario colpisce, nell’anno giubilare, l’assenza delle Istituzioni, che intervengono nel quartiere solo come forza repressiva e per questo sono viste come nemiche, incapaci di comprendere il disagio e le difficoltà di chi vive nella povertà.
Sembra di assistere ad una sorta di tacito patto sociale in questa città.
Nei quartieri poveri della capitale viene lasciata vita facile alla criminalità organizzata più invadente, per consentire agli abitanti della Roma bene di vivere in tranquillità.
La mia attività, in realtà, non è tanto giuridica: il più delle volte mi occupo di collegare i fili immaginari fra i poveri diseredati e le Istituzioni, per risolvere problemi che altrove sarebbero semplici, ma che in condizioni di povertà diventano insormontabili.
Le condizioni di degrado umano, abiezione, povertà, sono indicibili.
Donne che vendono il proprio corpo per comprare la droga, genitori in mano ad usurai per pagare i debiti contratti dai figli, bambini che crescono con i nonni, famiglie distrutte dalla droga e dalla povertà.
Quattro mesi fa ho partecipato ad una messa tenutasi in ricordo di un bimbo morto nel quartiere a causa dei ritardi nei soccorsi provocati dalla rottura di un ascensore e di una ragazza morta investita lungo via di Torbellamonaca.
La messa si teneva di domenica mattina, dietro la famigerata R5, un complesso popolare situato in via dell’Archeologia attualmente in ristrutturazione. Per entrare nel complesso ho contato 4 ingressi. Ognuno di questi ingressi era presidiato da spacciatori che, come in una sorta di confine immaginario, segnano l’ingresso fra il dentro e il fuori. Questo accadeva in pieno giorno, senza alcun imbarazzo, a pochi chilometri da qui.
Quando iniziai a lavorare nel quartiere ho conosciuto una donna che viveva prigioniera degli spacciatori. Il figlio aveva contratto un debito con uno di essi. Non riuscendo a pagarlo, è fuggito. Alla madre hanno bruciato l’attività imprenditoriale per vendetta. Non sa dove è andato a vivere il figlio e non vuole saperlo. Lo fa per proteggerlo. Lo sente solo con telefoni usa e getta. Lei continua a vivere nello stesso quartiere dove è cresciuto il figlio e dove riceve le minacce dei criminali per il debito contratto del figlio. Sembra un altro mondo. Siamo a 10 km da San Giovanni. Non sembra di essere in un paese ricco, in una democrazia liberale.
Il Quarticciolo, invece, è l’esempio dell’abbandono pubblico - né più né meno come Tor bella monaca - e della capacità delle persone di reagire, costruendo una speranza concreta per i più poveri.
Li collaboro con un’associazione; Quarticciolo ribelle, composta da ragazzi e ragazze che, finita l’università, hanno deciso di andare a vivere in quel quartiere, cui si dedicano giorno e notte.
Anche il Quarticciolo è una nota piazza di spaccio di Roma.
Come tutti i quartieri di edilizia popolare, la povertà economica e sociale e l’abbandono del patrimonio pubblico da parte delle Istituzioni costituiscono l’humus ideale per la proliferazione della criminalità.
In quel quartiere gli spacciatori smerciano la loro roba seduti su comode sedie agli angoli delle strade, in particolare vendono crack, che trasforma i ragazzi che ne fanno uso, in zombie che girano come morti per il quartiere. È un quartiere dove la polizia di Roma capitale ha paura ad entrare e ha bisogno di un parcheggio privato per i propri poliziotti per evitare che le macchine siano vandalizzate, dove gli spacciatori minacciano gli operai delle ditte dell’Ater in occasione dei interventi per la manutenzione degli stabili, e tanto altro ancora.
I ragazzi di Quarticciolo Ribelle costruiscono, invece, giorno per giorno, un’alternativa possibile, con il loro esempio e con le loro attività.
Nel quartiere hanno realizzato una palestra popolare dove i bambini e le bambine sono seguiti, direi accuditi, e tenuti fuori da ambienti malsani.
I familiari i che non possono permetterselo, non pagano rette. Questi ragazzi, che come detto si sono soprannominati Quarticciolo Ribelle, hanno organizzato il doposcuola per i bambini.
Hanno creato, nel deserto, un ambulatorio sociale che interviene laddove lo Stato arretra.
Cercano di creare lavori, fornendo un’alternativa concreta, con un birrificio, una stamperia.
Come dicono loro, dove tutto chiude, noi apriamo.
Supportano le famiglie nei colloqui con i servizi sociali e nei colloqui scolastici.
Collaborano con l’università nell’immaginare un possibile alternativa.
Coprono buchi.
Danno ovviamente fastidio. Innanzitutto alla criminalità, che prospera laddove è maggiore il bisogno. Ma anche alle Istituzioni. Sono sentinelle attive che denunciano, senza sconti, le loro mancanze, le loro lacune.
Raccontano di come i prezzi delle case, sempre più insostenibili, allontano i poveri dalla loro città, trasformata in una Disneyland per ricchi e turisti.
Collaboro con associazioni scomode con problematiche insostenibili.
Perché la povertà e l’abbandono sono scomode.
È più facile costruire una cancellata, un recinto, un ghetto, per occultare la realtà che dare risposte concrete ai bisogni dei poveri.
Con tristezza infinita sono costretto a constatare che gran parte degli interventi pubblici delle Istituzioni per onorare il giubileo, nato anche per la promozione della dignità di ogni persona e per il rispetto del creato, non siano stati investiti e utilizzati per dare dignità agli abitanti più sfortunati della nostra città ma per rendere più comodi, belli e sicuri i quartieri bene della Città Santa che santa non può essere se non apre gli occhi sulle povertà diffuse che la popolano.
#roma
#giubileo
#periferie
#realtà_vs_belleparole
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lamiaprigione · 6 months ago
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La vita, proprio la vita
e io ho aspettato
Ha piovuto tutta la sera, tutta la notte e io ho aspettato ma tu non sei arrivata, e se qualcuno è arrivato certo non eri tu sono uscito in strada o sul balcone, non ricordo, e la pioggia scendeva, senza tregua, tutta la sera, tutta la notte, a meno che non siano state le stelle ad arrivare il cielo, l’eterno, il tempo dal principio, che è arrivato e mi è passato attraverso, così che la pioggia, se è piovuto, è arrivata e tu no, e io non ho mai detto a nessuno quanto è stato doloroso aspettare, quanti dischi ho suonato e tutte le canzoni parlavano di te, anche quelle che non parlavano affatto di te, anche il cielo parlava di te e il tempo, l’eterno, la pioggia, o se non di te della tua assenza, perché non sei arrivata e quella notte ho compreso il vero significato di buco nero, non solitudine, non dolore, non tragedia, non sole morto, ma qualcosa del genere, perché un buco nero è quando non arrivi quando decidi di vivere senza di me
no, non l’ho mai detto a nessuno, con quale dolore ho atteso, quanto è stata lunga la notte, che ogni minuto mi entrava dentro come un coltello smussato
e si piantava lì, che la notte mi si era avvolta intorno al collo come filo spinato, poi è arrivato il giorno e ha stretto più forte
Identico è il cielo, identico è il tempo e l’eterno è eterno, credo che sia una sequoia, ma forse non hai mai dovuto aspettare qualcuno che non è arrivato a meno che invece l’abbia provato e questo sia il motivo per tutti i buchi neri del cosmo, trecentomila all’ultimo conteggio
ecco quante volte non sei arrivata
Ricordo che non volevo sopravvivere alla notte, nemmeno vedere un nuovo mattino sorgere senza di te, avevo vent’anni e qualcosa e volevo morire
Come puoi continuare a battere chiedevo al cuore, nella tenebre del sangue
troppo giovane per sospettare che il cuore è il più vecchio muscolo del mondo, è un trattore ostinato, un pulsar costante
ma per molti mesi, molti, molti lunghi mesi, sei stata tu il mio inizio e la mia fine, chiudevo gli occhi e vedevo solo te che quella notte non sei arrivata, non hai risposto quando ho telefonato, e due giorni dopo ecco una lettera, scritta con una penna nera, diciamo una lettera da parte dell’amore, con l’inchiostro di un buco nero
Trent’anni più tardi salgo su un autobus ed eccoti lì, seduta davanti con in braccio un nipotino di tre anni, forse quattro, sei seduta con lui come a chiedere scusa per non essere arrivata quella notte di dicembre di tanto tempo fa quando la pioggia o le stelle sferzavano i vetri in Karlagata, mi si piantavano in fronte e l’eterno si era tramutato nella tua assenza e pensavo di morire
Ma se ti ricordi, il cuore è un trattore ostinato per questo posso prendere quell’autobus trent’anni dopo, vivo, con la barba, qualche cicatrice lasciata dalla vita, e tu sei lì e la vita, proprio la vita sta in mezzo tra me e te
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occhietti · 1 year ago
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Ognuno sa quale giostra sia la propria vita.
Quante lotte, gioie, paure, sogni, dolori...
- serafinobandini, Twitter
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pazzoincasamatta · 9 months ago
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"Quale livello di incapacità esprime un politico che non faceva altro che dire 'alla prima riunione del Consiglio dei Ministri cancellerò la Fornero'? E sono passati 12 anni. Quanti Consigli ha fatto Salvini, quante schifezze ha adottato? La verità è che di pensioni non ne capisce niente"
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arreton · 2 days ago
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Normalmente non ci faccio nemmeno caso, se non di tanto in tanto, mi fermo e mi dico: ehi, ma siamo già a questo mese dell'anno o questo mese sta già per finire; non tengo tanto conto dei giorni della settimana o dei mesi se non sporadicamente, spesso perdo anche la consapevolezza di che giorno della settimana siamo. Tuttavia da giugno ci saranno un sacco di cose nuove fino alla fine dell'anno e dato che siamo all'ultima settimana di maggio non posso non farci caso al tempo. Mi focalizzo sui cambiamenti che avverranno da giugno, sul dinamismo che acquisteranno i miei giorni e la prova di adattamento che dovrà affrontare la mia psiche, ma proprio sabato, proprio in quel viaggio a vuoto al mercato di paese mi ha fatto notare quanto effettivamente sia mutata e dunque di quanto movimento ci sia stato in verità nella mia mente. Non voglio usare la parola cambiata perché sembra che dal nero si passi al bianco o viceversa, ma preferisco la parola mutare perché mi sembra che evidenzi meglio il percorso che c'è nel mezzo tra il prima ed il dopo. Anche perché non penso che si possa effettivamente arrivare ad un dopo, o almeno non è questo ancora il caso. Tuttavia nel corso di questi anni più difficili del solito si è innescato un processo di cambiamento che noto in maniera palese soltanto adesso. Quel viaggio a vuoto al mercato che io ho giustificato col vedere qualche capo estivo che costasse poco, in verità si è rivelato un momento di resoconto con quella che sono stata e quella che sono adesso. Riaffioravano ricordi ed il processo del ricordare per me è doloroso, il presentarsi delle immagini del passato chiama subito in causa l'angoscia prima ancora delle parole e ad un certo punto, camminando in maniera confusa, mi sono detta che non è vero che non ricordo ma che non so affrontare i miei ricordi e la mia psiche preferisce non ricordarli nitidamente lasciando tuttavia passare le sensazioni. Piccola nota a margine musicale: proprio mentre prendevo coscienza di questa essenza del ricordare in me, ascoltavo questa canzone dove ad un certo punto proprio all'inizio dice “It is not that I’m not feeling | I’m feeling too much”, direi si adattava benissimo al momento. Dicevo sto notando solo nell'ultimo periodo, e soprattutto in maniera sorprendente sabato, quante cose effettivamente in me hanno mutato forma: inizio a rimproverarmi meno, a vedere le situazioni e le cose non necessariamente sotto un occhio malevolo ma apprezzandone quel che di positivo possono darmi, sto iniziando insomma a distinguere anche il bene oltre al male. Uno dei pensieri che facevo mentre camminavo era “io prima ero tale e quale a loro, ipocrita e pezzente” e se all'inizio il pensiero era doloroso poiché accompagnato dal sottofondo di “ma come potevo essere così?!” ad un certo punto ha mutato angolazione facendomi notare che invece adesso sono molto diversa e allora mi sono detta “meno male che sono me, se il rischio era di essere come loro”. Mi piace pensare che forse si sia chiuso un cerchio con questo paese, questa gente, e che io abbia iniziato a chiuderlo già dall'anno scorso ad agosto quando sono tornata qua. E questo cerchio l'ho chiuso proprio sabato, quando passeggiando ho messo una distanza tra quella che sono io e che sono sempre stata e quello che invece sono loro. E se il pensiero iniziale era “ma perché sono venuta, questa gente non la reggo, i ricordi non li reggo” e volevo scappare, successivamente si è trasformato, la tensione si è alleggerita: non possono farmi nulla.
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romyy999 · 11 months ago
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Quante volte ti sei sentito inadatto?
Quante volte ti sei sentito fuori luogo?
Quante volte ti sei sentito di non essere abbastanza?
Quante volte hai sorriso mentre dentro cadevi a pezzi?
Quante volte hai ferito te stesso trattendo le parole che avresti dovuto dire agli altri?
Quante volte sei stato con la mano sulla bocca per non farti sentire mentre piangevi?
Quante volte hai detto di stare bene quando in realtà stavi malissimo?
Quante volte hai pensato a quale fosse il modo meno indolore per morire e toglierti di mezzo?
Quante volte hai lottato e lotti contro i tuoi pensieri?
- romyy999
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officialfurbyposts · 5 months ago
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Tumblr media
Posted on the 6th of January, 2018 by the Italian Facebook account
Mmm, quante cose buone! 😛 A quanto pare il nostro #Furby ha tanti dolcetti da distribuire! E voi, quale Furby vorreste trovare nella #calza?
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curiositasmundi · 4 months ago
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Alla voce ‘temibile’, sul Vocabolario della Lingua Italiana Treccani si legge: “che è da temere, che si può o si deve temere”. Nel parlare comune è un aggettivo che usiamo con una certa leggerezza, propendendo più per il significato di “si può temere”, cioè non è insensato averne paura. Ma quando a essere definite ‘temibili’ sono alcune sostanze inquinanti, e l’aggettivo viene usato in tribunale, il significato tende di più dalla parte di “si deve temere”: bisogna averne paura.  Il riferimento è a una famiglia di sostanze chimiche che vengono indicate con una sigla, i PFAS, che sta per “perfluorinated alkylated substances”, cioè “sostanze perfluorurate alchilate”. E il contesto è quello di un processo in corso a Vicenza, perché proprio nel territorio della sua provincia, un’azienda ha inquinato con i PFAS la falda acquifera e le acque potabili di una vasta area di Veneto.
Una storia lunga quarant’anni
L’azienda sotto accusa è la Miteni che aveva il proprio stabilimento a Trissino, in una posizione strategica dal punto di vista delle acque. Proprio lì sotto, infatti, si trova una delle falde acquifere sotterranee più grandi del continente, dalla quale almeno tre aziende che si occupano dell’estrazione di acqua potabile, quella che arriva nei rubinetti delle case, prelevava il necessario per soddisfare i bisogno di oltre 350 mila abitanti sparsi in un’area di più di 180 km2 che si allarga anche nelle province di Verona e Padova.
Tumblr media
Le prime avvisaglie di sversamenti inquinanti risalgono al 1977, quando dai rubinetti della zona esce acqua gialla che ha allarmato la popolazione. La Miteni era attiva solamente da 12 anni, inizialmente con il nome di RiMAr (Ricerche Marzotto) poi diventata Miteni quando è stata acquistata da Mitsubishi e EniChem. Miteni produceva composti fluorurati, i PFAS appunto, sostanze di sintesi, ossia che non esistono in natura, ma che nel corso dei decenni hanno trovato tantissimi impieghi grazie alle loro caratteristiche chimiche: dalle pentole antiaderenti agli indumenti e alle scarpe impermeabili, ma anche come componente di materiali ignifughi e da imballaggio. Oggi è quasi impossibile sapere anche solo quante sostanze diverse facciano parte di questa famiglia. Solitamente si parla di un numero tra i 7 e i 12 mila, mentre nuove formulazioni continuano a essere messe a punto, e alcune tra le prime a essere state prodotte (PFOA, PFOS, etc) sono state già vietate da anni. A renderli unici è proprio la loro grande stabilità, motivo per cui i PFAS sono stati anche definiti “sostanze inquinanti eterne”: una volta finiti nell’ambiente vi rimangono inalterati per tempi lunghissimi e la loro rimozione non è molto semplice. Per questi motivi, PFAS più vecchi, anche se vietati da oltre quindici anni, sono ancora in circolazione
Nel vicentino e nelle altre aree interessate dall’inquinamento di PFAS, la popolazione ha mostrato problemi di salute dopo che per anni ha bevuto, utilizzato per cucinare e irrigare orti e campi acqua che li conteneva. La ricerca scientifica ha, a oggi, legato queste sostanze all’aumento dei livelli di colesterolo, ad alterazioni nel  fegato e nella tiroide, interferenza con il sistema immunitario e riproduttivo, ad alcuni tipi di tumore, oltre che alterazioni della coagulazione del sangue, interferenze con il ciclo mestruale e la produzione di testosterone.
[...]
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laskaboy · 8 months ago
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Lel
Ci sono persone che non lasciano mai veramente la nostra vita, anche quando non ci sono più. Lel è una di queste. Non importa quanto tempo sia passato, quante persone siano entrate e uscite dal mio mondo. Lei rimane lì, come un’eco costante, un pensiero che torna ogni volta che il cuore cerca rifugio in ricordi lontani. E ogni volta che la mia mente si ferma su di lei, mi ritrovo a rivivere tutto.
Lel era il mio primo amore. Il primo vero amore, quello che ti esplode dentro senza preavviso, che ti travolge come un’onda e ti trascina con sé, senza lasciarti il tempo di capire, di resistere. Non sapevo come comportarmi, non ero pronto. E neanche lei lo era. Eravamo due anime acerbe, immature, intrappolate in una relazione che ci consumava e ci faceva male, ma dalla quale non riuscivamo a staccarci. Ci amavamo tanto, ma non sapevamo come farlo bene.
C’erano momenti di pura felicità, attimi in cui mi sembrava di vivere in un altro mondo, uno dove esistevamo solo io e lei. Quegli attimi erano carichi di passione, di una tensione che solo chi ha amato per la prima volta può capire. Ogni tocco, ogni sguardo, ogni parola sembrava portare con sé un significato nascosto, un’intensità che faceva male, ma che era irresistibile.
Ma c’erano anche le ombre. Le provocazioni, i tradimenti, le incomprensioni. Eravamo troppo giovani per capire quando fermarci, troppo orgogliosi per chiedere scusa, troppo pieni di noi stessi per riconoscere i nostri errori. Litigavamo spesso, ci facevamo male con le parole, con i silenzi. Eppure, ogni volta tornavamo insieme, come se non potessimo farne a meno. Era come un vortice, una spirale che ci risucchiava, ci teneva legati, anche quando sapevamo che ci stavamo distruggendo.
Le discussioni sotto casa sua erano diventate un rituale. Ogni volta che qualcosa non andava, scendevamo per strada, sotto quell’albero che aveva ascoltato troppi dei nostri segreti, delle nostre paure. Ci guardavamo, con rabbia e amore mescolati insieme, e cercavamo di trovare una soluzione. Ma la soluzione non c’era mai davvero. Alla fine, ci abbracciavamo, sempre, come se quell’abbraccio potesse cancellare tutto, come se bastasse stringerci forte per risolvere le crepe che continuavano a formarsi tra di noi. Ma non bastava. Le crepe restavano, si allargavano, e noi ci facevamo sempre più male.
Nonostante tutto, mi manca. Lel è stata la prima persona che mi ha fatto sentire vivo in un modo che nessun altro ha mai fatto. Mi manca il suo odore, quel profumo forte che riempiva l’aria ogni volta che le stavo vicino. Mi manca il modo in cui sorrideva, anche quando eravamo arrabbiati, come se sapesse che, nonostante tutto, ci saremmo ritrovati. Mi manca il modo in cui mi stringeva, come se volesse tenersi aggrappata a me per non perdersi.
E la penso. La penso quasi sempre. Di giorno, di notte, nei momenti di solitudine, nei momenti di felicità. Lei è lì, sempre presente, come una parte di me che non riesco a lasciar andare. La sogno spesso, e quei sogni sono così reali che a volte mi sveglio confuso, cercando di capire se davvero l’ho rivista, se davvero è stata di nuovo con me. L’ultima volta l’ho sognata uscire di casa, proprio sotto la sua vecchia casa, in quella stradina che conosco troppo bene. Mi ha abbracciato, e in quel sogno ho sentito di nuovo il suo odore, la sua pelle. Era come tornare indietro nel tempo, come se non fosse passato neanche un giorno. Ma poi mi sono svegliato, e lei non c’era. E quel vuoto mi ha colpito come un pugno nello stomaco.
So che non la rivedrò mai più. Lo so, perché la Lel che amavo non esiste più. Sono passati dieci anni, e il tempo cambia le persone, le trasforma. Se la incontrassi oggi, non sarebbe la stessa persona. E forse nemmeno io lo sarei per lei. Quello che amavo, quello che mi manca, è la Lel di allora, quella ragazza che mi ha insegnato cosa vuol dire amare e soffrire allo stesso tempo.
Ma c’è una parte di me che non riesce a smettere di sperare, che non riesce a spegnere quella piccola fiamma che ancora brucia per lei. Torno spesso sotto casa sua, anche se so che probabilmente non la vedrò mai più lì. Ogni tanto ci passo per caso, o per lavoro, e ogni volta il mio cuore accelera, come se stesse aspettando di rivederla. Ma la casa è vuota, come se fosse stata spogliata di tutto ciò che una volta significava per me.
Lel è diventata un ricordo, un ricordo che mi accompagna ovunque vada, un ricordo che non posso cancellare, anche se ci provo. Forse, in fondo, non voglio nemmeno farlo. Forse, tenerla con me, anche solo come un pensiero costante, è l’unico modo che ho per sentirmi ancora legato a quei giorni, a quella parte di me che si è persa con lei.
Le nostre vite sono andate avanti, ma una parte di me è rimasta lì, in quel passato. In quei baci rubati, nelle notti trascorse insieme, nelle liti, negli abbracci, in tutto quello che eravamo. E anche se so che non potrò mai tornare indietro, anche se so che quella Lel non esiste più, il suo ricordo continuerà a vivere in me. Perché il primo amore non si dimentica mai. Non si può.
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canesenzafissadimora · 4 months ago
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"Siamo fatti per vivere. I lutti ci gettano nel vuoto, ma in quella disperazione c’è la luce del passato".
Da quello che alcuni suoi allievi raccontano, sarebbe stata questa l’ultima parola di Jacques Lacan.
Fine dei giochi, azzeramento, sparizione.
Non a caso l’ultimo dei suoi celebri Seminari porta come titolo premonitore Dissoluzione. Annuncio non solo della fine della sua Scuola
– che egli scioglierà, appunto, poco prima di morire.
–ma anche della fine della sua presenza in questo mondo. Annuncio, appunto, della sua imminente scomparsa.
Scomparire è una forma radicale della separazione.
Quando mancano le parole, quando c’è troppo dolore, quando tutto appare compromesso, quando tutto è divenuto impossibile da sopportare, quando si è alla fine delle nostre forze, quando è accaduto l’irrimediabile, quando muore qualcosa in cui abbiamo profondamente creduto, allora la separazione può assumere la forma netta e gelida della sparizione.
«Scompaio» significa interrompere per sempre i legami con il mondo così come l’ho conosciuto.
L’ascia del tempo ha tagliato d’un solo colpo la corda che ci legava alla vita.
Non resta che scomparire, farla finita, spegnere tutto.
Nel caso della morte questa scomparsa non è – fatta eccezione per i soggetti suicidari, che decidono di darsi la morte – l’esito di una scelta, ma quello di una condanna, di un’imposizione subita.
Non sono mai “io” che decido di scomparire, ma è la legge della morte che lo esige. Non c’è più tempo per me, non c’è più tempo per la mia vita.
La morte ci costringe a scomparire, a dissolverci, a ritornare, come direbbe ancora il Qoèlet biblico, alla polvere dalla quale proveniamo.
Il cerchio si chiude: l’essere, uscito dal nulla, ritorna nel nulla. Accade agli uomini, come ci ricorda sempre il Qoèlet, allo stesso modo in cui accade ai cavalli, ai cani, alle formiche, ai leoni, agli uccelli nel cielo.
Quante volte abbiamo sentito dire:
«È scomparsa», «È scomparso», come a sottolineare che chi se n’è andato ha sciolto ogni legame con noi, non è più reperibile, raggiungibile, non può più essere contattato.
E quante volte abbiamo avuto difficoltà a trovare le parole giuste per commentare questo
annuncio.
Impossibile, infatti, trovarle. Meglio tacere.
Non a caso Roland Barthes, in Frammenti di un discorso amoroso, ha descritto la separazione come l’allontanamento nello spazio di due navicelle che non possono più intercettare i messaggi dell’una verso l’altra.
Allontanamento siderale, distanza incolmabile, scomparsa dal radar.
Si scompare come l’aereo precipitato a Ustica o come l’inquietante colonnello Kurtz in Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. È vero:
la scomparsa, se vuole essere davvero tale, deve occultare la traccia, deve impedire il ritrovamento o il ritorno.
-Prova a scomparire seguendo questa modalità anche il protagonista di un noto romanzo di Georges Simenon dal titolo La fuga del signor Monde, che dall’oggi al domani decide di lasciare bruscamente l’ordine borghese e indifferente della sua famiglia. Ritira tutti i soldi che ha sul conto e prende il primo treno, senza dare spiegazioni a nessuno.
-Accade al protagonista di Dissipatio H.G. di Guido Morselli che, dopo aver tentato di suicidarsi, ritorna nella sua città pronto a ricominciare a vivere ma, beffardamente, non trova più nessuno: tutto il genere umano (H.G. sta per Humani Generis) si è nel frattempo dissolto, si è dissipato senza alcuna ragione, è sparito dalla faccia della terra.
La scomparsa è una separazione che viene spinta verso il suo fondo più oscuro. Non ci sono più tracce di chi se n’è andato, non ci saranno più contatti, non ci sarà più alcuna possibilità di ritrovamento.
Questo significa che chi scompare se n’è andato davvero senza lasciare nulla di sé, senza desiderio di ritornare né speranza di essere ritrovato, con la volontà determinata di non appartenere più al mondo cui apparteneva.
Tutto questo sembra risuonare nell’ultima parola attribuita a Lacan: «Scompaio». Trascinare via con sé tutto quello che si è stati, nessun resto, nessuna traccia, nessuna nostalgia.
--La vita come separazione--
La morte fisica del nostro corpo non è la sola esperienza che noi possiamo fare della morte.
Esistono infatti innumerevoli morti che costeggiano le nostre vite.
Questo significa che ciascuno di noi ha fatto molteplici esperienze di cadute, separazioni, scomparse, abbandoni, perdite.
La nostra vita appare circondata da tutte le perdite che l’hanno segnata, dalle ferite che le separazioni le hanno impresso, dai fantasmi dei nostri morti.
Per la psicoanalisi le esperienze che annunciano quella della morte sono associate all’angoscia di castrazione.
Non a caso Freud descriveva il divenire della vita umana come una serie successiva di tagli:
-dalla placenta
-dal cordone ombelicale
-dal seno
-dalle proprie feci
-dalla propria madre
-dal proprio corpo infantile, eccetera.
In ognuno di questi passaggi evolutivi qualcosa è destinato a perdersi irreversibilmente.
Per questa ragione nel mito biblico l’umano (Adam), per poter entrare in un legame con l’Altro (Eva), deve essere in primo luogo tratto fuori da se stesso, deve poter perdere una parte di sé (la famosa “costola”), deve esporsi alla propria mancanza e alla dinamica del desiderio che lo conduce verso l’altro da sé.
Ma come accade, per esempio, nello svezzamento, non è solo l’oggetto (il seno) che si stacca dal soggetto, ma è anche un pezzo del soggetto che in questo tempo
di separazione si perde a causa della perdita dell’oggetto.
Ogni taglio ha topologicamente due bordi:
+la separazione non si limita a dividere il soggetto dall’oggetto perduto, ma lo divide altresì da una parte di se stesso. Precisamente quella parte che aveva aderito di più all’oggetto confondendosi con esso. Ecco perché quando finisce un amore ci si sente perduti.
Non si perde, infatti, solo l’oggetto amato, ma si perde, insieme a quell’oggetto, il senso del mondo e, di conseguenza, una parte significativa di noi stessi.
Qualcosa muore, si spegne, si stacca, non esiste più.
-Sicché la perdita dell’oggetto trascina con sé anche il soggetto, spogliandolo di una porzione del suo essere.
Di qui lo sguardo smarrito, vuoto e angosciato che vediamo sul volto di chi sta vivendo il lutto di una separazione. Al vuoto lasciato dalla perdita dell’oggetto che si è aperto nel mondo corrisponde il vuoto che si è aperto simultaneamente nel soggetto.
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