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#concetto di colore
fashionbooksmilano · 1 year
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Creatività a colori Creativity in colour Museo Salvatore Ferragamo
a cura di / edited by Stefania Ricci con la collaborazione di/ with the collaboration of Stefano Fabbri Bertoletti, Colin McDowell
Fotografie/Photographs Stefano Biliotti, Christopher Broadbent, Roberto Quagli
Sillabe, Livorno 2006, 216 pagine,21,5 x 33,5 cm, 300 ill.a colori, ISBN 9788883473616
euro 40,00
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Mostra Museo Salvatore Ferragamo 2006
Il Museo Salvatore Ferragamo espone la collezione in rotazioni biennali, di oltre 10.000 scarpe, create dal noto stilista dalla fine degli anni Venti al 1960, anno della morte, selezionando di volta in volta le calzature secondo temi che permettono di affrontare argomenti inediti e di esplorare nuovi campi d’indagine. La mostra è stata allestita per celebrare gli 80 anni di attività della nota casa di moda e per presentare il nuovo riallestimento e ampliamento del Museo di Palazzo Spini Feroni. L’evento organizzato per l’occasione è incentrato sulle calzature create dal celebre ‘calzolaio delle dive’ scelte secondo il criterio del colore. Tema deciso per il grande fascino che ebbe sull’artista al momento delle sue creazioni e che implica una sensibilità e una conoscenza delle discipline come la fisica, la filosofia e la chimica. La scelta delle calzature da esporre per la mostra vanno dal Venti al Cinquanta del XX secolo e riguardano quelle dai colori decisi e forti (il nero, il bianco, il rosso, il verde, il blu e il giallo) senza tralasciare l’oro e l’argento, da soli o combinati tra loro in perfetta armonia geometrica e in un sinuoso movimento di tinte. Il volume è corredato dai contributi di due specialisti quali Coin Mc Dowell, illustre esperto di moda, e Stefano Fabbri Bertoletti, storico della filosofia, che aiutano a capire cosa realmente sia il concetto di ‘colore’ e l’uso importantissimo e distintivo di esso nella e per la moda.
29/06/23
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angelap3 · 18 days
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La storia della Musica!!!!
Tre giorni di pace e musica. Tre giorni che hanno fatto la storia. Si celebra oggi il 51esimo anniversario del più grande evento di libertà, umanità e lotta pacifica: il Festival di Woodstock. Più che un concerto un pellegrinaggio, una fiera di arte e musica, una comunità, un modo di vivere che ha cambiato per sempre il concetto di libertà. Sul palco, a Bethel (una piccola città rurale nello stato di New York) si sono alternati per tre giornate alcuni tra i più grandi musicisti della storia. Musicisti che provenivano da influenze, scuole musicali e storie differenti ma che avevano in comune ciò che più contava in quei favolosi anni ’60: la controcultura.
Si passava dal rock psichedelico di Jimi Hendrix (che, pur di essere l’ultimo a esibirsi, salì sul palco alle 9 di lunedì mattina per un concerto di due ore, culminato nella provocatoria versione distorta dell’inno nazionale statunitense) e dei Grateful Dead ai suoni latini dei Santana (che regalarono un memorabile set, impreziosito dallo storico assolo di batteria del più giovane musicista in scena: Michael Shrieve) passando per il rock britannico di Joe Cocker (che regalò in scaletta le splendide cover di Just Like a Woman di Dylan e With a Little Help from my Friends dei Beatles) e degli Who all’apice della loro carriera (celebre l’invasione di palco dell’attivista Habbie Hoffman, durante il loro concerto, quasi quanto il lungo assolo di Pete Townshend durante My Generation, con lancio di chitarra finale).
C’era poi il folk, con una splendida Joan Baez su tutti, che suonò nonostante fosse al sesto mese di gravidanza, genere tipicamente statunitense che si alternava a suoni più esotici e orientali, come il sitar di Ravi Shankar. Impossibile dimenticare infine l’intensa performance della regina del soul Janis Joplin, la doppia esibizione (acustica ed elettrica) di Crosby, Stills, Nash e del “fantasma” di Neil Young, che rifiutò di farsi riprendere dalle telecamere e il divertente show dei Creedence Clearwater Revival.
1969, il ‘Moon day’ in musica..
Concerti che rimarranno nella memoria di chiunque ami la musica come simbolo di cambiamento, pace e libertà. D’impatto i presenti come pesanti furono le assenze di John Lennon, che si rifiutò di esibirsi per il mancato invito di Yoko Ono, Bob Dylan, padrone di casa (lui che all’epoca viveva proprio a Woodstock) assente per la malattia del figlio, i Rolling Stones, ancora scossi per la morte di Brian Jones e i Doors, alle prese con una serie infinita di problemi legali.
Il vero protagonista dell’evento fu però il pubblico, la “vera star” secondo l’organizzatore Michael Lang, eterogeneo quasi quanto i generi musicali. Da tutta America arrivarono studenti liceali e universitari, hippie, veterani del Vietnam, filosofi, operai e impiegati. Nessuna differenziazione di razza, etnia o colore della pelle: tutti uniti dalla voglia di stare insieme in libertà con il fango a livellare ogni diversità e i capelli lunghi come simbolo di ribellione. Un sogno che oggi sembra lontano anni luce, nelle ideologie come nell'organizzazione.
Da quel 1969 si è provato a più riprese a riproporre Woodstock, con scarsi risultati culminati nell'annullamento del concerto in programma per questo cinquantesimo anniversario, organizzato proprio da Lang e non andato in porto tra una defezione e l’altra, forse perché indigesto ai grandi organizzatori di eventi musicali mondiali. Forse, a conti fatti, meglio così: quell'atmosfera irripetibile era frutto di una spontaneità organizzativa di altri tempi, una magia fuori da ogni schema il cui risultato sensazionale, iconico e significativo fu chiaro solo anni dopo anche agli stessi partecipanti.
Vanni Paleari
PhWoodstock, 1969
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ilgiardinodivagante · 20 days
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Cos'è davvero l'uguaglianza? È come una chimera, un ideale che sfugge, un concetto che ognuno interpreta a modo suo. Da una parte, c'è chi grida al merito, alla gerarchia, a una sorta di legge della giungla dove vince il più forte. Ma il merito è davvero così oggettivo? Non è che spesso è il frutto di un gioco di carte truccato, dove alcuni nascono già con un asso nella manica? E poi, c'è chi, all'opposto, sostiene che siamo tutti uguali, punto e basta. Ma se siamo tutti uguali, che senso ha valorizzare le differenze? È come dire che un Picasso e un bambino di tre anni che scarabocchia un foglio sono sullo stesso piano.
Io credo che l'uguaglianza sia il fondamento di una società sana, ma non nell'accezione di un livellamento che annulla le individualità. È il diritto di ogni essere umano a partire da una linea di partenza equa, a poter sviluppare i propri talenti, a non essere giudicato per l'origine, il colore della pelle o le preferenze sessuali. Ma questo non significa che tutti debbano fare lo stesso lavoro o raggiungere gli stessi traguardi. Un medico e un poeta hanno ruoli diversi, ma entrambi sono essenziali per la nostra società.
Il problema nasce quando confondiamo l'uguaglianza con l'uniformità. È come se volessimo tutti indossare la stessa taglia di scarpe, senza renderci conto che ognuno ha un piede diverso. Certo, possiamo creare delle scarpe standard, ma poi ci saranno sempre quelli a cui stringono e quelli a cui sono larghe.
La meritocrazia, se intesa nel modo giusto, può essere un motore di crescita. Ma deve essere una meritocrazia inclusiva, che non lasci indietro nessuno. È illogico pensare che un bambino cresciuto in un ambiente privo delle risorse fondamentali possa, senza alcun supporto, raggiungere gli stessi risultati di un suo coetaneo cresciuto in un contesto privilegiato. Dobbiamo creare delle reti di sostegno, delle rampe di lancio per chi parte svantaggiato.
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E poi c'è la questione della libertà di espressione. Certo, ognuno ha diritto a dire la sua, ma non tutte le opinioni hanno lo stesso valore. Un'idea ben argomentata, frutto di una profonda riflessione, è diversa da un'opinione buttata lì tanto per dire. E non dimentichiamo che la libertà di espressione ha dei limiti. Non possiamo gridare al fuoco in un cinema, né diffondere notizie false che possano danneggiare gli altri.
Per costruire una società più giusta ed equa, dobbiamo prima di tutto affrontare le contraddizioni e le sfide che ci troviamo ad affrontare. Come possiamo conciliare il principio di uguaglianza con quello di meritocrazia? Viviamo in un'epoca contraddittoria, dove si invocano i valori di pace e fratellanza, ma si perpetuano le disuguaglianze. Più parliamo di uguaglianza, più il divario tra ricchi e poveri sembra allargarsi.
Ci chiediamo allora: vogliamo davvero una società più equa? E se sì, perché le nostre azioni non corrispondono a questo desiderio? Siamo disposti a mettere in discussione i nostri privilegi per costruire un futuro più giusto? Le risposte a queste domande sono fondamentali per definire le azioni concrete che dobbiamo intraprendere.
Insomma, la strada verso l'uguaglianza è lunga e tortuosa. È un percorso che richiede impegno, dialogo e soprattutto onestà intellettuale. Dobbiamo essere disposti a mettere in discussione le nostre convinzioni, a uscire dalla nostra comfort zone e ad ascoltare le ragioni degli altri. Solo così potremo costruire una società più giusta e più equa, dove ognuno possa realizzarsi e trovare il proprio posto.
Questo blog è il mio piccolo angolo creativo. Ogni parola e ogni immagine presente in questo post è frutto della mia immaginazione. Se ti piace qualcosa, condividi il link, non copiare.
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telefonamitra20anni · 5 months
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Attore, ma d'istinto.
Nella sua testa era ben chiaro che essere attore era un privilegio assoluto, vivere mille volte, raccontando la propria storia, senza la pretesa di imporre, ma di poter guardare un nuovo punto di vista, una prospettiva focalizzate da arricchire, da adoperare. Nel suo cuore, conosceva l'amore consolidato per questo mestiere, la fedeltà da riservare, il sacrificio a cui non poter dare questo nome, perché chi fa il mestiere d'attore, del resto, non ha il "privilegio" di aver qualcosa da sacrificare veramente, e tuttavia non è proprio così, nonostante si continui a "giocare". Marcello attore instancabile, lasciava spazio alla più profonda intelligibilità emotiva, accoglieva il suo personaggio come si accoglierebbe un nuovo amico a cui raccontare una storia da vivere insieme. Portava vita, inevitabilmente. Ogni parola, ogni gesto in scena raccontavano il suo istinto, la sua emotività, elementi fragili e potentissimi. Ogni vita narrata, su pellicola, attraverso i suoi occhi, celava qualcosa di sé e vibrava di un sentire, vitale, reale, empatizzante, vissuto, compreso, così vicino da essere percepito. La sua istintività recitativa si manifestava in modo naturale e autentico, ogni parola pronunciata e ogni movimento erano sostenuti, guidati, dall'essenza stessa del personaggio che interpretava, a cui lui dava un nome, una nuova casa da abitare. Lui, attore volitivo, uomo dalla sensibilità acuta e intelligente, era capace di entrare con naturalezza, nelle profondità psicologiche dei suoi personaggi, ne abbracciava gioie, paure e desideri, portando in vita sfumature emotive e complessità umane. Senza artificiosi tecnicismi, incarnava il concetto stesso di versatilità, raccontando ogni colore di quelle vite vissute, attraverso la sua innata elasticità emotiva e coscienza attoriale permeate da una predominante d'istinto che non si imponeva, ma che lasciava solo vita a quel darsi, al concedersi, per meglio raccontarsi.
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solosepensi · 6 months
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Come Venezia che viene mangiata dal mare
– Se non la smetti di smettere di scrivermi poesie d’amore muoio – Puoi semplificare il concetto?
– È da un sacco – Che?
– Non – Ti?
– Scrivo – Scrivi?
– Tu – Una poesia d’amore?
– Sì, mi sto rimpicciolendo, sai? – Ti stai rimpicciolendo?
– Per ogni ora che passa che non mi scrivi una poesia d’amore perdo un centimetro – Come Venezia che viene mangiata dal mare?
– Se vai avanti così dovrai usare una lente d’ingrandimento per guardarmi – Tutto ciò è molto spaventoso
– Sì, e dopo la lente dovrai usare il microscopio – E dopo il microscopio?
– La fede – Che tipo di poesia d’amore gradiresti?
– Bellissima – Bellissima quanto bellissima?
– Bellissima quanto tutta la bellezza dell’universo, da fare sospirar le stelle, i mari, le terre emerse, gli animali, gli alberi e i fiorellini colorati ai bordi dei binari – Non voglio che scompari
– Datti da fare allora – Ci metterò i tuoi occhi
– Ma l’hai capito di colore sono? – È un verde difficile
– È un buon inizio
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SENSI DELL'ARTE - di Gianpiero Menniti
ARTE STORIA DELLO STILE
Roberto Longhi, piemontese di Alba, classe 1890, è stato uno dei più pregevoli critici d'arte italiani.
Per alcuni, il maggiore.
Non faccio classifiche.
Ricordo solamente il suo concetto del fare artistico:
«[...] l'arte non è imitazione della realtà, ma interpretazione individuale di essa [...] Mentre il poeta trasfigura per via di linguaggio l'essenza psicologica della realtà, il pittore ne trasfigura l'essenza visiva: il sentire per l'artista figurativo non è altro che il vedere e il suo stile, cioè l'arte sua, si costruisce tutto quanto sugli elementi lirici della sua visione.»
Così affermava nella sua "Breve ma veridica storia della pittura italiana", effetto di un compendio proposto da Longhi, tra il 1913 e il 1914, per i maturandi dei licei romani "Tasso" e "Visconti".
Era un giovane laureato.
Ma tenne quell'impostazione per tutta la vita: l'arte nasce dall'arte.
Ed è dunque storia dello stile, o meglio degli stili.
Difficile tenere quel modello concettuale entro solidi margini nella creatività caotica dell'arte contemporanea.
A maggior ragione per chi come me sostiene che l'atto lirico non sia individuale e originale libertà ma il riflesso di una cultura che fa traccia nel tempo facendo del corpo dell'artista il suo strumento espressivo.
Eppure, quando osservo i cosiddetti "illustratori", tra XIX e XX secolo (tra i quali è annoverato Toulouse-Lautrec) che per me sono artisti senza alcuna limitazione, mi sento additato dalle parole di Longhi come in un invalicabile atto d'accusa.
René Gruau, al secolo Renato Zavagli Ricciardelli delle Caminate, riminese dalla nascita avvenuta nel 1909, è tra quelli che più di altri mi mettono in crisi.
Ma che, paradossalmente, concorre a salvare la mia tesi.
Infatti, mentre la sorprendente sintesi stilistica dell'artista italiano attraversa il '900 in un raffinato allungarsi e diffondersi di figure dalla strepitosa e diafana eleganza, corroborando la sentenza longhiana sulla traccia lirica come epicentro dell'arte, quelle apparizioni affascinanti altro non sono che l'espressione dell'estetica del secolo, punto di convergenza delle necessarie concatenazioni causali capaci di rendere riconoscibile il gusto per modelli rappresentativi inequivocabili: rammentano la stampa quotidiana e periodica, la pubblicità, il cinema, la moda di quegli anni ruggenti e tragici, disseminati di straripante follia ed estro creativo.
L'arte emerge dalla vita concreta delle società e dalla grafia delle loro visioni culturali.
Nondimeno, sono un tuffo nel passato recente, con una proiezione nel presente e nel futuro: la linea di Longhi mai spezzata nel suo farsi storico.
Dal fondo, emerge l'essere umano, illuso della libertà e immemore del destino di finitezza assegnata ai confini invalicabili di tempo e di spazio.
Che costui disegna nel colore di un'agognata dimenticanza.
- Le immagini sono un'antologia di espressioni figurative di René Gruau sparse lungo tutto il XX secolo.
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privateclubcultura · 2 months
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La Pecora Nera
Devo dire che all'inizio mi affascinò questo essere, questo intendersi di alcuni.
Poi vidi che questo modo d'essere, di intendersi era così vasto che compresi che erano Pecore Bianche travestite da Pecore Nere.
Trascorso un po di tempo afferrai quel concetto essenziale e logico.
Essere una Pecora Nera non vuol dire di per se essere nel giusto, non vuol dire essere migliori degli altri, vuol dire essere solo di un Colore Diverso e nemmeno tanto speciale.
RelaxBeach© (Tutti i Diritti Riservati 07/08/2024
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quandotuttosifabuio · 3 months
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La comunità di Twitter non capirà mai questo concetto.
Il problema non è usare la parola “negro” o “gay”, ma associare tali parole ad altro.
Prova a chiedere ad un omosessuale onesto cosa gli dia veramente fastidio, e mi è stato risposto: “Sentirmi dire frocio di merda”.
Prova a chiedere ad un “ragazzo di colore” cosa gli dia veramente fastidio: “Sentirmi dire negro di merda”, fra di noi ci chiamano spesso “negro” il problema è quando veniamo associati ad altro.
I social vi hanno stuprato la mente.
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megabif · 6 months
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Richard Serra
Tilted Arc
Nel 1979 il General Service Administration (GSA), un’agenzia indipendente del governo degli Stati Uniti, in accordo con il National Endowment for the Arts (NEA), decide di commissionare una scultura all’artista Richard Serra. È destinata alla Federal Plaza di New York. Dieci anni dopo, la scultura, chiamata Tilted Arc, viene smantellata, segata a pezzi, i suoi resti immagazzinati a Brooklyn. Nel mezzo accade di tutto. L’affaire Serra ridefinirà il concetto di site specificity di una scultura inserita nel tessuto urbano. In effetti, c’è qualcosa di radicale in questo artista che fin dagli inizi della sua carriera aveva deciso di utilizzare acciaio e piombo come materia espressiva. Nelle Lettere a Miranda Quatremère de Quincy si poneva domande riguardo allo spostamento delle opere d’arte italiane. All’epoca, la Rivoluzione francese aveva appena fatto il suo corso. Due secoli dopo la questione resta: distratta dal suo contesto l’opera perde il suo valore? “Rimuovere l’opera significa distruggere l’opera” afferma Richard Serra. La Street Art pone problemi simili.
Nel 1979, quando viene scelto dal GSA, Serra è già conosciuto, apprezzato. Nel 1970 aveva piazzato una struttura circolare in acciaio nel manto stradale di una via del Bronx (To Encircle Base Plate Hexagram Right Angles Inverted). L’anno successivo, piazza il St. John’s Rotary Arc nei pressi della rotatoria dell’Holland Tunnel. Certo, finché si tratta di una strada del Bronx, o di una rotatoria, nessuno fiata. Ma quando ti trovi di fronte il Federal Bureau of Investigation o una sede della corte di giustizia, è difficile farla franca.
Tilted Arc viene inaugurato nel 1981. Una linea di acciaio color ruggine di quaranta metri, alta quattro, leggermente curva e inclinata, taglia in due la piazza. Apriti cielo. La struttura “teatrale” del sito viene alterata, ciò di cui Serra era ben conscio. I cittadini si ritrovano proiettati dentro un nuovo contesto ambientale, ridefinito dalla scultura. È come se lo stesso concetto di “temporalità” subisse una torsione. Chi cammina sulla piazza è costretto a costeggiare l’opera. In un sito percorso usualmente di fretta, per motivi di lavoro, Serra costringe i passanti a rallentare, a lambire e “sentire” l’opera. Grazie a questo taglio in acciaio lo spazio viene ora sovvertito. Questa linea funge da contrappunto ambientale. È l’opera che ora definisce, impone il proprio territorio.
Ne succedono di tutti i colori. Un giudice protesta. Pone problemi di sicurezza. Finisce come in una lite condominiale, ma su larga scala. C’è chi pone questioni di decoro. La gente vi urina sopra (intervistato dal New York Times, che gli domanda quale sia il suo luogo favorito in città, Matthew Barney risponde: “Urinare riverentemente su Tilted Arc”). C’è chi vi aggiunge graffiti. Alcuni tirano in ballo il Muro di Berlino. Si tengono pubbliche udienze. Autorevoli critici d’arte difendono il lavoro di Serra. Nel 1985 la sede di Washington della GSA chiede che all’opera venga trovato un altro spazio. Serra avvia una causa per difendersi. La causa viene rigettata. Nel 1987 la NEA dichiara Tilted Arc “site specific”, e per questo inamovibile. Serra intanto va in appello. Nel 1989, dopo che Ronald Reagan ha firmato la Berne Convention, legge in difesa dei beni letterari e artistici, Tilted Arcviene smantellato. Per qualche tempo, una specie di cicatrice sulla pavimentazione funziona da indice dell’opera. Ora, restano solo fotografie, più la documentazione, gli atti di questa battaglia espressiva.
Via
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emz26 · 1 year
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Il pensiero anteriore, la bustina del tè e la vecchia bastarda.
Dentro di me si generano tre istanti di pensiero:
il 1° è quello istantaneo, quello che si crea sentendo un suono, un profumo o un immagine, è fulmineo e infantile, è quello che si stupisce e che a volte mi fa sparare delle puttanate indicibili, lo chiamo “il mio pensiero anteriore”, proprio perché arriva prima del pensiero razionale,
il 2° è quello che esamina tutto quello che c’è intorno alla figura scatenate, quello che analizza tutte le interconnessioni tra il soggetto e l’ambiente circostante, quanto gli altri si accorgano dell’accadimento e se io sia l’unico a vedere, provo anche ad immaginare quanto l’evento influenzi le altre persone e quanto di questo gli altri si portino dentro, lo chiamo “la bustina del tè”, perché esattamente come una bustina che viene gettata dentro l’acqua calda , il soggetto interessante lo vedo espandersi e avvolgere con un’essenza profumata tutto quello che lo circonda, ed io come una molecola d’acqua mi lascio conquistare.
Il 3° momento è quello che disarma tutta la bellezza, dissacra tutto quello che gli passa davanti, è feroce e si nutre di distruzione, lo chiamo...o meglio la chiamo “la vecchia bastarda”.
Sono seduto in un dehors di un ristorante, uno spazio aperto molto ampio situato in cima ad una montagna praticamente immerso in un bosco, il muretto alla mia destra mi separa da una ampia via di pietra scura, via che porta ad una marmorea cattedrale, zero macchine, la strada più vicina è ad un chilometro, qui si arriva solamente a piedi o con una seggiovia, l’altezza e l’ombra delle piante mi regalano un po' di refrigerio in questo torrido luglio, il colore dell’ambiente è tendente al giallo ed un buon profumo di fiori freschi si spande nell’aria, nel bosco si sentono frinire dolcemente le cicale e una leggera brezza mi smuove la barba, l’occhio mi cade su un gruppetto di minuscoli animaletti raggruppati sul muretto, sembrano formiche ma non credo che lo siano, mi incuriosiscono, ne rimango ipnotizzato, la cameriera mi porge il piattino con le fragole ricoperte dal gelato, lentamente ne porto un cucchiaio alla bocca, il sapore dolce mi riempie la bocca, sento la crema sciogliersi e fondersi con me, sento il fresco sciroppo percorrermi le vene, in un momento così non si può essere cattivi, Roland di Gilead diceva “non si può essere cattivi e rabbiosi mangiando delle dolci fragole”...concordo.
Continuando lentamente a gustare le mie fragole con il gelato gli occhi mi cadono su di un’opera d’arte vivente, un vecchio di mille anni intento a leggere un libro di mille pagine, indossa dei pantaloni marroni ed una camicia azzurrina, elegantemente sportivo, legge lentamente il suo libro ed ogni tanto si ferma a riflettere sul paragrafo appena concluso, lo vuole assorbire, ti tanto in tanto alza il viso al cielo come a voler far scivolare le nozioni appena apprese dentro di se, quasi le stesse bevendo, dopo la lettura di un passaggio più complesso si alza e muove due passi lungo la via alberata, ma appena afferratone il senso torna subito a sedersi e a riprende la lettura regalandosi un sorso di cocacola, sì, beve cocacola… meraviglioso.
Pensiero anteriore “dio che bellezza,ma, ma, ma avete visto mai un cosa simile, sono paralizzato da quello che vedo”
Bustina del tè ” ma vi rendete conto che un signore di 100 anni è ancora intento ad apprendere, avete visto con quale calma e abilità continua a nutrire se stesso? Ogni volta che una persona assimila un concetto nuovo deve poi farlo entrare in circolo e farlo allineare con tutti gli altri, immagino la cosa come miliardi di galassie sparse nell’universo ognuna rappresentante un assunto ormai consolidato, ogni volta che una nuova galassia entra dentro questo spazio tutte le altre devono cambiare inclinazione, devono mutare un po', spostarsi e forse perdere una parte di loro stesse per far si che la nuova arrivata non risulti come un corpo estraneo e che si integri dentro questo spazio, spazio che compone l’uomo, vi rendete conto di quante galassie abbia un uomo della sua età? Vi rendete conto che vuol ancora cambiare il suo universo? E gli altri, quelli fuori da me, i miei commensali si rendono conto della meraviglia che hanno di fronte?
La vecchia bastarda “sì però!”
in coro “cosa?”
La vecchia bastarda “comprerei libri più brevi, ha un piede nella fossa e potrebbe morire senza finirli”
bustina del tè “Come era? Mangiando fragole non si può essere cattivi e rabbiosi”
La vecchia bastarda “ ma acidi e realisti sì”
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La vita è intrinsecamente connessa alla fragilità e alla forza della natura stessa. C’è grande forza nella fragilità in egual misura della fragilità stessa. Ciò che spesso viene tacciato di fragilità esprime la natura di chi osserva e giudica, piuttosto che la sua propria essenza. Si può indossare la fragilità con orgoglio, grazia e a testa alta. Mi capita spesso conversando di dover spiegare che non esista in realtà separazione tra fragilità e forza, tra debolezza e coraggio. L’uno è l’altra e viceversa e poi ancora. Sono in definitiva la stessa cosa, esprimono lo stesso colore, il medesimo concetto, ciò che cambia sono solo le sfumature e il sentire di chi le riflette, la sensazione di chi le attraversa. Ciò che sa esser fragile è sempre infinitamente potente, perché esprimere la propria natura con consapevolezza e verità, mostra la conseguenza e l’accettazione di un viaggio introspettivo, di una rinascita e rinascere è da sempre facoltà e dono soltanto dei bambini e dei visionari.
tizianacerra.com
(Foto Engin Akyurt, unsplash)
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kneedeepincynade · 1 year
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China is building a better future while the imperialists try to destroy the present, and we know the capitalists will not win because an order without future will die in the present
The post is machine translated
Translation is at the bottom
The collective is on telegram
⚠️ I QUATTRO PRINCIPI (四项原则) DELLA CINA PER LA COSTRUZIONE DI UNA COMUNITÀ DAL FUTURO CONDIVISO ⚠️
🇨🇳 Nella maestosa Xi'an, capoluogo della splendida Provincia dello Shaanxi, si è tenuto il Vertice Cina - Asia Centrale, dove il Presidente Xi Jinping ha proposto Quattro Principi (四项原则) per la costruzione di una Comunità dal Futuro Condiviso (命运共同体) 💕
❤️ Ricordando l'Annuncio Congiunto sull'edificazione di un Futuro Condiviso tra la Repubblica Popolare e i Paesi dell'Asia Centrale, al Vertice dell'anno precedente, per commemorare il 30° Anniversario delle Relazioni Diplomatiche tra i Paesi, il Presidente Cinese ha dichiarato che la 命运共同体 è una Scelta Storica che presenta un Futuro Luminoso per il Popolo Cinese e i Popoli dell'Asia Centrale, e che - per costruire un solido Futuro Condiviso, è necessario aderire a Quattro Principi:
一 Assistenza Reciproca, elevando il Concetto "互助", ovvero "aiutarsi a vicenda", il che si riflette in:
⭐️ Sostenersi a vicenda in maniera inequivocabile su Questioni riguardanti la Sovranità, l'Integrità Territoriale e l'Indipendenza 💕
⭐️ Sostenere la Dignità di ogni Paese, rispettando la sua Cultura 💕
⭐️ Sostenere il Percorso di Sviluppo scelto costruito sulle Condizioni Materiali del proprio Paese 🤝
二 Sviluppo Comune, costruito sulla Cooperazione nell'ambito della Nuova Via della Seta, che andrà a toccare ogni settore dell'Economia, dal Commercio all'Energia, dal Sistema dei Trasporti alla Produzione Industriale, per garantire una riduzione della povertà in tutta l'Asia 🤝
⭐️ Sviluppo Comune e Progresso Comune, per giungere alla Prosperità Comune (共同富裕), concetto citato dal Presidente Cinese, apparso per la prima volta nel 1953, in un'opera del Presidente Mao Zedong 🚩
三 Sicurezza Universale, costruita sull'Iniziativa di Sicurezza Globale, avanzata dal Partito Comunista Cinese, per resistere congiuntamente ai tentativi di forze esterne - principalmente Occidentali - di interferire negli Affari Interni dei Paesi, e di istigare rivoluzioni colorate ⚔️
🤝 Lavorare congiuntamente per sradicare il Terrorismo, il Separatismo e l'Estremismo, per garantire una Pace duratura, in quanto «La Pace è come l'Aria e il Sole, è appena percettibile quando ne traiamo beneficio, ma nessuno di noi può vivere senza di essa» 🕊
四 Amicizia Eterna, elevando il Concetto di "友谊", attuando l'Iniziativa Cinese per portare avanti la Tradizionale Amicizia dei Paesi, la condivisione di esperienza in materia di governance, l'approfondimento tra Culture e la costruzione di solide fondamenta per un'Amicizia indistruttibile tra il Popolo Cinese e i Popoli dell'Asia Centrale, per costruire Unità, Armonia e Affinità 💕
🌸 Iscriviti 👉 @collettivoshaoshan
⚠️ CHINA'S FOUR PRINCIPLES (四项原则) FOR BUILDING A COMMUNITY WITH A SHARED FUTURE ⚠️
🇨🇳 The China - Central Asia Summit was held in majestic Xi'an, the capital of the splendid Shaanxi Province, where President Xi Jinping proposed Four Principles (四项原则) for building a Community with a Shared Future (命运共同体) 💕
❤️ Recalling the Joint Announcement on Building a Shared Future between the People's Republic and Central Asian Countries, at the Summit of the previous year, to commemorate the 30th Anniversary of Diplomatic Relations between the Countries, the Chinese President said that命运共同体 is a Historic Choice that presents a Bright Future for the Chinese People and the Peoples of Central Asia, and that - to build a solid Shared Future, it is necessary to adhere to Four Principles:
一 Mutual Assistance, elevating the Concept "互助", or "helping each other", which is reflected in:
⭐️ Support each other unequivocally on Sovereignty, Territorial Integrity and Independence Issues 💕
⭐️ Supporting the dignity of every country, respecting its culture 💕
⭐️ Support the chosen Development Path built on the Material Conditions of your country 🤝
二 Common Development, built on Cooperation within the framework of the New Silk Road, which will touch every sector of the Economy, from Commerce to Energy, from the Transport System to Industrial Production, to guarantee a reduction of poverty throughout the Asia 🤝
⭐️ Common Development and Common Progress, to reach Common Prosperity (共同富裕), a concept mentioned by the Chinese President, which appeared for the first time in 1953, in a work by Chairman Mao Zedong 🚩
三 Universal Security, built on the Global Security Initiative, advanced by the Communist Party of China, to jointly resist the attempts of external - mainly Western - forces to interfere in the internal affairs of countries, and to instigate color revolutions ⚔️
🤝 Work jointly to eradicate Terrorism, Separatism and Extremism, to ensure lasting Peace, as «Peace is like the Air and the Sun, it is barely noticeable when we benefit from it, but none of us can live without it of it» 🕊
四 Eternal Friendship, elevating the Concept of "友谊", implementing the Chinese Initiative to carry forward the Traditional Friendship of Countries, sharing governance experience, cross-cultural insight, and building a solid foundation for Friendship indestructible between the Chinese People and the Peoples of Central Asia, to build Unity, Harmony and Affinity 💕
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inchiostribianchi · 10 months
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Cara Emmi B. Rothner,
Mi manchi vuol dire che mi hai colpito e vorrei che mi colpissi ancora, che continui a mancarmi
Per favore, con i tuoi sguardi, curiosi, con i tuoi occhi sabbie mobili che ci sprofondo dentro.
Vorrei sbirciare di nuovo in quel mondo, celato oltre il nero orizzonte degli eventi delle tue pupille, un drappeggio color notte da cui si intravedono le stelle, se ne potrebbe fare una mostra, che dico, un museo, per ciò che conservi.
Ti prego ancora, si me ne rendo conto, sono in ginocchio ti sembrerò disperato, eppure non riesco più a vivere come il passante sfocato nelle fotografie delle vite degli altri
Vorrei sapere tante cose di te, come ti svegli la mattina, se sei goffa o imbronciata, mentre ti prepari un caffè/the/chissà, vorrei sapere come si sente il sole sulla tua pelle, quando fuori fa freddo ed uno spiraglio di luce si poggia sul tuo viso
Vorrei leggere ciò che scrivi, per toccare con gli occhi cosa pensi, saranno parole levigate come i movimenti delle tue dita? Oppure parole randagie di una tua ombra, che ringhiano di nero e di sangue? Sto forse immaginando troppo? Spero di non averti offesa
Ti sei offesa?
Ma chi risponderebbe mai a un richiamo simile, chi mai si desterebbe davanti a un uomo tanto chino da toccare terra con la fronte, un uomo deve essere forte, deve essere una roccia, deve deglutire e in silenzio rialzarsi e camminare.. eppure.. eppure come posso, come posso
Un ultima scusa per ribadire il concetto ed un grazie anche solo per la lettura, sarò patetico ma spero che l'etimologia in questo caso mi salvi dalla condanna più grande e che il giudizio possa dimettersi fino a data da dichiararsi
Non preoccuparti di mandarmi una risposta solo per pena
P.s.
Non so cosa mi spinga ad abbassarmi a tal punto, forse spero che arrendendomi, dichiarando di non voler combattere, forse spero che anche tu decida di abbassare le armi e le difese, e di.. fidarti?
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curiositasmundi · 1 year
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Com’è profondo il mare
La tragedia del Titan ci ricorda che per quanto uno possa essere ricco, non può  possedere gli oceani e sfidare le regole minime di sicurezza
Parlami, o Musa, dell’uomo che si tuffò nelle profondità del mare, ascoltando il richiamo della sirena del denaro. La morte di Stockton Rush, il milionario fondatore e Ceo di OceanGate, Inc. e pilota del Titan che brandisce il controller Xbox, è stata confermata giovedì scorso, dopo che il suo sommergibile personalizzato e fuori categoria è prevedibilmente imploso sotto la pressione di milioni di tonnellate d’acqua, uccidendo all’istante lui e i suoi quattro passeggeri. Accanto a lui è morto Hamish Harding, un miliardario britannico; Shahzada Dawood, milionario pakistano, e suo figlio Suleman; e il miliardario francese Paul-Henri Nargeolet, direttore della ricerca subacquea presso Rms Titanic, Inc., la società che sostiene di essere proprietaria del relitto del Titanic, e che ha dovuto saldare i propri debiti mettendo all’asta le reliquie del sito, una pratica comunemente nota come «scavafosse».
I tentativi di salvataggio da parte della Marina degli Stati uniti e della guardia costiera probabilmente sono costati milioni di dollari, dal momento che OceanGate era del tutto impreparato per qualsiasi tipo di operazione di ricerca e salvataggio nel mare aperto: la nave non aveva un localizzatore a bordo, ed era persino dipinta di bianco, il colore delle onde che si infrangono, rendendo quasi impossibile localizzarlo in superficie. La filosofia di Rush per la sua società di esplorazione sottomarina era: «Penso di poterlo fare in sicurezza e infrangendo le regole».
David Lochridge, ingegnere sottomarino, nel 2018 la pensava diversamente: sottolineò, tra gli altri difetti, che la porta di osservazione principale era valutata per reggere una profondità di immersione di soli 1.300 metri, meno di un terzo della profondità del fondale marino sul quale dorme il relitto del Titanic. Venne subito licenziato. Quindi ora, dopo anni di avvertimenti sulla sicurezza, lettere aperte e procedimenti legali, gli statunitensi finanziano l’inutile ricerca di giorni e giorni di un ago bianco in un pagliaio bianco, anche dopo che la Marina degli Stati uniti ha sentito la nave implodere.
La crociera di piacere a dodicimila piedi di profondità attorno al relitto del Titanic è l’ultima moda tra le acrobazie altamente pericolose e costose eseguite dai super ricchi che sono alla disperata ricerca di emozioni e disposti a spendere le enormi fortune estratte dai loro lavoratori. Il prezzo dell’ingresso in questa trappola mortale era di 250.000 dollari a persona. Cercando di vivere una fantasia alla Jules Verne, i passeggeri del Titan hanno raggiunto le ricche vittime del Titanic, che, quando affondò nel 1912, morirono anch’esse divise per classe: il 62% dei passeggeri di prima classe sopravvisse all’affondamento, rispetto al solo 25% dei passeggeri di terza classe.
La tendenza a lasciare che le classi subalterne anneghino continua ancora oggi. L’esempio più recente è il terribile capovolgimento di una nave che trasportava almeno cinquecento migranti al largo della Grecia, che ha ucciso almeno settantotto persone di cui sono stati ritrovati i corpi. In netto contrasto con lo sforzo multinazionale a tutto campo per salvare il Titan, la guardia costiera greca è stata accusata di mortale inerzia dopo aver scoperto la nave alla deriva e pericolosamente sovraffollata. È solo l’ultimo episodio di una costellazione di tragedie che coinvolgono i migranti nel Mediterraneo: tra il 2015 e il 2023, si stima che oltre ventiquattromila persone siano morte o disperse dopo essere partite per l’Europa, di cui oltre 1.100 solo quest’anno. È più di un Titanic ogni anno, ma non c’è lo stesso tipo di copertura mediatica.
In un mondo in cui abbondano i naufragi, perché siamo così ossessionati dal Titan e dal Titanic? È una combinazione di ricercatezza, prestigio e quel concetto di hybris classicamente greco. Personaggi importanti sono affondati con entrambe le navi: milionari, reali, magnati degli affari. Lo splendore della Grand Staircase del Titanic è stato reso in innumerevoli dipinti, documentari e film. E, naturalmente, c’è l’epiteto che stuzzica le orecchie di Poseidone: «Inaffondabile». È difficile per la persona media immaginare di possedere sia l’arroganza di rivendicare la vittoria totale sul mare, che l’influenza basata sulla propria certezza di lesinare sulle scialuppe di salvataggio.
Le dolorose odissee delle navi migranti non fanno vendere giornali perché, per prima cosa, quei giornali di solito fanno comunella con i regimi draconiani, disumani e vendicativi che consentono che i migranti subiscano questi destini orribili; e perché la miseria colpisce la maggior parte delle persone. Non tutti sono stati rifugiati, ma la maggior parte delle persone nell’era post-Covid sa com’è quando all’improvviso non puoi più permetterti la tua casa e devi trasferirti, o quando il cibo diventa assurdamente costoso, o il tuo lavoro scompare e ti trovi di fronte a scelte difficili e all’incertezza per te e la tua famiglia. Guardando il cambiamento climatico causato dall’uomo, un costo della vita astronomico e una prospettiva economica scadente, la maggior parte delle persone riconosce di essere molto più vicina ai rifugiati disperati di quanto non lo siano i politici, gli speculatori della guerra e i rapaci capitalisti.
La morte di chiunque è una tragedia, ovviamente, ed è terribile che i passeggeri del Titan siano morti in questo modo. Ma la loro morte cade in mezzo a un’ondata molto più ampia di sofferenze evitabili inflitte da gente come quella a bordo del Titan. Forse c’è un pizzico di ironia nel guardare proprio questi miliardari, che comprano relitti e sottomarini privati con i tesori accumulati dalla nostra società, umiliati da un tratto ineludibile della proprietà: lo ius abutendi, il diritto di distruggere, che il mare oscuro mantiene su qualsiasi nave.
 di Nicolas Boni - Jacobin italia
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti 
ANTICHE TECNICHE, ANTICHE SENSIBILITA'
La ceramica antica non è appassionante poichè appare ornamento di un oggetto che riveste ben altre utilità. Eppure possiede una notevole importanza per l'archeologia e la conoscenza del passato: la ceramica è il più delle volte "databile" e grazie a questa caratteristica diviene uno strumento "datante". Eccone un esempio. Sul cratere, datato al 515 a.C., conservato nel museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma, Euphronios narra l’epilogo della vicenda terrena di Sarpedonte, re licio figlio di Zeus e di Laodamia, caduto durante la guerra di Troia come avversario del fronte acheo, il cui cadavere, riverso e possente, viene trasportato, al cospetto di due guerrieri situati alle due estremità della scena, da Thanatos (la morte) e Hypnos (il sonno, personificazione di un concetto di origine presocratica).  Ermes, riconoscibile dal caduceo che porta in mano, assiste all'atto pietoso: la caratterizzazione dei personaggi è un’altra dote della ceramografia narrativa rivelata attraverso le “figure rosse”.  Ma i limiti dell’espressività delle figure nere sono superati anche attraverso dettagli che acquisiscono consistenza materiale, imprimendo alle rappresentazioni la consistenza di “apparizioni”, luce in rilievo dal fondo acronico di un tempo mitico.  Perché, a ben vedere, la coniugazione tra il nero del fondo e le figure che su di esso si stagliano, produce un effetto visivo di forte impatto, l'emergere dal “nulla” della vita che s'impone allo spettatore come espressione di un monito, di un messaggio filtrato attraverso la sintesi delle immagini, di un atto di comunicazione che diviene testo retorico e convenzionale dei valori ideali della polis. Il tema è originalissimo e quindi di raro uso.  Ed è conciliatorio: il cratere porta impressa la rappresentazione dell’omaggio funebre che supera la consueta distinzione tra alleato e nemico per raccogliersi intorno alla condizione ineluttabile dell’abbandono dell’esistenza terrena di un combattente valoroso.  Con il dio Ermes, invisibile - lo è, nell'espressione simbolica, grazie all’elmo che indossa - che solleva la mano ad indicare l’ascesa del guerriero verso la trascendenza. Il cratere a calice è attribuito ad Euphronios in qualità di ceramografo (agì tra il 520 ed il 500) e ad Euxitheos come vasaio. La produzione di ceramiche a figure rosse rappresenta il punto d’arrivo di un lungo ed intenso processo di raffigurazione narrativa sorto nel c.d. periodo protoattico dell’età orientalizzante allocabile nel VII sec. a.C. (700-625 a.C.) e giunto fino agli anni 530-525 a.C. ai quali si fa risalire convenzionalmente l’invenzione della nuova tecnica che prevede superfici vive risparmiate stagliate su un fondo trattato con vernice nera brillante.  Su questi spazi la raffigurazione interamente pittorica scopre la luce delle immagini prima campite, al contrario, con vernice nera ed incisioni necessarie a fornire i dettagli anatomici dei corpi.  La tecnica a figure nere, più antica e diffusa, risalente alle opere del pittore di Nesso, continuò a convivere a lungo con il nuovo “stile” a figure rosse (così definite poiché le superfici dell’argilla lasciate libere dalla campitura nera del fondo assumono, a seguito della cottura, un caratteristico colore rossastro) che s’impose definitivamente solo nel primo quarto del V sec. a.C.. Fino ad allora, si assiste a produzioni che rivelano la parallela persistenza (specie fuori dall’Attica) del vecchio modo e pensino la creazione di vasi “bilingui”.
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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ideeperscrittori · 2 years
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DALLA PARTE DEI DISERTORI
Una delle cose più abominevoli della guerra è costringere qualcuno a uccidere o farsi uccidere.
Tempo fa leggevo un articolo sullo stress post-traumatico di tanti reduci del Vietnam ricoverati in reparti psichiatrici.
Una generazione è stata annichilita.
Dopo l'esplosione di una violenza istituzionalizzata e considerata presentabile nella buona società americana, molti reduci sono implosi, schiacciati dal peso dei loro incubi.
Il film Full Metal Jacket parla di Vietnam, ma è una finestra su tutte le guerre. È un racconto feroce di quello che ti aspetta durante l'addestramento e mentre infuria la battaglia. In quei contesti rimane a galla chi si rifugia nell'annullamento di sé per trasformarsi in una macchina. Chi non ci riesce sprofonda nel delirio. Ma anche i soldati che mantengono un precario e contraddittorio equilibrio perdono qualcosa per sempre, persino quando sopravvivono, persino quando riescono a immergersi in una disperata apatia. Magari tornano a casa, ma sono rassegnati alla brutalità del mondo.
Non entro nei dettagli per non rovinarvi il film. Va guardato.
Io l'ho visto tutto d'un fiato, malgrado qualche cedimento emotivo di fronte alle sequenze più crude.
La verità è che non sopporto l'idea di un'arma da fuoco nelle mie mani, neanche come astrazione confinata nell'iperuranio, nemmeno come riflessione filosofica durante in cineforum o come ipotesi enigmistica in un gioco di società. Ho già parlato di questa mia repulsione da qualche parte, perché è nella top ten delle mie ossessioni, ma ribadisco il concetto.
Non reggo l'idea di toccare fucili o pistole in nessuna situazione, anche se sto affrontando l'argomento proprio ora, in preda a un attacco di masochismo. Mentre scrivo, tento di sopprimere l'immagine dell'arma nel mio pugno, ma il mio flusso di coscienza è indisciplinato. Ricado nella condizione paradossale di chi cerca di non pensare al porpora e quel colore, come per dispetto, diventa lo scenario di qualsiasi parto della mente.
L'arma è l'antimateria che può farmi scomparire nel nulla.
Mi attengo al seguente precetto: io da una parte, l'oggetto che spara in un mondo parallelo. Così nessuno si farà male, letteralmente.
Vista la mia curiosa idiosincrasia per stragi e cose simili, posso vagamente intuire l'abissale sconforto dei giovani russi e ucraini mandati a combattere contro la loro volontà.
Al loro posto mi ubriacherei a morte durante il viaggio verso la prima linea. Se in simili circostanze mi offrissero una siringa caricata con oppioidi e Quaalude, potete scommettere che mi bucherei il braccio in meno di un nanosecondo per non pensare al mio destino. A furia di drogarmi, farei impallidire persino gente della pasta di John Belushi, prima di soccombere all'inevitabile overdose.
Le alternative esistono: scappare chissà dove oppure opporsi a viso aperto, subire un arresto e finire in carcere, per poi subire i soprusi di guardie poco compassonevoli in celle sovraffollate.
Nel caso di ribellione sono da mettere in conto anche le torture e le condanne a morte. Durante la guerra, la retorica patriottarda scorre a fiumi e la diserzione diventa il tradimento supremo. Non puoi aspettarti di essere trattato con i guanti, se getti il fucile in un fosso.
Avrei il coraggio di essere un oppositore che sfida il sistema a viso aperto e si prepara ad affrontare terribili conseguenze? Difficile rispondere. Non voglio conferire a me stesso premi e attestati di merito psichici per atti eroici che non ho commesso.
Forse, semplicemente, tenterei la fuga insieme a una moltitudine.
So solo che tante persone si oppongono, si sottraggono alle armi, disertano.
Ma al loro posto non saprei dove scappare, perché qualsiasi cartina geografica mostra con implacabile chiarezza che esistono stati e confini.
Dobbiamo offrire un rifugio a chi brucia la divisa, invece di raggiungere nuove vette di perfezione nel voltare la testa dall'altra parte.
Apriamo le nostre deplorevoli frontiere per proteggere i disertori russi e ucraini.
Facciamo risuonare il nostro barbarico yawp sui tetti del mondo per chiedere che ottengano lo status di rifugiati.
Finora questo tema è rimasto troppo ai margini del dibattito pubblico.
Portiamola avanti come si deve, senza dimenticare le basi, questa lotta antimilitarista.
[L'Ideota]
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