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#coronamento
pietro-balivo · 3 months
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Era una casa fredda, con mura vecchie, quella che decidemmo di ristrutturare però era ariosa ed esposta a sud. Scegliemmo insieme la disposizione delle stanze e dei mobili. Ce ne innamorammo subito: il nostro nido d'amore!
Ricominciammo daccapo, la chiamavano "la casa vecchia" eppure era per noi il coronamento di un sogno. Poi ci sposammo e nacquero i nostri figli.
A mia moglie.
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multiverseofseries · 3 months
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Bridgerton 3, parte 2: il peso dei segreti (in binge watching)
Ragione, sentimento e un turbine di emozioni: la terza stagione di Bridgerton ha fatto il suo ritorno su Netflix con la seconda parte dello show.
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La Bridgerton Mania non si ferma, e ancora una volta la serie Netflix targata Shondaland risulta tra i contenuti più visti della piattaforma streaming grazie al grande successo della terza stagione, che ha portato sugli schermi la storia d'amore dei Polin (a.k.a. Colin Bridgerton e Penelope Featherington, interpretati rispettivamente da Luke Newton e Nicola Coughlan).
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Nicola Coughlan è Penelope
L'operazione di suddivisione in due parti della terza stagione di Bridgerton sembra aver sortito l'effetto sperato (come da pronostico nella nostra recensione di Bridgerton 3 Parte 1), poiché l'attesa da parte dei fan per questa seconda tranche di episodi si è rivelata decisamente alta, e l'entusiasmo per il coronamento dell'amore tra i due protagonisti di turno è più che palpabile, accompagnando i quattro episodi rimanenti che si soffermando su un grande segreto (il più grande, forse) ancora da svelare.
Bridgerton 3: ritorno a palazzo
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Bridgerton: una foto di Benedict e Colin nella stagione 3
La prima parte di Bridgerton 3 ci aveva regalato un riavvicinamento tra Colin e Penelope, culminato in una delle scene più chiacchierate della serie, nonché "memate" sui social - come d'uso comune e anche auspicabile, di questi tempi, considerato il fatto che una tale pratica porta comunque lo show al centro dell'attenzione, generando nuovi trend e un forte engagement da parte del pubblico - e a un punto di svolta nella loro relazione.
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Parrucche e cipria: il mondo di Bridgerton
La brillante Penelope, abituata a fare da "carta da parati", e ad essere semplice spettatrice (al massimo narratrice, e qualche volta persino "tessitrice") delle appassionanti storie d'amore altrui, sta ora sperimentando in prima persona cosa vuol dire esserne la protagonista, e sembrerebbe proprio che anche lei, a questo punto, possa sognare un lieto fine. Ma ogni rosa, finanche la più bella, ha le sue spine, e poco importa se i fiori nuziali per eccellenza sono quelli d'arancio…
Il passaggio successivo nella storia, infatti, come prevedono le regole della narrazione, porterà con sé un turbinio di emozioni: dalla gioia per i più recenti accadimenti, ai timori e le ansie per ciò che invece potrebbe venire fuori, quelle verità nascoste che ancora non si è pronti a rivelare e condividere, che si tentano di mascherare per non far crollare quel castello di carta che, tuttavia, non avrà mai la stabilità della pietra se non verranno in ultimo in superficie.
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Luke Newton e Nicola Coughlan, protagonisti di Bridgerton
È così che il ritmo dei nuovi episodi viene scandito da un senso d'anticipazione che accompagna con costanza lo spettatore, lo prende per mano e lo conduce verso un finale di stagione tutto da scoprire (per quanto, anche grazie ai libri di Julia Quinn e alla struttura della serie stessa, sappiamo che non sarà mai lontano dall'essere lieto).
Una serie tra amore e sacrifici
Ma amare non è mai semplice, e solitamente prevede dei costi che a volte possono rivelarsi parecchio elevati. Almeno quando si viene posti dinnanzi a un bivio, al compimento di una scelta categorica. In Bridgerton 3, questo discorso non tocca solo Colin e Penelope (sebbene nel loro caso sia più che evidente il tipo di sacrificio richiesto): è infatti un tema ricorrente anche per gli altri Bridgerton, ma non solo, in quanto saranno diversi tra i personaggi secondari a dover prendere importanti decisioni in tal senso.
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Chiacchiere a palazzo
Non che non sia sempre stato uno dei fili conduttori dello show, ma il tentativo di bilanciare la propria felicità personale con quella del partner o della famiglia continua ad essere un pilastro di Bridgerton, e sarà prominente anche a questo giro. E con la varietà di personalità che abbiamo a disposizione, si rivela sempre alquanto interessante ammirare le diverse declinazioni di un simile concetto, e le ramificazioni delle decisioni di ognuno una volta arrivato il momento fatidico: da Cressida (Jessica Madsen) a Eloise (Claudia Jessie), da Francesca (Hannah Dodd) alla stessa matrona di casa Bridgerton (Ruth Gemmell), testa e cuore saranno costantemente in conflitto, in misura diversa e per differenti ragioni, ma tutte inevitabilmente da scoprire e comprendere. Rigorosamente, in binge watching.
Conclusioni
La nostra recensione della seconda parte di Bridgerton 3, che immagina uno corsa senza sosta verso un altro successo di visualizzazioni per lo show Netflix, considerando anche la capacità della produzione di tenere alta la soglia dell’attenzione e mantenere una in qualche modo costante qualità dei contenuti che, arrivati a questo punto, sarebbe invece potuta scemare fino all’ottenere quasi totale indifferenza da parte degli spettatori. Certo, popolarità non è necessariamente sinonimo di valore effettivo, ma ci riserviamo il diritto di attendere il finale di stagione per poter giudicare il tutto con maggiore cognizione di causa.
👍🏻
La trama molto coinvolgente.
I personaggi ben costruiti ed approfonditi, soprattutto quelli femminili.
I numerosi spunti di riflessioni, specialmente riguardo al ruolo della donna sia oggi che all'epoca, che offre.
Gli splendidi costumi creati da Ellen Mirojnick.
👎🏻
Il discorso sulle differenze tra classi sociali non viene sviluppato a dovere.
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massimogilardi · 1 year
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GIAN LORENZO BERNINI: NETTUNO E TRITONE
Il cardinale Alessandro Damasceni Peretti Montalto, pronipote di Sisto V, era un uomo magnanimo e gioviale, un munifico committente tanto benvoluto che, alla sua morte, il pittore Giovanni Bricci (padre di Plautilla, futuro architetto) licenziò un libello molto apprezzato nel quale si tessevano le lodi di quello che, se non fosse mancato prematuramente – per una congestione – a poco più di cinquant’anni, avrebbe potuto diventare papa nel conclave del 1623, che vide poi invece eletto Maffeo Barberini.
Il cardinale Montalto, come tutti lo chiamavano, era figlio della nipote Sisto V e, ad appena quattordici anni, fu adottato dal prozio che lo creò così giovanissimo cardinale. La nonna di Alessandro, Camilla, era la sorella di Sisto V, colei per la quale fu coniato il modo di dire “Camilla, tutti la vònno, nessuno pija…”, nonché proprietaria del terreno che avrebbe poi ospitato la favolosa villa che, con lui, sarebbe divenuta la villa privata più estesa di Roma. Un posto che, a giudicare dalle incisioni e da alcune foto di fine Ottocento, doveva essere incantevole e che il cardinale, raffinato collezionista, arricchì con tante opere d’arte.
La peschiera Montalto era la più grande “piscina” di Roma e si trovava a due passi dalla casa paterna di Bernini (Via Liberiana), sua prima casa romana. A pianta ovale con diametri di mt 36,50x24,50 essa, secondo la descrizione di Giuseppe Bianchini a commento della tav. 194 del X Libro delle Magnificenze di Roma di Giuseppe Vasi, 1761: “Nasce dal clivo del colle Viminale […] a destra si alza, quasi custode della delizia, un Ercole colla mazza, e a sinistra un Fauno con una zampogna, come se volesse accrescere il delizioso mormorio delle acque. Gira attorno alla peschiera una balaustra con di marmo con dodici statue sopra, e fra una e l’altra tante tazze dalle quali si drizzano altrettanti zampilli di viva acqua verso il centro della peschiera. Nel sito più alto, ove spiccano più copiose le acque, si alza la statua di nettuno col suo tridente in atto di domare quell’elemento e ai lati in sito più basso le statue di Orfeo e di Mercurio…”. (In realtà le statue a decorazione erano sedici, tutte raffiguranti dèi pagani e imperatori dell’Antica Roma).
La peschiera, che fu ancora per l’Ottocento un acquario molto vario, aveva anche uno “scherzo”, uno di quei trucchi tanto apprezzati nel Seicento: uno scalino calpestabile che correva tutt’intorno alla vasca sotto il pelo dell’acqua così che, nel calpestarlo, bagnava le caviglie degli ospiti, e fu descritto come: “Uno scalino falso che inaqua un poco le gambe”.
La fontana-laghetto creata da Domenico e Giovanni Fontana ai tempi di Sisto V – le cui insegne ricorrevano sotto le statue della balaustra – fu “coronata” dal Nettunoberniniano per volontà del cardinale Alessandro, con un basamento che recava le proprie insegne: al momento della commissione, attorno al 1619, Bernini aveva appena 20 anni. Per Leone Strozzi, che aveva la propria villa vicina a quella di Monalto, suo padre Pietro aveva già licenziato alcune statue (e lo stesso Gian Lorenzo gli venderà, sebbene l’avesse scolpito per sé stesso, il San Lorenzo sulla graticola oggi coll. Contini Bonacossi presso Uffizi, Firenze) per le quali aveva in parte coinvolto anche il giovane figlio. Potrebbe esser stato dunque un “passaparola” tra ricchi mecenati a far sì che Montalto affidasse al giovane Lorenzo un gruppo da porre in piena vista nel suo fantastico giardino. Che il giovane avesse talento per i gruppi, il cardinale lo sapeva comunque avendo visto senz’altro il gruppo di Enea, Anchise e Ascanio (o Fuga da Troia) licenziato nel 1619 per il cardinale Scipione Borghese.
A Gian Lorenzo Bernini Montalto avrebbe commissionato tre opere in tutto: il Nettuno, il busto ritratto oggi ad Amburgo (1622) e il David oggi alla Galleria Borghese (1621-3).
Alcune incisioni mostrano come il gruppo del Nettuno e Tritone fosse posto a coronamento della peschiera che si ergeva all’estremità della proprietà, smembrata a fine ‘800 per far posto alla stazione Termini, nella parte più rialzata (l’unico edificio rimasto della villa, cmq modificato, è l’attuale Palazzo Massimo alle Terme): da lì si aveva una vista sopraelevata dell’abside di Santa Maria Maggiore, dov’era sepolto il prozio del cardinale, Sisto V, e dove Montalto stesso sarebbe stato prematuramente sepolto (sebbene il suo cuore si trovi in Sant’Andrea della Valle, i cui lavori di realizzazione aveva profusamente finanziato).
Il Nettuno ha una resa aspra, quasi ruvida, coerente con la destinazione all’aperto e l’esposizione alle intemperie: troneggia sulla vasca a gambe divaricate su una conchiglia, barba e baffi arruffati, quasi imbrinati di salsedine, e punta il tridente in basso con piglio deciso in un avvitamento turbinoso come il mare in tempesta che gli spazza il viso mentre il panneggio gli lambisce i fianchi come fosse al centro di un ciclonico mulinello.
Tra le gambe del dio spunta un tritone che con la sx si aggrappa al suo polpaccio sx, mentre con la dx tiene una buccina della quale pare ancora di udire il richiamo. Sotto al gruppo, l’acqua fluiva nel bacino sottostante formando una cascata su tre gradini.
Si è a lungo supposto che la fonte iconografica fosse da individuare in Virgilio, EneideI, 132 e segg., ma è più probabile che la fonte sia da ricercarsi in Ovidio, MetamorfosiI, 330-48:
“Cessò l’ira del mare, il dio delle acque depose l’asta tricuspide, chiamò il ceruleo tritone che sovrastava il pelago profondo con le spalle coperte di natie conchiglie e gli comandò di dar fiato alla conca fragorosa, per fare ormai, con quel segnale, rientrare i flutti e le correnti. Quegli prese la cava buccina tortuosa che va dal principio allargandosi in ampia spirale, la buccina che, quando in alto mare si empie d’aria, introna del suo suono i lidi che si stendono dall’oriente all’occaso. E anche allora, appena ebbe toccato la bocca del dio dalla barba stillante, e gonfia annunziò l’ordine della ritirata, fu udita da tutte l’acque della terra e del mare, e tutte le onde che l’udirono raffrenò e respinse. Il mare ebbe ancora le sue rive, i letti contennero i fiumi rigonfi, si abbassarono le correnti, si videro i colli riapparire fuori, sorse la terra, si ingrandirono le cose col decrescere delle acque e, dopo lunghi giorni, le selve mostrarono le loro cime, spogliate, e avevano ancora su le fronde il limo lasciato dai flutti. Il mondo era rinato.”
Rispetto al testo ovidiano, che Gian Lorenzo avrebbe letto a fondo di lì a breve anche per Apollo e Dafne, il suo Nettuno non ha ancora posato il tridente e sembra ancora piuttosto contrariato: Bernini lo rappresenta nell’acme dell’azione. Il tritone invece è stato reso abbastanza calzante al testo, e in esso vediamo un concetto che tornerà in tutte le sue fontane successive: l’acqua che emerge alla luce da un essere umano, mitologico o animale.
L’episodio ovidiano, che narra del mito di Pirra e Deucalione, trova corrispettivo nel racconto biblico del diluvio universale; la clemenza di Nettuno che, di concerto col fratello Giove, permette alla coppia di sopravvivere e rigenerare il genere umano, corrisponde al passo di Genesi: 8,1: “Or Iddio si ricordò di Noè, di tutti gli animali e di tutto il bestiame che era con lui nell’arca, e Dio fece passare un vento sulla terra, e le acque si calmarono.”
La pietasdivina che dopo il caos ristabilisce la quiete era allusione alla munificenza del cardinale Montalto, mentre il senso del contrasto tra l’agitazione di Nettuno e lo specchio piatto dell’acqua nella peschiera era chiaro: Nettuno aveva appena placato una tempesta per permettere che gli ospiti di Montalto potessero ammirare con calma i pesci che la popolavano e, in generale, il suo elemento.
Chi poteva aver suggerito un collegamento pagano-cristiano così sottile? Se è vero che il cardinale faceva segretamente parte dell’Accademia degli Intronati con lo pseudonimo di Profundus, è stato suggerito anche tuttavia il nome dell’allora cardinale Maffeo Barberini, da sempre appassionato di poesia, ma il quesito rimane senza risposta.
Nettunolasciò Roma parecchio tempo prima della demolizione di villa Montalto ormai Negroni: nel 1784 il ricco commerciante Giuseppe Staderini comprò la villa dai Negroni (che l’avevano acquistata a loro volta nel 1696) e iniziò una vendita sistematica di tutto ciò che essa conteneva, alberi compresi.
Tuttavia, da una lettera scritta da Raphael Mengs da Madrid nel 1767 al cav. D’Azara, deduciamo che forse i Negroni avevano già tentato di piazzare il gruppo berniniano: “Desidererei sapere quanto costerebbe il gruppo del nettuno del Bernini”. Non se ne fece evidentemente nulla se nel 1777 il viaggiatore De la Roque, in visita alla villa, affermò che Nettuno si trovava in una rimessa annessa alla peschiera, dunque già “smontato” in vista di un trasloco ma ancora a Roma. Dopo un periodo in custodia presso Villa Borghese, infine, nel 1786, il gruppo fu acquistato da sir Joshua Reynolds e venduto, dopo la sua morte, a Lord Yarborough nella cui famiglia è rimasto fino al 1950.
L’idea del Nettuno sarà ripresa da Bernini per il mai realizzato progetto della Fontana di Trevi al quale aveva dato principio sotto Urbano VIII Barberini poi abbandonato per mancanza di fondi, stornati sulla guerra di Castro: la prima idea prevedeva un complicato gioco architettonico e scultoreo dove sarebbe apparsa la Virgo della leggenda (colei che aveva permesso ad Agrippa e ai suoi soldati di trovare la fonte dell’Acqua Virgo che serve la fontana) mentre la seconda, se la prima non fosse piaciuta al papa, contemplava appunto la figura del dio marino.
Sotto Innocenzo X Pamphili Bernini rispolverò l’idea di una fontana sormontata da un Nettuno per la “terza” fontana di piazza Navona, dopo la Fontana dei Quattro Fiumi e il Moro: anch’essa rimase però irrealizzata per la sopraggiunta morte di papa Pamphili e quella che anche oggi non a caso ritrae il dio del mare (opera di Antonio della Bitta) mostra come l’idea di Bernini per essa fosse nota e tenuta in considerazione. Infine, l’idea del Nettuno fu ripresa da Salvi nella figura di Oceano che oggi vediamo proprio in trionfo nella fontana di Trevi.
di Claudia Renzi ©
In foto: Gian Lorenzo Bernini, Nettuno e tritone (Londra, Victoria and Albert Museum).
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autolesionistra · 1 year
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Tema libero: i biscotti
Nutro una certa infatuazione per i biscotti, che negli anni mi ha aiutato a sviluppare due superpoteri:
l'invulnerabilità all'impalugamento, che mi permette di mangiare a secco qualsiasi tipo di biscotto senza apporto di liquidi ad accompagnarli
la capacità di ingurgitare l'equivalente del mio peso in biscotti
Questa passione mi ha portato grandi gioie e alcuni traumi (tipo scoprire che al di fuori dell'Italia la situazione biscotti è spesso drammatica, soprattutto a colazione) (o la sparizione delle tortorelle).
Potreste stare pensando "beh, anche a me piacciono i biscotti, chesaràmmai" ma per dare un'indicazione oggettiva del mio livello patologico: durante l'adolescenza, quando si tende a tappezzare la cameretta di iconografie dei propri eroi avevo appesa una (nutrita ma ormai sparita e compianta) collezione di coperchi di scatole di biscotti danesi. Mia sorella può testimoniare.
La storiografia dei biscotti è per lo più piatta come una lingua di gatto, ma verso la fine degli anni '90 abbiamo assistito ad una piccola rivoluzione commerciale che mi ha sempre incuriosito.
In un mercato per lo più dominato da un noto marchio che per comodità chiameremo Burino Stanco™, vari esponenti della Grande Distribuzione iniziarono quasi contemporaneamente una certosina opera di clonazione biscottifera copiando forme e gusti della suddetta marca.
Mi sono sempre chiesto se l'inizio di questa operazione sia stato legato alla risoluzione di qualche ambiguità legale sull'applicazione del copyright ai biscotti o se semplicemente sia stato mero calcolo economico. Sta di fatto che una delle vette più alte della mia storia d'amore con questi amorevoli prodotti dolciari da forno è stata quando la mia famiglia fu selezionata per valutare qualitativamente una serie di pacchi di biscotti di marca ignota che volevano clonare i prodotti del Burino Stanco™. Avere finalmente una missione e un riconoscimento del mio curriculum nel mangiare biscotti (pur se i questionari tecnicamente li firmava poi mia madre) fu il coronamento di un percorso iniziato nelle paludi dei plasmon spappolati passando per le cime innevate dei canestrelli, le brughiere delle treccine di frolla siciliane, le foreste di shortbread scozzesi...
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turuin · 7 months
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A coronamento della domenica.
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ninfahell · 3 months
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Aveva ragione Kafka a dire che "l'ozio è il principio di tutti i vizi, il coronamento di tutte le virtù"
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nonmidarefastidio · 5 months
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Da quando ho ricominciato a fare journaling (ai miei tempi si chiamava "tenere un diario segreto"), scrivere qua sopra è diventato superfluo, ma allo stesso tempo ne sento spesso la mancanza.
A livello lavorativo questa settimana è stata un disastro, io cerco sempre di dare il meglio, cerco sempre, nelle mie possibilità, di accontentare tutti, ma certe persone andrebbero solo lasciate perdere. Il problema è che proprio non riesco, sono fatta molto male sotto questo punto di vista.
A livello personale è stata una settimana eccezionale, finalmente ho preso la macchina, mi è arrivata la settimana scorsa ma ho potuto ritirarla solo questo martedì (perché ho fatto ponte e sono scappata a Trieste per vedere il mio musical preferito ihih) e me ne sono totalmente innamorata. Anche guidare non mi fa più così schifo come una volta.
Infine ho finalmente comprato i biglietti aerei per questa estate e, tornando dagli USA, farò scalo in Islanda, la mia meta dei sogni da anni. Non sarà uno scalo molto lungo ma quelle ore in cui andrò a Reykjavik saranno il coronamento di un viaggio da sogno.
Sono felice.
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raffaeleitlodeo · 8 months
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IMPRESENTABILE E' inutile girarci attorno. L'approvazione dell'autonomia differenziata segna il trionfo del progetto secessionista che la Lega persegue da più di trent'anni, e che consiste nella "liberazione" delle aree più ricche del paese dal "peso" di quelle meno ricche. Solo in apparenza questo progetto è in contraddizione con quello nazional-sovranista di Fdi e di Giorgia Meloni. In realtà le due istanze, nazional-statalista e federal-secessionista, convivono da sempre nella destra triciipite messa al mondo da Berlusconi nel '94 - esattamente trent'anni fa, neanche a farlo apposta -, si sostengono a vicenda sulla base di un interesse economico comune e trovano infatti pieno coronamento nella doppietta che affianca all'autonomia differenziata il premierato monarchico. Doppietta che a sua volta porta a compimento il progetto originario della destra tricipite suddetta: fare fuori - fare a pezzi, letteralmente - l'ordinamento della Repubblica delineato dalla Costituzione antifascista. Non è ancora detto, ma è molto probabile in assenza di una mobilitazione straordinaria della società civile, che questo progetto vada in porto. E va accolta positivamente la promessa del Pd e di Si-Verdi di indire un referendum abrogativo dell'autonomia differenziata, da affiancare al prevedibile referendum contro la riforma costituzionale sul premierato. Però, anche su questo è inutile girarci intorno, anche questo sfascio dell'autonomia differenziata lo dobbiamo in gran parte all'inisipienza colpevole del Pd. Non solo perché tutto comincia con la dissennata riforma del Titolo V della Costituzione, voluta da un governo di centrosinistra per rincorrere la Lega sul suo terreno. Né solo perché sull'autonomia differenziata si sono allineati Bonaccini e altri governatori Pdini, o per fare a loro volta gli interessi delle aree ricche del paese o per consolidare i propri califfati locali. Ma perché nel corso degli ultimi trent'anni il Pd nel suo insieme si è accodato alla narrativa leghista del Sud assistito e piagnone, sotterrando qualunque istanza meridionalista o, che è lo stesso, qualunque lettura critica del capitalismo nazionale e delle sue iniquità e disuguaglianze. Con i risultati che oggi si vedono. Da ultimo e non per ultimo: risparmiatemi commenti ispirati a una fantomatica visione "di sinistra" dell'autonomia differenziata. Uno Stato arlecchino, con competenze differenziate su materie come la sanità, al scuola, i trasporti (ma guarda caso non l'energia, perché se ci fosse una gestione regionale delle fonti energetiche questa sì che andrebbe a vantaggio del Sud), e senza meccanismi perequativi non è uno stato federalista, è semplicemente uno stato sfasciato e diviso per 21. Uno stato di staterelli uno contro l'altro armati, com'era l'Italia preunitaria, e soprattutto uno stato con al suo interno livelli disegualissimi di cittadinanza. In una parola, uno stato impresentabile. Ida Dominijanni, Facebook
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magicnightfall · 1 year
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THANK YOU AND GOODNIGHT
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A me m’ha sempre colpito questa faccenda dei quadri finali. 
Perché inevitabilmente, quando una serie finisce, ripensi all’inizio e ti rendi conto degli anni trascorsi (tanti o pochi a seconda della benevolenza del network), delle cose che hai fatto e di quelle che sono accadute nel frattempo. E mentre la serie andava per la sua strada, con tutte le tappe della propria vita ben scandite come tacchette su un righello — episodio pilota, prima stagione, notizia del rinnovo, produzione della stagione successiva e via dicendo fino all’epilogo, morte naturale o violenta che sia — tu pure andavi per la tua, ma altro che linea retta, altro che righello: per citare Ennio Flaiano, per te la linea più breve tra due punti è stata l’arabesco.
Così, nei sei anni che separano la Midge Maisel che invade ubriaca il palco del Gaslight e la Midge Maisel che — ‘sto giro sobria — si appropria degli ultimi quattro minuti del Gordon Ford Show, io ho iniziato la pratica forense, sono diventata avvocato, mi sono iscritta e poi cancellata dall’albo, nonna se ne è andata, ho cambiato tanti lavori (certo, uno era uno stage di nove ore al giorno per cinque giorni a settimana a cinquecento euro lordi che la Regione chiamava “tirocinio” perché “servitù della gleba” pareva brutto), sono stata trascinata a battesimi e cerimonie religiose contro la mia volontà, stranamente non ho preso il coronavirus, ho pubblicato due romanzi, ho avuto crisi esistenziali, ho detto addio al mio adorato micio, Floppy, mi sono devastata l’anima coi concorsi pubblici, ho fatto tanti passi avanti e altrettanti indietro, molto più spesso ho girato in tondo.
Ecco, forse non sono mai solo serie: piuttosto, capsule del tempo che racchiudono, nel periodo che delimitano, parte dell’esistenza di una persona.
E il fatto che The Marvelous Mrs. Maisel sia la storia di una ragazza che, dopo una batosta improvvisa, cerca di trovare la sua strada, rende forse la connessione tra spettatore e personaggio ancora più evidente, e più solida.
Che in effetti, se non la serie in sé — che a parte i rallentamenti dovuti al Covid è andata dritta per dritta — quanto meno è stato il personaggio di Midge ad avere i suoi begli arabeschi, il cui bandolo solo in apparenza è stato districato nel series finale (ma gli arabeschi hanno i bandoli? Probabilmente no, ma poi mi salterebbe tutta la metafora e allora famo finta che ce l’hanno). 
Perché se finalmente la vediamo sfondare come comica, il meritato coronamento di anni di sforzi, la sua vita privata è più ingarbugliata che mai. Anzi, più che ingarbugliata: tragica. Durante tutta la stagione i numerosi flashforward ci hanno dato un assaggio del tetro futuro che l’aspetta: un rapporto inesistente con i figli nel migliore dei casi, conflittuale nel peggiore; una collezione di matrimoni falliti; un ex marito (a cui è sempre rimasta affezionata) in galera, i genitori ormai trapassati e remoti — ma vabbè, erano anziani, ci sta — e Lenny Bruce pure (ma lui per un’overdose, e ci sta un tantino meno). E quel che è peggio, perché alla fine sticazzi di figli e mariti, è stato vedere le condizioni in cui versava l’amicizia con Susie e scoprirla — l’amicizia, eh, non Susie — più estinta di un dodo.
Diciamo che la netta virata sul tragico della quinta e ultima stagione della serie mi ha lasciata un po’ F4 basita. Non che nelle stagioni precedenti non ci siano mai state situazioni — se non proprio tragiche — quantomeno drammatiche (sopratutto nell’accezione narrativa del termine): dall’incidente scatenante (il tradimento di Joel e il conseguente divorzio) alla difficile relazione con i genitori, che né approvavano né comprendevano la sua carriera di comica e ancor meno le istanze di indipendenza (morale ed economica) che essa implicava, passando per tutte le difficoltà e gli ostacoli che Midge ha dovuto affrontare e superare in quanto novellina e in quanto donna, e tutte le varie ed eventuali che stanno nel mezzo. Semplicemente, tutte le situazioni infauste e le difficoltà delle precedenti stagioni erano nel presente, e pertanto non destavano particolari preoccupazioni perché chiunque si sarebbe aspettato che per la fine della serie — io la scena finale me l’ero immaginata con tremila persone ad applaudire Midge al Carnagie Hall, ovviamente con Abe e Rose in prima fila — sarebbero rimaste nel passato. La quinta stagione, invece, ci ha tenuto a dirci che il futuro sarebbe stato meno idilliaco di così. Certo, i problemi di un tempo si sono risolti e al loro posto ne sono arrivati di nuovi, d’altronde così è la vita, ma era necessario farcelo sapere? Era davvero necessario mostrarci Midge a settant’anni suonati vacillare all’idea di avere un martedì libero in un calendario di impegni di lavoro altrimenti fittissimo, perché oltre alla carriera — e a Susie, con la quale per fortuna si è riappacificata ma che però adesso vive in un diverso continente — non ha nient’altro?
Lei stessa — nel suo monologo finale in quegli ultimi gloriosi quattro minuti del Gordon Ford Show — con una certa lucidità arriva a intuire una possibilità di futuro che noi, in effetti, sappiamo essersi avverata: dubita, per esempio, che una relazione stabile sia scritta nel suo destino, e crede che sia inevitabile che i figli la odieranno da grande (e se per le relazioni, vabbè, amen, la questione dei figli è già più delicata anche solo perché saranno loro a scegliere la casa di riposo).
Badate, la mia in realtà non è proprio una lamentela, perché in effetti queste note agrodolci — più agre che dolci — del finale (e di tutta la quinta stagione) mi sono piaciute, è più una riflessione del tenore: già che la vita è miseria e poi si muore, è chiedere troppo che mi venga concessa l’illusione che a Midge Maisel sia andato tutto bene, che sia riuscita ad avere tutto senza dover rinunciare a niente? No? E vabbè.
Ciononostante, l’episodio è finale è stato tutto quello che speravo che fosse, cioè un degno tributo. Il monologo stesso, sia nel ripercorrere gli eventi salienti della carriera ancora in fieri di Midge, sia nello spronare le donne a credere in quello che fanno e a prendersi quello che gli spetta, invitandole a lavorare per far accadere le cose anziché attendere passivamente che accadano da sole, è un po’ il testamento morale del personaggio.
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E a proposito di questo, già solo la scena in cui Midge vede il microfono, la telecamera inizia e girare e tutto si fa silenzioso, con lei che avverte Susie che sta per fare un ultimo folle gesto e Susie che è pronta ad affondare con tutta la nave, ecco, già solo questa scena ha fatto passare in secondo piano qualsiasi remora o perplessità io possa avere mai avuto.
E poi c’è stata la consacrazione, con la menzione esplicita del titolo della serie. Non sempre accade, e quando accade è qualcosa di grosso, un vero e proprio cambio di paradigma: tipo Rick Grimes che nella quinta stagione (sarà una cosa delle quinte stagioni, dunno) dice finalmente “We tell ourselves that we are the walking dead”. Così, quando Gordon se ne esce con “May I present the magnificent, the magical… the marvelous Mrs. Maisel” è la chiusura del cerchio. E anche del sipario.
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Adesso mi sento un po’ come quegli studenti che — a detta del preside di In viaggio con Pippo, ma lui era evidentemente un mitomane — non hanno idea di cosa fare per non sprecare l’estate ora che la scuola è finita. Solo che il mio problema non è con l’estate mai coi venerdì, perché dopo una settimana di lavoro tornare a casa e dare il via al weekend con The Marvelous Mrs. Maisel era bello. Più che bello: era giusto. Per carità, di roba da vedere ne ho a carriolate, quindi ai miei venerdì uno scopo glielo ritrovo uguale, però, a prescindere, di signora Maisel ce n’era una.
E allora niente: thank you, Midge, and goodnight.
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archinterni · 10 months
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UNA VITA DA ARCHITETTO
Interessante incontro con Gian Carlo Malchiodi che, introdotto dall'amico Ugo la Pietra, curatore del volume per i tipi di Prearo Editore e da Antonio Monestiroli, racconta la feconda vita professionale all'insegna di un razionalismo della scuola milanese.
Presiede l'incontro il Presidente dell'Ordine Arch. Daniela Volpi.
GIAN CARLO MALCHIODI: UNA VITA DA ARCHITETTO
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DANIELA VOLPI Il Presidente dell’Ordine Daniela Volpi dà il benvenuto e ringrazia per aver scelto la sede dell’Ordine per la presentazione del bel libro su Gian Carlo Malchiodi, uno dei protagonisti della rinascita della città del dopoguerra. Milano è ricca dei suoi edifici nei quali, ancora oggi si può riconoscere la sua ricerca nel declinare la modernità mantenendola all’interno delle identità storiche della scuola razionalista. Una modernità “progettata”, sintesi creativa tra passato e futuro. UGO LA PIETRA L’Architetto e Artista Ugo La Pietra, curatore del libro prende la parola e racconta di aver accettato il difficile incarico di scrivere questo testo, non come storico, ma come appassionato di architettura. Con questo approccio, infatti, ha scritto diversi saggi: nel 1985 ha scritto il primo libro su Gio Ponti, fino ad allora autore dimenticato. Successivamente ha scritto di Ulrich e poi stava apprestandosi a fare la monografia di Tomaso Buzzi e del suo maestro, Vittoriano Viganò. Noi tutti passiamo davanti alle case di Malchiodi, senza saperlo. Questo libro dovrebbe portare alla luce queste mirabili opere degli ani 40 e 50. In quegli anni, se ci fossero stati più architetti del suo livello, la città avrebbe oggi un altro aspetto. Malchiodi è anche fine designer, basti guardare le cassette delle lettere, i corrimano, le maniglie, le lampade e tutti i piccoli dettagli che pazientemente disegna, senza lasciare nulla la caso. La sua architettura è colta e attenta, dal disegno equilibrato e ricco di modulazioni, ritmi, soluzioni spaziali innovative e trasparenze. Le soluzioni progettuali sono rese da arditi accostamenti di materiali, caldi e freddi, colorati o sobri. ANTONIO MONESTIROLI Antnio Monestiroli inquadra l’opera di Malchiodi nello scenario culturale dell’epoca, che vedeva come protagonisti Gardella, Albini, BBPR, generazione di maestri molto poco conosciuta, forse anche perche’ poco trattata dalle riviste, trascurata dalla storia dell’architettura.
E’ un movimento di cultura, che crede nella ragione e vede anche l’architettura come una disciplina conoscitiva. Sviluppando un progetto, si andava alla radice del problema, cogliendo gli elementi essenziali e organizzandoli in modo razionale. Il grande amore per la casa in cui si vive bene, in cui vige un buon rapporto con la natura e il sole, l’attenzione verso le condizioni igieniche, la distribuzione spaziale logica, hanno come risultante la semplicità della forma. Un altro aspetto importante riguarda il rapporto tra la vostra generazione e quella dei progettisti più giovani. Oggi sembra ci sia una riscoperta di forme pure e razionali a voi care. Intanto si sta abbandonando l’hi-tech, momento di forte ideologia delle macchine architettoniche come il Beaubourg. GIAN CARLO MALCHIODI Malchiodi comincia il suo intervento ringraziando tutti gli attori della serata: l’Ordine, l’editore e i relatori. Quando ha cominciato a progettare in Italia c’era ancora la famosa architettura del regime. Tutte le riviste italiane portavano esempi quali Piacentini, salvo qualche eccezione come Ridolfi. Uno stile che non lo convinceva. Nella sua vita professionale ha avuto diverse esperienze e anche la fortuna di avere avuto come maestro Gio Ponti e di essere andato a lavorare nel suo studio. Dopo il lavoro spesso Ponti gli parlava di architettura, insegnandogli molti principi che ancora usa. Diceva: “l’edificio deve essere un oggetto finito, completo, composto da base, corpo e coronamento. Se lo progettate così non si potranno attaccare dei pezzi”. Achille Castiglioni faceva l’esempio dell’uovo, forma naturale perfetta e pertanto intoccabile. Lo stesso Castiglioni diceva che nulla doveva essere lasciato al caso. Se ne è ben accorto Malchiodi, nella professione, quando, omettendo di disegnare dei particolari, essi venivano malamente interpretati dal costruttore. Alle volte basta un particolare sbagliato, per rovinare tutta una composizione. Malchiodi è sempre partito dalla pianta, cercando sempre di perfezionarla, perchè la casa risultasse funzionale, rispondendo alle esigenze del fruitore. Le sue piante sono come delle macchine e da esse deriva la forma dell’edificio esterno. Per quanto riguarda i committenti, egli non ha mai avuto clienti ricchi e altisonanti, che lo chiamavano per progettare una villa. La casa di via De Amicis, per esempio è fatta di balconcini, come quella progettata da Viganò in Viale Piave, pannellati, in origine, color carta da zucchero. Malchiodi avrebbe voluto che ogni pannello dei balconi fosse dipinto con un quadro astratto, e che tutti i pannelli insieme formassero un enorme dipinto. Cosa impossibile, se vediamo cosa è venuto fuori. Una delle case che gli piace ancora ora è quella di via Cassolo, una delle ultime. Una casa con un fronte di oltre 60 metri molto stretto. Ha voluto arretrare la casa, progettato un giardino sul fronte e innalzato la casa maggiormente, rompendo questo volume in quattro elementi sfalsati e collegati dai corpi scale e ascensori. Questi edifici avevano perso il loro parallelismo con la strada, che è stato poi recuperato mediante l’allineamento dei balconi.
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fashionbooksmilano · 1 year
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La ceramica del’900 a Torino  Gli Epigoni della manifattura Lenci
Maria Grazia Gargiulo
Edizioni Fioranna, Napoli 2014, 219 pagine,  21 x 30 cm,  Italiano e Inglese   ISBN 9788897630203
euro 45,00
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Opera di riferimento sulle celebri manifatture Torinesi del Novecento, denominate "Epigoni", il volume curato da Maria Grazia Gargiulo, giunge a coronamento di una lunga ricerca. In un arco cronologico che copre quasi cinque decenni, dalla fine degli anni venti fino agli anni sessanta, questo studio offre un ordinamento sistematico di modelli e ditte ceramiche nate a Torino dopo l'esperienza Lenci ed Essevi, con un vasto repertorio fotografico unico nell'ambito delle ceramiche torinesi, disegni delle ceramiche, foto d'archivio e illustrazioni a colori. Il testo è in italiano e inglese, destinato anche al mercato del collezionismo mondiale. Grazie a questa ricostruzione si arricchiscono repertori poco noti, l'attività e la paternità dei singoli artisti che vi operavano all'interno delle ditte ceramiche. È esaustivo nelle immagini e nelle storie tracciate delle manifatture con foto d'epoca e riferimenti biografici.
30/03/23
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kneedeepincynade · 1 year
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Western moralism is extremely funny to observe and a real pain to interact with.
The post is machine translated
Translation is at the bottom
The collective is on telegram
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⚠️ LA DIMOSTRAZIONE DELL'IPOCRISIA, DEL PATERNALISMO, DEL MORALISMO OCCIDENTALE ANTI-CINESE SUL TEMA DELL'AFRICA ⚠️
📸 Ecco uno screenshot molto importante, che dimostra pienamente l'assoluta ipocrisia e falsità Occidentale anti-Cinese sul Tema dell'Africa 🌍
🤧 È proprio nello screenshot che possiamo notare il coronamento e la dimostrazione dell'atteggiamento moralistico e paternalistico dell'Occidente "bianco, democratico e civilizzato" verso l'Africa, con la classica retorica anti-Cinese 🔍
😉 Utente 1: "Come ha dichiarato un funzionario del Kenya: «Ogni volta che la Cina ci visita, otteniamo un ospedale. Ogni volta che la Gran Bretagna ci visita, otteniamo una predica», la classica morale condita dal sempreverde «ma a quale prezzo?!» 🤧
🤮 Utente 2, il classico Occidentale: "Forse, ma in che modo il Kenya sarà obbligato a rimborsare questo investimento?", facendo ironia sul fatto che non esista un "ospedale gratuito", o meglio, che nessuno costruisca qualcosa gratuitamente per gli altri 🤦‍♀️
🤩 Utente 3: "Ecco che arriva la predica LoL" 😂
😌 La dimostrazione è tutta qua, lampante, certifica a pieno le parole del funzionario del Kenya. Gli abitanti del Giardino non sono i benvenuti in Africa, e non lo saranno fino a quando non impareranno a rispettare i Paesi Africani 🤧
🤧 Continuare a perpetrare un vorace colonialismo, mettendo al potere cricche da arricchire, mentre la popolazione rimane nella povertà, e poi attaccare falsamente la Cina, accusandola di perpetrare ciò che in reale perpetra l'Occidente, non produrrà alcun risultato positivo per nessuno 👍
🤧 Ma è ben risaputo che l'Occidente collettivo, sia a livello governativo, sia per quanto riguarda la maggior parte dei Popoli che ne fanno parte, hanno ormai interiorizzato molto bene il pericoloso mantra «accusa l'altro di ciò di cui sei colpevole», di Joseph Goebbels - Ministro del Reich Nazista per l'istruzione Pubblica e la Propaganda 🤮
🤔 D'altronde, non serve faticare molto per osservare gli Occidentali "bianchi, democratici e civilizzati" che dimostrano ciò di cui parla il 90% della Popolazione della Terra 🤧
❔ Un altro tema? Nei post sulla Via della Seta in Italia, ho scritto: "Ho notato, a più riprese, come la maggior parte degli Italiani abbia "interiorizzato" la logica del colonialismo, e quindi sono incapaci di sognare un'Italia indipendente, e legata ad una visione multipolare, libera dalla propaganda anti-Cinese, e quindi spesso si leggono farneticazioni del tipo «smettere di essere una colonia USA per diventare una colonia Cinese?» ❔"
❕ Ecco, non appena gli ottimi Compagni del Comitato per il Donbass Antinazista hanno ripubblicato questo e altri post sul Tema, subito è arrivato il commento di un utente che ha letteralmente dimostrato la tesi di partenza, citando l'assurdo concetto «non dobbiamo passare dal colonialismo americano a quello Cinese» | Avete dei danni al cervello, vivete di proiezioni e fantasie, di paure costruite artificialmente da forze anti-Cinesi ♨️
😉 Piccola nota finale: l'Italia è sicuramente un vassallo degli USA, è subalterna agli USA in tutto e per tutto, ma - rispetto al Sud Globale, rimane un Paese imperialista e che partecipa all'imperialismo. Tra i soldati in Niger e le navi da guerra inviate in Oriente, in funzione anti-Cinese, il discorsetto Italiano del «non fidarsi dei Cinesi» dovrebbe decadere in un attimo, in favore di: perché dovrebbe la Cina, e qualsiasi Paese al di fuori dell'UE, fidarsi dell'Italia? E perché dovrebbe fidarsi dell'Occidente? 🤔
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⚠️ THE DEMONSTRATION OF HYPOCRISY, PATERNALISM, ANTI-CHINESE WESTERN MORALISM ON THE THEME OF AFRICA ⚠️
📸 Here is a very important screenshot, which fully demonstrates the absolute Western anti-Chinese hypocrisy and falsehood on the topic of Africa 🌍
🤧 It is precisely in the screenshot that we can see the crowning and demonstration of the moralistic and paternalistic attitude of the "white, democratic and civilized" West towards Africa, with the classic anti-Chinese rhetoric 🔍
😉 User 1: “As a Kenyan official put it: «Every time China visits us, we get a hospital. Every time Britain visits us, we get a lecture», the classic evergreen moral «but at what cost?!" »🤧
🤮 User 2, the classic Western: "Perhaps, but how will Kenya be obliged to repay this investment?", ironically on the fact that there is no "free hospital, "or rather, that no one builds something for free for others 🤦
🤩 User 3: "Here comes the LoL preaching" 😂
😌 The demonstration is all here, clear, fully certifies the words of the Kenyan official. Garden dwellers are not welcome in Africa, and they won't be until they learn to respect African countries 🤧
🤧 Continuing to perpetrate voracious colonialism, putting cliques in power to enrich, while the population remains in poverty, and then falsely attacking China, accusing it of perpetrating what the West actually perpetrates, will not produce any positive results for anyone 👍
🤧 But it is well known that the collective West, both at the governmental level and as regards most of the peoples that are part of it, have by now internalized very well the dangerous mantra «accuse the other of what you are guilty of» , by Joseph Goebbels - Nazi Reich Minister for Public Education and Propaganda 🤮
🤔 On the other hand, you don't need to work hard to observe "white, democratic and civilized" Westerners demonstrating what 90% of the Earth's population is talking about 🤧
❔ Another theme? In the posts on the Silk Road in Italy, I wrote: "I have noticed, on several occasions, how most Italians have "internalized" the logic of colonialism, and therefore are incapable of dreaming of an independent Italy, and tied to a multipolar vision, free from anti-Chinese propaganda, and therefore we often read rantings like «stop being a US colony to become a Chinese colony?» ❔"
❕ Well, as soon as the excellent comrades of Comitato per il Donbass Antinazista republished this and other posts on the topic, the comment of a user immediately arrived who literally demonstrated the starting thesis, citing the absurd concept «we must not go from American colonialism to the Chinese one» | You have brain damage, you live on projections and fantasies, on fears artificially constructed by anti-Chinese forces ♨️
😉 Small final note: Italy is certainly a vassal of the USA, it is subordinate to the USA in all respects, but - compared to the Global South, it remains an imperialist country and one that participates in imperialism. Between the soldiers in Niger and the warships sent to the East, in an anti-Chinese function, the Italian speech of "don't trust the Chinese" should decay in an instant, in favor of: why should China, and any country outside outside the EU, trust Italy? And why should he trust the West? 🤔
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Scudetto Napoli: contro tutti e contro tutto. La felicità e qualche considerazione
Scudetto Napoli: contro tutti e contro tutto. Questa è l'unica incontrovertibile verità che sta alla base sia della felicità per il risultato conseguito sia delle varie considerazioni che si possono fare. Partiamo subito col dire che questo non è affatto lo scudetto frutto del "miracolo" così come tanti ancora cianciano e non smettono di sottolineare. Non nessun miracolo, quelli li lasciamo a San Gennaro, qui solo tanta professionalità e programmazione, di questo è figlio questo scudetto. “Qualche volta siamo arrivati secondi e saremmo dovuti arrivare primi. Sento di averne vinti altri di scudetti, in particolare quello dell’onestà” Aurelio De Laurentis Oggi si festeggia davanti al pubblico del Maradona e sarà un vero e proprio tripudio di azzurro che colorerà tutto e tutti ma noi abbiamo voluto fare qualche considerazione in più e ve le proponiamo nel nostro podcast che trovate qui in pagina e vi invitiamo ad ascoltare. «Oggi è il coronamento di un viaggio lungo anni. Quando sono arrivato ho detto che saremmo tornati in Europa e poi a vincere lo scudetto. Adesso ci manca di rivincerlo, rivincerlo e rivincerlo ancora. E poi ci manca la Champions».Aurelio De Laurentis Scudetto Napoli: i protagonisti Il grande artefice di tutto è stato lui: Aurelio De Laurentis, mai troppo amato né a Napoli né fuori per le sue modalità comunicative molto puntute ma sempre veritiere, come quella appena citata. Il merito enorme di aver saputo creare e mettere in pratica il progetto vincente societario e sportivo è di Cristiano Giuntoli. Il mago che ha reso possibile tutto quanto si è realizzato è senza la minima ombra di dubbio Luciano Spalletti. Lasciateci dire grazie a tutti i calciatori della rosa: Alex Meret, Pierluigi Gollini, Hubert Idasiak, Davide Marfella, Min-jae Kim, Amir Rrahmani, Leo Östigard, Juan Jesus, Mathías Olivera, Mário Rui, Giovanni Di Lorenzo, Bartosz Bereszynski, Stanislav Lobotka, Diego Demme, Piotr Zielinski, Frank Andrè Zambo Anguissa, Eljif Elmas, Tanguy Ndombélé, Karim Zedadka, Gianluca Gaetano, Khvicha Kvaratskhelia, Alessio Zerbin, Hirving Lozano, Matteo Politano, Giacomo Raspadori, Victor Osimhen, Giovanni Simeone Tutti questi ragazzi sono nella storia del calcio italiano. Sono nei cuori di tutti quelli che tifano per questi colori. Di tutti quelli che credono sempre nel Napoli a prescindere da chi nominativamente ricopre un ruolo o veste la maglia. Oggi è la festa di chi è consapevole che gli uomini passano e solo il Napoli resta! Grazie! Read the full article
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telodogratis · 22 days
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Marito e moglie 25 anni dopo il matrimonio
[[{“value”:” Il matrimonio è per molti, il coronamento di un sogno maturato sin da quando si era ragazzini. L’abito bianco,… L’articolo Marito e moglie 25 anni dopo il matrimonio proviene da Notizie 24 ore. “}]]  ​Read More  [[{“value”:”Il matrimonio è per molti, il coronamento di un sogno maturato sin da quando si era ragazzini. L’abito bianco,… L’articolo Marito e moglie 25 anni dopo il…
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nardonews24 · 1 month
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LA REIKI SALENTO VOLA A BUDAPEST PER I CAMPIONATI MONDIALI DI KICKBOXING
A coronamento di una stagione entusiasmante, che ci ha visto seguire i ragazzi della Kickboxing neretina fin dalle fasi provinciali, poi regionali ed infine nazionali, dopo una lunga estate di preparazione e duri allenamenti, l’Asd Reiki Salento presenta ora i suoi 𝟑 𝐚𝐭𝐥𝐞𝐭𝐢, 𝐂𝐚𝐦𝐩𝐢𝐨𝐧𝐢 𝐈𝐭𝐚𝐥𝐢𝐚𝐧𝐢 in carica, che vestiranno la 𝑴𝒂𝒈𝒍𝒊𝒂 𝑨𝒛𝒛𝒖𝒓𝒓𝒂 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝑵𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒂𝒍𝒆 𝑰𝒕𝒂𝒍𝒊𝒂𝒏𝒂 ai 𝑪𝒂𝒎𝒑𝒊𝒐𝒏𝒂𝒕𝒊 𝒅𝒆𝒍 𝑴𝒐𝒏𝒅𝒐 𝒅𝒊…
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istruireilfuturo · 3 months
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La pantera identitaria
Quando si incita ad affermare la propria identità, in sostanza si invita a sventolarla in faccia agli altri e questo certo non si può dire che sia un gesto di amicizia.  Pensare oggi di porre a coronamento del curricolo del primo ciclo di istruzione l’acquisizione della propria identità nazionale, come sembra nelle intenzioni dell’attuale ministro dell’Istruzione e del Merito, ispirato dal…
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