Tumgik
#grandes narrativas
gregor-samsung · 7 months
Text
" Il colonnello Federico Kraus, che era fornito del titolo di von Zillergut, da un villaggio del Salisburghese che i suoi antenati s’erano già pappati nel secolo decimottavo, era un rispettabile idiota. Quando raccontava qualcosa, non faceva parola che delle cose più positive, e subito dopo domandava se i suoi interlocutori comprendessero o no locuzioni di carattere assolutamente elementare: «Proprio una finestra, signori, sicuro, loro sanno che cosa sia una finestra?» Oppure: «Una via che ha ad ambo i lati dei fossi si chiama strada maestra. Sicuro, signori. Loro sanno che cosa sia un fosso? Un fosso è un’apertura nel terreno, a cui lavora un certo numero di persone. È uno scavo. Proprio così. Vi si lavora con badili. Loro sanno che cosa sia un badile?» Soffriva della mania delle spiegazioni e vi si dedicava con l’entusiasmo d’un inventore che parli della propria opera. «Un libro, signori, non è altro che una serie di fogli di carta di vario formato, stampati, riuniti, legati e incollati. Sicuro. Loro sanno che cosa sia la colla? La colla è un adesivo». Era stupido in modo talmente incredibile che gli ufficiali lo evitavano a distanza, per non essere costretti a sentire che il marciapiede si distingue dalla strada, e che è una piattaforma asfaltata e sopraelevata lungo le facciate delle case. E che le facciate delle case son quella parte degli edifizi visibile dalla strada o dal marciapiede, mentre invece il di dietro delle case non è visibile dal marciapiede, del che ci possiamo facilmente convincere se passiamo per istrada. Era sempre pronto a dare immediata dimostrazione di queste interessanti novità. Per fortuna, una volta rischiò di farsi investire, e d’allora in poi rimbecillì ancora di più. Fermava gli ufficiali per strada attaccando interminabili discussioni sulla frittata, il sole, il termometro, i biscotti, le finestre e i francobolli. Era veramente straordinario che questo buffone avesse potuto fare una carriera relativamente rapida, e che avesse l’appoggio di parecchie persone influenti, fra l’altro di un generale in posizione elevata, che lo proteggeva in grazia della sua incapacità militare. Alle manovre eseguiva miracoli col suo reggimento. In nessun luogo arrivava mai a tempo. Conduceva il suo reggimento incolonnato contro il fuoco delle mitragliatrici ed una volta, qualche anno prima, nel corso delle manovre tenute alla presenza dell’imperatore nella Boemia meridionale, si sperse coi suoi uomini e andò a finire in Moravia, dove continuò a vagare per qualche giorno dopo che le manovre erano già finite, e quando la truppa era rientrata in caserma. La cosa gli fu perdonata. L’amichevole relazione fra il colonnello e il generale in posizione elevata, nonché con altri non meno stupidi dignitari della vecchia Austria, gli valse parecchi ordini e decorazioni, di cui andava enormemente fiero, al punto che si considerava il miglior guerriero sotto il sole e il miglior teorico di strategia e di tutte le altre discipline militari. "
Jaroslav Hašek, Il buon soldato Sc'vèik, traduzione dal ceco Renato Poggioli (prima parte) e Bruno Meriggi (seconda parte), Universale Economica Feltrinelli, 1963.
[Edizione originale: Osudy dobrého vojáka Švejka za světové války, 1921-1923]
8 notes · View notes
princessofmistake · 1 year
Quote
«Noi siamo catene di desideri, ogni desiderio un anello. E spezzare questa catena è impossibile. Solo la morte ci riesce, ma non possiamo augurarcela.» Qualche testa in platea si mosse. «Il problema è, come sempre, un altro.» Inclinò il busto verso il pubblico: «Noi amiamo le catene.» Si sollevò gradualmente. «Guai se non ci fossero. Saremmo liberi. Ma gli uomini vogliono una sola libertà, quella di non scegliere.»
2 notes · View notes
queerographies · 3 months
Text
[Il grande specchio dell'amore tra uomini][Ihara Saikaku]
Il Grande Specchio dell’Amore tra Uomini: Un Viaggio nella Letteratura Omoerotica Giapponese Titolo: Il grande specchio dell’amore tra uominiScritto da: Ihara SaikakuTitolo originale: 男色大鑑Tradotto da: Andrea MauriziEdito da: MondadoriAnno: 2024Pagine: 352ISBN: 9788804786634 Di che cosa parla Il grande specchio dell’amore tra uomini di Ihara Saikaku Protagonisti dei quaranta racconti qui…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
downtobaker · 5 months
Text
Cimiteri
di Alessia Dulbecco Bogani Giuseppe Marcenaro, tra i più apprezzati e colti scrittori italiani a cavallo tra i millenni, ci ha lasciati ieri all’età di 81 anni Nell’introduzione a Cimiteri, storie di rimpianti e di follie, Giuseppe Marcenaro scrive che «il camposanto è il luogo più inverosimile inventato dall’uomo». Se i riti funebri rappresentano una costante nelle società umane, in qualsiasi…
Tumblr media
View On WordPress
1 note · View note
cristinabcn · 6 months
Text
NUESTRA AMERICA ONLINE RADIO CONQUISTA AUDIENCIAS en el MUNDO HISPANO con "RADIOTEATRO" Y SE ALZA CON GALARDON DEL AÑO de LOS GRAND AWARDS y ANUNCIA GRAN ESTRENO: "MARIANA PINEDA de Lorca".
NUESTRA AMERICA ONLINE RADIO CONQUERS AUDIENCES in the HISPANIC WORLD with “RADIOTEATRO” AND WINS THE GRAND AWARDS AWARD OF THE YEAR and ANNOUNCES GREAT PREMIERE: “MARIANA PINEDA de Lorca”. Nuestra América Online Radio ganador de la presea GRAND AWARDS categoría Mejor Producto Filantrópico Cultural, Educativo y de Empoderamiento Humano del año: RADIOTEATRO, nos invitan a: “Sumergirnos en un…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
sonsofks · 8 months
Text
Grand Theft Auto 6: El adelanto que todos estábamos esperando.
Rockstar Games revela un emocionante vistazo al próximo capítulo de GTA Rockstar Games, la aclamada desarrolladora de videojuegos, ha emocionado a millones de seguidores al anunciar que a principios de diciembre se lanzará el tan esperado primer adelanto de la próxima entrega de Grand Theft Auto (GTA). La noticia llega como un regalo para los amantes de esta icónica franquicia que ha cautivado a…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
diceriadelluntore · 22 days
Text
Tumblr media
Storia Di Musica #328 - Francesco De Gregori, Titanic, 1982
I dischi che ho scelto il mese di Giugno hanno un valore ancora più personale, e sono legati da un fatto. A metà Maggio per aggiustare due tegole lesionate salendo in soffitta per fare spazio ho ritrovato degli scatoloni, e in uno di questi, catalogati in buste di carta, come quelle del pane, vi erano dei dischi. Ne ho scelti 5 per le domeniche di questo Giugno. Il primo era nella busta Dischi di Angela, il nome di mia madre. Interrogata, e felicemente sorpresa di aver ritrovato quello scatolone pensato perso dopo un temporaneo trasloco da casa, mi ha raccontato che non comprò il disco appena uscito, ma dopo qualche anno, dopo aver visto un concerto dell'artista di oggi, uno dei più grandi autori della canzone italiana.
Francesco De Gregori era stato lontano dagli studi di registrazione per tre anni: il 1979 era stato l'anno straordinario di Banana Republic con Lucio Dalla e di Viva L'Italia, disco fondamentale e che contiene una storia particolare. Fu infatti il tentativo della RCA, la sua casa discografica, di promuovere l'artista a livello internazionale. Fu ingaggiato Andrew Loog Oldham, leggendario scopritore e primo produttore dei Rolling Stones, che portò con sé una schiera di tecnici e turnisti britannici, e lo stesso De Gregori registrò delle versioni in inglese di alcune delle sue canzoni più note (Piccola Mela, Rimmel, Generale, una versione di Buffalo Bill con Lucio Dalla) con i testi tradotti da Susan Duncan Smith e Marva Jan Marrow, poetessa statunitense che rimase in Italia per un decennio, collaborando con numerosi artisti (Ivan Graziani adatta un suo brano, Sometimes Man, per Patti Pravo, che diviene una dedica per lei, intitolata Marva).
Decide quindi di concentrarsi su un disco che da un lato riprende progetti giovanili sul recupero delle musiche tradizionali, e dall'altro sia una sorta di concept album. Su questo ultimo punto, fu decisiva la lettura nei mesi precedenti le registrazioni di un libro, L'Affondamento Del Titanic di Hans Magnus Enzensberger. Prodotto da De Gregori con Luciano Torani, Titanic esce nel giugno del 1982. È un disco dove De Gregori lascia da parte la canzone d'amore (solo un brano è riconducibile ad una canzone romantica), musicalmente molto vario e che sembra, attraverso il racconto della mitica nave e del suo tragico destino, una riflessione faccia faccia, personale e spirituale, con il mare, i suoi messaggi potenti e profondi. Si apre con Belli Capelli, l'unica canzone d'amore, che lascia lo spazio a Caterina, emozionate omaggio a Caterina Bueno, cantautrice fiorentina che fu la prima a credere nel giovane De Gregori, chiamato come chitarrista nel 1971: i versi «e cinquecento catenelle che si spezzano in un secondo» sono un omaggio ad un brano di Bueno, «e cinquecento catenelle d'oro/hanno legato lo tuo cuore al mio/e l'hanno fatto tanto stretto il nodo/che non si scioglierà né te né io». La Leva Calcistica Del '68 è uno dei classici degregoriani, toccante racconto di un provino calcistico di un dodicenne nel 1980, con uno dei testi più belli del Principe (E chissà quanti ne hai visti e quanti ne vedrai\Di giocatori tristi che non hanno vinto mai\Ed hanno appeso le scarpe a qualche tipo di muro\E adesso ridono dentro al bar\E sono innamorati da dieci anni\Con una donna che non hanno amato mai\Chissà quanti ne hai veduti\Chissà quanti ne vedrai). La parte centrale del disco, musicale ed emozionale, è la cosiddetta trilogia del Titanic. L'Abbigliamento Di Un Fuochista, cantata con Giovanna Marini (grande custode della musica tradizionale italiana, recentemente scomparsa) racconta una storia di emigrazione attraverso il doloroso dialogo madre-figlio sullo sfondo della tragedia, e De Gregori in un disco successivo, altrettanto famoso, La Donna Cannone (1983), inserirà un brano, La Ragazza E La Miniera, che è la prosecuzione narrativa di questo brano. Titanic, dal meraviglioso ritmo sudamericano, è il brano metafora della questione sociale: la divisione in classi, prima, seconda e terza, che accomuna la nave alla società. I Muscoli Del Capitano inizia come Il Tragico Naufragio Della Nave Sirio, canzone popolare resa celebra da Caterina Bueno, e molti notarono lo stile particolare del testo, un riferimento alla narrazione futurista del progresso, della potenza meccanica, al mito dell'acciaio e dell'industria. La canzone, meravigliosa, sarà oggetto anche di numerose riletture, e ricordo quella convincente di Fiorella Mannoia in Certe Piccole Voci (1999). Il disco si chiude con il riff, spiazzante, di 150 Stelle, sulle bombe e i bombardamenti, con il simpatico rock'n'roll di Rollo & His Jets, che nel testo cita due dei suoi migliori collaboratori, Peppe Caporello (bassista mezzo messicano soprannominato chicco di caffè) e Marco Manusso (chitarrista con quel nome strano) che insieme con Mimmo Locasciulli suonarono nel disco. Leggenda vuole che per gli arrangiamenti dei fiati Caporello volle un paio di scarpe di tela Superga bianche. Chiude il disco il pianoforte, dolcissimo e malinconico, di San Lorenzo, in ricordo dei bombardamenti del 19 luglio 1943 sul quartiere romano di San Lorenzo ad opera degli alleati. Canzone stupenda, è anch'essa ricchissima di riferimenti: i versi su Pio XII che incontra la gente si rifà ad una famosissima fotografia (scattata però, ma si seppe anni dopo, davanti alla Chiesa di San Giovanni In Laterano, nell'agosto del '43 dopo la seconda sequenza di bombardamenti), il verso Oggi pietà l'è morta, ma un bel giorno rinascerà è presa dal famoso canto partigiano di Nuto Revelli.
Il disco, con in copertina il merluzzo su un piatto in un frigorifero accanto a un limone tagliato fotografato da De Gregori e colorata da Peter Quell, fu anche un successo di critica e di vendite: nonostante non ebbe traino da nessun singolo, vendette 100000 copie nel primo mese, regalando le sue canzoni stupende, con De Gregori che fu il primo a ripercorrere le orme del Battiato de La Voce Del Padrone, unendo nel modo più convincente la tradizione cantautorale, in questo lui un Maestro insuperato, con il grande pubblico.
33 notes · View notes
jenniejjun · 6 months
Text
Tumblr media
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
❛you came with her but she might leave with me.❜
| devia ter sido você. aquela a derrubar a temida e diabólica, roseanne park. mas era sua culpa ela ser tão gostosa assim?
Tumblr media Tumblr media
roseanne park x leitora!fem | 𝐀𝐕𝐈𝐒𝐎𝐒. fingering
ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤregina george!rosé. muitas muitas ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ referências ao musical de mean girls. ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤbreve smut mas é muito mais sobre o ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤmood que isso passa. possível jenlisa. ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ college au.
Tumblr media
𝐍𝐎𝐓𝐀𝐒 𝐃𝐀 𝐀𝐔𝐓𝐎𝐑𝐀.
gente, eu surtei. toda essa antecipação pro musical de mean girls tá me matando porque eu amo ele e só de pensar que a regina pode ser sáfica (de preferência lésbica, mas a gente aceita qualquer migalha), eu tô ficando malucaaaaa! anyways, isso mais a minha simples obsessão de tempos em tempos pela rosé resultaram nisso. eu tentei encaixar as pinks no esteriótipo de cada plástica mas é bem óbvio que eu não penso nada do que foi retratado aqui delas, é tudo pela narrativa. não tem tanto smut nesse porque quis deixar um gostinho de quero mais. e pra quem escuta taylor swift, foi completamente intencional o plot twist do final rs.
Tumblr media
Sua amiga ia te matar, com certeza.
Você tinha vindo do Brasil há pouquíssimo tempo, um intercâmbio insanamente caro que te colocaria em uma das faculdades mais ricas dos Estados Unidos. E claramente, você precisava de amigos. A exclusão era certeira, transferida no meio do período, estrangeira. Tinha tudo pra dar errado, você precisava daquilo. Mas foi avisada.
Não existia isso de ser 'amiga' do topo da cadeia alimentar, você era a presa. Yeri e Christopher tinham deixado bem claro, iriam acabar com você. Por isso, devia se contentar com a mesa de história ou a deles, a dos mediciners.
Não, você não podia. Estava ali para ser grande, se fosse para ser a mesma ninguém que era no Brasil, não tinha concordado em se mudar para outro país e morar com uma família adotiva que mal conhecia. Necessitava da grandeza e você sabia que a maioria delas começava ali. E, bem, pode parecer bobo, mas quando se está rodeada de riquinhos e legados da Ivy League... Acho que fica um pouco mais compreensível.
E pra prevenir sua queda colossal, existia o grupo perfeito. As chamavam de 'Plásticas', composto por quatro meninas de traços asiáticos que você tinha certeza que tinham vindo do céu. Elas eram brilhantes, falsas e duras como Yeri teria descrito. Jennie Kim, a pessoa mais burra que alguém poderia conhecer.
Christopher tinha a visto colocar um 'D' na palavra laranja.
De mãos dadas com ela, vinha Lalisa Manobal, diziam que ela sabia tudo sobre todo mundo. Você já anotava alguns pontos mentais para ela, parecia ser uma ótima amizade para saber sobre tudo. Acréscimo de pontos pelo cabelo enorme, exatamente como descrito. Devia ser cheio de segredos.
Também tinha Kim Jisoo, conhecida por manipular o campus todo com sua elegância e beleza por qualquer coisa. Também era ótima com prescrições falsas, isso explicava a quantidade de faltas abonadas que elas carregavam.
E então, Roseanne Park. A loira mais linda que você já viu em toda sua vida, com dinheiro e poder. Pelo que você sabia, toda a faculdade estava aos seus pés e ela parecia adorar. O mal encarnado, pelas palavras de Yeri.
Elas eram perfeitas, o topo da pirâmide social. Justamente o que você precisava para ser vista, ainda que houvessem os bônus. Conexões, inúmeras delas, para quando precisasse, em eventos sociais. Foi difícil atrair a atenção delas, isso você tem que admitir, mas quando finalmente conseguiu, um orgulho crescente se apossou de seu peito.
Sabia que no momento em que escutou 'nós não fazemos muito isso', mal pôde conter a animação.
Mas elas eram realmente insuportáveis, exatamente como lhe avisaram. Boas amigas umas com as outras, algo sobre terem crescido juntas, mas terrivelmente cruéis com qualquer um que fosse de fora. Às vezes, até com você. Parecia que todo o rosa tinha te enganado. Achou que fosse como brincar com bonecas, mas elas pareciam sempre a espreita para uma nova maldade como um assassino estaria pela adrenalina de matar.
"Eu avisei", foi o que você recebeu de Kim Yerim. A carranca e melancolia estampadas na face da menina eram o suficiente para lhe avisar que isso já havia acontecido algumas vezes, devia se sentir mal? A fantasia da vida em plástico era consumidora.
Contudo, Yeri parecia estar perfeitamente à espreita também. Você suspeitava, às vezes, que até demais.
"Agora você sabe! Roseanne Park não é sua amiga. Eu sou sua amiga e vou te ajudar a fazê-la pagar."
Pagar, você duvidava, mas apenas queria que parassem de serem más. O plano era simples, derrubar Roseanne de seu pedestal. Começaram com coisas bestas, cortas suas blusas em lugares que a fariam passar vergonha, provavelmente. Não que tivesse dado muito certo. Plantar a discórdia e fingir que Rosé—Roseanne não se importava com Lalisa.
Péssima ideia.
Seu último recurso era se livrar da figura que todos se encantavam, o corpo desejado e escultural de Park. Barrinhas de proteína que seu pai costumava comer para academia foram sua ideia, entretanto, essas também não pareciam fazer muito efeito. Para a frustração de Yerim.
Não—Na verdade, tais barrinhas nem haviam chegado na mão de Roseanne. Você não conseguiu.
Era presa, não se importava. Não era capaz de destruir aquelas meninas. Talvez estivessem suspeitas de você, afinal eram só elas por tanto tempo. Quiçá, quiseram te fazer merecer aquela amizade. Não que Kim Yeri precisasse saber, mas sua frustração contra elas teria acabado poucas semanas após a segunda tentativa de seu plano.
Pois é.
Mas honestamente, o que poderia fazer? Tinham feito uma festa surpresa e toda intimista para seu aniversário, da maneira que gostava. O bolo até tinha seu desenho preferido como decoração. E para completar, o olhar sedutor de Roseanne não havia deixado o seu durante toda a tarde. Nem mesmo quando subiram as escadas até seu quarto grande e rosa para que recebesse seu presente.
Um par de saltos Yves Saint Laurent para combinar com os dela.
"A maioria das pessoas daria só um cartão", você lembra de ter falado. Sem graça. Mal podia imaginar quanto haviam custado. Roseanne—Rosé, agora ela insistiu, apenas sorriu balançando a cabeça.
"Bem-vinda ao feminismo moderno", ela respondeu com o rosto perigosamente perto do seu. De repente, todo o seu esforço para achá-la uma pessoa terrível se esvaia pela janela. Não era cega, sabia o quanto Rosé era bonita desde o momento em que assentou os olhos nela, mas talvez fosse cega para ver quanto tempo ela passava lhe encarando.
Como um déjà vu, todas as interações entre vocês passaram pela sua cabeça. A mesa da cafeteria e ela em sua frente, o sorrisinho quando a convidou para sentar consigo e suas plásticas durante o almoço. A forma como suas irises escuras traçavam seu corpo enquanto falava o quão gostosa poderia ficar se usasse as roupas certas.
Até os trejeitos que costumavam incomodar, ela te puxando para fora do caminho nos corredores agora ganhavam sentido quando sua consciência se lembrava das vezes em quase caiu em lixeiras próximas sem a ajuda dela. E mesmo acreditando na impossibilidade de tudo aquilo, a maneira como os lábios dela pressionaram contra os seus de forma impaciente mataram qualquer dúvida.
Ainda se lembrava de provar dos lábios de Park pela primeira vez, ela tinha gosto de manga. Como uma mulher com fome, você buscou por mais ao vê-la se afastar te olhando. Os olhas dela brilhavam, tão perto dos seus, enquanto ofegava pela boquinha manchada pelo seu batom claro. A mão te segurava pela nuca te puxando para perto, as testas encostadas com um sorrisinho preguiçoso da parte dela.
"Você tá querendo demais, não acha?", perguntou te dando um selinho. A sua tentativa de aprofundo, ela se afastou mais uma vez. "Pra alguém que me odeia."
Você ficou meio zonza, se fosse para ser transparente, a olhava com uma mistura de tesão e choque. Esperou o tapa que nunca veio, os gritos que nunca chegaram a zunir. Qualquer coisa que a fizesse perceber o quanto Rosé te odiava por tê-la sabotado, mas tudo que recebeu foi a língua da Park invadindo sua boca.
Não que você se importasse muito, mas ela não deveria te odiar agora? Você tentou acompanhar, mas estava confusa demais.
"O que foi, hein?", Roseanne gemeu irritada.
"Você devia me odiar", disse embasbacada. Ainda sem saber o que fazer, observou Rosé soltar um arzinho prepotente pelo nariz. Te pegar por uma perna e acariciar a carne ali, a mão zanzando por sua coxa livremente. Perto demais da onde a precisava.
"Devia mesmo", disse pensativa. Os dedos entrando por baixo da sua saia, brincando com a sua calcinha. "E, sim, isso poderia acabar comigo e com a minha reputação mas você tá com sorte."
Não respondeu de primeira, sentiu os dedos longos dedos te acariciarem por cima do tecido aumentando a pressão. Logo, o quarto dela parecia pequeno demais, a cama, tudo. Era o tipo de sensação que nunca teria buscado com ninguém, apenas sozinha em sua cama durante a noite. Certificando-se de nunca fazer barulho. Jamais com outro.
A tensão era tamanha, nunca havia visto uma cena tão erótica quanto a que passava em sua frente quando se deu conta de que sentavam de frente com o espelho de Roseanne. A mão dela sumindo no meio de suas coxas, se mexendo lentamente e, se prestasse atenção suficiente, podia ver seu corpinho tremendo de prazer.
Abriu a boca num gemido mudo, tombando a cabeça para trás e deixando os fiozinhos delicados caírem junto da mesma direção. Você engoliu em seco, tentando se livrar do nó sua garganta.
"Tô?", tentou continuar a conversa. Viu o momento em que Rosé riu contra a pele de sua bochecha, o lugar em que se concentrava em beijar ali naquele momento. Achando graça da sua tentativa de permanecer sã durante tudo aquilo. Ela apenas murmurou em concordância, você tentou falar mais uma vez. Precisava se manter ali, caso se perdesse no prazer, tinha certeza que explodiria. "Por que?"
"Porque te acho uma gracinha."
A partir dali eram só sorrisinhos e abraços cheios de beijos, exceto quando estavam na faculdade. Roseanne insistia que precisava manter sua reputação e ainda que tentasse, era impossível não se derreter quando envolvia sua cintura nos almoços. Você, de certa forma, havia conseguido o que queria.
As pessoas sabiam quem você era e dificilmente mexeriam com a namorada de Roseanne Park, tanto tempo havia se passado—poucos meses—desde seu desejo incessante de ser alguém, só que, agora, não ligava mais. Pois tinha ela.
Tumblr media
toriverso ©️
116 notes · View notes
imninahchan · 5 months
Text
Tumblr media Tumblr media Tumblr media Tumblr media
⠀⠀ ⠀⠀⠀⠀ ning yizhuo interpreta CIRCE
𓂃 ഒ ָ࣪ 𝐀𝐕𝐈𝐒𝐎𝐒: AKRASIA ato I, literatura sáfica, narrativa épica, grécia antiga, fantasia, mitologia grega, misandria, ação, harém, literatura erótica (sexo sem proteção, oral fem, sex pollen?, scissorring, a leitora é mais ativa, EEUSEIQUEVOCÊSSÃOTUDOPASSIVONASMASPFVMEDAUMACHANCEVIDASATIVASIMPORTAM, dirty talk).
Tô muito animada pra essa série, eu sou louca por mitologia grega. Tomei a liberdade de completar os mitos a serem expostos no decorrer dos capítulos com a minha própria interpretação criativa, para poder amarrar o enredo. Porém, não deixo de citar as minhas fontes (para esse ato I) sendo a Odisseia, a obra contemporânea Circe e O livro das Mitologias;
Acho que esse é o texto mais rico que eu já produzi, não só porque me levou tempo e pesquisa. Se você gosta da minha escrita como um todo, leia mesmo que não curta literatura sáfica, é só pular qualquer parte sexual que fica safe.
⠀⠀
⠀⠀ ⠀⠀ ⠀ ⓞⓑⓡⓘⓖⓐⓓⓐ ⓟⓞⓡ ⓛⓔⓡ
⠀⠀
⠀⠀
⠀⠀
⠀⠀
───── ⸙.
⠀⠀ ⠀⠀ ⠀⠀ ⠀ ATO I ⠀⠀ ⠀⠀ o mito de circe
Tumblr media
ESTA CANÇÃO COMEÇA E TERMINA NUMA TEMPESTADE. O raio que corta a imensidão noturna clareia tudo ao redor em vão, pois não há uma porção firme à vista para naufragar os restos do barco.
A trilha incandescente desenha pelo céu, semelhante a uma erva daninha, com seus ramas desaguando de canto em canto, e tomando mais e mais espaço até se perder no horizonte. Gigante, o vazio aberto faz parecer que está presenciando a fúria de um célebre titã, colossal e temido. O clarão que se estabelece pelo momento é capaz de cegar os olhos, construir a fantasia de um eterno vácuo sem cor ou forma.
E o som que sucede o fervor visual te faz tapar os ouvidos, encolhendo a postura. Jura, pelo resto de sanidade que ainda lhe resta, o compasso das ondas chocando-se contra o casco de madeira até muda de curso, como se a frequência reverberante fosse a potência que rege os mares.
O corpo tomba, para o caminho oposto em que a embarcação simplória é jogada. Bate com o peito na borda, os braços são jogados para fora, quase toca a água salgada com a ponta dos dedos. Senta-se sobre o estrado, afogando a pele da cintura para baixo no pequeno oceano que se forma dentro do barco. O supremo do mar não tem motivos para estar te atacando assim, pensa, o irmão dele, sim, pode estar enfurecendo o cosmos para te impedir de atracar em segurança. Quer a sua morte, nenhum rastro do seu cadáver quando a carcaça de madeira despontar em uma ilhota qualquer. Ninguém saberá nem a cor dos seus olhos.
— Nêmesis! — esforça-se para bradar mais alto que o repercutir das ondas quebrando.
Levanta-se num único impulso. Mal se alinha sobre os próprios pés, cambaleia conforme a embarcação nada por cima da maré, até se escorar no mastro. Abaixa o olhar.
— Nêmesis... — o título divino ecoa, agora, com mais fraqueza, tal qual um sussurro em segredo. Cerra os olhos. — Eu louvo a Nêmesis dos olhos brilhantes, filha de Nyx de capa escura...
Ó, grande deusa e rainha, Celebro-vos, a vingadora dos oprimidos, Que observais, que garantis que todo mal seja punido. Imparcial e inflexível, distribuidora da recompensa certa, Escutai meu lamento.
— Injustiça atormenta minhʼalma — confessa. — Sejais o corte da minha lâmina quando eu cruzar o destino de meu inimigo. Não deixeis que o sopro de vida opoente seja mais eterno que o meu. E eu vos prometo: será a minha alma pela dele.
⠀⠀
⠀⠀ ⠀
⠀⠀
QUANDO CIRCE NASCEU o nome para o que ela viria a se tornar ainda não existia. Chamaram-na, então, de ninfa, confiando que seria como a mãe, antes de si, e as tias e as centenas primas. Modesto título, cujos poderes são tão singelos que mal podem assegurar-lhes a eternidade. Conversam com peixes e balançam-se em árvores, brincando com as gotas de chuva ou o sal das ondas na palma da mão. “Ninfa”, eles a chamaram, não apenas como em fada, mas em noiva.
Sua mãe Perseis era uma delas, uma náiade, filha do grande titã Oceanos e guardiã das fontes e águas doce. Belíssima, de ofuscar os olhos ao focar em outra coisa senão o brilho de sua pele feérica. Captura a atenção de Hélio, numa de suas visitas aos salões do primogênito dos titãs. Não havia nada igual Perseis.
Oceanos tinha uma aparência abatida, de olhos fundos na cara e uma barba branca beirando o colo. Seu palácio, entretanto, era um exímio refúgio situado nas profundezas das rochas terrestres. A estrutura se levantava em arcos altos, os pisos de pedra reluziam como a derme de bronze no corpo de Hélio. Pelos corredores amplos, era possível ouvir a dança das ondas, liderando a um infinito caminhar em que não se sabia o começo ou fim do leito rochoso. Nas margens, floresciam rosas acinzentadas, em cachoeiras dʼágua onde se banham as ninfas. Rindo, cantando e distribuindo as taças douradas entre si. Ali, se destacava Perseis. Não havia nada igual Perseis.
— E quanto àquela? — Hélio sempre se apaixonava por coisas belas, era seu defeito. Ele acreditava que a ordem natural do mundo era agradá-lo aos olhos.
Oceanos já conhecia o caráter do titã do sol, o brilho dourado em todos os netos que corriam de um canto ao outro pelos salões não o deixava esquecer.
— É minha filha Perseis — responde, num suspiro cansado. — Ela é tua, se desejar.
Hélio a encontrou no outro dia. Perseis sabia que ele viria, era frágil mas astuta, a mente feito uma enguia de dentes pontiagudos. Sabia que a glória não estava nos bastardos mortais e quedas nas margens dos rios. Pois quando estiveram frente a frente negociou, “uma troca?”, ele perguntou, poderia tê-la em seus lençóis apenas através do matrimônio. Teria o encanto de outras flores nos jardins que se espalham pela terra, mas nenhuma delas jamais reinaria em seus salões.
No dia de seu nascimento, Circe foi banhada e envolvida pela tia — uma das centenas.
— Uma menina — anunciou.
Hélio não se importava com as meninas. Suas filhas nasciam doces e brilhantes como o primeiro lagar de azeitonas. E mesmo quando olhou para o bebê emaranhado na colcha, sem reconhecer seu esplendor jovem, manteve sua fé.
Circe não era nada como Perseis.
— Ela terá um casamento digno — o titã acariciou a pele recém-nascida, feito uma bênção.
— O quão digno? — Perseis soou preocupada.
— Um príncipe, talvez.
— Um mortal?
— Com o rosto cheio dessa forma... Não sei se podemos pedir por muito.
A decepção estava clara na face de Perseis.
— Ela vai se casar com um filho de Zeus, com certeza — ela ainda insistiu, gostando de imaginar-se em banquetes no Olimpo, sentada à direita da rainha Hera.
Circe cresceu rápido — ou perdeu a noção do tempo enquanto cuidava dos irmãos. Os pés descalços correndo pelos corredores escuros do palácio do pai, sem um nome pelos primeiros quinze anos de vida. “KIRKE”, a chamaram, a princípio, para repreender quando olhavam nos profundos olhos amarelados e o choro estridente como uma águia que se senta ao canto do trono de Zeus.
O palácio de Hélio era vizinho a Oceanos, enterrado nas rochas da terra. As paredes pareciam não ter fim, extraídas de obsidiana polida. O titã do sol escolheu a dedo, gostava como a pedra refletia sua luz, superfícies lisas pegavam fogo quando ele passava. Mas não pensou na escuridão que deixaria assim que partisse.
Circe viveu na noite. As vistas demoram a se acostumar com o clarão que as rodas da carruagem celestial do pai descia dos céus. Bem-vindo de volta, papai, clamava, porém era recebida em silêncio.
Aos poucos, se acostumou a não falar tanto. Não retribuir, não repreender, não se opor. Não questionava por que não reluzia na água feito as outras náiades, ou tinha os cabelos castanhos e sedosos, por mais que os escovasse com os pentes de marfim. Na época de se casar, também não argumentou contra o matrimônio com um príncipe de uma cidade qualquer. Até hoje, ela não se lembra do nome exato.
Para classificá-lo, poderia usar um termo que fosse do horrendo ao desprezível, com tranquilidade. Sua boca tinha gosto salgado, e o som de sua voz martelava profundo na cabeça da jovem toda vez que abria a boca para dizer algo. Circe não se agradou da cama, da casa, das restrições, dos apelidos enfadonhos que recebia nas noites em que o álcool o tomava o juízo. Então, ela o matou.
Rebelde, insensata, má, foram algumas das palavras que ouviu de sua mãe ao ser devolvida nos salões do palácio. Era incompreensível para Perseis como sua filha havia retornado para casa sem uma moeda de ouro ou um herdeiro para recorrer um trono. Os cochichos sobre ervas e misturas de água quente não faziam sentido, de onde a prole de uma náiade saberia dosar veneno no cálice de vinho de alguém?
Hélio não sabia o que fazer, consumido pela decepção que tanto esforçou-se para afugentar, embora tenha visto nos olhos daquele bebê o destino miserável que o aguardava. Não queria ouvir quando os sussurros contavam sobre o terror daquele banquete em que o príncipe fora transformado em um besouro azul e pisoteado pela esposa de olhos amarelos.
Só que escutou quando Zeus murmurou em seu ouvido uma solução.
— Se odiais tanto a presença de um filho sem honra, exilai-o longe de suas preocupações.
O castigo pareceu justo. Sozinha, em exílio, Circe não seria a aberração do palácio do titã do sol. Não sentiria mais o gosto salgado dos beijos, as mãos ásperas que um dia já envolveram seu corpo. Seria somente ela e aquilo a que deu o nome de magia. E todo homem que aportasse em cais teria o mesmo fim que o primeiro.
Mas o corpo que amanheceu em sua praia não pertencia a nenhum homem.
⠀⠀
⠀⠀
⠀⠀
OS SEUS OLHOS SE ABREM DEVAGAR, a visão turva impede que reconheça perfeitamente o ambiente em que está, mas as curvas sem foco à sua frente não negam que se encontra sobre o teto de alguém, em um cômodo bem iluminado e decorado. Pisca as pálpebras, apetecendo, agora, com a pontada que sente se desprender quase que de dentro do cérebro.
Zonza, sente a cabeça pesada. Recosta na parede atrás de si. Os músculos, inicialmente, dormentes te dão a impressão de que está nas nuvens, flutuando. Até que a realidade bate e mais dores se somam ao desconforto. As pernas latejam, mas a pele está emaranhada em um tecido suave e escorregadio. Os braços doem, formigando, e só se dá conta do porquê de tamanho incômodo quando olha para os lados e percebe os punhos erguidos no ar por um pedaço de pano amarrado ao dossel de madeira da cama.
A primeira reação, claro, é se soltar. Luta contra a própria dor para puxar os punhos em direção ao corpo deitado para afrouxar as amarras, força ao máximo que o estado debilitado permite, ouvindo o estalo da madeira. Porém, é em vão.
Franze o cenho. Não deveria ser tão difícil para você conseguir se libertar assim, até que o ressoar de risadinhas doces ecoam pelo cômodo e levam os seus olhos para a beirada da cama, aos seus pés.
Vê a forma que as cabecinhas formam montanhas com seus cabelos esverdeados. Os olhinhos curiosos se erguendo do “esconderijo” para espiar a movimentação que se dá sobre a cama. Murmuram entre si, sorrindo. Ninfas, você soube na hora. Mas elas servem a alguém, quem era sua senhora?
— Saiam, saiam! — a resposta surge com o chegar de outra mulher ao recinto. Ela balança as mãos, causando um alvoroço entre todas as criaturas que estavam escondidas debaixo dos móveis para descobrir mais sobre o estranho que aportou naquela manhã.
As ninfas choramingam, passando por cima das mesas, jogando as peças de cerâmica no chão, mas não desrespeitam a ordem. Deixam todas o quarto, fechando a porta ao saírem.
— Perdoa pela confusão — a mulher diz, com um sorriso —, elas estão morrendo de curiosidade.
Você a assiste se aproximar mais. Acompanha como caminha em paz ao móvel à sua direita para despejar um pouco do líquido da jarra para o cálice. Se vira com o objeto em mãos, te oferecendo.
— Onde estou? — é o que a pergunta.
— Na minha casa — ela responde. — Bebe.
— Me solte — pede, ignorando completamente a oferta. — Com certeza, não estou no lugar onde deveria estar. — Torna a face para o próprio corpo estirado sobre o tecido e não reconhece a roupa que está vestindo. — O que fizeste com as minhas coisas? Onde estão minhas coisas?
— As ninfas te acomodaram — justifica. — A roupa molhada não te faria bem, e não havia mais nada contigo quando te encontramos na praia. Vamos, bebe.
— Mentira! — roga, virando-se para ela mais uma vez. O cálice está a milímetros dos seus lábios, mas não cede. — Eu trazia uma bolsa comigo, em meu barco, e quero de volta.
A mulher parece se controlar para não perder a paciência, respira fundo. Senta-se no cantinho da cama.
— Escuta — começa —, se estavas em alguma embarcação no caminho para cá, os destroços estão no fundo do oceano. Não havia mais nada além de ti.
Você escuta, mas claramente não digere.
— E se não queria perder sua bolsa — ela continua —, deveria tê-la segurado com mais força.
Argh, você grunhe, não conformada com o que ouve. Os braços doloridos voltam a ser flexionados, conforme tenta escapar mais uma vez.
— Não gaste tanto esforço — ela te aconselha —, não vai se soltar.
— O quê... — murmura, impaciente. Te aflige a forma com que puxa com o máximo de força que possui e mesmo assim o tecido nem fraqueja. — On... Onde estou? Que lugar é esse? Não te pedi para que me trouxesse para cá!
— Por que é tão ingrata? — levemente se irrita. Hum, resmunga, erguendo-se para largar o cálice de volta no móvel onde estava. — Está me fazendo arrepender de ter sido tão boa...
— Boa?! — repete, incrédula. — Me mantém presa à tua cama!
— Porque não confio em ti.
— Pois eu não confio em ti.
Ela pende a cabeça pro lado, te observando com pouco crédito. Se inclina, de surpresa, apoiando as mãos nos cantos do seu corpo debilitado para estar pertinho do seu rosto quando diz “certo, quer sair?”
— Espero muito que seja uma guerreira habilidosa e não uma filha de pescador qualquer, porque aí pode conseguir caminhar para fora deste palácio antes que os lobos te peguem. — O tom na voz dela é de pura gozação, como se menosprezasse até o ar que você inala nas quatro paredes do domínio dela. — E que os deuses te protejam para que não seja devorada pelos leões no caminho à praia e possa morrer de exaustão nadando sem rumo pelo oceano.
A ameaça em si não te assusta, o que desperta o seu alarde é a descrição singular. Na mente, as pecinhas desse quebra-cabeça vão se unindo para formular uma resposta para as suas perguntas.
Se lembra da fúria que enfrentou naquela tempestade a mar aberto, sem saber se sobreviveria e onde os destroços do naufrágio iriam parar. No entanto, as suas preces parecem ter sido ouvidas, pois Nêmesis te trouxe para a casa de uma das mulheres mais fascinantes da qual já ouviu falar.
Se lembra do eco da canção nas noites de festa, a lira ao fundo acompanhando a voz que recitava os versos sobre a lenda de uma jovem rebelde, insensata e má. Em exílio em uma ilha, à espreita de nobres cavalheiros que aportassem em seu cais. Embebedando cada um em seus banquetes de recepção e transformando-os em criaturas variadas para cultivar seu zoológico pessoal.
É, você a conhece muito bem. Deveria ter se tocado assim que colocou os olhos no olhar profundo e amarelado como uma águia.
— Esta é Eéia — anuncia o nome da ilha. — Tu és Circe — um sorriso ameaça crescer nos lábios da mulher —, a primeira bruxa.
Circe endireita a postura, não sabendo bem como receber esse título.
— Então é assim que me conhecem... Interessante — murmura, de queixo erguido.
— Cantam canções sobre ti, seus feitos.
— Hm, é mesmo?
— Circe dos olhos de águia. Algumas aldeias te veneram.
— Me bajular não vai fazer com que eu te solte.
Você meneia o rosto para o lado contrário, sem graça depois que suas intenções são desmascaradas. Porém, é obrigada a encará-la novamente mais quando ela te segura pelo queixo, “é minha vez de fazer as perguntas agora.”
— Qual teu nome? Da onde vens?
As suas palavras são engolidas, não emite um som em resposta sequer. E Circe espera, de bom grado, olhando no fundo dos seus olhos em busca de uma pista qualquer, mas não encontra nada.
— Além de ingrata, é muito egoísta — te diz —, como pode saber tanto sobre mim quando não sei nada sobre ti? — Sorri, soltando teu rosto. — Se não vai falar, te aconselho a beber — torna a atenção para o cálice cheio —, até que eu me decida o que fazer contigo, não quero que morra desidratada.
Se inclina, com aquele mesmo tom gozador de antes. “Sabe, é a primeira vez que isso me acontece” , ela conta, “normalmente, eu convido os marinheiros para um banquete e os amaldiçoo, eu odeio marinheiros. Mas tu não és um marinheiro como os outros... Então, pode ser que eu demore um tempo até me decidir.”
E ela não tem pressa. Os dias se somam, pela manhã as ninfas adentram o quarto para te alimentar e saem logo em seguida, silenciosas, porém risonhas. Não vê ou escuta a bruxa, como se ela nem existisse ou fosse a dona daquele palácio. O que compõe a sinfonia para os seus ouvidos é o som dos animais de pequeno porte que invadem pela janela, feito os macaquinhos e os pássaros, e o rugido dos leões. À noite, por vezes, o que julga ser uma união das vozes doces das ninfas te mantém acordada. Os gemidos prolongados, longe de choramingar por dor, mas por prazer.
Não demora a compreender que para Circe, você não tem valor algum. Com o tempo, não tem dúvidas, as servas deixaram de te trazer o cálice de kykeon com uma mistura fortificada com cevada e morrerá de fome. E se não tem valor nenhum à bruxa, talvez seja melhor mostrar para a bruxa que ela tem valor para ti.
— Diga a tua senhora que estou pronta para falar com ela — é o que orienta as ninfas numa manhã.
Circe manda organizar um pequeno festim. Você recebe uma túnica nova e um par de sandálias de couro. É banhada, vestida, o cinto lhe molda a cintura. Quando sai do quarto pela primeira vez, a decoração do lado de fora não se diferencia muito do que via no confinamento. Peças de cerâmica espatifadas pelo chão, cortinas rasgadas pelos animais, as formosas ninfas penduradas nas pilastras, olhando-te com sorrisos bobos nos lábios vermelhinhos.
Atravessa o pátio até o grande salão, sentindo-se pequena entre as feras deitadas sobre o mosaico imenso. Circe está deitada num divã, puxando as uvas do cacho e rindo. Traja uma túnica com detalhes em vermelho e dourado, unida no ombro esquerdo pelo broche de cabeça de leão. As tochas e as velas ajudam a lua a iluminar o ambiente. Ao canto, o som da lira se mistura aos demais instrumentos de sopro e o som da ninfa que cantarola com um coelho no colo.
— Ah, aí está ela! — O sorriso de Circe aumenta ao te ver. Apanha a taça na mesinha de apoio cheia de frutas e o ergue no ar, como se brindasse sozinha, antes de beber um gole.
As servas te acomodam à mesinha redonda em frente ao divã, sentada sobre as almofadas e os lençóis estirados. Um cálice te é oferecido, adoçam o vinho com mel para que a bebida forte desça mais facilmente pela garganta seca. Prova do peixe frito, controlando a própria fome para não parecer ingrata pela sopa que recebia todos os dias.
Os aperitivos parecem se multiplicar nas mesinhas espalhadas pela área coberta, chamativos. Mas você precisa manter a cabeça em foco.
— Espero que perdoe meu silêncio — faz com que a voz sobressaia de leve por cima da música, do canto em coral e do som dos passos dançados no pátio.
Circe espia brevemente na sua direção, com um sorriso pequeno.
— No teu lugar, eu também temeria.
Você leva uma unidade do cacho de uvas à boca, sentando-se aos pés do divã.
— Mas não preciso temer-te agora, preciso?
A bruxa lhe oferece mais um olhar, dessa vez com o sorriso mais largo.
— Pareço com alguém que deve temer?
É a sua vez de sorrir, desviando a atenção para o festejo que as ninfas realizam entre si.
— Não estava em meus planos atracar em tuas terras — admite a ela —, mas estou contente que assim o fiz. Tens me alimentado e por isso sou grata.
— Sou benevolente demais, é um defeito meu.
— E muito inteligente, eu suponho. Especialmente porque vai aceitar a minha oferta.
Ela aperta o cenho, não te leva a sério.
— Oh, tem uma oferta pra mim? — o tom divertido não te intimida.
— Estava certa ao duvidar de uma mulher que naufraga sozinha na tua praia — começa, em sua própria defesa. — Eu não sou filha de um pescador, ou de um comerciante qualquer. Eu naufraguei na tua ilha porque estava fugindo.
Agora, ela se interessa, “e do que estava fugindo?”
— Do meu destino — a sua resposta não é a mais precisa de todas, porém é suficiente. — Uma grande tempestade assombrava o mar naquela noite, eu, de fato, pensei que não fosse sobreviver. Mas eu rezei para que aquele não fosse meu último suspiro, e as minhas preces me trouxeram para cá, para que eu possa concluir a minha missão.
— E que tipo de missão é essa?
Você desce o olhar para o cálice em mãos. À medida que o vinha desaparece, a pintura de um guerreiro empunhando a espada surge no fundo da taça. Vingança.
— Irei subir até o topo da morada dos deuses e castigar Zeus por toda tormenta que trouxe à minha vida.
Talvez fosse a ousadia de subir o monte sem ao menos dispor de um veículo de locomoção, e possivelmente o nome sagrado dito com tamanho desprezo, Zeus, que faz Circe rir como se tivesse ouvido a piada mais bem contada no palco de uma peça.
— Quer se vingar de Zeus?! — claramente não leva seus planos a sério. — Ah, querida, não tem nem uma adaga de bolso para a viagem. Eu posso envenenar-te com esse cálice que segura e tu não conseguirias se defender. E fala de matar Zeus?! O Deus dos Deuses?
Você finaliza o vinho, para mostrar que nem a ameaça da boca pra fora dela te faz temer.
— Não tenho uma espada comigo agora, é verdade. — A olha. — Mas você me dará uma.
Circe apoia o cotovelo no descanso do divã, para chegar mais perto de ti.
— Sinto que as canções que cantaram-te eram enganosas — rebate, com a voz afiada —, pois não sou nenhum mestre da forja. Eu não crio coisas, querida, eu as transformo.
E você não se deixa intimidar.
— Não, não terá que criar nada — argumenta. — A espada que empunharei até o Olimpo será feita pelo próprio ferreiro dos deuses.
— Hefesto? — ela duvida mais uma vez. — E ele já está ciente dessa loucura?
— Ele estará, assim que chegarmos ao Submundo.
O som da risada divertida da bruxa se destaca entre a orquestra. Circe joga a cabeça para trás, manejando a taça em mãos. Recupera o fôlego sem pressa, cruelmente debruçada na comicidade para te penetrar o mínimo de juízo.
Para você, entretanto, não existe uma frase racional sequer que possa te fazer desistir do plano que elaborou meticulosamente em todos esses dias de confinamento. Enquanto as ninfas te alimentavam, tratavam as feridas superficiais que o naufrágio deixou, e os animais passeavam pela sua cama, a mente entrelaçava um percurso ousado desde de Eéia até a região da Tessália. Todas as cidades em que iria passar, com quem iria conversar e quem iria matar pelo caminho.
O riso que recebe agora é só um prelúdio para o choro incessante que despertará no panteão.
— Quando Hefesto me construir a espada, eu te entregarei o metal — você prossegue, inabalada —, e caberá a ti transformá-lo.
“Te confiarei o meu sangue, pois somente um deus pode matar outro deus”, fala, “para que abençoe a espada, e faças dela uma matadora de deuses.”
O sorriso de Circe diminui aos poucos, és uma semideusa, murmura, se familiarizando melhor com a situação que lida.
— Oh, entendo agora... — o indicador circula pela beirada da taça. — Este é um impasse familiar? Por isso quer vingança... Mas, se tratando de família, temo que devo me retirar, pois já tenho impasses desse tipo por conta própria.
Você não se dá por vencida facilmente.
— Pense em tudo que conquistará — apela. — Depois que eu matar Zeus, e eu o matarei — frisa —, quem estará sob o comando do Olimpo, uma vez que eu não disponho de nenhum interesse de poder?
— A Rainha, certamente.
— Não quando o rei dela cairá pelas minhas mãos. — Você se apruma de joelhos, mais pertinho do corpo estirado no divã. — Pode ter muito mais do que a Ilha. Uma mulher tão poderosa quanto tu não deveria estar exilada e solitária.
— Não estou sozinha.
— Eles cantam canções sobre ti, Circe. Sobre teu poder, tua grandeza. Não imagina quantas garotas por aí queriam poder gozar dos mesmos encantos que prega para se protegerem dos homens do mundo.
Apoia-se com a palma no descanso do estofado para se posicionar atrás dela. A boca ao pé do ouvido, feito uma tentação. “Poderia ser adorada como uma deusa, e responder às preces que te rogam.”
“Não tem que se contentar com os marinheiros que aportam uma vez a cada lua cheia, ou às vezes nem mesmo atracam... Não nasceste para viver nessa ilha, por mais que tenha se acostumado a chamá-la de lar. Está aqui porque te colocaram aqui. Zeus te colocou aqui.”
— Meu pai me colocou aqui — ela retruca, cuspindo cada palavra após terem tocado em sua ferida ainda aberta.
— Porque ele ouviu Zeus — você corrige mais uma vez. — Hélio teria feito diferente se não fosse pela influência daquele que chamaram de Deus dos Deuses.
— Você não conhece meu pai.
— Mas conheço Zeus.
“Eu sei do que ele é capaz”, completa. “Eu vivi a sua fúria, se eu não tenho mais uma casa para qual retornar é por sua culpa. Ele já nos causou mal demais”, aproxima-se do outro ouvido, para sussurrar: é hora de fazê-lo pagar.
Circe mantém a postura. Os olhos de águia, antes tão caçadores, agora fogem do seu olhar. Beberica do vinho em mãos, murmurando um “vou pensar com misericórdia”, tentando trazer de volta o mesmo tom gozador que já usou previamente contigo.
— Levem-na para celebrar! — orienta as servas, com aceno das mãos.
— Eu não celebro — você contradiz, em vão, pois as mãozinhas finas das ninfas te tocam os ombros e guiam para fora da área coberta.
É levada até o pátio, no centro do mosaico. Aos seus pés, o desenho que se forma com pedrinhas coloridas ilustra a cena de uma batalha sanguinária, a lâmina reluzente é erguida à mão de uma mulher. Dizem, nos cânticos, que o mosaico encantado no palácio da primeira bruxa revela aos olhos desatentos dos homens que ela embriaga o futuro que os aguarda.
Guerra, sangue, destruição. As faces assustadas e o mar de cabeças rolando não te aflige.
À sua volta os corpos belos e mal vestidos da ninfas rondam-te como presas. Cabelos extensos, passando da cintura e quase no joelho. O brilho da pele feérica cintila sob o banho da lua, somam-se ao ecoar dos instrumentos de sopro, ao tambor, e as vozes tão melosas quanto o mel que adoçou teu vinho.
Se cobrem com o véu, para valsarem ao seu rodar em sincronia. De repente, está com a visão totalmente monopolizada por elas. Aquilo que dizem sobre as ninfas, sua capacidade de hipnotizar quem quer que almejem, aqui pode provar da procedência. Talvez seja o efeito do álcool que ingeriu, é uma boa explicação senão o misticismo daquelas criaturas da floresta, quando a visão fica turva, perdendo o foco de supetão e voltando ao normal.
Sente o som dos tambores batendo no seu coração, o corpo pesar. Esquenta a pele, como se a temperatura ambiente tivesse ido às alturas em um verão mais árido que o normal. Cambaleia, perde a noção de equilíbrio. As vozes cantam no fundo do seu ouvido, parecem moldar o caminho incorreto que as suas sandálias traçam.
Olha ao redor, em busca de algo que faça sentido, e só enxerga a insanidade. Os sorrisos imorais, o mover depravado de corpo em corpo. Os rostinhos falsamente inocentes abraçados às árvores do jardim. Corpos se eriçando feito bestas, unhas pontiagudas como garras de caça. Olhos brilhando na escuridão que se guarda nos limites do refúgio infame da bruxa.
Mas um olhar se destaca entre o mar de lascividade. Grandes, profundos, amarelados. Estreitos nas pontas como uma águia.
Você pisa em falso, vai de encontro ao chão para ser recebida pelo conforto de almofadas e mantas, e descansa a nuca no pelo de um leão. O par de mãos que sobe pelas suas canelas não se importa com o limite que a sua túnica estabelece. Toque quente, queima junto à sua pele, arrepia até o último fio de cabelo. E aqueles olhos ferventes... Aqueles malditos olhos de cigana oblíqua e dissimulada. Olhos de quem percebe tudo, tudo sem dizer nada.
— Circe — chama o nome dela, segurando em seus ombros, como se evocasse um demônio. — Não me tente, bruxa.
— É isso que achas que estou fazendo? — O sorriso ladino se espalha pela boca como verme. A ponta do nariz roça na sua, respiração soprando contra o seu rosto.
Ardilosa, ela se acomoda sobre o seu colo, permite que o calor entre as pernas te aqueça o ventre por cima da fina camada de tecido que ainda lhes cobre a nudez. Os longos cabelos negros recaem para o canto, conforme se inclina, “nunca conheci nenhuma mulher além das ninfas”, ela conta, “me deixe experimentar você.”
É o feitiço em efeito, só pode ser, pois se doa sem pensar muito nas consequências. A última vez que vê o rosto dela é quando já está se aproximando no meio das suas pernas, com um sorriso libidinoso e os quadris eriçados, de quatro sobre o chão.
Encara a lua cheia no céu noturno. A imensidão vazia às bordas só não te captura a atenção porque o baixo ventre se remexe em prazer. Sente o carinho dos dedos te circulando, escorregando entre as dobrinhas conforme se molha mais e mais. O nariz se esfrega no seu monte de vênus, sensual, inebriando-se no seu cheiro antes de te provar o sabor. Quando a boca vem, você se agarra aos lençóis ao seu redor.
Pode ouvir os sons das ninfas, jura, uma orquestra erótica se fortificando ao pé do seu ouvido como se quisesse te levar à loucura. Desce as mãos pelo próprio corpo, toca os fios escorridos da moça e os toma na palma. Feito a guiasse, mantém o controle da carícia que recebe. Os olhos se fecham, um suspiro longo deixando o seu peito ao se entregar mais e mais. Desde que saiu de casa, empurrando aquele barco simples pela areia até a praia, de todos os possíveis cenários que protagonizaria em seu futuro, nenhum deles envolvia estar aqui onde está, com quem está, fazendo o que faz agora. E não é como se arrependesse, entenda.
Encontra-se à beira, quase derramando, mas não permite-se entregar ao deleite. A ergue pelos cabelos, bruta na maneira de manejá-la de volta aos teus braços. É fácil romper o broche de cabeça de leão na altura dos ombros alheios, maior ainda é a facilidade para desfazer as amarras da túnica que ela usa.
Num movimento único, a coloca sob ti, tão habilidosa com a arte de mover-se que arranca um daqueles sorrisinhos debochados que ela tem. A separa as pernas e se posiciona de modo que possam ficar bem encaixadinhas. A conexão é tão úmida, o seu desejo se misturando ao dela quando se encontram dessa forma. Deixa que a perna dela descanse no seu ombro, movendo os seus quadris contra o corpo feminino.
Circe leva a mão à sua cintura, aperta. Puxa o seu cinto, desfaz a cobertura que a túnica promove somente para poder arrastar as unhas da sua barriga às costelas. E você grunhe, ardendo não só pelo carinho arisco, mas pela ousadia de quem tecnicamente está sob seu controle.
— Má — a sua voz soa mais baixa, num murmuro como se não quisesse que ninguém além dela escutasse. — Pensei que fosse boa, esse era o seu defeito, não era?
Ela se delicia com as palavras, com o tom aveludado. Eu sou quem eu quero ser.
Amar Circe foi uma das melhores coisas que já fez, não só pela experiência nova e erótica, mas também pela conexão que se estabelece ao fazer dela sua primeira companheira. Deita ao canto dela, ao fim, quase se perde com o olhar pelo desenho do corpo nu, de lado com a cabeça sobre os lençóis macios. Os cabelos negros recaem em cascata, são jogados para trás e limpam o rosto corado, os olhos brilhantes.
Ela encolhe de leve a postura, o ombrinho tocando a bochecha.
— Eu vou contigo — diz.
Você apenas sorri, num suspiro que mistura o cansaço e o alívio.
— Mas, se me trair... — ela ameaça.
— Não vou te trair — garante. — Pareço com alguém que deves temer?
Tomam a noite para si, para o ócio. Com o nascer da manhã, porém, devem de partir. Faltam quatro dias para o fim do verão, e se querem uma passagem para o Submundo, estão com o tempo contado.
55 notes · View notes
refeita · 2 years
Text
Você é como uma cidade que nunca conheci.
Andando por aí, a sua fama não passou despercebida por ser tão interessante quanto sedutor. Me encantei pelas histórias, pelas fábulas e pelo sotaque característico que só tua voz sabia entonar. Alguns poderiam chamar de ilusão, porém, eu não. Gosto de chamar de fantasia. Você me contou dos caminhos, das madrugadas e das taças brindando, eu te contei dos meus céus cinzentos, noites sem lua e falta de mar. Éramos como um oposto complementar, morando em corações de signos gêmeos. Era de grande sutileza nosso desencontro, pois enquanto minha verdade era fixa e racional, a sua sempre foi vaidosa. Te mimei e envaideci para criar raízes na terra, mas só te impulsionei a voar cada vez mais longe. Meu amor te inflou até cruzar mais quilômetros do que os que já separavam nossos caminhos. Nada disso foi suficiente para que não me prendesse em suas narrativas mirabolantes, cheias de vilões e vilãs, mas nenhum jamais seria você. Sempre foi o príncipe das próprias histórias, eu sempre fui vilã das minhas, éramos uma dupla sintomática irrecuperável. O problema é que sua prepotência não previu o momento em que o sintoma não me bastaria mais, em que meu lugar de vilã seria questionado e, por consequência, você também. Me distanciei da sua certeza esmagadora e percebi que meus prédios eram de areia, minhas ruas eram de brisa e as histórias eram apenas versões, não verdades. Foi então que te percebi como uma cidade que nunca conheci. Uma cidade que sempre ouvi falar dos bares, das ruas e das luzes, mas nunca pude tocar com os meus pés e respirar o ar com meus pulmões. A distância era mais que física, era total. Você não me deu dicas sobre como me encontrar diante de suas encruzilhadas, ainda que me convencesse que sim. Foi pensando nisso que pisei em sua cidade, caminhei pelas suas areias, senti tua maresia. Foi lembrando de nós que contemplei o belo horizonte pela janela, sorrindo melancólica da ironia de estar no mesmo lugar que sua vaidade pela primeira vez em tanto tempo, porém sem a chance de te olhar no olho. Olhei pelas janelas da sua capital, tão longe da minha, pensando em como nosso mundo ruiu a ponto do nosso possível momento mágico ter se tornado a sepultura de tudo que construímos e destruímos ao longo dos anos. Nossa ligação é uma cidade fantasma que em nada reflete sua metrópole litorânea, destruída lenta e apressadamente até não restar nada além de pedras soltas, onde antes havia fortaleza, hoje existem apenas destroços.
446 notes · View notes
cartasparaviolet · 3 months
Text
Lana Del Rey tocava majestosamente na vitrola: “I wasn’t crazy, I was divine”. Um dilúvio de lembranças jorrava a cada estrofe para, no refrão, inundar como cachoeira de água límpida desse poço de emoções que carrego em mim. A água apresenta-se gelada, ainda que o verão esteja escaldante no exterior. Essa voz em agonia debochava de minha covardia, tornando-me cada vez mais fria. Mudando a perspectiva pela qual eu encarava toda uma história de vida, vaguei tateando esse mundo de ilusões na ânsia de chegar àquele porto. Mamãe e papai, vocês podem me ouvir? Aquela criança difícil de conter e lidar apenas estava ferida demais para compreender as suas reais intenções. O mau comportamento, o terrível desempenho, a rebeldia que, em ímpetos de fúria, fugia dessa realidade nua e crua, expondo à superfície todas as mazelas enraizadas na alma. Os ancestrais abençoavam e protegiam aquela pequena alma em rebelião. Sopravam ao seu ouvido que a amavam constantemente e ela insistia seguir em negação. Havia fissuras em demasia em sua estrutura psíquica para só focar em reparos. Ao longo desses anos, eu me recolhi para implodir esse alicerce e começar novamente. Uma nova pessoa que caminha pelas ruas encontrando os velhos rostos que sequer imaginam a transformação particular vivida. E transcendida. Tudo bem, talvez alguns queiram ouvir a narrativa e me conhecer outra vez. Prazer. A grande maioria, ainda apegada aos antigos conceitos e memórias, não dará oportunidade para as boas novas que trago. Lamento. Sou a prova concreta da metamorfose superada por uma borboleta que perdeu suas asas ao longo do caminho. Paciência, disciplina, comprometimento. O quão disposto você está e até onde iria para o maior bem de todos, você mesmo? Ame-se em primeiro lugar. Busque o reino dos céus em seu interior para que tudo mais lhe seja acrescentado. Afirme a sua fé para que nenhum terremoto abale a sua nova estrutura. Sinta orgulho da sua jornada, mas, mais do que isso, honre os seus antepassados. Nós somos apenas crianças comparados à grandeza deles. Reverencie, peça sua bendição e siga em frente. Sorri ao perceber que uma simples música inspirava essa pequena alminha a expressar-se. Eu podia voar, eu conseguia. Dessa terra nem sempre tão hospitaleira, mas cheia de beleza, eu só peço proteção aos guias.
@cartasparaviolet
35 notes · View notes
gregor-samsung · 2 years
Text
“ Amore! Dolce amore! Sosterrò sempre che fu una delle massime scoperte del Pleistocene medio, periodo quanto mai ricco e fertile di invenzioni e sviluppi culturali. All'epoca, ne fui colto assolutamente di sorpresa. D'un tratto fui una creatura nuova, come il serpente che ha appena cambiato pelle: libero, aperto, ebbro di delizia. Ero una libellula che dispiegava le ali dopo la lunga notte trascorsa nella crisalide! Suonano ormai logore e banali, queste metafore: la generazione moderna ha perduto quel primo dolce, spensierato rapimento. I giovani d'oggi sanno bene che cosa aspettarsi; troppo gli è stato detto; essi pregustano, con ambizione eccessiva. Ma, per me, fu una metamorfosi, proprio perché non avevo la minima idea di che cosa stesse per accadermi. Sì, è un privilegio incomparabile essere proprio il primo a provare una nuova esperienza umana, qualunque sia; e se poi è l'amore!… Pensate! L'amore, che oggi si compiace se i giovani sembrano ancora apprezzarlo quando lo incontrano nella giungla, sulla sponda di un lago o in cima a una montagna… Oggi è cosa di normale amministrazione, che ha opportunamente preso il suo posto nel processo evolutivo; ma, ah!, quando era appena nato!… Non avevo né la capacità né il desiderio di analizzare ciò che mi accadeva; a ripensarci, mi accorgo che l'amore spuntò, come un frutto non premeditato, da quella prima inibizione che papà ci aveva imposto a fini puramente sociologici. Le nostre più facili inclinazioni erano state tarpate; ne era scaturito, senza che alcuno l'avesse cercato, questo appassionante, sconvolgente, straordinario banchetto di sensazioni. Non che fossimo inibiti, Griselda e io, quando ci mostravamo al mondo insieme; al contrario, non solo ci sentivamo liberi da vincoli nei nuovi reami scoperti dentro di noi, ma trattavamo la natura intera come una propaggine o dipendenza della nostra camera nuziale. Ci sentivamo invulnerabili: come se l'unione di due fragili e delicate metà avesse formato una creatura destinata a dominare, invincibile, la terra. Ridevamo irriverenti davanti al covo del leone; tiravamo la coda al gattopardo addormentato; ci rincorrevamo negli stagni, saltando, come da un masso all'altro, sulla groppa di coccodrilli disorientati e ippopotami perplessi; risalivamo le cascate gareggiando con persici e pesci tigre; ci gettavamo giù per le rapide con le anguille. Giocavamo a prenderci con gli aironi, tra le zampe degli elefanti infastiditi, che barrivano protestando ma tentavano invano di calpestarci; ornavamo con festoni di asparagus e di convolvolo i corni di rinoceronti corrucciati; spaventavamo i cervi al pascolo lanciandogli fra le corna serti fioriti di gelsomino e di vite che poi, nel vento della fuga, si alzavano come aquiloni. Di sorpresa prendevamo per la mano le scimmie, trascinandole in un vorticoso girotondo. Da struzzi, fenicotteri, pavoni, insomma da tutti gli uccelli che mi capitavano a tiro rubavo piume multicolori per adornarne la chioma di Griselda; a me, un mezzo guscio di uovo di aepyornis serviva da casco contro il sole. Le nostre allegre risate risuonavano nel folto e tra gli alberi intrecciati di liane, increspavano la superficie dei grandi laghi che le trasmettevano alle montagne, e da qui riecheggiavano sulle pianure. Fu la gioia più piena, anche se una o due volte quasi passammo il limite. “
Roy Lewis, Il più grande uomo scimmia del Pleistocene, traduzione di Carlo Brera, Adelphi (collana Gli Adelphi n° 185), 2003⁴; pp. 113-115.
[Edizione originale: The Evolution Man, 1960]
12 notes · View notes
sgiandubh · 6 months
Note
Demorei um pouco para encontrar todos os links, mas talvez ajude a contextualizar aquele período de 2022 em que Sam e Cait estavam oficialmente nos US. Fica a seu critério publicar ou não, claro.
Por favor olhe a resposta de Steven Cree a esse tt tão inofensivo. Não é nada, mas olhando para trás…
https://twitter.com/SamHeughan/status/1499525792451432451?s=20&t=KH9_8JE1xbPsurz81mfr8Q
Mais adiante houve um podcast com uma moça dizendo que foi abordada por Sam no Raya, e que desistiu porque foi um convite pra pap walk e jantar, menos o jantar.
Aqui está o link:
https://podcasts.apple.com/us/podcast/deux-u/id1604255499?i=1000562467891
Foi ao ar dois ou três meses após o vídeo de Gareth mas, para mim, se encaixa no mesmo momento da narrativa. A moça conta algo que aconteceu no passado recente.
Marple comentou sobre o assunto, em maio de 2022. Ela própria admite que Sam estava sistematicamente desmarcando encontros e entende que o pap walk com Monika Clarke foi encenado.
Concordo com você, não acredito que seja Sam nessas fotos.
Mas um outro detalhe me chama a atenção: não é engraçado que o sempre atraído por loiras jovens e pneumáticas estivesse tão interessado por morenas altas com grandes seios naquela época?
Se eu fosse Tony teria ficado bastante incomodado.
Dear (returning) Damage Control Anon,
Obrigada por este longo comentário que irei traduzir imediatamente, antes de responder. E desculpe pelo feedback tardio.
You write:
'It took me some time to find all the links, but maybe it would be helpful and bring some background context for that period in 2022, when Sam and Cait were both officially in the US. Posting is totally up to you, of course.
Look at Steven Cree's answer to that innocuous tweet. It's nothing, but looking back at it... https://twitter.com/SamHeughan/status/1499525792451432451?s=20&t=KH9_8JE1xbPsurz81mfr8Q
Later on, there was a podcast with a girl saying that she was approached by Sam on Raya, and that she backed out because it was an invitation to a pap walk and dinner, minus the dinner.
Here is the link: ​https://podcasts.apple.com/us/podcast/deux-u/id1604255499?i=1000562467891
It aired two or three months after Gareth's video but, in my opinion, it fits into the same moment in the narrative. The girl is talking about something that happened in the recent past.
Marple commented on the matter in May 2022. She herself admits that Sam was systematically canceling dates and suggests that the pap walk with Monika Clarke was staged.
I agree with you, I don't believe it's Sam in these photos.
But another detail catches my attention: isn't it funny that someone always attracted to young, pneumatic blondes was so interested in tall brunettes with big breasts, at that time?
If I were Tony I would have been quite uncomfortable.'
Ok, let's develop a bit, here.
Looking back at that March 2022 tweet, Cree's comment reads like this:
Tumblr media
That answer is a cheeky allusion at Dua Lipa's hit 'One kiss', and younger (or better informed) fans immediately cued in with the rest of the lyrics ('possibilities' comes to mind). To me, it's just the usual banter between these two, bearing in mind that Cree, the clown, knows a fair share of SC secrets. C was not amused by Dua being around, that we know for sure: #behave and that death stare immediately made me snort.
Podcast Girl is Monica Aksamit, the (in)famous fencer of the Fitness Harem. I resolutely refuse to listen one more time to that crap, because one of my New Year Resolutions is to not give undue space anymore to that particular brand of the shitshow. It is very clear that was a botched attempt to consolidate The Golden Dirk mystique, exclusively aimed at the Onlies. In her case, the encounter of demand and offer simply did not happen and the deal fell through. And I have to say I am not interested at all in whatever Marple has to say about it, simply because that woman has zero credibility in my book: she is just a pathetic troll, with no sense of humor and a penchant for verbal violence, on par with her lying abilities. I am not ready to forget her attempts at ridiculing me and I hope you will understand my position.
As for big breasted brunettes, I won't comment further. Aksamit did not, however, strike me as particularly well endowed in that department, to be honest.
Finally... Tony, who? Forget it, Anon, he is not into girls.
Thank you for the effort to put two and two together. I wish you all the best for 2024!
[Edit]: I am told the Raya girl is not the washboard breasted Aksamit, but a certain Paige Woolen. Who is well endowed in that department and probably also a p0rn whatever... I mean, what's in a name...?
Ok. Over and out. I will just jump in my car and pray for a smooth ride on the highway.
46 notes · View notes
queerographies · 5 months
Text
[Grande, Bro!][Jenny Jägerfeld]
Clicca qui per acquistare il libro Titolo: Grande, Bro!Scritto da: Jenny JägerfeldTitolo originale: Brorsan är kung!Tradotto da: Laura CangemiEdito da: IperboreaAnno: 2024Pagine: 128ISBN: 9788870918182 Un romanzo che esprime tutta l’energia della preadolescenza affrontando con una scrittura divertente il tema degli stereotipi di genere e di chi non si identifica nel sesso di nascita. Una storia…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
th3e-m4ng0 · 14 days
Note
Qué pensas de la temporada 2 en general? Nos gustó o no nos gustó, chat?
en resumen: me gusta para verla sin analizar a detalle la historia, es Palomera y bastante chistosa jejejeje
sin tanto resumen y con algunos spoilers:
pues... me gusta lo divertido, y esta temporada fue divertida, me entretuvo y me reí mucho (jeje el ep 8 es mi favorito de lo menso q es el plot), aunque en algunos momentos la animación no me gustó tanto, y visualmente tenían demasiado contraste, pero eso lo Puedo ignorar por las mejores condiciones de trabajo del staff que conllevó el cambio de estudio :3
SIN EMBARGO, hablando de la narrativa... Em. . No Aprecio mucho las decisiones que tomaron con starscream, y los chaos terrans, (y supongo que los malto, en general, especialmente con el ep 7- todos son Muy cercanos, cómo no se dieron cuenta en Chinga que twitch estaba actuando Muy diferente a lo normal?)
.. pero especialmente los chaos terrans, no sé, pudieron haberlos hechos más interesantes en vez de.. lo Que sea que hicieron con ellos 😭. cómo que de pronto hay terranos Malos (que se vuelven decepticons nomás por ser malos) y por qué todo el mundo los Odia sin darles oportunidad de crecer?? tampoco me gustó el Trato de los demás personajes hacia ellos, especialmente breakdown con aftermath 😭😭 no sé supone que es un niño? y algo así como su hijo???? por qué le pega (y lo hacen ver como algo "Chistoso")?? aaaaaaaa
ahora, hablando de starscream, siento que tomaron la ruta genérica de hacerlo Malvado y Traicionero como siempre, y pues, yo sé que es un oportunista Culero, pero al mismo tiempo estaban haciendo algo interesante con su personaje al final de la s1 y, no sé, en mi opinión, siento que Desaprovecharon eso para hacerlo similar al starscream de cyberverse (qué es eso de considerar lo que le dijo Hashtag de ser Más Cruel que megatron como un cumplido 😢😢 qué pasó con el desarrollo del ep 21 de la s1..)
Pero Hey !!! apenas son los primeros episodios de la temporada, capaz y todo esto es foreshadowing para algo más grande que se presentará más adelante, no sé khsdfskdhf. tmb yo estoy bien menso así que toma eso en consideración LOL, perdón por tanto texto
13 notes · View notes
hermeneutas · 3 months
Text
Sobre os Primordiais - Gaia, a Mãe-Terra.
Começando esta nova série onde trazemos detalhes relevantes sobre os Protogenoi, iniciaremos por uma das mais populares deidades. Amplamente retratada na mitologia, frequentemente descrita como uma antagonista dos Deuses nestes escritos e sendo uma potência inegável de vida e fertilidade, falamos hoje de Gaia, a Terra. Note que usaremos aqui nestes escritos, propositalmente, o nome das divindades e seu domínio de modo intercambiável, uma vez que os protogenoi são literalmente estes elementos que compõem o Cosmos.
Também chamada Gê ou Géia, a Mãe Terra emergiu do Caos Primordial (mais sobre ele em um próprio post!) segundo Hesíodo em sua Teogonia, escrito que narra o nascimento dos Deuses compilando os mitos em narrativa. Uma grande mãe por excelência, Terra tem inúmeros Deuses, daimones e seres divinos como parte de sua descendência.
Em seu domínio está a terra em todas as suas expressões - desde vãos na terra à cavernas, campos e florestas, pois Gê é o próprio chão onde se pisa. Nas descrições de ritos ctônicos da Odisséia, Gê está entre os Deuses para os quais Odisseu dedica um sacrifício, pois abaixo dela é onde se encontra, segundo os antigos, o Mundo Inferior.
Nas suas representações antropomórficas, Gaia é retratada como uma matrona com vestidos longos, adornada com frutos da terra ou com os karpoi, os daimones dos frutos e filhos dela. Um dos símbolos visíveis também é uma cornucópia recheada de alimentos. Nos vasos de cerâmica, Gaia é frequentemente representada se erguendo da terra.
Tumblr media
Diferentemente da maioria dos Primordiais, Gaia era uma divindade com um culto consistente em alguns locais, presente em santuários menores de outras deidades como Zeus e Deméter. Seu culto estava presente na região da Ática, Lacedemônia, Aquéia e também na Arcádia, mas há poucos relatos de algum templo dedicado inteiramente à Mãe Terra.
Listamos aqui alguns nomes e epítetos de culto usados para Gaia.
Nomes alternativos
Khthon/Khthonie (Χθον/Χθονιη) - É uma palavra alternativa para "terra", origem da expressão "ctônico", ou seja, "da terra".
Epítetos
Meter Panton (Μητηρ Παντων) - "Mãe de Todos" Euristenos (Ευρυστερνος) - "De amplo seio" Megale Thea (Μεγαλη Θεα) - "Grande Deusa" Olimpia (Ολυμπια) - "de Olímpia", uma das cidades do peloponeso com um proeminente culto a Zeus. Havia um altar para ela no templo. Gasepton (Γασηπτον) - "Terra sublime" Kourotrophos (Κουροτροφος) - "Nutriz dos jovens" Anesidora - "Dispensadora de bens"
Como podemos ver, os epítetos de Gê referem-se grandemente a sua fertilidade, capacidade enquanto cuidadora e nutriz de toda a criação.
Nas narrativas míticas, Gaia é frequentemente citada como a sustentadora da vida terrena e seus hinos a descrevem como fonte da felicidade dos mortais. Clamada na Ilíada como testemunha para juramentos e honrada em altares como o poder por trás da vida que fervilha na terra, Gê é de importância inestimável e dá forma ao planeta que habitamos.
Por fim, encerramos este post com seu hino homérico, traduzido por Alexandra Nikaios.
De Geia eu canto, Mãe firme de tudo, a mais antiga, que alimentou a vida na terra, sempre que caminhava no solo ou nadasse no mar ou voasse; Ela sustentou cada uma de suas riquezas. Através de ti os povos são abençoados de filhos e frutos, Ó Rainha, que dá e reclama a vida dos mortais; enriqueça quem quer que te agrade e honre; toda a abundância para eles; que suas terras férteis sejam frutíferas; através dos campos seus rebanhos prosperem; sua casa seja repleta de deuses. Eles regem os estados bem-ordenados com formosas mulheres, e ampliam as riquezas dos que os seguem; seus filhos exultam com júbilo jovial; suas filhas brincam em danças de espalhar flores com o coração feliz, e pulam pelos campos floridos. Tal coisa tu dás, Rica Divindade Sagrada. Então te saúdo, Deusa-Mãe, Esposa do Céu Estrelado; recompense minha canção com um sustento prazeroso! De ti eu me recordo, e de outra canção também.
12 notes · View notes