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#potere temporale
gregor-samsung · 1 year
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“ Un amico sacerdote mi domandò pochi giorni or sono le mie impressioni sul Concilio Ecumenico. Senza esitare gli dissi che ne avevo una: molto ferma. E cioè che i RR.PP. [Reverendi Padri] che s'eran radunati per decidere tante riforme mi parevano aver avuto poca fiducia nella loro Casa. Ora guardando storicamente le cose, la Chiesa cattolica ha passato momenti assai più brutti del presente, ed anzi mi pare che non sia stata tanto in cima alle speranze umane, alla stima degli avversari, al rispetto dei dissidenti, come oggi, e direi anzi come da quando perse il Potere Temporale; sicché non dispero che un giorno o l'altro verrà un Papa che raccomanderà preghiere di ringraziamento a Dio per quella fortunatissima data del XX Settembre. « Come, come?... », disse il mio amico e sacerdote. Proprio così, gli risposi; basta che si ricordi che cos'era la Chiesa verso il Mille, e che cos'era nel secolo XVI, e che cos'era poco prima e poco dopo la Rivoluzione francese. Nel Medio Evo spesso ridotta a feudo dei baroni che dominavano i colli intorno a Roma, nel Cinquecento corrotta nella Curia, nel Papato, e quasi prossima a diventare (se il sogno di Machiavelli si fosse trasformato in realtà) il dominio ereditario della Casa dei Borgia, e nel Settecento boccheggiante per mancanza di fede nel clero superiore ed in quello inferiore pronto a spergiurare (con venticinquemila preti apostati in Francia). Rilegga il Gregorovius (il mio amico è un uomo dotto) e guardi la descrizione dei costumi ecclesiastici nelle Memorie del Casanova. E si ricordi che soltanto da poco tempo è stato proibito dal Pontefice che un cardinale si faccia interprete in conclave dei desideri del suo principe e ponga quindi un veto alla elezione di un suo collega che a quel principe non piaccia... La Chiesa oggi è libera: ossia potente.
La Chiesa, continuai, oggi è più numerosa, più universale, più rispettata; il clero molto più onesto; la resistenza che ha offerto nei Paesi oltre cortina alle persecuzioni ed in Asia ed Africa è molto più notevole (anche se vi siano casi di disobbedienza o apostasia) di quella offerta durante la Riforma o la Rivoluzione francese. Lo so che c'è meno gente che va in chiesa di prima; ho letto molte inchieste di riviste o di giornali e del clero minore stesso che mostrano che nell'Italia del Nord non va alla Messa che il quindici o venti per cento della popolazione delle parrocchie, e nell'Italia del Sud si tocca appena il cinquanta o sessanta per cento, e per di più non sono giovani uomini, ma ragazzi, o donne, o vecchi; e che i parroci non posson esser troppo esigenti nella fede di chi fa battezzare i figli, o di chi si sposa, o di chi muore, se no dovrebbero escluderne molti dai sacramenti. È vero anche che le vocazioni diventano sempre più scarse. Però se più scarse, sono più serie, e nulla di male se si vedranno meno contadini nei seminari, che ci andavan principalmente per sottrarsi alla vita della vanga. E, le ondate di miscredenza sono meno pericolose delle raffiche di separazione, come al tempo della Riforma protestante. “
Giuseppe Prezzolini, Cristo e/o Machiavelli. Assaggi sopra il pessimismo cristiano di sant'Agostino e il pessimismo naturalistico di Machiavelli, introduzione di Quirino Principe, Rusconi Editore, 1971¹; pp. 132-134.
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anticattocomunismo · 1 year
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Francesco re per mandato divino
Il vaticanista Sandro Magister segnala una novità senza precedenti nella nuova costituzione vaticana: la sovranità temporale sul piccolo Stato viene attribuita direttamente al primato petrino. Continue reading Untitled
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ragazzoarcano · 9 months
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“Se il sole può donare al cielo il suo arcobaleno più bello solo dopo un temporale anche la vita forse ci maltratta un po' per poterci offrire qualcosa di prezioso.”
— L. Tangorra
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falcemartello · 4 months
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"Se sei fissato con la privacy hai qualcosa da nascondere".
Smantelliamo una volta per tutte questo luogo comune.
La domanda è viziata all'origine, perché parte da un assioma materialistico della privacy. Ricordiamo che non siamo più nell'era industriale ma nell'era digitale.
Ricercare privacy nell'era digitale non è nascondersi, ma proteggere la propria libertà di pensiero da ingerenze altrui.
Nel mondo materiale c'è una netta separazione tra pensiero e azione, anche a livello temporale. È molto complesso immaginare che qualcuno possa desumere il nostro pensiero e abitudini osservando alcune azioni materiali che compiamo, come ad esempio spendere del denaro contante al bar.
Servirebbero tecnologie avanzate, osservazioni continuative di ampia durata e profondità per poter anche solo per tentare di farlo. Il mondo materiale è estremamente più lento del digitale, ma non solo.
La realtà digitale poggia su sistemi informatici che per il loro stesso funzionamento registrano ogni azione e interazione col sistema stesso. Ciò significa che ogni azione, anche la più piccola - o addirittura una intenzione di azione, come soffermarsi per qualche millisecondo in più su un banner pubblicitario, viene registrata.
Tutto lascia una traccia. Queste possono essere poi facilmente aggregate nel tempo e analizzate. Ne consegue che chiunque abbia le capacità tecniche di farlo, acquisisce un potere quasi divino che gli permette di inferire con altissima probabilità statistica il pensiero e le prossime azioni di ognuno di noi.
Sì - chi nasconde le proprie azioni nel mondo materiale ha qualcosa da nascondere. Vuoi per pudore, timidezza, o perché sta facendo qualcosa che immagina possa avere conseguenze sulla sua vita.
Nella realtà digitale TUTTO può avere conseguenze sulla nostra vita. Anche l'azione più banale del mondo verrà aggregata insieme ad altre mille azioni, sia nostre che delle persone con cui abbiamo una relazione di qualche tipo, con il preciso scopo di impattare la nostra vita.
Lo ripeto: anche soffermarsi per qualche millesimo di secondo su un contenuto online può avere conseguenze nel corso del tempo. Soffermarsi per due minuti davanti a un cartello pubblicitario in piazza non avrà invece alcuna conseguenza, mai.
Ergo, la privacy nel regno digitale non viene ricercata per nascondere azioni peccaminose o illegali, ma per proteggere la nostra più intima libertà di pensiero e di autodeterminazione. È una necessità dettata dalla natura stessa del digitale.
Finché non si capisce questa fondamentale differenza ontologica si farà sempre l'errore di ripetere frasi fatte che non hanno senso nell'era digitale.
(Matte Galt)
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tiaspettoaltrove · 7 months
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Ti aspetto altrove.
“Ti aspetto altrove”, perché solo lì potrei farlo: in un’altra vita, in un’altra epoca, in un altro mondo. Siamo incatenati, e mi è impossibile essere totalmente me stesso al 100%. Viviamo una vita viziata dal condizionamento altrui, da direzioni stabilite in modo predeterminato, da decisioni che calano dall’alto di un potere materiale. Siamo schiavi e vittime di una realtà artificiale che ci ha irrimediabilmente ingabbiato per sempre, qui. Siamo parvenza di verità, bugie celate male, paure preponderanti. Siamo pedine di un sistema arzigogolato che però svolge egregiamente il suo lavoro. Siamo sempre meno umani, e sempre più involucri. Tu troverai sempre un ragazzo normale nella tua vita, non me. Perché io non posso essere trovato, io m’impedisco di farmi trovare. Mi celo dietro un’aura da bravo ragazzo che mi compete, mi caratterizza, ma al contempo mi limita anche. Ti aspetto altrove perché qui non potrei trattarti come vorrei. Non potrei dettarti la linea, non potrei tenere il polso della situazione, non potrei amarti follemente come vorrei. Finirei invece col far sbiadire la lucidità che serve per sopravvivere, col non rispettare i limiti del buon senso, col tenermi a bada ancor più di quanto faccio, naturalmente, di già. Sfocerei nel totale estremismo che qui e ora mi delinea e basta, sullo sfondo, marginalmente. Ma la carne che brucia può farlo davvero solo altrove, col dolore lancinante che diviene il piacere più ricercato ma (qui) negato. Con la propensione all’esplorazione totale, e non parziale. Con l’annullamento della negazione, del rifiuto, del rinvio. “Quando e come voglio”, e qui non è possibile. Non è una sconfitta, non mi sento vinto. È un cielo cupo, che non sfocia mai in un temporale. Un perenne stato di inquietudine, nel quale il sole non s’affaccia quasi mai. Il mondo è una grande distesa, ma dove può esserci realmente spazio per due spiriti che voglion sfuggire a tutto? Donne che odiano gli uomini, uomini che riescono a farsi odiare molto bene, discriminazioni, princìpi violati. E ancora ruoli confusi, tabelle di marcia non rispettate, libertà fittizie che si sostituiscono a quella unica e vera. Ci nascondiamo dietro ai silenzi, e alle parole che usiamo per cercare di non farci cogliere in flagranza, mentre andiamo a caccia di silenzi. Un fiume di frasi sprecate, inutili, sciocche, ripetute, retoriche, inconsistenti. Suoni che nulla aggiungono alla melodia della vita. Ma mai è la verità, quella che si tocca davvero. E quindi io ti aspetto altrove perché è solo altrove, che potrei farti quello che voglio. Solo lì, potresti vedermi davvero senza compromessi, senza taciti accordi, senza che debba sempre precisare e puntualizzare tutto. Solo lì potrei sciogliermi, e donarti tutto me stesso. Solo lì, potrei dare vita all’amore più grande di sempre. Questo blog è un modo per riflettere su ciò che non va, e che di fatto non può essere cambiato. Il muro non sarà abbattuto, è troppo resistente. Come la mia corazza. E voltiamo pagina.
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kon-igi · 1 year
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QUEL POST CON CUI EMPATIZZERANNO IN TRE (ME COMPRESO) Parte 1
Non è una storia triste, non ci sono plot twist né morali strazianti per cui togliete pure il secchio da sotto la sedia ché i testicoli rimarranno al loro posto (figura retorica gender-inclusiva).
L’altro giorno @der-papero ha rebloggato un mio post in cui c’era l’immagine di una mazza ferrata per ‘resettare’ un pc dicendo ‘Non fare male ai computer che sono stati i miei unici amici per tanti anni! (o qualcosa del genere) ed è a quel punto che io ho pensato la stessa cosa, anche se in modo più specifico e meno informatico del suo.
Dal 1979 a oggi ci sono stati degli ‘amici’ che sono diventati una sorta di pietra miliare temporale a cui posso tornare con la memoria in modo microscopico e con una precisione quasi eidetica, al punto che li posso usare come una personalissima radiodatazione al carbonio per conoscere gli eventi contestuali occorsi in un dato periodo.
Quando ero piccolo ho sempre creduto che tutti giocassero ai videogames, sia con la propria console a casa che nei bar o nelle sale giochi e invece ho lentamente scoperto che non solo quasi nessuno aveva un console per videogames a casa ma che anche i cabinati che erano nelle sale giochi o nei bar per molti non erano affatto un’attrattiva.
Beh... per il sottoscritto le cose andavano in modo molto differente.
Alle console che ho posseduto dedicherò la seconda parte di questo post ma ora vi dico che sul viale pedonale principale di Viareggio (quello del carnevale, per intenderci) c’erano due sale giochi ENORMI (posso confermarlo a distanza di anni che non era solo lo sguardo di bimbo) e mio nonno paterno lavorava li vicino, ragion per cui mi bastava mendicargli mille o duemila lire, cambiare tutto in monete da 200 lire (i gettoni dovevano ancora arrivare) e giocare come se non ci fosse un domani.
Io non so se la seguente descrizione possa avere un senso per la maggior parte di voi ma dovete considerare quanto fosse ENORME il trip sinestesico nell’entrare in uno di quei luoghi: prima di tutto passavi dalla luce del sole a una penombra che assomigliava molto a un buio luminoso, poi le tue orecchie venivano sopraffatte da parecchi decibel di musichette a 8 bit che si mescolavano a formare un meraviglioso cachinno eustordente e infine l’odore di sigaretta che permeava ogni centimetro cubo dell’ambiente con una coltre di fumo in cui lampeggiavano gli schermi dei cabinati come finestre su altri mondi.
(in effetti a posteriori posso capire perché la mia passione non fosse così condivisa)
Ho parlato del 1979 perché quello fu l’anno in cui da flipper, biliardini e altri giochi analogici (che io schifavo) si passò al primo videogame completamente elettronico a grafica vettoriale: ASTEROIDS.
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Ora, siccome sono ben consapevole che la maggior parte di voi non ha la minima idea di cosa io stia parlando, sappiate che quando parlavo di finestre su altri mondi era proprio quella la sensazione che allora si provava: dalla visione passiva di un programma televisivo su tubo catodico passavi a poter FARE COSE SULLO SCHERMO, un qualcosa che pochi fra voi possono capire quanto fosse pazzesco.
E quello per me segnò un altro modo di considerare lo scorrere del tempo.
Per esempio, nell’Agosto del 1983 giocai per quindici giorni a Moon Patrol nel piccolo bar dell’Isola del Giglio dove andai in vacanza coi miei genitori 
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mentre al Bar Sombrero del mio quartiere nell’inverno del 1984 a Mag Max e Kung Fu Master, quest’ultimo a scrocco perché avevo imparato come accedere al sensore che veniva toccato dalla monetina e dava 1 credito
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la stessa estate, nella sala giochi in pineta, scoprii e finii Bubble Bobble (l’intro musicale mi dà ancora i brividi) mentre il Juke Box mandava in loop una canzone che dopo ho scoperto essere Sweet Dreams degli Eurythmics. 
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Trojan nel bar Moreno sotto a una tenda minuscola, R Type al chiosco sul viale dei tigli, Tiger Road al bagno Aretusa, Circus Charlie nel bar della stazione vecchia vicino al biliardo dal panno verde consumato e segnato dalle sigarette, Knuckle Joe in un hotel in Val d’Aosta per la gita di terza media, Wiz nel bar vicino casa di mia nonna materna, Bomb Jack al maneggio dove Diego con 200 lire giocava tutto il giorno e regalava crediti, Bank Panic al bar del cinema all’aperto e New Zeland Story in quello del palazzetto dello sport mentre mangiavo un Paciugo all’amarena, prima Green Beret e poi Iron Horse nella pasticceria sotto casa di mia nonna paterna con l’odore di sfoglie alla crema, Robocop e Xain’d Sleena al bar del liceo, finiti entrambi a memoria prima che suonasse la campanella, i tornei di Dark Stalker con i miei amici al bar della stazione nuova e poi ancora X-Men e Avengers.
Centinaia di giochi che meriterebbero decine di post perché con mille lire potevo andare in un mondo dove non ero più il ciccione sfigato che non sapeva giocare a pallone... ero quello che poteva sconfiggere i nemici e alla fine vincere, sempre.
L’ultimo arcade cabinato a cui giocai - e poi dopo quella data praticamente scomparvero per essere sostituiti dalle Slot Machine - fu Metal Slug, in data 1997, dopo aver lasciato Figlia Grande all’asilo nido nel piccolo ritaglio di tempo prima di andare nello studio medico dove avevo appena cominciato a lavorare.
Naturalmente lo finii ma finì anche col chiudersi quella parentesi durata appena vent’anni ma lunga una vita intera.
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Chi di voi è abbastanza vecchio da capirmi?
@axeman72​? @renatoram​? @ilnonnodiinternet​​? 
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libero-de-mente · 4 months
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Ultimamente il mio cervello è come il mare.
I miei pensieri come flutti arrivano a onde per infrangersi sugli scogli.
Tra un'onda e l'altra ci sono delle pause, dove i pensieri prendono forma.
Vorrei scrivere, esprimere qualcosa, ma sono molto stanco cerebralmente in questi ultimi tempi.
Mentre ricurvo sul computer cerco di sistemare quella che dovrebbe diventare una bozza di un contratto commerciale, un bagliore di luce attraversa la stanza, il tempo di alzare lo sguardo verso la finestra e sento chiaramente un tuono.
"Arriva un temporale" penso tra me e me.
Lo sguardo si sposta di pochi centimetri, guardo il trespolo per gatti che da qualche settimana vorrei portare in garage.
Del resto era stato acquistato per Alvin e da quando lui non c'è più è rimasto vuoto. Non vederlo più li dentro mi deprime sempre.
Il trespolo è troppo impegnativo per la gatta Milly, dall'alto dei sui quattordici anni e con le zampette claudicanti preferisce accucciarsi negli appositi lettini a terra.
La stanza è buia, ho una lampada da tavolo che illumina giusto la tastiera davanti al monitor, un secondo lampo che precede un tuono mi illumina meglio il trespolo. Rimango senza fiato.
Un miraggio? Mi alzo accendo la luce in sala e mi avvicino.
Quando Alvin arrivò a casa nostra aveva due mesi, oggi Leo compie due mesi e da solo per la prima volta è salito nel trespolo, trovando un luogo morbido dove poter dormire.
Dicono che l'unico modo per andare avanti sia di non guardare indietro.
Eppure può capitare che il tornare indietro ti faccia ripartire da dove eri rimasto, per poter dare un finale diverso da quello che fu.
Non posso non scattare una foto e affiancarla a una del passato, quattro anni di differenza tra i due scatti, eppure è come essere tornati indietro. Anche se in realtà il tempo non si è fermato e inesorabilmente è andato avanti, come da natura del resto.
Il giorno in cui Alvin uscì dalla mia vita mi dissi che mai più avrei rivoluto un gatto, rosso per giunta. Avrei rischiato di paragonarlo sempre ad Alvin, ingiustamente, arrivando magari a non apprezzarlo perché "non come lui".
Invece la vita a volte sa come stupirti. Il piccolo Leo sta ripercorrendo nei modi e negli atteggiamenti la vita del micio rosso suo predecessore, senza nessuna forzatura.
Questo fatto mi ha letteralmente destabilizzato, a tal punto che spesso chiamo Leo "Alvin". Bloccandomi inebetito quando ciò accade.
È come se, prepotentemente, Alvin sia voluto tornare perché il suo "lavoro" con me non era finito. Aveva ancora molte cose da fare. "Maledetta emorragia interna, non l'avrai vinta, io ci torno da lui".
Mi piace pensare che lo abbia detto lui, in gattese ovviamente.
Tutti vogliono andare avanti, io invece sto magnificamente vivendo un pezzetto di vita a ritroso. Avrà tempo Leo per riempire quella tana con la sua presenza fisica, per ora anche se più piccolo sta riempiendo tantissimo il mio cuore.
Se si è felici si può guardare al passato, poiché lo faremmo con sguardo benevolo e magari di rivincita. Diversamente il nostro sarebbe uno sguardo di rimpianto. E i rimpianti pesano molto.
Guardo fuori dalla finestra la pioggia, che da giorni è quasi incessante. Eppure è anche grazie alla pioggia che in giardino sono sbocciati fiori meravigliosi, come le lacrime posso far sbocciare nuovi momenti di vita meravigliosi. Per ricominciare da dove si credeva tutto fosse finito.
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3nding · 13 days
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PTSD after PTSD until you die.
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Si dice spesso che chi più chi meno, tutti noi si faccia fatica a trovare il proprio posto nel mondo, a sviluppare una propria identità, mentalità e personalità. Una visione a tratti tossica (qualcuno la chiamerebbe boomer) sostiene che le avversità aiutino a temprare il carattere, come se noi si fosse fatti di metallo - spoiler: non lo siamo. Ci sono chiaramente tutta una serie di fattori che influiscono nella formazione di un individuo, l'ambiente e il contesto sociale in cui si cresce sono spesso determinanti in quanto attraverso famiglia/scuola/identità locali e nazionali si viene esposti ad una vasta gamma di principi e valori che potranno essere messi a volte in discussione solo successivamente mediante un processo di autoderminazione/alienazione/autonomizzazione. A contribuire al risultato finale ci sono ovviamente anche i traumi: emotivi, psicologici, fisici. Molti anni fa, prima di aprire questo tumblr avevo teorizzato le cosidette "cicatrici invisibili" quelle che solo la persona che le ha subite/ottenute riesce a vedere e può decidere eventualmente di svelare a qualcun altro o al mondo.
Nel mio caso ho ragionato negli ultimi tempi di come gli ultimi cinque anni in particolare mi abbiano personalmente danneggiato cambiandomi radicalmente dalla persona che ero diventata ed ero voluto diventare per sopravvivere, perchè di sopravvivenza si trattava. Sopravvivere a una famiglia disfunzionale, a tentativi nemmeno troppo velati da parte dei miei genitori di dare una direzione alla mia vita adulta, sopravvivere ai traguardi obbligati, alle aspettative, alla richiesta di conformismo e perchè no, allo schifo dilagante. Che poi l'idea non era nemmeno troppo originale: vivere e sopravvivere cercando la felicità senza far danni a cose o a terzi nel mentre. Niente di più. Questa linea temporale però ha deciso di metterci il carico: superati (non è vero) i genitori che non perdevano occasione nel mettere in discussione chi fossi, denigrando, sminuendo e disinteressandosene restavano però degli obblighi morali. Autoimposti? Non esattamente. Voglio dire, in quanti conoscete che vengono blindati dinanzi a un notaio a non poter abbandonare l'attività di famiglia? (Capito adesso perchè anni e anni di anonimato e basso profilo? Niente nomi, niente foto, tutelare l'identità dell'azienda e di chi ci lavora) Poi è chiaro se non addirittura ovvio che non potendo trovare in famiglia qualcosa lo si cerca altrove, viaggiando, conoscendo, affidandosi, fidandosi e confidandosi. Cerchi fratelli e sorelle se non he hai avuti, cerchi qualcuno che ti ascolti e comprenda se non ti senti ascoltato e compreso. Poi il caso e il tempo fanno il loro, rivelano le persone per ciò che sono realmente e/o le cambiano - Salto indietro a trent'anni fa: sono un dodicenne, Valentina prima di salutarmi per lasciare il villaggio vacanze dove ci eravamo conosciuti mi prende la faccia tra le mani e guardandomi negli occhi mi dice "Non cambiare mai".
Non ce l'ho fatta Vale.
- Alcune cose e persone però sono rimaste nonostante e ancorchè tutto e queste "certezze" mi aiutano ogni tanto a ritrovare faticosamente la bussola, il nord metaforico dove mi ero diretto e penso dovrei dirigermi ancora. Tra queste il buon Fidelio che mi ha accolto in Liguria con un sorriso mentre lui e altre venti persone erano coperte letteralmente di fango coi volti stravolti. Lui conosce ogni mio PTSD possibile e immaginabile perchè li ha seguiti TUTTI: la famiglia disfunzionale, il denaro che era mio ma non lo era, la farsa - letteralmente - di un figuro desideroso di aiutare tutti ma incapace di aiutare in primis sè stesso che finisce per obliterarsi nel personaggio digitale (ma renderebbe più la sfumatura inglese 'persona') che aveva creato - e che purtroppo avevo contruibuito anche io a creare (sic.), le varie volte che ho deciso di prendere il mare di relazioni sentimentali finite poi con naufragi devastanti, vedere erosa la propria fiducia verso "l'altro" genitori inclusi, il mancato riconoscimento delle proprie qualità dentro e fuori l'ambito lavorativo, il delirio della ristrutturazione, la gestione della malattia e della morte di un genitore mentre diventavo genitore a mia volta, lo scoppio di una pandemia, morte di amici e conoscenti, persone che diventano novax, lo sfilacciarsi di relazioni amicali durate decenni e il mondo che va in vacca con nuove guerre e il clima fuori controllo, il ghosting inaspettato e consulenti su consulenti che ti drenano denaro ed energie.
Mi accorgo che mi è aumentato il battito cardiaco e ho il fiato corto dopo aver ricordato e messo in ordine tutte queste cose.
Non sono in grado di trasmettere attraverso un testo quanto sia stato a modo suo liberatorio e asseverativo quel "Grazie vecio." quando ci siamo salutati.
Ci siamo ancora. Ci sono ancora.
Un PTSD dietro l'altro.
Until I die.
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parmenida · 9 months
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��️ 𝟭𝟯 𝗗𝗜𝗖𝗘𝗠𝗕𝗥𝗘 𝟭𝟮𝟱𝟬:
⠀⠀⠀⠀⠀⠀⠀𝗔𝗗𝗗𝗜𝗢 𝗔 𝗙𝗘𝗗𝗘𝗥𝗜𝗖𝗢 𝗜𝗜
⠀⠀⠀⠀⠀⠀ 𝗦𝗧𝗨𝗣𝗢𝗥𝗘 𝗗𝗘𝗟 𝗠𝗢𝗡𝗗𝗢 ⚜️
Pochi avanzi di mura sul dorso di una collina invasa dalle sterpaglie. È quel che oggi resta di 𝗖𝗮𝘀𝘁𝗲𝗹 𝗙𝗶𝗼𝗿𝗲𝗻𝘁𝗶𝗻𝗼, una rocca che nella prima metà del XIII secolo sorgeva nelle campagne della Capitanata, 9km a sud di Torremaggiore, a ovest di San Severo e Lucera.
Qui, nel giorno dell’anno con meno luce, il 𝟭𝟯 𝗗𝗶𝗰𝗲𝗺𝗯𝗿𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝟭𝟮𝟱𝟬, festa di Santa Lucia, a soli 56 anni, morì 𝙁𝙚𝙙𝙚𝙧𝙞𝙘𝙤 𝙄𝙄 𝙙𝙞 𝙎𝙫𝙚𝙫𝙞𝙖.
La mattina del 13 Dicembre (secondo una cronaca agiografica) l’Imperatore volle indossare l’umile tonaca grigia dei cistercensi del terzo ordine di cui faceva parte. Chiese di essere sepolto nella cattedrale di Palermo, accanto al padre e alla madre.
Ma l’annuncio della morte, forse per ordine dello stesso Federico, venne tenuto nascosto per un certo tempo. Fino al Gennaio del 1251 la cancelleria emanò dispacci e documenti come se l’imperatore fosse ancora vivo.
Il giovane Manfredi comunicò la scomparsa al fratellastro Corrado per lettera, con parole accorate:
“𝙏𝙧𝙖𝙢𝙤𝙣𝙩𝙖𝙩𝙤 𝙚' 𝙞𝙡 𝙨𝙤𝙡𝙚 𝙙𝙚𝙡 𝙢𝙤𝙣𝙙𝙤 𝙘𝙝𝙚 𝙧𝙞𝙡𝙪𝙘𝙚𝙫𝙖 𝙞𝙣 𝙢𝙚𝙯𝙯𝙤 𝙖𝙡𝙡𝙚 𝙜𝙚𝙣𝙩𝙞”
Il cadavere, con ogni probabilità, fu imbalsamato. Il 28 dicembre il corteo con il feretro dell’imperatore attraversò per l’ultima volta le città di Foggia, Canosa, Barletta e Trani e gli altri centri della costa. A Bitonto, Matteo di Giovinazzo notò “sei compagnie de cavalli armati” e “alcuni baroni vestiti nigri insembra (insieme) co’ li Sindaci de le Terre de lo Riame”. A Taranto la salma fu imbarcata per la Sicilia.
⠀⠀𝘾𝙚𝙣𝙩𝙞𝙣𝙖𝙞𝙖 𝙙𝙞 𝙫𝙖𝙨𝙘𝙚𝙡𝙡𝙞, 𝙥𝙞𝙘𝙘𝙤𝙡𝙞 𝙚 𝙜𝙧𝙖𝙣𝙙𝙞, 𝙨𝙖𝙡𝙪𝙩𝙖𝙧𝙤𝙣𝙤 𝙞𝙡 𝙛𝙚𝙧𝙚𝙩𝙧𝙤 𝙘𝙤𝙣 𝙙𝙧𝙖𝙥𝙥𝙞 𝙣𝙚𝙧𝙞.
Così Federico tornò a Palermo, la città dell’infanzia e della giovinezza, che 38 anni prima aveva lasciato per affrontare la straordinaria avventura che lo portò a diventare prima re di Germania e poi imperatore.
La salma dell’imperatore fu tumulata nel Duomo, accanto ai genitori e alla prima moglie Costanza, in un maestoso sarcofago di porfido color amaranto.
Carismatico e scomodo. Colto e spietato. Feroce eppure tollerante. Federico parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo). Diventò adulto in una società multirazziale. Comprese e studiò il pensiero islamico. Si appassionò alla scienza e alla poesia. A Napoli fondò una grande università che porta ancora il suo nome. Fu curioso del mondo e degli uomini: alla sua corte trovarono alloggio intellettuali di ogni lingua e religione.
Con le “𝗖𝗼𝘀𝘁𝗶𝘁𝘂𝘇𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗠𝗲𝗹𝗳𝗶𝘁𝗮𝗻𝗲” (1231), raccolta di norme fondata sul diritto romano e normanno, Federico sognò di dare ordine, a scapito della Chiesa e dei nobili, a tutti gli aspetti dello Stato, dalla giustizia alla sanità, fino al diritto e all’economia.
Federico mise in discussione, dalle fondamenta, il potere temporale dei pontefici. Tornò vincitore da una crociata alla quale era stato obbligato, senza combattere nemmeno una battaglia.
L’Impero finì con la sua morte. In appena venti anni la dinastia degli Hohenstaufen si estinse
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lunamarish · 3 months
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Io scientificamente mi domando come è stato creato il mio cervello cosa ci faccio io con questo sbaglio. Fingo di avere anima e pensieri per circolare meglio in mezzo agli altri, qualche volta mi sembra anche di amare facce e parole di persone, rare: esser toccata vorrei poter toccare, ma scopro sempre che ogni mia emozione dipende da un vicino temporale.
Patrizia Cavalli
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donaruz · 2 years
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17 FEBBRAIO 1600, IL ROGO DI GIORDANO BRUNO.
QUANDO A BRUCIARE VIVI I DISSIDENTI ERA LA CHIESA CATTOLICA APOSTOLICA ROMANA
421 anni fa oggi, cioè il 17 FEBBRAIO 1600, veniva arso vivo al Campo dei Fiori un filosofo illuminato.
Si chiamava Giordano Bruno e veniva da Nola. Mandanti ed esecutori non erano terroristi dell’Isis, ma Cristiani di sole 15 generazioni fa. L’evento fu spettacolarizzato al massimo, ma non essendoci giornali, video, internet e cineasti si scelse comunque di realizzare l’evento come richiamo spettacolare per celebrare la potenza della Chiesa in occasione del 1° giubileo. Occasione in cui chi veniva a Roma si guadagnava indulgenza plenaria, ovvero il paradiso (senza le vergini però, si noti come questa differenza sia sostanziale rispetto all’Islam). Giordano Bruno fu arso vivo davanti a una folla di circa 100.000 persone che cliccarono in diretta il loro ‘mi piace’ un po’ forzato a dire il vero, applaudendo. Giordano Bruno aveva una mordacchia alla lingua per impedirgli di urlare le ultime parole durante il percorso e l’estremo sacrificio sul rogo.
L’organizzatore dell’evento fu il cardinale Roberto Bellarmino da Montepulciano, grande inquisitore della Chiesa che partecipò a sette dei 20 interrogatori cui fu sottoposto Giordano. Bellarmino fu fatto beato, santo e Dottore della Chiesa da Pio XI , due generazioni fa, nel 1930, anno ottavo dell’era fascista e dopo un anno dai patti lateranensi con il duce.
Bellarmino partecipò anche al processo a Galileo che fu costretto a ritrattare per non fare la fine di Giordano.
A Montepuciano il cardinale Roberto Bellarmino è figura celebrata, ma molti laici hanno l’abitudine di sputare a terra in prossimità della stele che ricorda. Perché la vicenda di Giordano Bruno racconta, ancora oggi, nei tempi in cui tutti ci sentiamo minacciati dall’integralismo e dal fanatismo dei jihadisti del Califfato islamico, come anche la Chiesa cattolica apostolica romana abbia più volte mostrato un volto fanatico, integralista e oscurantista fino a bruciare viva una persona.
E non in un angolo di deserto tra Siria e e Iraq, ma nel cuore della città eterna che ha edificato la più importante basilica del mondo sulla tomba dell’apostolo Pietro… Era il 1600, c’erano già stati Leonardo e Michelangelo, Machiavelli e Raffaello… I secoli bui erano un lontano ricordo, ma mentre ci si avviava al secolo dei lumi e della ragione, la Chiesa continuava a non tollerare qualunque eresia, anzi a considerare eresia qualsiasi idea che mettesse in discussione i suoi dogmi e il suo potere. E continuò così per altri due secoli e mezzo, tagliando la testa in piazza agli eretici, ai dissidenti, ai carbonari. Gli ultimi furono i patrioti Monti e Tognetti, giustiziati, a Roma, nel 1868. Due anni prima che i bersaglieri entrassero a Porta Pia, mettendo fine al potere temporale dei papi e al regno pontificio… L’Italia era già Italia da 10 anni…
Oggi, nell’anniversario del sacrificio di Giordano Bruno, noi, che pure ci troviamo a vivere e operare nella terra di Bellarmino, celebriamo il filosofo di Nola e non certo il cardinale.
Noi stiamo dalla parte dell’utopia e dell’eresia.
Non dalla parte dell’oscurantismo e del fanatismo religioso, soprattutto quando questo diventa legge di stato.
Le chiese non tollerano eresie, se no non sarebbero chiese, questo si è capito da un pezzo.
Ritrovarci oggi, 421 anni dopo il rogo di Campo de’ Fiori, a parlare di guerre di religione fa davvero un terribile effetto.
E la cosa puzza di bruciato…
Noi siamo quelli che credono ancora a queste emozioni
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florifer-ego · 1 year
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le mie ultime ore da ventiseienne: mi sveglio mi lavo i denti ma quel retrogusto di alcol non va via ieri ho bevuto due drink anzi tre o forse quattro tra amici vecchi e amici presunti sono andata a dormire intorno alle tre dal divano ti ho scritto una cosa che probabilmente non leggerai mai ho messo su una canzone random e sentivo già il panico arrivare e la morte e il buio e chissà domani ma in qualche modo sono riuscita a chiudere gli occhi e mettere via tutto ho sognato m. quindi mi sveglio mi lavo i denti ma chissà che fine ha fatto il mio asciugamano quindi non mi resta che usare la carta igienica ahimè mi vesto in fretta e in furia annuso i vestiti e scelgo una felpa nera giacca di jeans pantaloni di cotone nero bicchiere d'acqua faccio per accendere una sigaretta ma guardo l'orologio e tra quattordici minuti ho il treno corro arrivo in treno c'è posto di fronte ad una signora metto in piedi due parole in tedesco per chiederle se il posto è libero e mi siedo ora sono qui stessa canzone di ieri notte e sto tornando da te in quella che ormai negli ultimi sei mesi è stata mia dimora fissa non vedo l'ora di aprire la porta e ritrovare il tuo il nostro odore Kelly che mi scodinzola intorno felice percepisco già la sensazione di averla tra le braccia il suo odore toccarle la fronte piano mi manca terribilmente e non sono neppure ventiquattr'ore da quando ci siamo lasciate tu sei a lavoro allora farò qualche lavatrice una doccia perché non importa quanto ci si possa lavare altrove ma la doccia a casa ha un altro sapore farò una passeggiata andrò al supermercato a sbirciare tra le corsie per cercare di capire cosa voglio per pranzo accenderò il pc illudendomi di poter studiare ma poi passerò a leggere poi a guardare un film poi ad ascoltare un podcast poi poi in un loop infinito che ormai conosco bene chiamerò mia madre le dirò tutto dei vestiti che voglio cosa di nuovo ho imparato ieri che la vita è scomoda e lei mio angelo non batterà ciglio e raccoglierà tutte le informazioni poi ti aspetterò mi piace aspettarti aprirti la porta un bacio un sorriso che tento ancora di nascondere guardarti guardarti e guardarti tentando di nascondere anche quello oggi non vado a lavoro quindi abbiamo il pomeriggio per oziare insieme chissà aspettare la mezzanotte e dormire vicini mi sembra assurdo che tra quattro giorni parti tra dieci giorni parto io e per oltre un mese non ci vedremo non siamo mai stati così lontani in questi tre anni due mesi e diciannove giorni da quando ci conosciamo ci sono state solo poche notti in cui non abbiamo dormito l'uno di fianco all'altra pochi giorni in cui non ci siamo sfiorati neppure per un secondo a volte succede che presi dalla frenesia della quotidianità dagli orari diversi ci incrociamo solo per una manciata di minuti torni da lavoro e poi mi accompagni in stazione perché tocca a me andare a lavoro e ho paura non so bene di cosa esattamente ma ho paura mille paure e se decidessi di non tornare? e se io decidessi di non tornare? se dovessimo trovare un senso di casa effettivamente a casa nostra? due luoghi così lontani so che starò bene tutto sommato ma so anche che a fine giornata la mancanza di te di Kelly mi sfiancherà i dubbi e le parole che si perderanno tra i km e il fuso orario e poi mi chiedo come sarà tornare? probabilmente nulla cambierà non ho paura che sia la distanza o questo buco temporale a farci qualcosa a poterci deteriorare o spegnere lentamente perché credo in quello che abbiamo che è più di questo non ho nemmeno paura come prima di perderti ho lavorato tanto e a lungo e sono quasi serena anche all'idea di una fine di mettere un punto mi spaventa solo l'ignoto quello che verrà come verrà mi spaventa e rattrista solo l'idea di quello che seguirà quando e se dovessimo decidere che è tempo che le nostre strade si separino e che ognuno prenda la propria ho paura di sentire quel click e poi un boato e poi poi poi
sei stato quasi tutta la mia vita adulta tu forse non lo sai ma mi sei stato accanto mentre io assumevo finalmente una forma mia bella brutta sporca immacolata ma mia niente tabu niente peccato niente regole niente giudizi niente rimproveri niente umiliazioni tre anni che mi pesano sulla pelle come se fossero stati trenta intanto sono arrivata ho aperto la porta Kelly ora è di fianco a me mi guarda mi annusa ci coccoliamo la stessa canzone che va le prime lacrime della giornata sono già andate io finisco di scrivere ma è tempo di mettere su la prima lavatrice e via così mentre ti aspetto e il cuore si scalda già come ogni giorno all'idea di sentire il campanello e poi vederti sull'uscio a tra poco amore mio
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elenascrive · 1 year
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Dopo una mattina soleggiata, in arrivo in lontananza i primi tuoni di un temporale a sorpresa. Il Primo dell’Anno e provoca impressione pensarlo. Mi ero quasi dimenticata il suo potente rumore ed è un piacere riscoprirlo in questo Giorno di Festa in cui si celebra la Liberazione.
Finalmente anche Sua Maestà Il Cielo festeggia la Libertà di poter piovere, scatenando la propria furia festosa con tuoni e lampi, che non si vedevano da mesi, mandando giù l’acqua che stavamo tutti attendendo dopo la preoccupante siccità. Anche questo è 25 aprile.
Che gioia è per gli occhi e per il cuore vedere la pioggia cadere copiosa e con insistenza dalla finestra della Mia stanza, mentre mi riscopro al sicuro e protetta contro l’incertezza che al momento avvolge la Mia Vita. D’un tratto la Mia Anima si sente di nuovo Libera.
@elenascrive
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greenbor · 5 months
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Stasera non escono le parole.
Nulla da fare.
Oggi sono sotto il temporale.
Niente mi consola,
nemmeno i ricordi.
Maledetti numeri.
Odiose ricorerrenze.
Vorrei poter dire che il tempo
passa e lenisce il dolore.
Ma non posso.
Non è vero.
È solo un'altra stupida bugia.
E non ci dormirò su,
perché stanotte non dormirò.
Domani tornerò alle mie cose,
a questa vita che non è la mia,
frastornata come allora.
Sospesa, incompiuta,
naufraga ignara, assente.
Carla Casolari (scelta in tumblr da https://www.tumblr.com/grazia-pensierieriflessioni)
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multiverseofseries · 6 months
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Dune
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LA RECENSIONE IN BREVE
- Dune mette in scena solo la prima metà del romanzo, gettando solide basi per reggere una storia estremamente complessa.
- Villeneuve prende decisioni che possono piacere o meno, ma dimostra piena consapevolezza della materia narrativa che sta adattando.
- Il minuzioso world building non rappresenta una premessa, ma è essenza stessa di Dune.
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«Io sono un seme» è ciò che dice Paul Atreides a circa metà del romanzo scritto da Frank Herbert nel 1965. Una rivelazione indottagli della spezia geriatrica, la droga che altera la percezione spazio-temporale, e che impregna l’aria di Arrakis, o meglio conosciuto come Dune. È in quel momento che il ragazzo smette di essere, improvvisamente, solo un ragazzo. E per la prima volta, Paul, figlio del Duca Leto Atreides e Lady Jessica, educato dalla donna alle sacre vie del Bene Gesserit, esprime consapevolezza di sé, trovando alcune dolorose risposte alle sue domande, nella conclusione del primo arco narrativo del suo personaggio. Primo arco narrativo di molti, tanti quanti sono i nomi con cui verrà chiamato all’interno del libro: Muad'dib, Usul, Lisan al Gaib, Kwisatz Haderach, Madhi. Un seme, creato con un determinato scopo, certo, ma dalla crescita imprevedibile, che penetra in profondità, si diffonde, si trasforma, e modifica il territorio circostante.
Dune di Frank Herbert, è uno dei romanzi di fantascienza più influenti di sempre, il libro ha dato origine a una saga che ha cambiato profondamente l’immaginario collettivo a partire dalle sue fondamenta, è esso stesso un seme. Lo è nel suo modo di contenere tutta una serie di idee, temi, suggestioni, capaci di sbocciare in luoghi e situazioni sempre diverse, senza però perdere specificità. Perché, questa saga, dietro la sua facciata di epica eroica di tradizione classica, che sembra solo apparentemente seguire il monomito, ovvero il viaggio dell’eroe (di cui, in realtà, Dune rappresenta un’aspra critica), la storia di Paul e dei Fremen, il popolo nativo di Arrakis, è invece un romanzo che a volte sembra un trattato di filosofia, di psicologia, di etica o di religione. Altre acquista connotati politici, parlando di lotta di classe e degli effetti del colonialismo, mettendo in discussione sia le figure messianiche che i leader carismatici. Altre ancora assume la forma di un’eco-narrazione che anticipa alcune delle problematiche che oggi sembrano più urgenti che mai.
Anche la prima parte dell’adattamento di Denis Villeneuve, in cui è Timothée Chalamet ad interpretare Paul Atreides, è un seme. O perlomeno, il primo stadio di un qualcosa che sembra destinato ad acquistare forma. È, però, necessario prima piantarlo per poi poter godere dei suoi frutti, ed è quello che Villeneuve ha provato a fare con il suo Dune, che segue piuttosto fedelmente la storia di Herbert, ma risulta anche intimamente villeneuviano,(scusate l’aggettivazione). È qui che forse c’è un equivoco di molti: il ricercare compiutezza in un’opera che per sua natura rappresenta un inizio. Questa versione di Dune è un tentativo di gettare solide basi per reggere una storia ancora più complessa, non tanto nell’intreccio, quanto nella stessa costruzione del suo stesso mondo. Di fatto, si tratta della prima parte di un dittico, e come tale deve essere considerata.
In molti lo hanno ripetuto così tante volte da farlo divenire un logo comune: Dune è un libro impossibile da trasporre al cinema. Potrebbe essere vero ma solo in parte, nel senso che un adattamento presuppone sempre il dover fare alcune scelte, perché a un cambiamento del mezzo di narrazione deve seguire, necessariamente, un cambiamento della stessa materia narrativa. Sta di fatto che il romanzo di Herbert è così denso, stratificato e colto, da per poter essere raccontato in un altre forma che non sia il libro, figuriamoci quella filmica che ha durata limitata. il libro di Herbert lo si può paragonare a un prisma dalle molte facce, che riflettono la luce in modo diverso a seconda di come le si guarda. Ora immaginate di dover dipingere quel prisma. Prima di tutto è necessario scegliere come orientarlo e farlo colpire dalla luce. È quello che fa Villeneuve, insieme ai co-sceneggiatori Jon Spaihts e Eric Roth, prendendo delle decisioni che possono piacere o meno, ma dimostrando una profonda consapevolezza. Mancano dei personaggi questo è vero e alcuni snodi non sono ancora esplicitati, ma non era difficile aspettarsi qualcosa di diverso da questo. 
Il Dune di Frank Herbert è realmente uno strano oggetto letterario. Ha un approccio molto concreto al mondo che racconta, costruendo nei minimi dettagli interi ecosistemi per soffermarsi poi in maniera particolare a delineare il contesto dal punto di vista politico e socio-economico. C’è una parte del romanzo in cui il Duca Leto (nel film interpretato da Oscar Isaac) discute dei salari da offrire agli estrattori di melange, la sostanza presente solo su Arrakis e che permette i viaggi interstellari, il cui monopolio è detenuto dalla Gilda spaziale. Leto ha, infatti, ricevuto dall'Imperatore Padiscià Shaddam IV, che governa l’Universo, l’ordine di trasferirsi dal suo pianeta natale Caladan ad Arrakis, subentrando ai nemici di sempre, gli Harkonnen, per gestire la raccolta di spezia.
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Shai Hulud è il termine usato dai Fremen per indicare i vermi delle sabbia, ossia l'incarnazione fisica della loro unica divinità.
Si tratta di una scena, quella di cui sopra, rievocata nel film di Villeneuve di sfuggita, con una sola linea di dialogo, non particolarmente importante ai fini della trama, eppure per me sufficiente per comprendere il tono dell’adattamento. Una situazione che poco c’entra con una storia nota per le atmosfere lisergiche e un certo gusto per l’eccesso, elementi enfatizzati dai due prodotti culturali più noti legati al libro: il grandioso e folle progetto naufragato di Jodorowsky nel 1975, raccontato in Jodorowsky's Dune, documentario del 2013 di Frank Pavich, e l’affascinante quando confuso disastro di David Lynch con Kyle MacLachlan del 1984 - a cui, nonostante tutto, voglio benissimo, anche solo per aver ispirato l’avventura grafica omonima, quella sì un capolavoro, di Cryo Interactive del 1992.
Dune è anche questo: l’approccio è spesso pragmatico, l'atmosfera più mistica che lisergica, il tono più solenne che eccessivo. Il film di Villeneuve è così, presenta un’austera grandiosità estetica, coerente con la visione d’insieme. La fotografia di Greig Fraser è caratterizzata da toni scuri, metallici e terrosi, mentre nella scenografia ricorrono forme geometriche e massicce, soprattutto negli edifici di Arrakeen, modellati sulle ziqqurat mesopotamiche, o nei fregi dei palazzi che ricordano i bassorilievi neoassiri. Antichità e futuro si incontrano quasi per alludere a un tempo fuori dal tempo, e non si è  fuori strada si parlasse di «tempo del mito». Mentre il vasto deserto, territorio dei Fremen dei giganteschi Shai Hulud, i vermi della sabbia, fa il resto.
Anche se narrativamente sobrio, Dune colpisce per la semplicità con cui racconta gli eventi, senza banalizzare o semplificare una vicenda parecchio strutturata già di per se. Villeneuve fa delle scelte e, per esempio, tutto il contesto religioso (e in particolare il ruolo del Bene Gesserit, ordine religioso matriarcale che muove i destini dell’Impero e che sarà al centro di una serie TV attualmente in pre-produzione), viene relegato un po’ sullo sfondo, presente solo in alcune pennellate. È anche vero che il libro è fatto di parole, pensieri, annotazioni. D’altronde, ogni capitolo del libro è corredato da estratti tratti dai testi storiografici della principessa Irulan, figlia dell’imperatore. Mentre il film di Villeneuve, puntuale nell’esporre l’intreccio, costruisce il suo mondo e delinea i rapporti anche attraverso sogni, allusioni, piccoli dettagli e, soprattutto, sguardi e gesti. Un linguaggio corporeo che va a sostituire il flusso costante di pensieri dei personaggi letterari.
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Il Bene Gesserit è la sorellanza che muove i destini dell'Impero, il cui compito è quello di incrociare e conservare le linee genetiche delle casate.
Villeneuve utilizza così le lingue, anche quelle dei gesti, in modo fluido, forse anche più del romanzo, dove l'uso di nomi e termini mutuati dalla lingua araba erano comunque fondamentali nella costruzione culturale di Arrakis. Ma non è la prima volta che il regista dimostra una certa attenzione verso tematiche come il valore fondante del linguaggio nell’identificazione culturale, il suo ruolo nell’intrecciare relazioni e la possibilità di alterare la percezione del mondo. Lo aveva fatto nel suo film più peculiare: Arrival del 2016. Che anche in quel caso si trattava di un testo letterario molto difficile da trasporre. A Villeneuve, del resto, piacciono le sfide e spesso non sembra nemmeno interessato a dare al pubblico quello che vuole o si aspetta.
Riprendendo il discorso sul linguaggio, e in particolare a come nel film è stata resa la famosa Voce, ossia una tecnica Bene Gesserit che influenza il subcoscio di chi l’ascolta attraverso la modulazione del tono, presta il fianco anche a un altro aspetto dell’opera che non lascia indifferenti: suono e colonna sonora contribuiscono in maniera attiva alla definizione del mondo stesso. Il sound designer Theo Green, che aveva già lavorato con Villeneuve in Blade Runner 2049, fa qui un lavoro impressionante nel modulare intensità e volume, giocando con l’assenza di suono in brevi, ma significativi momenti. In questo, lavora in sinergia con Hans Zimmer, che compone una roboante colonna sonora, certamente ingombrante, ma di grande importanza narrativa. Il risultato è una base sonora costante, granulosa e avvolgente su cui si innesta il racconto, e che dà costantemente la sensazione di arrancare e sprofondare nelle sabbie di Arrakis.
Giocando sulla contrapposizione tra i campi lunghi degli sconfinati paesaggi, i primi piani e dei dettagli, la macchina da presa indugia spesso sui volti dei personaggi e in particolare gli occhi. Sono gli occhi blu - per effetto della spezia geriatrica - di Chani (Zendaya) che appare nei sogni di Paul; quelli del popolo di Arrakis che accoglie il giovane duca al suo arrivo sul pianeta al grido di Lisan al-Gaib, «la voce da un altro mondo»; quelli forti, consapevoli ma spaventati di Jessica, mentre cerca di far convivere gli obiettivi del Bene Gesserit con i propri, in un’interpretazione notevolissima di Rebecca Ferguson.
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I Fremen sono i misteriosi abitanti di Arrakis. Vivono in insediamenti segreti chiamati sietch.
Timothée Chalamet è un Paul abbastanza coerente con il personaggio del libro, ma forse troppo monocorde. Di certo, non ha avuto la possibilità di emergere completamente. In questa parte della storia, Paul è un ragazzo in balia di forze che hanno segnato il suo destino, alla ricerca di se stesso.
La vera sfida d’altronde, non è cercare il Dune di Frank Herbert in quello di Villeneuve, ma provare a capire cosa il regista stia cercando di dirci attraverso Dune. In questa prima parte di un progetto più articolato, si può certamente intuire il percorso intrapreso da Villeneuve, all’interno dei tanti offerti da Frank Herbert. È un seme, come detto in precedenza, e bisogna capire dove piantarlo e cosa nascerà.
È comunque difficile guardare a un film come il Dune di Denis Villeneuve senza però sentire la voce di tutta la tradizione precedente e senza farsi influenzare dal peso dell’opera originale o dalle visioni dei diversi autori. Dune è, forse esagerando, il Gilgamesh del nostro tempo, o almeno la cosa più simile a un poema mitologico declinato in forma post-moderna. Contiene, come le grandi epopee antiche, molti dei temi della cultura da cui ha preso forma. Ma allo stesso tempo, è uno dei principali modelli per tutte le storie di fantascienza che sono venute dopo. Non solo un libro inadattabile ma il libro che forse più di tutti può ambire allo status di mito, quando si parla di narrazione investita di sacralità e significatività. A livello estetico, il film è eccezionale. Si questa solennità può essere, in un certo senso, interpretata come mancanza di originalità, ma in verità credo che la forza di questo adattamento di Dune sia nelle cose molto più piccole. Proprio nei piccoli dettagli sullo sfondo, nei gesti dei personaggi che hanno tutti, sempre un significato, nonostante esso spesso non sia esplicitato. Nella cura con cui una parola, detta in un determinato modo, alluda invece a un mondo intero. In questa storia, del resto, il world building non rappresenta solamente una premessa ma ne è essenza stessa. Quello che manca in un film che forse sarebbe stato meglio chiamare Dune Parte I è, letteralmente, l’epica. Ma quella verrà dopo, perché in questa fase della storia non era prevista. In questa fase abbiamo il racconto di una crisi, dello smarrimento, di morte e rinascita. L’epica verrà dopo, si spera.
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klimt7 · 1 year
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COME RONDINI
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Pare la perfetta metafora visiva della nostra comfort-zone.
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Quando siamo lì dentro, accendiamo la luce appena arriva sera, cuciniamo, apparecchiamo cose, facciamo come se noi umani avessimo il controllo sull'intera Realtà sensibile... L'unica cosa che in realtà facciamo, è, in fondo, anche autoingannarci, ostinarci a credere che la realtà ci possa accogliere, confortare, coccolare.
È l'unico modo che abbiamo per continuare a credere nella Vita e in un suo possibile "senso" comprensibile.
Un senso alla portata della nostra mente, oltre che del nostro cuore irrazionale.
Poi arriva la Notte, le onde, il furioso temporale, e sentiamo improvvisamente che è il Tutto, che controlla noi.
Siamo appesi a un filo.
Il livello del mare potrebbe salire, il vento potrebbe spazzare via il tetto, le travi della casa cedere, noi stessi trascinati dalla forza del mare in tempesta, vagare per decine di chilometri.
Soppesiamo la nostra comfort-zone, allora. E ci accorgiamo che siamo su una punta di spillo rispetto al pianeta che abitiamo. Siamo una inezia. Eppure abbiamo dentro di noi, migliaia di mondi, di idee, di pensieri, di emozioni, di sensazioni, diversissime fra loro.
L'equilibrio a cui allora, possiamo aspirare, - ce ne rendiamo conto velocemente - è fatto di istanti passeggeri, e di una instancabile, indistruttibile caparbietà nel continuare a desiderare la solidità, le sicurezze, i punti fermi.
In questo, i nostri rifugi, le nostre basi di benessere mentale, finiscono per assomigliare ai nidi dei volatili.
Isole benedette, dentro uno spazio esterno ed estraneo a noi.
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NOTA
Secondo Alasdair White, appena oltre i confini della zona di comfort, vi sarebbe una "zona di apprendimento" o "zona di performance ottimale" (optimal performance zone) dove le prestazioni/sensazioni personali possono essere migliorate provando una certa quantità di stress.
Oltre la zona di performance ottimale risiede invece la "zona di pericolo" (danger zone) dove si sperimentano altissimi livelli di ansia e ciò compromette sensibilmente le prestazioni dell'individuo.
Judith Bardwick sostiene che la zona di comfort è "uno stato comportamentale in cui una persona opera in una posizione neutra rispetto all'ansia." 
Brené Brown descrive questo stato psicologico, come qualcosa ove "la nostra incertezza, le nostre carenze e la nostra vulnerabilità sono ridotte al minimo, dove crediamo di poter ricevere abbastanza amore, cibo, talento, tempo a disposizione, ammirazione. Dove sentiamo di avere un certo controllo su ciò che ci circonda."
Benché la zona di comfort sia rassicurante, gli psicologi consigliano di varcarne i confini per permettere all'individuo di eliminare le convinzioni limitanti e le paure, accrescere la propria autostima, crescere e migliorare. 
Inoltre, affrontare lo stress e smettere di consolidare nuove abitudini permette alla mente di partecipare al processo decisionale e di vivere così nuove esperienze (cosa che all'interno della zona di comfort sarebbe altrimenti impossibile).
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