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#lei è una donna che meritava
ragazza-whintigale · 1 month
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𝓨𝓪𝓷𝓭𝓮𝓻𝓮 𝓟𝓪𝓾𝓵 𝓐𝓽𝓻𝓮𝓲𝓭𝓮𝓼 𝔁 𝓻𝓮𝓪𝓭𝓮𝓻
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𝔒𝔭𝔢𝔯𝔞 ➵ Dune
𝔄𝔳𝔳𝔢𝔯𝔱𝔢𝔫𝔷𝔢 ➵ Comportamento yandere, Fem reader, relazione tossica, matrimonio forzato (menzionato), tentato omicidio, avvelenamento, aborto, relazioni extra coniugarli, tradimento, utilizzo della voce, manipolazione psicologica, instabilità emotiva, ricatto, tocco non consensuale.
𝔓𝔞𝔯𝔬𝔩𝔢 ➵ 3170
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I corridoi a quest’ora della notte erano quasi del tutto vuoti, fatta eccezione per i soldati di guardia e della figura leggiadra della bella donna chiamata (nome) Alithea e in futuro Atreides -se mai il matrimonio fosse andato a buon fine naturalmente-. La bellezza della figura meritava per certo il soprannome che gli era stato affidato quando era ancora una bambina. La principessa degli Alithea. Come unica figlia femmina fino ai suoi 12 anni era stata amata e adorata quasi al pari della contessa che una volta era stata sua madre.
La sua bellezza e purezza non era ancora caduta in disgrazia secondo il pubblico.
La sua bellezza, la sua educazione e il suo carattere mansueto avevano permesso tale nomignolo. Poco si potrebbe immaginare che dietro quella bella facciata si potrebbe nascondere una donna non più diversa.
Una donna fredda e crudele, cresciuta fino a riconoscere la sua unica utilità come scambio tra famiglie. Il nome e l’importanza degli Atreides per una donna fertile ed educata che avrebbe mantenuto alta la discendenza.
Si era quasi stancata di sentire tali voci venire dall’esterno, oramai quasi tutti i servi al servizio del Duca e della sua famiglia avevano familiarità con il caratteraccio della donna.
❝ Mia signora cosa ci fate sveglia a quest’ora? ❞ La donna si fermò barcollante nei suoi passi. ❝ Dovreste essere nelle vostre stanze a riposare. ❞ (nome) ha un aspetto malaticcio nei suoi lineamenti morbidi. Il colore della pelle è sbiadito quel tanto che bastava per farla sembrare tra la vita e la morte. I capelli (colore) scompigliati, sono sciolti dal solito complicato intreccio, permettendo così delle morbide onde ad accompagnare il suo viso. Il piacevole movimento delle ciocche seguiva il suo viso una volta che decise di poter onorare questa persona con le sue attenzioni.
Duncan Idaho era in mezzo al corridoio con aria solenne. La postura eretta e impeccabile è proprio qualcosa che ci si poteva aspettare da casa Atreides e da uno dei suoi fidati.
Lo sguardo dell’uomo affronta con sospetto il corpo gracile ea mala pena sostenuto della sua signora. Non c’è traccia di ostilità verso qualcuno, solo il suo solito io viziato. O almeno è quello degli ultimi 7 anni. Quando d’improvviso la dolcezza della bambina venne sostituita con il gelo caratteristico di casa Alithea.
Duncan non ha mai diffidato di lei. Non che potesse in qualche modo, è una donna talmente fragile e minuta che si poteva dubitare potesse ferire qualsiasi componente della famiglia Atreides. Solo non poteva che notare il cambiamento di carattere durante la sua crescita al fianco all’erede Atreides. Davanti agli occhi ha visto come qualcuno potesse sprofondare nell’oscurità poco a poco.
Lo sguardo affilato della donna cadde sul soldato, fidato agli Atreides e vicino a quello che sarebbe diventato suo marito. ❝ Niente di importante Sir, cerco solo di raggiungere il mio futuro marito nelle sue stanze. Mi ha chiesto di parlare in privato. ❞
Duncan dubitava che Paul potesse essere così dannatamente maleducato da scomodare la sua fidanzata che fino a qualche giorno fa era in letto di morte. Poi nessun -nemmeno Paul- gli aveva parlato di questo incontro e per quanto potesse essere un incontro tra innamorati, di cui dubitava molto, il ragazzo avrebbe comunque avvertito qualcuno della cosa.
In genere lady (nome) non era nemmeno una persona da incontri romantici al chiaro di luna, ne di una avventura in camera da letto. Quindi era ben presumibile stesse architettando qualcosa che avesse a che fare con Paul. Duncan sperava vivamente che questo non li avrebbe messi nei guai.
❝ In tal caso lasciate che vi accompagni.❞ Il suo onore gli impediva di lasciare la sua signora andare in giro per le sale di Castel Caladan alla ricerca del futuro marito, quando nemmeno riusciva a camminare correttamente.
Stava anche tremando a tratti sotto la stola in lama.
Lo sguardo della donna si assottigliò lasciando brillare le pagliuzze argentate annegate nel (colore) delle sue iridi. (Nome) era abbastanza furba da non tentare una discussione per una tale sciocchezza. Per quanto irrispettosa potesse essere, il tutto sarebbe diventato solo più sospettoso. ❝ Se è ciò che desiderate.❞ Duncan camminò fino a sorpassare (nome) e guidarla verso la sua destinazione.
La stanza di Paul non era molto lontana, di conseguenza il viaggio fu breve. La principessa bussò con eleganza alla porta e Paul rispose aprendo la porta. La sorpresa era palese dai suoi occhi verdi, ma si riprese l’attimo dopo aver notato anche Duncan. Salutó l’uomo con un cenno e poi si rivolge alla donna di Alithea ❝ A cosa devo la visita della mia signora? ❞ (Nome) ridusse la sua espressione a puro disgusto e entrò nella stanza lasciandosi alle spalle Duncan e la sua espressione disperata dai capricci e dalle bugie della donna. Paul non fece altro che un’espressione di scuse al compagno fidato chiudendo la porta intimandolo di continuare con i suoi doveri.
❝ Spero ci sia un motivo valido per disturbare il tuo riposo e Duncan. ❞ ❝ Non gli ho chiesto io di disturbarsi. ❞ Lady (nome) ha tralasciato le sue condizioni precarie mentre si fermava nel mezzo della stanza incrociando le braccia al petto. La stola e la vestaglia morbida annientava ogni curva che la donna potesse possedere. Un sospirò lasció le labbra di Paul mentre si avvicinava a lei per avvolgere le braccia intorno alla figura della donna, ❝ La vostra crudeltà non appassisce mai mia signora, nemmeno quando siete malata. E dire che quando eravate piccola possedevate una tale gentilezza. ❞ Il calore della loro pelle che si tocca era qualcosa che (nome) ha detestato, e sapeva che in futuro non gli sarebbe bastato questo da lei.
Si crogiolò segretamente nel tepore del loro abbraccio, forse avrebbe dovuto prendere una stola più pesante ma non è riuscita a trovarla da sola. ❝ Io inizierei a ritermi il colpevole di tale comportamento se fossi in te, Paul.❞ Il suo nome aveva una cadenza sprezzante ma L’Atreides, in qualche modo contorto, sembrò apprezzare. Paul stampa un bacio sul suo collo, incurante dello strato di capelli che si sovrapponeva alla pelle di (nome). Rabbrividì disgustata.
❝ In ogni caso non hai risposto alla mia domanda.❞ Si staccò da lei andando a sedere dall’altra parte della stanza. Si versò qualcosa da bere e lo stesso fece per lei. (Nome) sapeva fare di meglio che cedere a tali galanterie. Era considerata una bellezza a tal punto che in molti hanno cercato le sue attenzioni con trucchi meschini.
In realtà Paul sapeva perché era lì e da cosa era dovuto il suo turbamento. C’era una incrinatura nella sua solita corazza, lasciando intravedere spiragli di rabbia e nervosismo. Aveva letto attentamento i suoi movimenti e le sue parole. Come si soffermava su qualcosa troppo allungo, come teneva coperto il ventre con la stola e come si graffiava i polsi.❝ Devi lasciarlo andare. Lui non ha colpa.❞ ❝ mmh? ❞ Prese un sorso di bevanda tenendo gli occhi su di lei. Sapeva di cosa stava parlando, non c’è stato bisogno di avere conferme, eppure lui ha continuato a fingere di non comprendere. Se lady (nome) non lo conoscesse, avrebbe potuto dire che si stava divertendo a vederla così.
Paul la conosceva a sua volta abbastanza da sapere che: niente avrebbe potuto agitare la donna se non la consapevolezza di aver condannato qualcuno per un suo errore. Non era così crudele come tutti l’avevano dipinta, e Paul lo sapeva meglio di chiunque altro. Sapeva che probabilmente le occhiaie nere sotto i suoi occhi erano solo la causa delle notte insonne per il senso di colpa.
Senso di colpa.
Forse nessuno a parte lui sapeva che Lady Alithea era capace di provare simili emozioni. Era davvero brava a mascherare le proprie intenzioni dietro la sua freddezza, non sempre ma quasi, questo Paul glielo avrebbe concesso. Forse se non fosse per le sue abilità di Bene Gesserit nemmeno lui l’avrebbe notato. ❝ Non vedo perché dovrei, (nome), dopo quello che ti ha fatto.❞ ❝ È TUTTA COLPA MIA! LUI NON C’ENTRA-❞ L’urlo lasciò trasparire tutto il risentimento che aveva nei suoi confronti. Era uscito così spontaneo dalle sue labbra che è riuscita a fermarlo solo dopo aver sfogato in parte. Certamente si era fermata ad un certo punto e una parte di colpa andava allo sguardo che l’erede degli Atreides le ha rivolto. La turbava ancora, anche a distanza di anni e nonostante la loro differenza di età. ❝ … e tu hai utilizzato l'occasione a tuo vantaggio.❞
-Nemmeno i rivelatori di veleno erano riusciti a rilevarlo. Era stata attenta. Talmente attenta che quando il sangue iniziò a colare giù dal naso e dalla bocca una confusione generale riempì la stanza. Alcuni soldati si sono precipitati lì, altri hanno chiamato il dottore Yueh e di seguito arrivò anche Hawat. Era una delle poche volte che anche il Duca era presente, forse tutta quella confusione era dovuto anche a questo.
Nessuno era riuscito a scoprire chi fosse stato e meglio come avesse fatto. Ma Paul aveva un idea. Un’idea che si era rivelata più che giusta. Lo aveva visto chiaramente. -
Le braccia della donna scivolarono dritte lungo il corpo mentre stringeva il tessuto della vestaglia tra i suoi pugni. Non era ben chiaro se si fosse pentita di averlo urlato o se avesse solo temuto per lo sguardo di Paul. Ma il resto della frase è comunque stato ridotto ad un sommesso sussurro.
Forse si sentiva colpevole. Lui non l’aveva mai toccata prima senza il suo permesso. Non le aveva mai fatto del male. Eppure lei aveva agito contro di lui. Prima ha cercato di uccidere Paul mentre dormiva con coltello di fortuna, ma fu troppo codarda per portare a termine l’impresa e crollò tra le braccia di Paul. Non aveva detto una parole ne aveva mostrato paura. Poi aveva cercato di avvelenarlo… ma cambiò obiettivo. Forse ha sperato qualcuno contestasse la sua unione con Paul, forse non ritenendola all’altezza di diventare Duchessa e un’Atreides. Ma non accade. A Paul bastó immagazzinare le informazioni , analizzarle e valutare come risolvere al meglio la situazione. Il suo attentato al giovane Duca non fu mai scoperto, e il suo auto avvelenato fu solo deviato alla soluzione più semplice. Il ragazzo così vicino a Lady (nome) da averla avvelenata per gelosia.
Questo le fece pentire in primo luogo di averlo scelto e portato con sé su Caladan, di essersi compromessa con lui e di essere stata costretta ad abortire per conservare l’onore di entrambi. ❝ Forse avresti dovuto pensarci prima a coinvolgere qualcuno di esterno.❞ È stato stupido ma lo sapeva già. Non lo amava nemmeno come meritava.
Ed è abbastanza palese che Paul stesse giocando con questi sensi di colpa.
Non le avrebbe offerto uno scambio, lui non ne aveva bisogno per farle fare tutto quello che voleva. Non c’era modo che avessero parlato di scambiare la vita del ragazzo con qualcosa che andasse a vantaggio di Paul e Lady (nome) lo sapeva abbastanza bene.
❝In ogni caso ora non dovrai più temere di coprire quella gravidanza indesiderata e io non dovrò tenere un bastardo.❞ Un erede bastardo. Era qualcosa di ironico adesso, agli occhi del giovane Paul. Non gli ricordo minimamente sua madre, che diede al Duca Leto l’erede che tanto desiderava.
La donna era colma di rancore, colpe e imbarazzo, per questo non proferì altra parola. Non cercó di salvarsi o giustificare i fatti evidenti, lui era l’unico oltre a lei a saperlo e poteva dedurre fosse solo grazie alle sue predizioni. Nemmeno il povero Elias era a conoscenza dell’avere messo incinta la futura sposa di Paul. Forse era meglio così.
❝ Dovresti essere grata. ❞ La voce di Paul perse l’affetto e il rimprovero. Divenne solo fredda come se avesse perso la possibilità di provare sentimenti. Si avvicinò alla forma della sua signora prendendo a coppa il suo viso dai tratti morbidi tra le mani. La principessa si sentiva disgustata. ❝ Per cosa? ❞ ❝ Per non averti condannata con lui. ❞
In un lampo di rabbia (nome) spinse le mani sul petto del ragazzo, allontanandosi quel che bastava.
In primo luogo pensava glielo avrebbe concesso, nel suo stato attuale, lui era più forte di lei. Perciò la distanza era quella che lui gli aveva concesso a prescindere. ❝ Avrei preferito morire a causa del mio stesso veleno che rimanere qui con te. ❞ La principessa strinse i denti ad ogni crudele dichiarazione mentre si dirige verso la porta con l’unico intento di andarsene.
❝ Non uscire dalla stanza. ❞ (nome) si fermò nei suoi passi, con la mano sulla maniglia e un piede pronto a dare il primo passo per uscire. Sapeva che Paul era in grado di usare la voce, aveva sentito parlare della cosa molte volte da sua madre mentre si esercitavano. A riguardo c’era un tacito accordo. Lui non avrebbe dovuto usarlo su di lei.
Per quanto non fossero mai stati messi termini e condizioni lui lo aveva fatto solo una volta, esclusa questa. Forse è stata quella volta a convincerlo ad non utilizzarlo. Lei aveva dato letteralmente di matto, urlando e cercando di attaccarlo direttamente.
Nessuno ha saputo dare una risposta a tale comportamento e la situazione tacque in pochi giorni, lasciando un’alone di mistero sulla vicenda.
Lo sguardo della donna era intriso di rabbia e sanguinaria voglia di fargli del male. Paul la guardava a sua volta con una sorta di sfida nei suoi occhi. Sarebbe stata sopraffatta dalla voce o sarebbe stata rinchiusa per aver attentato alla vita di Paul?
Era quasi sicura che nella seconda avrebbe sofferto più lui che lei, per questo quando mosse i suoi primi passi verso il fidanzato lui socchiuse le labbra. Pronto a richiamare qualsiasi ordine l’avrebbe riportata al suo posto. Ma lei si fermò ancora prima di poter fare unaltro passo.
Lo sguardo di Paul era ancora su di lei. I suoi capelli ondulati ricadenti sulle sue spalle cadenti. La sua vestaglia argentata e la stola che era caduta dalle spalle e ora si reggeva solo alle braccia della ragazza. Una visione dannata e patetica proprio come era la sua signora quando nessuno poteva vederla a parte lui. L’orgoglio e la vanità erano scomparsi a favore della dolce disperazione e dai sensi di colpa. Ma in fondo l’Atreides non avrebbe potuto desiderare altro che essere l’unico spettatore di tale vista.
Nessuno avrebbe potuto ammirare la luce fioca e semplice di una donna, che aveva imparato a mantenere le apparenze di freddezza e nobiltà, sfaldarsi davanti a qualcosa che la stava mandando in frantumi poco a poco.
Paul era quella cosa ed entrambi lo sapevano.
I primi passi di lui furono intercettati dalla donna che indietreggiò per mantenere la distanza iniziale. Un sospiro tra l'esasperato e il divertito ha lasciato Paul mentre parlava nuovamente. ❝ Devi smetterla con queste scenate. Non ti serviranno a molto soprattutto se sono l’unico ad assistere.❞ I loro occhi erano fissi l’uno sull’altro. Niente sarebbe cambiato nel comportamento della donna, lo sapeva. Eppure i suoi occhi erano ancora attenti a qualsiasi cosa lui volesse fare di lei. Avrebbe mantenuto le parole eppure lei non era ancora disposta ad avvicinarsi. ❝ Spiegami come posso farmi ascoltare, senza per forza darti un ordine. ❞ Quel potere non era un semplice ordine! Se fosse stato solo un ordine lei avrebbe ignorato il tutto e poi sarebbe andata avanti per quello che credeva meglio. Ma in quei momenti il suo corpo smetteva di essere una sua proprietà e faceva ciò che quel coro di voci le diceva di fare. Cacciata e privata della sua stessa volontà. È così che si poteva descrivere.
❝ Non puoi. semplice, no? Basta solo che mi lasci stare, e che lo scagioni da quelle accuse, e per un po’ continuerò questa recita, per un po’.❞ Per un po’… Non significava per sempre. Non si sarebbe calmata e questo sarebbe solo qualcosa di temporaneo. Era come una pietra che colpiva il vuoto. Non faceva alcun rumore. Nessuno dei due aveva un discorso collegato con quello dell’altro eppure continuavano a parlare sulla medesima linea. Lei era lì per un motivo e poi avrebbe voluto andarsene il più lontano possibile. Anche il fondo del mare di Caladan le sembrava più accogliente e invitante di quella stanza soffusa di luce. Mentre lui desiderava cercare di convincerla a rimanere, nella sua stanza e nella sua vita. Non che lei avesse quella gran scelta in questione ma lui desiderava ancora che lei lo volesse almeno un po’.
Fece un altro passo e poi un’altro e un'altro ancora, verso di lei, in silenzio. Ma lei si allontanava ancora, ancora e ancora. I passi erano traballanti e non si poteva escludere l’eventualità che potesse cadere. ❝ Sai davvero essere crudele mia signora… soprattutto con me. ❞ A Paul sembrava piacere evidenziare come le sue parole taglienti perdessero L’affilatezza in sua presenza, intrecciando le proprie parole con terribile sarcasmo. Lei inciampò su qualcosa e cadde seduta sul letto del ragazzo. Non poteva sapere cosa, ma ha immaginato fosse colpa di Paul. Era sempre colpa sua anche quando non lo era, ai suoi occhi.
Non sapeva esattamente come fosse finita lì, ad un'estremo della stanza, opposto a dove era. Quanti passi senza guardarsi attorno aveva fatto? Quando si era persa troppo in profondità negli occhi di Paul e dell'odio che provava per lui.
❝ Ti odio. ❞ Lui rise alla conferma delle sue parole. Questo era odio. Un odio patetico che gli si addice magnificamente. ❝ Lo so. ❞ Si avvicinò al suo volto, lasciando poco spazio tra loro, tanto che ogni respiro sfiorava le pelle del loro volto. Gli (colore) della donna erano spalancati in cerca di una soluzione, di un indizio o di qualche bagliore, negli occhi del futuro marito. Una qualsiasi scintilla ma niente. Lui era impassibile e illeggibile come lo era sempre stato, e questo l’ha terrorizzata. Come nei loro primi incontri, come nel loro primo incontro. ❝ Cosa vuoi in cambio? ❞ Dopo un lungo silenzio lady (nome) si decise a parlare. Di solito durante i loro scambi di parole non si parlava mai di scambi o mediazioni. Nessuno dei due avrebbe ceduto qualcosa per averne un altra. Specialmente (nome).
❝ Rimani. ❞ Era decisamente generica come risposta e la ragazza si trovava spazientita da tanta indulgenza. Se fosse stata solo una notte potrebbe anche essere un buon affare. Se fosse trasferire le sue stanze in quelle di Paul per il suo ultimo periodo qui a Caladan prima di tornare a casa per organizzare i preparativi per il matrimonio, era eccessivo ma ancora glielo poteva concedere. Aveva chiesto un prezzo molto alto in fondo, per quanto lei stessa non volesse ammetterlo. Ma se intende per tutta la sua vita era troppo. Lei per quando crudele e fredda potesse essere aveva sempre mantenuto la parola data e per questo raramente faceva promesse soprattutto quando non voleva o non poteva mantenerle.
❝ Tutto ma non questo. ❞
❝ Prendere o lasciare, (nome). ❞
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be-appy-71 · 1 month
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Sono stato molto male quando ho scoperto che la donna che amavo, anni fa, si era sempre presa gioco dei miei sentimenti. Quando l’ho messa davanti all’evidenza, sentendosi alle strette e non potendo mentire come aveva sempre fatto, ha reagito aggredendomi, per poi sparire con freddezza. Senza pietà. Lasciandomi in frantumi. Mi è cascato il mondo addosso. La vita mi aveva già riservato “qualche” dispiacere, ma in quel momento, giuro, quel dolore, mi sembrava il più profondo di tutti. Non mi ero mai sentito tanto devastato, nemmeno dopo la morte di mio padre.
Mi sentivo vuoto. Abbandonato. Tradito. Immobile. Ingannato. Solo e perso. Mi sentivo sciocco, stupido. Avevo messo tutto ciò che avevo in quella storia, in quell’amore che credevo immenso. Avevo creduto a tutto.
Parlavamo di figli, matrimonio, di futuro, di tramonti da guardare insieme, mano nella mano, quando saremmo diventati vecchietti…
Non so per quanto tempo l’ho sognata. Fredda. Glaciale. Impassibile.
Non so quante volte mi sono svegliato di soprassalto con crisi di pianto. E di freddo. Freddo dentro.
Era un incubo dormire.
Era un incubo svegliarmi.
Non c’era un posto nel mondo dove mi sentissi bene.
E cercavo l’amore, come se l’amore si possa cercare. Lo cercavo negli altri. Proiettando il mio dolore e le mie aspettative su di loro, sulle le loro azioni, sui loro comportamenti, sulle parole che pretendevo mi dicessero. Sulle promesse che speravo mi facessero. Cercavo l’amore per riempire un vuoto.
Poi un giorno, guardando il mare, ho provato ancora quel senso di freddo e solitudine, ma subito dopo ho sentito nascere qualcosa dentro di me. Era una piccola luce. E ho capito, solo in quel momento, che lei non se lo meritava tutto quel dolore che provavo.
E ho capito che l’amore che cercavo era sempre stato lì, al suo posto, dentro di me.
Ero io la persona da amare.
Solo io potevo riempire quel vuoto.
Ero io, Roberto, la persona che veniva prima di tutto.
Ero io quello da abbracciare.
E poi sono rinato... ♠️🔥
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Roberto Emanuelli
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elorenz · 1 month
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Estratto narrativo, il momento in cui cadono i muri e l'alchimia crea una formula comune all'unione.
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"Come ha potuto farmi una cosa del genere?" chiese retorica tra i singhiozzi "cazzo ci amavamo..." le lacrime cominciarono a scenderle sugli zigomi per poi colare sulle mani che teneva raccolte assieme alle sue sul suo grembo. Aveva il volto impastato, tumefatto dal dolore, quasi violaceo. Il tradimento spezza come un fulmine l'albero del rapporto, quell'emozione sincera che provava d'un tratto le sembrò stupida ed inutile, perse di vigore e fu sostituita da un odio cieco che la faceva soffrire oltre ogni modo. E lui soffriva con lei perché tutto ciò che provava andava concentrandosi e si mischiava tra la gioia di una possibilità che finalmente poteva avere (ma che erano anni che non riusciva a concretizzare) e il dolore nel vedere quella splendida donna scossa dal trauma della verità. "Lo so che è dura" disse guardandola negli occhi "ma è evidente che quel coglione non ti meritava... certi individui è meglio perderli per starda. Adesso hai un mondo di possibilità" si morse la lingua consapevole di aver fatto un gioco pericoloso. Le stava accarezzando le mani e d'improvviso una vapata di coraggio lo aveva spinto ad agire, senza rendersene conto aveva sposato le mani nell'interno della sua coscia. Sentiva quel tenue e liscio calore della pelle, quella sensibilità acuta che regala un brivido se accarezzata con delicatezza. Certe situazioni nascono da sole, si crea un miscuglio di sentimenti che come un cocktail ben schekerato emulsiona i ragionamenti indirizzandoli verso un unico scopo, prendere e concedersi. Un sogno conscio addolcí i suoi occhi. Sentii quel sospiro che racchiudeva in sé piacere, distrazione e sorpresa e capii che il gioco, per quanto involontario, stava mettendo in moto un'aspirale nel quale sarebbero stati risucchiati assieme.
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girlcavalcanti · 1 year
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I knew nothing about this up until a few (a very few) hours ago, when the wonderful @morbertthemindless (not sure if I should thank you tho) enlightened me. Featured una vecchia and a very horny Machiavelli, enjoy.
"Affogàggine, Luigi; e guarda quanto la fortuna in una medesima faccenda dà ad li huomini diversi fini. Voi fottuto che voi havesti colei, vi è venuta voglia di rifotterla, e ne volete un'altra presa.
Ma io, stato fui qua parechi dì, accecando per carestia di matrimonio, trovai una vecchia che m'imbucatava le camicie, che sta in una casa che è più di meza sotterra, né vi si vede lume se non per l'uscio: e passando io un dì di quivi, la mi riconobbe e factomi una gran festa, mi disse che io fussi contento andare un poco in casa, che mi voleva mostrare certe camicie belle se io le volevo comperare. Onde io, nuovo cazo me lo credetti e giunto là vidi al barlume una donna con uno sciugatoio tra in sul capo ed in sul viso che faceva el vergognoso, e stava rimessa in uno canto. Questa vecchia ribaldami prese per mano e menatomi ad colei dixe: - Questa è la camicia che io vi voglio vendere, ma voglio che la proviate prima, e poi la pagherete. - Io, come peritoso che io sono, mi sbottì tucto: pure rimasto solo con colei ed al buio, perché la vecchia si uscì subito di casa e serrò l'uscio, per abbreviare, la fotte' un colpo e benché io le trovassi le coscie vize et la fica umida e che le putissi un poco el fiato, nondimeno tanta era la disperata foia che io havevo, che la n'andò. E facto che io l'ebbi, venendomi pure voglia di vedere questa mercatantia, tolsi un tizone di fuoco d'un focolare che v'era e accesi una lucerna che vi era sopra; né prima el lume fu apreso che 'l lume fu per cascarmi di mano. Omè, fu' per cadere in terra morto, tanto era bructa quella femina. E' se le vedeva prima un ciuffo di capelli fra bianchi e neri cioè canuticci e benché l'avessi al cocuzolo del capo calvo, per cui la calvitie ad lo scoperto si vedeva passeggiare qualche pidochio, nondimeno pochi capelli e rari le aggiugnevono conle barbe loro fino in su le ciglia; e nel mezzo della testa piccola e grinzosa haveva una margine di fuoco, ché la pareva bollata ad la colonna di Mercato; in ogni puncta delle ciglia di verso li ochi haveva un mazeto di peli pieni di lendini; li ochi li aveva uno basso ed uno alto ed uno era maggiore che l'altro, piene le lagrimatoie di cispa ed enipitelli di pilliciati: il naso li era conficto sotto la testa aricciato in sù, e l'una delle nari tagliata piene di mocci; la bocca somigliava quella di {{{2}}} , ma era torta da uno lato e da quello n'usciva un poco di bava, ché per non haver denti non poteva ritener la sciliva; nel labbro di sopra haveva la barba lunghetta ma rara: el mento haveva lungo aguzato, torto un poco in su, dal quale pendeva un poco di pelle che le adgiugneva infino ad la facella della gola. Stando adtonito ad mirar questo mostro, tucto smarrito, di che lei accortasi volle dire: - Che havete voi messere? - ma non lo dixe perché era scilinguata; e come prima aperse la bocca n'uscì un fiato sì puzzolente, che trovandosi offesi da questa peste due porte di due sdegnosissimi sensi, li ochi e il naso, e messi ad tale sdegno, che lo stomaco per non poter sopportare tale offesa tucto si commosse e, commosso oprò sì, che io le rece' addosso; e così pagata di quella moneta che la meritava mi partii. E per il cielo che io darò, io non credo, mentre starò in Lombardia, mo torni la foia; e però voi ringratiate Iddio della speranza havete di ritrovar tanto dilecto, e io lo ringratio che ho perduto el timore di havere mai più tanto dispiacere.
Io credo che mi avanzerà di questa gita qualche danaio, et vorre' pur giunto ad Firenze fare qualchne trafficuzzo. Ho disegnato fare un pollaiolo, bisognami trovare un maruffino, che me lo governi: intendo che Piero di Martino è così subficiente, vorrei intendessi da lui se ci ha el capo, e rispondetemi; perché quando e non voglia, io mi procaccierò d'uno altro.
De le nuove di qua ve ne satisfarà Giovanni: salutate Jacopo e raccomandatemi ad lui, e non sdimenticate Marco.
In Verona die VIII Decembris 1509.
Aspecto la risposta di Gualtieri ad la mia cantafavola.
Nicolo Machiavegli"
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animatormentata · 2 years
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Dedicato a lei,alla mia fiamma gemella nonché donna della mia vita.
Non so come fare,non so cosa fare per stare meglio e ad allontanare tutte le mie paure che mi stanno,lentamente,uccidendo.
Spero che un giorno potrò correre nuovamente da te, lasciando tutto e non facendo vincere nessun timore.
Io credo in te,l’ho sempre fatto e sempre lo farò. Sei la donna più forte che io abbia mai visto,ma allo stesso tempo sei ricoperta di una fragilità che sono riuscita a vedere solo io. Dietro la corazza c’è una bellissima bimba che ha bisogno di protezione,comprensione,rassicurazione, amore e di qualcuno che si prenda cura di lei. È cresciuta prima del dovuto e non se lo meritava.
Voglio che tu sia felice,che guarisca da ciò che stai vivendo,dal dolore che ti porti dentro e che non meriti,anche se alcune cicatrici rimarranno un po’ sempre aperte. Voglio che tu possa conservare il nostro ricordo come un qualcosa di bello,di unico,irripetibile e che ti faccia battere tutto dentro.
Per me sei stata il riparo dalle tempeste più grandi, sei stata un’amica quando ne ho avuto bisogno, sei stata la spalla su cui potevo poggiarmi quando niente andava bene,sei stata e sei l'amore più grande che potessi provare.
Mi hai tolto la paura di poter diventare madre e con te ho sempre avuto il desiderio di costruire una famiglia. Lo vorrò sempre. Anche se magari incontrerai chi ti farà più bene di me, chi saprà amarti più di quanto lo faccia io e chi ti abbracci come io non ho potuto fare, sappi solo che ciò che provo e l’amore che ci siamo date,io lo avevo letto solo nelle favole. Sono felice di aver provato questo sentimento con te e per te e che continuerò a provare segretamente.
Sei l'addio che non voglio dire perché in noi ci credo ancora. Ho poche certezze nella vita ma una di quelle sei tu,so che sei la donna della mia vita e non riesco a vedermi con nessun altro accanto.
Proverò a stare meglio, a ritrovare la forza che ho sempre avuto e ti verrò a riprendere. Non voglio lasciarti andare,non ci riuscirei. Pagherei oro per averti qui adesso, per ricevere un tuo messaggio dicendo che mi stai venendo a prendere. Vorrei mi prendessi a schiaffi finché non ritorno in me. Aiutami tu a capire perché io mi sento nulla, mi sento uno schifo e in testa ho solo pensieri orrendi.
Mi manchi,non posso negarlo a me stessa, ogni attimo è uno strazio,ma cercherò di farti arrivare il mio pensiero, cercherò di venire nei tuoi sogni e abbracciarti forte. Mi sento vuota e non sono in grado di fare più niente se non lasciarmi andare e spegnermi lentamente.
Se magari ti verrà in mente di venirmi a prendere e portarmi via di qua,tu dimmelo e io non ci penserò due volte.
Farò di tutto per guarire anch’io, per me e per noi. Ci meritiamo la nostra versione più bella,quella sana e spensierata,felice.
Ho il terrore di metterci tanto e che tu ti stufi,trovando qualcuno che ti faccia battere nuovamente io cuore. Non lo sopporterei.
Saresti disposta ad aspettarmi lo stesso?
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alessiamalfoyzabini · 2 years
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𝐼𝐼𝐼. 𝐿'𝑂𝐷𝐼𝐴𝑇𝑂
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𝐖𝐀𝐑𝐍𝐈𝐍𝐆𝐒| 𝙼𝚎𝚗𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎 𝚍𝚒 𝚗𝚞𝚍𝚒𝚝𝚊̀, 𝙹𝚒𝚖𝚒𝚗 𝚎𝚗𝚝𝚛𝚊 𝚒𝚗 𝚖𝚘𝚍𝚊𝚕𝚒𝚝𝚊̀ 𝚙𝚘𝚕𝚒𝚣𝚒𝚘𝚝𝚝𝚘, 𝚖𝚎𝚗𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎 𝚍𝚒 𝚘𝚍𝚒𝚘 𝚎 𝚛𝚊𝚗𝚌𝚘𝚛𝚎
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Ad occhi socchiusi Galia vide la sua camera da letto illuminarsi man mano che il sole sorgeva, le tende la sera prima non erano state chiuse correttamente e Jimin si sarebbe ben presto lamentato di questo dettaglio. Proprio lui, su cui ricadeva la responsabilità di tale svista.
Sospirò assonnata, allungando il suo corpo tra le braccia di quel ragazzo dal viso angelico, che ancora dormiva per nulla turbato dall'arrivo del giorno. Cercò di rannicchiarsi ancor di più contro il petto nudo del suo fidanzato, cominciando ad avvertire un piacevole dolore al ventre e tra le gambe, Jimin non ci era andato piano con lei, convinto di meritare la ricompensa della sua umana, reclamandola non solo quando tornò a casa per il pranzo, ma anche qualche ora più tardi a letto.
Sfiorò con affetto le dita paffute di Jimin, poggiate stancamente sul suo fianco, quel giorno si sentiva più rilassata del solito, certo era giovedì, ma non un giovedì qualunque. Accadeva raramente che avessero giorni liberi in comune, eppure era successo e questo le faceva pensare eccitata che avrebbero passato tutto il giorno insieme, solo lei e Jimin dopo dure settimane di lavoro. I bambini sarebbero andati al museo con un'altra insegnante e Jimin aveva chiesto il suo più che meritato giorno di riposo. Ovviamente sapeva che era a causa sua, normalmente Jimin avrebbe dato volentieri la caccia ai cattivi ventiquattro ore su ventiquattro, come era solito dire, ma voleva anche darle le attenzioni che meritava.
«Qui qualcuno è già sveglio da un pezzo» mormorò assonnato il ragazzo, distendendo i muscoli pigramente portando la fanciulla a stargli più vicino, anzi, letteralmente schiacciata su di lui.
Galia ridacchiò con leggerezza, cercando di sfuggire all'eccessivo calore che Jimin emanava, ma il biondo non mollò la sua presa, ora ferrea.
«Dio, Jimin! Sei la Torcia Umana!» strillò.
«Sopporta, ieri sera mi hai sfinito... così arrapata...» borbottò sul suo collo sottile, lei sgranò gli occhi, colpendolo sul braccio.
«Cosa? Eri tu a starmi addosso mormorando "Ancora, ti prego! Un'altra volta e ho finito, piccola"» gli ricordò imitando la sua voce, offesa per essere stata definita arrapata, quando in realtà era sempre lui a cominciare con le pratiche più fantasiose che portavano via molto tempo, oltre che sudore e forza fisica.
«Non è colpa mia se il lavoro non mi permette di averti sempre» piagnucolò il ragazzo, strofinando la guancia sulla testolina mora, come un bambino colto sul fatto.
Galia alzò gli occhi al cielo, per nulla turbata da quelle attenzioni e sotto sotto ridacchiò, era sempre bello sentirsi desiderate in quel modo e Jimin sapeva come ammaliarla puntualmente.
«Ti amo...» disse in modo carino il ragazzo, sorridendo con gli occhi ancora lucidi e annebbiati, i morbidi capelli sembravano aver preso vita durante la notte e con la luce dorata che entrava dalle finestre Galia constatò la sua adorabilità stringendo le labbra per non ridere apertamente.
Si avvicinò per baciarla con calma, ma la testa della donna scattò lontano dal suo viso.
«Ti amo anch'io... e ti amerò di più quando ti sarai andato a lavare i denti» esplose in una risata quando Jimin la guardò con tanto d'occhi.
«Quindi questo è un motivo valido per non baciare il tuo principe?».
«Ancora con questa stor-» non finì in tempo la frase, Jimin le tappò le labbra con le sue, forzando la giovane contro i cuscini con fare giocoso, in risposta Galia gli pizzicò un capezzolo con forza.
Jimin ansimò scioccato staccandosi, guardò Galia che lo fissò di rimando con fare birichino e poi il proprio petto, per più di due volte.
«Non posso resistere, li adoro...».
Jimin ghignò «Mia adorata, adori anche un'altra cosa e presto ti ritroverai di nuovo faccia a faccia con-».
«Park Jimin!» sbottò, fermandolo, ma era troppo tardi. Il biondo si stava già sfilando le coperte dal corpo.
Le si seccò la gola quando lo vide. Stavano insieme da anni, ma la bellezza di Jimin la lasciava sempre senza parole. Squadrò con cura maniacale il petto quasi privo di imperfezioni del suo ragazzo, già, quasi... perch�� una splendida macchia violacea adornava l'area intorno alla clavicola sinistra. Scese lungo gli addominali e ricordò la sera prima, quando in un attimo di seduzione era arrivata anche a leccare e baciare quell'ampia zona, provocando non pochi versi di piacere all'uomo, molto sensibile e ricettivo.
Scese più in basso, verso le fossette degli addominali nate dopo anni di esercizio, tutto di lui era fottutamente perfetto, deglutì prima di arrivare al pezzo forte e sorpresa notò che fosse già quasi completamente duro, era difficile non tenere incollati gli occhi in modo magnetico al membro del suo ragazzo. Sì, lo adorava.
Dalla punta rosea e liscia a tutte le venature in rilievo che gli davano un aspetto fin troppo erotico.
«Jimin» si lamentò «Non puoi sbattermi così in faccia tutto questo...».
«Sarà qualcos'altro che ti verrà sbattuto in faccia, fidati...» sussurrò di nuovo sul suo collo, baciando dolcemente la pelle morbida dell'amata.
Leccò con confidenza tutta la zona, consapevole che per Galia ogni punto del corpo risultava erogeno. Infatti ben presto le sue orecchie vennero deliziate dai sospiri piccanti della donna.
«Credi ancora che dovrei alzarmi da questo letto per lavarmi i denti?» chiese divertito, in quel momento la sua ragazza era divisa in due. Soccombere al piacere per l'ennesima volta o dare ascolto al suo lato di insegnante.
La decisione fu ardua, ma ovvia per l'uomo.
«Sta' zitto, usa la tua bocca per altre cose, Park» sibilò.
Fece per tornare al suo compito, ovvero segnare la sua pelle con quanti più morsi poteva, una mano era già intenta ad oltrepassare la barriera scomoda delle mutandine per stuzzicare il punto più caldo e morbido della ragazza, ma un rumore proveniente dal piano inferiore ghiacciò i corpi di entrambi.
«Jimin...?» sussurrò, stranita dal suono, ma il biondo le fece segno di non parlare.
I suoi occhi divennero due sottili linee, Galia conosceva quell'espressione. Era segno che il dolce e romantico Jimin aveva lasciato il posto al più composto e serio Detective Park.
Cominciò a cercare le parti del suo pigiama in fretta per coprirsi, Jimin scese per primo dal letto, infilando lesto un paio di boxer e recuperando la sua pistola dalla giacca riposta con cura nell'armadio a specchio.
Un altro rumore ruppe la calma della casa, la tensione crebbe nella stanza.
Jimin le mimò un "Resta qui", il viso tirato le diceva che non era una richiesta, ma un ordine.
Non le tremavano le mani, Jimin le aveva fatto scuola su come mantenere la calma in certi momenti, ma fu il suo cuore a tremare quando vide il suo ragazzo uscire dalla camera a passo felpato. Le sembrò di essere tornata a quando non si vedeva per giorni, occupato in delle vere operazioni che miravano a far uscire allo scoperto gente pericolosa.
Da come aveva preso in mano la situazione con una calma eccessiva, capì che Jimin fosse abituato a stare in prima linea. Questo la rendeva fiera, ma anche a disagio con quella parte del lavoro del suo fidanzato.
Nella mente di Jimin non c'era posto per le domande, controllò ogni camera del piano superiore, appostandosi negli angoli più bui per non essere visto, ma chiaramente lì non era presente nessuno.
Scese così le scale, la mente sgombera da qualsiasi futile pensiero, doveva prima di tutto assicurarsi che ogni cosa fosse al proprio posto e che nessuno fosse presente in casa oltre loro. Poteva anche essere stato il loro gatto Munje, ovvero "Guai", quel gattone bianco a chiazze rosse che Galia si ostinava a far mangiare sempre.
Ma quando il rumore di piatti scossi lo raggiunse, il dubbio si dissipò, quello non poteva essere un gatto troppo vivace.
Portò la pistola al viso, preparandola preventivamente allo scontro. Giunse al solotto di casa, e proprio lì sul divanetto era mollemente disteso Munje, per nulla turbato dai rumori molesti. Sospirò leggermente scuotendo la testa, era strano... solitamente quel gatto non apprezzava gli estranei ed era violento con chiunque tentasse un approccio amichevole.
La cosa gli puzzava.
Mise un piede davanti all'altro, cercando di non segnalare la sua presenza, notò che la porta di ingresso era perfettamente chiusa, sembrava non aver subito un'apertura forzata e l'allarme non era scattato.
Leccò leggermente le labbra secche, pensando che l'estraneo fosse un osso duro, proprio come lo era lui.
Si fermò prima di entrare effettivamente in cucina, prese un profondo respiro, ricordandosi mentalmente di non fare mosse troppo avventate, dato che in casa era presente pure la sua ragazza e non poteva permettere che il tizio arrivasse al piano di sopra. I rumori seppur continui dimostravano che all'interno ci fosse solo una persona, inoltre non sentiva le voci di nessuno.
Tese le spalle in preparazione, e poi ruppe la quiete gettandosi all'interno della stanza illuminata.
«POLIZIA! MANI IN ALTO E METTITI IN GINOCCHIO!» urlò con fare aggressivo, puntò la canna della pistola contro la figura estranea di un uomo che dava le spalle, l'uomo in questione sobbalzò con forza, strillando.
Jimin aggrottò le sopracciglia, non aveva mai sentito un ladro o un assassino gridare in quel modo.
«Ho detto di alzare le mani, ginocchia a terra! Che c'è, non senti?!» ringhiò, forse aveva a chè fare con qualcuno di molto testardo... o stupido.
La figura fece come gli era stato detto, portava una felpa larga color cachi, con dei jeans a vita bassa all'apparenza comodi, inoltre ai piedi aveva delle ciabatte rosa, perché un ladro dovrebbe avere-?
«Spero che tu sappia cosa stai facendo, coglione!» sbottò lo sconosciuto e Jimin sgranò gli occhi.
Non era un ladro, non era un assassino e tantomeno uno sconosciuto.
Kim Seokjin si voltò col fuoco negli occhi, era visibilmente nervoso a causa dell'arma che gli veniva ancora puntata addosso, ma dimostrava ancora di avere un orgoglio dopo aver strillato in quel modo.
«J-Jin?» ecco perché Munje non aveva reagito, perché avrebbe dovuto fare a fette l'uomo che l'aveva salvato e portato a Galia?
«Sì. Io. Lo stesso Jin che è anche tuo cognato, idiota!».
Dei passi veloci arrivarono presto alle loro orecchie.
«Jin!» esclamò Galia, sorpresa e grata di vederlo lì, al posto di una persona pericolosa. Vide che Jimin non accennava ad abbassare la sua pistola e lo raggiunse, abbracciandolo.
«Amore, potresti non minacciare mio fratello con quella pistola?» Jimin rilassò di poco l'espressione del viso, sbattendo leggermente le palpebre, era sempre così, gli ci voleva un po' per tornare al suo stato mentale quieto. Mise lentamente giù l'arma e Seokjin sospirò, poi si rivolse alla sorella.
«Amore? Mi ha quasi fatto prendere un colpo!» sbuffò, guardandola come se avesse detto qualcosa di ridicolo.
«Quasi...» borbottò il biondo di pochi centimetri più basso dell'altro.
Era chiaro che tra i due non scorresse buon sangue.
Forse era cominciato tutto quando Galia gli presentò Kim Seokjin la prima volta, durante la cena un calice colmo di vino rosso finì tragicamente sui pantaloni nuovi di Jimin. Non lavorava ancora come agente, si limitava a studiare le basi per poi fare qualche lavoretto part-time dopo scuola.
Quello era stato il suo primo completo elegante, comprato dopo mesi di striminzite paghette e lavoretti fisici che pagavano meno della fatica provata. Ma avrebbe speso tutti i suoi risparmi per fare buona impressione alla famiglia di Galia.
Da quello che la ragazza gli aveva detto, suo fratello maggiore era un ragazzo dolce ed educato, molto amichevole e sempre pronto ad aiutare, ma in qualche modo quella sera attirò su di sé la gelosia di quel ragazzo descritto così per bene, ma che a Jimin mostrò il suo lato più satanico.
Il ragazzo dalle spalle larghe si scusò con lui per quella svista, ma Jimin vide quel sorrisetto diabolico, che preannunciava la guerra silenziosa che ormai da otto anni si svolgeva ogni qual volta fossero nella stessa stanza.
Kim Seokjin lo odiava, amava sua sorella così profondamente che si era convinto che uno come il biondino non le avrebbe mai dato la piena felicità che lei meritava.
Jimin, ovviamente, non accettava mai quei commenti velenosi, tra i due scoppiavano quasi sempre liti.
«Ma guardalo, spera ancora di sotterrarmi un giorno» sghignazzò Jin, mentre un sorriso ironico cresceva sul viso di Jimin.
Galia li guardò severamente «Per favore, non ricominciate...».
«Perché parli al plurale?» chiese il suo ragazzo con fare scontroso «Si è introdotto in casa nostra senza permesso! Era mio diritto sparargli e-» si bloccò, girandosi verso il cognato «Come cazzo hai fatto ad entrare?».
Seokjin sorrise con fare irritante «Con le chiavi, genio» dalla tasca tirò su un paio di scintillanti chiavi nuove.
Jimin lo fissò stupito, poi si voltò verso Galia che sorrise colpevole.
«Perché quel tipo ha le chiavi di casa nostra?».
«Ehi! Il tipo è suo fratello maggiore» si impose Jin con petto in fuori, poi passò a Galia «Vedi? E' una persona orribile, non vuole che ci frequentiamo! Oggi è il tuo giorno libero, sono passato per stare un po' con te» si imbronciò, Galia rimase senza parole.
Seokjin non smetteva mai di lavorare nei giorni comuni, era raro che lasciasse i suoi affari così facilmente per dedicarsi a qualcosa di più normale, come la famiglia... questo lo rendeva piuttosto simile a Kim Senior, loro padre.
Galia lanciò un'occhiata nervosa a Jimin, avrebbero dovuto passare la giornata insieme, come una coppia finalmente. Infatti Jimin le stava mandando un chiaro messaggio d'avvertimento con gli occhi. Poi tornò a Seokjin, le stava sorridendo così amorevolmente... totalmente ignara che il biondo più alto avesse avuto intenzione fin dall'inizio di rovinare la loro giornata.
«N-Non sarebbe così male passare la giornata noi tre insieme, giusto?» domandò a bruciapelo.
Jimin rimase sconvolto.
«Cosa?! No! Oggi era solo per noi due, non abbiamo bisogno del terzo incomodo» ringhiò stringendo le mani, nella sua mente mille scenari dove prendeva a pugni quella faccia di merda che ora stava ricambiando il suo sguardo con un occhiolino.
Galia aprì la bocca per provare a convincerlo con calma, dopotutto erano veramente poche le uscite fatte con suo fratello negli ultimi mesi, ma Jin la batté sul tempo.
«Spiacente, nanerottolo, ormai sono qui e non mi schioderò per nulla al mondo» asserì convinto.
Seokjin sapeva benissimo che per Galia fosse difficile dirgli di no, e questo sicuramente avrebbe provocato un litigio nella coppia proprio a causa del carattere esplosivo del ragazzo più giovane.
Non gli era mai piaciuto Jimin, lo vedeva come un povero sempliciotto che non sarebbe mai andato troppo lontano con la sua carriera.
Galia meritava di più e Seokjin lo avrebbe dimostrato.
«Vatti a vestire, sorellina, ti porto a fare shopping. Ovviamente pagherò io ogni cosa» le disse, gli occhi di Galia si illuminarono. Seokjin faceva sempre ciò che diceva, quindi non le fu difficile credergli.
Jimin era ancora rigido al suo posto, Seokjin lo squadrò con fare disgustato «Mettiti qualcosa addosso anche tu, sto per vomitare la colazione».
«Compri tua sorella con i vestiti, Kim? Sul serio? Non sarà questo ad allontanarla da me» gli fece sapere il più giovane con fare aspro, ma Seokjin non sembrò scosso da quelle parole.
«E' solo il mio modo di coccolarla, Park... da quanto tu non lo fai?» lo provocò.
«Perché cazzo l'hai così tanto con me? Dall'inizio, e nemmeno mi conoscevi!» sbottò.
Seokjin rimase a fissarlo duro, ne aveva tante di cose da dirgli, ma quello non era il posto o il momento adatto. Certo, un giorno gli avrebbe vomitato addosso ogni cosa, voleva vederlo rimpicciolirsi ad ogni sua parola, eliminare dalla sua faccia fintamente adorabile quell'espressione insopportabilmente arrogante e sicura.
Lo odiava, dannazione.
«Sei così in basso che non meriti una spiegazione» rispose con sarcasmo.
Jimin non disse nulla, dato che quel pallone gonfiato era così in basso da non meritare risposta, prese posto al tavolo e per almeno quindici minuti si fissarono in cagnesco, mantenendo comunque uno scomodo silenzio, rotto solo dagli innumerevoli sbuffi di Seokjin.
Galia alla fine scese vestita con un abitino bianco dai ricami celesti, le scarpe erano delle graziose zeppe alte che slanciavano la figura della ragazza, con un cinturino abbinato al vestito, tutto sembrava fatto per mettere in risalto la luminosità naturale della sua pelle. I capelli scuri invece furono lasciati liberi sulle spalle, entrambi i ragazzi la guardarono meravigliati, e Seokjin con soddisfazione notò che al polso portava il braccialetto d'oro bianco che le aveva regalato per il compleanno qualche anno prima, anche se non fu contento di vederci abbinato l'anello di fidanzamento.
«Possiamo and- Oh! Jimin, sei ancora così?» Galia sapeva quanto desse fastidio al suo fidanzato la presenza del cognato, ma come poteva buttare fuori di casa Jin solo perché a lui non piaceva?
«Non mi pare di essere salito in camera con te» disse scontroso «Comunque hai fatto presto, com'è che con me ci stai anni a prepararti mentre appena senti il suo nome diventi un fulmine?» dopo averlo chiesto salì in camera a vestirsi, lasciando Galia imbarazzata, ma anche irritata.
Dannazione, era una semplice uscita! Quando ci metteva tanto era per sorprendere il suo fidanzato e di certo non avrebbe impiegato la stessa cura per il fratello. Ma questo il biondo sembrò non capirlo.
«Si sta comportando come un bambino» disse cupo Jin «Che diavolo ci hai visto in lui?».
Galia scosse la testa, sfinita. Non era la prima volta che Jin glielo chiedeva.
«Qualcosa che non hai visto tu, Jin... per favore, non provocarlo come fai sempre, okay la regola del fratello che deve mettere alla prova il ragazzo della sorella, ma sono passati otto anni e Jimin mi rende felice» rispose dolcemente.
Seokjin sbuffò appoggiando la schiena contro il bancone della cucina, voleva far trovare la colazione in tavola a Galia, ma quello stupido aveva rovinato la sua sorpresa.
Un leggero miagolìo si fece largo nella stanza, Jin sorrise alla vista del gattone che un tempo era solo un minuscolo micetto all'angolo di un vicolo freddo e buio.
«Ehi, Munje!» esclamò contento, si calò per grattare gentilmente la testolina dello splendido felino, il quale accettò volentieri le cure del suo salvatore.
«Ti vedo in forma, amico. Galia ti tratta bene, eh?» il micio cominciò a fare le fusa sotto quelle attenzioni, alzando la coda vibrante.
«Credo abbia fame!» si affrettò la ragazza, aprendo lo sportello della cucina che conteneva tutto ciò che serviva al gatto, prese le crocchette comprate appena un giorno prima e riempì la ciotola.
Jin lanciò un'occhiata cauta alla sorella, la ciotola era ancora mezza piena in realtà. Il gatto poteva benissimo mangiare quelle crocchette prima di riceverne altre.
«Non starai esagerando?».
Galia si bloccò «Ma ha miagolato... significa che ha fame, no?».
Jin guardò Munje allarmato, era ancora in forma, ma ben presto avrebbe superato il suo peso idoneo se non avesse fermato quella macchina di cibo istantaneo.
«Tesoro, i gatti miagolano per qualsiasi cosa, specialmente Munje» ridacchiò, avvicinandosi alla sorella.
Le tolse il pacco del cibo dalle mani e ristabilì la giusta dose da dare al gatto.
«Ma Jin...» cominciò, contrariata.
«Niente "ma"! Se lo ami cerca di fare come ti dico io, okay?».
La giovane sospirò, sarebbe stata dura, ma avrebbe cercato di ascoltare suo fratello maggiore. Dopotutto lui aveva molta più esperienza di lei con gli animali.
«D'accordo, hai vinto» si arrese, ma non mise in conto Jimin alle sue spalle vestito in modo sportivo per l'uscita.
«Wow, ci voleva il tuo fratellone per farti capire che quel gatto ha bisogno di una dieta bilanciata?» fece sarcastico, chiaramente non aveva intenzione di chiudere la discussione.
Ma la ragazza non colse la provocazione.
Alzò gli occhi al cielo e si diresse verso la porta di casa con un Jin ghignante al seguito. Jimin ringhiò rabbioso, bene, ora doveva anche accollarsi la colpa di tutto, quando era stato per primo il cognatino a dare inizio al suo malumore.
Ciò che non poteva immaginare a causa del suo carattere orgoglioso, era che Galia dentro di sé si stesse pentendo.
Non ci aveva ragionato su molto, aveva rivisto Jin ed era esplosa di felicità, ma con Jin poteva sempre trovare un giorno libero per vedersi, con Jimin non era così facile. Il suo lavoro non gli permetteva di essere libero quanto voleva, ed ogni momento passato insieme era prezioso. Strinse gli occhi, il disagio la avvolgeva mentre entrava in ascensore con i due uomini, la tensione era palpabile e lei stava proprio in mezzo come un separatore di fuochi.
Cedendo al senso di colpa allungò piano una mano verso il polso del fidanzato, voleva fargli capire che non era davvero arrabbiata, ma Jimin non sembrava dello stesso avviso. Tolse di scatto il braccio dalla sua presa con fare nervoso.
Dalla sua parte, Jin osservò tutto esultando dentro di sé.
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 «Bene, Signore. I preparativi sono quasi del tutto ultimati, mancano solo i bambini che presto parteciperanno al vostro evento educativo».
Namjoon annuì alle parole della sua segretaria, per l'uomo occasioni simili erano ottime per trovare possibili investimenti, inoltre lo riempiva d'orgoglio essere riconosciuto come una persona da cui prendere esempio, pubblicamente parlando si intende.
«Ah... ehm, Signore?» la voce della donna si fece di colpo più timida «Ha chiamato il Signor Kim poco fa, ha detto che se vuole raggiungerlo durante la pausa pranzo lo trova al bar SugarSugar, è con una persona che vuole farvi conoscere».
L'uomo si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo «Perché non mi chiama come qualsiasi persona normale, e perché proprio in un bar fatto apposta per studenti e coppiette?» si chiese svogliato, poi lanciò una strana occhiata alla ragazza che nervosamente stava di fronte alla sua scrivania. Jessie sembrava andare in tilt ogni qualvolta si parlasse di quel tizio.
«Chiamalo e digli che sarò lì tra-» fece per dire, Jessie sembrava già pronta a mettersi all'opera, quando una terza persona entrò nel suo ufficio senza avvisare.
«Chiamare chi, Namjoon?».
L'uomo si alzò di scatto dalla sedia girevole, osservò sorpreso la donna di mezza età che lo guardava sorridendo leggermente. Indossava un abito formale da ufficio e portava i capelli stretti in una crocchia rigida, come era di moda nelle donne importanti di una certa età.
«Madre, è un piacere vedervi qui» disse il ragazzo senza particolare calore emotivo, aggirò l'ostacolo della scrivania per baciare dolcemente la mano di colei che lo aveva messo al mondo «Ma non vi aspettavo, come mai siete venuta fin qui?» la donna ridacchiò alla nota severa nel tono del figlio, scosse la testa con fare civettuolo.
Namjoon con un gesto della mano mandò via la sua nervosa segretaria, mentre sua madre prese a gironzolare per l'ufficio.
«Una madre è obbligata ad avvisare prima di andare a trovare il suo bambino che non vede da tanto?».
Namjoon sospirò leggermente «Sì, se il lavoro del figlio è di dubbia moralità, madre».
La donna sorrise con affetto, sfiorando con la piccola mano la guancia del suo primogenito «Tale e quale a tuo padre, sei proprio sangue del suo sangue e su questo non ci sono mai stati dubbi» poi la sua espressione si fece più seria «Ma vorrei parlarti di una cosa il prima possibile e chiunque ti abbia chiamato vorrei che fosse avvisato del tuo impegno improvviso, pranza con me, Joonie» sospirò al nomignolo dato, odiava essere chiamato in quel modo, ma era sua madre e non poteva dirle nulla in merito; così annuì in accordo.
«Dirò a Jessie di avvisare quella persona» prese immediatamente la cornetta componendo il numero della sua segretaria e una volta sistemato il piccolo inconveniente si diresse alla porta porgendo un braccio alla madre con fare educato.
La donna gli sorrise riconoscente, ma la preoccupazione si spingeva prepotentemente nella sua testa.
«Non mi hai ancora detto di chi si trattava» Namjoon sospirò leggermente.
«Non è il caso che tu lo sappia».
«Namjoon, dovresti smettere di proteggermi, conosco questo mondo da molto prima che tu nascessi».
"Credetemi, Madre... non è quello il motivo che mi spinge a non rivelarvi la sua identità" pensò in risposta, consapevole che la madre non avrebbe smesso di tormentarlo una volta saputo il nome.
Per farsi perdonare portò la donna al suo ristorante italiano preferito, un tempo pranzavano lì quando Namjoon era solo un giovane bambino troppo ingenuo per sapere a cosa era destinato. Prontamente ordinava sempre una porzione abbondante di deliziose lasagne, stavolta si limitò ad una semplice e veloce insalata di pollo e la signora Kim fissò tristemente quel piatto.
«Mangerai solo quello?».
L'uomo finse di non aver udito quella domanda, si limitò a bere dell'acqua. Il motivo comunque era chiaro, non si trattava più di un bambino che doveva solo pensare a non sporcarsi i vestiti di salsa. Ora era una persona adulta e impegnata che doveva fare tutto velocemente per non vedersi soffiare da sotto il naso possibili clienti.
Parlarono del più e del meno, Namjoon si tenne sempre sulle sue, non volendo dare alla donna modo di impicciarsi troppo dei suoi affari, quindi finse di interessarsi quando ella raccontò del suo tentativo di convincere il marito ad organizzare un'altra vacanza simile alla loro luna di miele.
Ovviamente tutto ciò non quadrava, Seoyon non era solita raccontare di certe sciocchezze quando si trovava con la sola compagnia del figlio maggiore, sfruttava quei momenti per indagare la sua vita privata e quel giorno, invece, si stava notevolmente trattenendo.
«Non credo che tu sia venuta fin qui per raccontarmi di come vuoi convincere mio padre ad andare in vacanza, dico bene?» sospirò leggermente, osservando distrattamente il suo bicchiere. Non beveva mai alcool in presenza di normali civili, voleva mantenere la sua immagine il più pulita possibile.
«Non sei affatto divertente figlio... Comunque» continuò sua madre «Ho parlato a tuo padre di una questione che mi preme da molto tempo, e si è detto d'accordo con me al riguardo, ovviamente nn c'entra nulla la vacanza di cui ti ho parlato».
Namjoon rimase con la forchetta a mezz'aria, un piccolo e sgradevole sospetto lambì la sua mente.
Era ovvio che fosse lì per ben altro, conosceva troppo bene quello spirito pericoloso e ardente che lo aveva cresciuto tra regole ferree e sguardi glaciali.
«Te la farò veloce, tesoro... Entrambi siamo convinti che sia ora che tu prenda moglie».
Namjoon posò delicatamente la forchetta sul bordo del piatto. Incapace di credere a cosa aveva appena sentito, ma comunque mantenendo una certa dose di calma. Non gli sembrò il caso di adottare il suo atteggiamento stronzo con la genitrice.
«Non credo di aver capito bene».
«Figliolo, hai capito benissimo».
Come avrebbe dovuto reagire? Non voleva una moglie, sarebbe solo stata un peso in più nel suo lavoro. Perciò scosse la testa, deciso a non chinare il capo all'ennesimo capriccio di sua madre.
«Sono un uomo molto impegnato, Madre. Una moglie al momento sarebbe troppo da gestire per uno come me e, senza offesa, non credo neanche di essere tagliato per un ruolo simile».
«Tutte sciocchezze, anche tuo padre non si credeva adatto eppure guardalo ora, ha una moglie e due figli».
Io non sono lui, voleva urlarlo al mondo intero, era peggio di suo padre. Una pallida imitazione che si era trasformata in qualcosa di mostruoso nel corso della sua preparazione.
«Non prenderò una moglie solo perché voi siete certi che sia il momento giusto per me. Dovrei essere io a decidere, no?» sbottò cocciuto «E che mi dite di Taehyung? Dal mio punto di vista lui sarebbe perfetto in veste da matrimonio».
Ovviamente era una stronzata, sua madre infatti impallidì al nome del figlio più giovane. Aveva tentato in vari modi di domare quel ragazzo, finendo alla fine per essere lei stessa domata da quel carattere troppo capriccioso e a tratti insensibile. Aveva imparato ad ignorare le scorribande di Taehyung, senza però accettarle.
«Non scherzare su questo, Namjoon. Taehyung non prenderà mai il posto di vostro padre, non è adatto mentre tu sì. Sei nato per questo, ma una conseguenza del posto che ti spetterà sarà avere un erede a cui passare tutto, e per avere un erede devi anche sposarti... tuo fratello è un donnaiolo e purtroppo mi sono arresa all'idea che tutti i figli che avrà saranno degli illegittimi sparsi per l'intera Seoul...».
Un sorriso cattivo si aprì sul bel viso «Solo in tutta Seoul, Madre?» rigirò il pugnale nella ferita, e la Signora Kim lo fulminò immediatamente, ma a Namjoon non importò, troppo vividi i ricordi dove era obbligato a studiare senza avere distrazioni e intanto Taehyung correva in giro per casa con un giocattolo sempre più nuovo e costoso.
«Non scherzarci, tuo fratello mi manderà dritta al manicomio se non smetterà di irretire ogni donna che incontra, per me e tuo padre è molto importante che almeno tu segua le regole della nostra società. Hai sempre dato il meglio, non farti venire dubbi per una cosa del genere».
Il ragazzo allontanò da sé il piatto, ormai privato della poca fame che aveva. Chiuse gli occhi, riflettendo sulle parole della donna, lavorava nell'organizzazione della sua famiglia da una vita, aveva combattuto come un matto per prendere un giorno il posto del padre e benché la differenza di età con suo fratello fosse minima, caratterialmente erano opposti.
Lasciare un simile ruolo a Taehyung era da folli, e per tenersi stretto quel posto doveva sposarsi. Un'occhiata a sua madre e capì che non c'era via d'uscita. Eppure non voleva sottomettersi troppo presto.
«Quanto tempo ho per decidere o trovare un compromesso?» chiese tranquillamente.
Ma Kim Seoyon non sembrava voler demordere «Non sto dicendo che dovrai sposarti oggi o domani, ma neanche che scenderemo a compromessi, Namjoon. Avrai anche la possibilità di sceglierla».
«Oh, ma grazie mille» sghignazzò in risposta.
«Ma nel caso tu non volessi deciderti, ho già una mia lista di possibili candidate» asserì.
«Interessante, Madre, ma non penso che avrete tanta libertà riguardo questa faccenda».
L'idea di sposarsi non lo faceva impazzire, ma non avrebbe lasciato a qualcun altro il compito di scegliere per lui.
«Allora dimostra a me e a tuo padre che sei diventato un uomo».
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«Seriamente, questo tizio mi farà crepare dalla rabbia!» sputò velenoso Seokjin, sotto gli occhi curiosi di Galia e Jimin.
«Presentamelo, vorrei stringergli la mano solo per averti ridotto così» ridacchiò ironico il ragazzo leggermente più basso, compiaciuto nel vedere il cognato rosso in viso per la furia. Galia invece sospirò stancamente, sperava non ricominciassero a litigare come quella mattina.2
Ma Seokjin non gli stava prestando attenzione, fulminava il suo cellulare, continuando a digitare lo stesso numero maledetto.
«Risulta sempre spento! Come fa ad averlo spento se il suo lavoro PRETENDE che resti acceso? Mi ha bloccato?!».
«Jin, per favore... non fare così» mormorò la sorella con tono calmo, gli carezzò una spalla per spingerlo a guardarla e sorrise rassicurante.
Jimin inghiottì il nodo che gli salì in gola, ancora arrabbiato con la sua ragazza per quel trattamento di favore. Cominciò a bere il suo caffè macchiato per zittirsi ed evitare quindi qualsiasi nuova discussione con lei, ma di certo una volta tornati a casa si sarebbe sfogato di tutto. Dalla giornata storta a quella mancanza d'attenzione a favore di quel piccolo stronzetto riccone.
Nel bar l'aria era pregna di odori zuccherini e caffè, l'intero spazio era accogliente grazie ai colori caldi delle pareti e i piccoli tavolini per massimo quattro persone, lo spazio inoltre era pieno di studenti e coppiette che sussurravano... sarebbe stato fantastico venire lì solo con la sua fidanzata e non con l'aggiunta di quel corvaccio sbiadito del fratello.
«Volevo davvero fartelo conoscere, sorellina... Oggi ho chiamato pure in orario e poteva tranquillamente raggiungerci, me lo ha detto la sua segretaria» piagnucolò sulla spalla della giovane con fare infantile.
A quel punto Jimin si infastidì sul serio «Perché saresti così ansioso di farle conoscere questo tuo collega e amico?» domandò scontroso e con sospetto.
Quel tipo ne stava combinando un'altra delle sue, sicuro al 100%.
«Senti, Park! Non ti impicciare, io posso farle conoscere chiunque mi venga in mente e-».
«E adesso basta!» esclamò Galia, irritata dai continui battibecchi di quei due «Siete una compagnia terribile, non né posso più di ascoltarvi litigare, siete come due bambini con problemi di attenzione! Io vado a fare shopping da sola, voi due potete andare a fare altro, ognuno per la sua strada».
I due ragazzi fissarono sbigottiti l'uscita di scena della donna, increduli che possa essere accaduto realmente.
«Hai visto cosa hai fatto, nano con problemi di rabbia?!» ringhiò Jin con occhi fuori dalle orbite.
«Senti, riccone di 'sto cazzo, oggi doveva essere un giorno meraviglioso per me e la mia ragazza, invece hai rovinato tutto con la tua tossica presenza. Smettila di stare attaccato al culo di tua sorella quando in giro ci sono anch'io!».
Si guardarono negli occhi per degli istanti interminabili, tutti si erano girati a fissarli straniti, era raro vedere qualcuno litigare in quel posto ed era chiaro che stessero dando spettacolo. Un pessimo spettacolo e se Jimin cominciava a sentirsi in imbarazzo, Seokjin non sembrò dello stesso avviso.
«Park, ti sopporto da anni e non sono più disposto a tollerarti, stai durando da troppo tempo e credo proprio sia arrivata l'ora di far aprire gli occhi a Galia» comunicò con serietà, abbandonando la maschera del fratello divertente ora che la ragazza non era più presente.
Jimin spalancò gli occhi, possibile che quel tizio lo odiasse così tanto?
«Che razza di problemi ti affliggono, Kim? Io non ho mai avuto nulla contro di te prima che cominciassi a trattarmi in quel modo e l'unica cosa che chiedo è che tu ti faccia gli affari tuoi, non impicciarti nella nostra relazione e fatti una vita tua, ne hai assolutamente bisogno» sibilò Jimin in risposta, alzandosi bruscamente dalla sedia, con lo scopo di inseguire Galia per chiarire le cose tra loro.
Jin rimase lì con uno sguardo cupo e per niente innocente. Doveva agire al più presto.
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Galia osservò concentrata la vetrina di un negozio di libri, amava leggere e immergersi nelle storie di nuovi personaggi, per lei era come vivere diverse vite ad ogni nuova storia scoperta.
Stava giusto ispezionando la copertina di un nuovo e recente Best Seller intitolato "Dietro i suoi occhi", ancora una volta constatò che il libro più venduto del mese apparteneva alla Casa Editrice KNUS.
Non era la prima volta che leggeva quel nome e a dir la verità in casa aveva già tre libri appartenenti al progetto del suo fondatore; erano tutti racconti horror, l'uomo sembrava amare particolarmente il genere anche se non scriveva personalmente lui i testi, come già ampiamente specificato dallo stesso CEO, era troppo occupato, quindi lasciava fossero alcuni autori di talento a sviluppare le sue idee. Chiedeva solo una percentuale del guadagno, il resto rimaneva allo scrittore.
La ragazza non capiva che gusto ci trovasse quell'uomo a dare via delle idee così geniali, le trame erano originali e il carattere dei protagonisti sempre più ammaliante. Più che storie, sembrava di leggere un insieme di biografie che componevano un unico personaggio, magnetico nella sua intelligenza e brutalità.
I dettagli erano così minuziosi che il dubbio che fosse tutto reale era sempre sopraggiunto nella testa della donna. Ma questo non le aveva mai impedito di divorare con gli occhi ogni singola parola.
Proprio per questo entrò nel negozio, decisa a comprare anche quel libro esposto in vetrina in modo abbastanza egocentrico.
Venne accolta dall'odore di carta appena stampata e pulito, le luci erano al massimo e proprio per questo non le parve difficile leggere con chiarezza i vari titoli, oltrepassò il bancone da cui dietro sbucava un vecchietto che stava organizzando dei documenti e si recò dove credeva fossero ordinati e riposti tutti i libri di genere Thriller/Horror.
Respirò a pieni polmoni l'aria, quel particolare profumo di carta le rilassava la mente, solo così poteva smettere di pensare momentaneamente a Jimin e Seokjin.
Vedere e sentire quei due discutere le arrecava un enorme dolore, erano gli uomini più importanti della sua vita, voleva che andassero d'accordo e invece passava ogni singolo momento in loro compagnia a dividerli prima che si mettessero le mani addosso.
E se da una parte era chiaro che tutto cominciasse da Jin, non poteva tollerare che Jimin – un uomo adulto, un agente delle forze dell'ordine – si lasciasse andare a sua volta.
Doveva chiarire con il biondo tra le altre cose, sospirò stancamente. Lo amava tanto, ma delle volte si comportava come un bambino impossibile da gestire, e lei con i bambini ci lavorava!
E dire che quella mattina si era sentita da favola tra le sue braccia, pensò mentre finalmente arrivò a destinazione e vide chiaramente il libro in testa alle classifiche più popolari; allungò la mano per prenderlo, constatando con disappunto che il volume fosse troppo in alto, provò ancora una volta mettendosi sulle punte e maledì l'assenza di Jimin che in quel caso le sarebbe stato molto utile, ma ecco, si ricordò che era stata lei a non lasciarlo venire... aveva di certo una parte di colpa in tutta quella situazione, non poteva addossare tutto a Jimin o a Jin. Fu proprio in quel momento di amarezza che una figura molto più alta di lei si accostò al suo fianco, una mano grande ed adornata da costosissimi anelli acciuffò il voluminoso insieme di pagine nuovissime.
Galia fissò senza parole quella stessa mano che portò il libro all'altezza del suo naso.
«Cos...?» disse, completamente spaesata.
Una bassa risata risuonò tra gli svariati e colmi scaffali, alzò lo sguardo verso la fonte di quel morbido suono, ed incontrò un paio di sottili e attraenti occhi color onice. Si sentì fulminata dalla bellezza esplosiva dell'uomo che le aveva appena fatto il favore di prendere il libro, posto troppo in alto per la sua altezza minuta. I suoi occhi schizzarono ovunque, dalle labbra carnose e morbide ai particolari capelli malva, all'apparenza soffici e lucidi. L'uomo sorrise gentilmente, mettendo così in mostra delle fossette assolutamente illegali. Vestiva con un completo elegante nonostante in giro si vedessero solo ragazzi e ragazze con vestiti casual e questo la colpì ancora di più.
Sembrava il personaggio particolare di una storia.
«Mi scusi l'intromissione, ma sembrava un po' in difficoltà» bastò una semplice frase per farle battere il cuore in modo più veloce del normale, e tutto ciò era ridicolo. Ma l'uomo sembrava avere una faccia familiare, oltre che terribilmente attraente.
«L-La ringrazio» soffiò leggermente, prendendo tra le proprie mani l'oggetto del desiderio, notò che stavano tremando e si innervosì per quella reazione eccessiva.
Che diamine le prendeva così all'improvviso?
Namjoon dal suo canto non capì cosa lo avesse spinto ad aiutarla, ancora nervoso dopo l'incontro con sua madre era letteralmente scappato dal ristorante con una scusa, andando in giro per cercare di calmarsi.
Era entrato nella libreria solo per crogiolarsi nel piacere di vedere un'altra delle sue opere prime in classifica, all'interno aveva notato il proprietario intento a sistemare dei titoli, l'anziano sollevò gli occhi e attraverso gli occhiali a mezzaluna notò immediatamente il suo ricco cliente abituale, esclamò un saluto caloroso nella sua direzione, ma Namjoon non ricambiò, attratto come una falena dalla luce, aveva visto la giovane ragazza alle prese con il suo libro. Fu naturale per lui muovere quei passi verso quella piccola e sofisticata figura.
Era bella, bella come un angelo caduto nel mondo dei vili mortali.
Si tuffò volentieri in quei suoi grandi occhi da cerbiatta scuri, sorridendo compiaciuto quando notò l'effetto che il suo aspetto fisico sembrava farle.
«E' appassionata del genere?» mentalmente si diede un ceffone, perché voleva intavolare una conversazione con una perfetta sconosciuta?
La bellezza straniera sembrò risvegliarsi improvvisamente dai suoi pensieri, era sicuro parlasse la sua lingua, altrimenti perché comprare un libro così intricato in lingua totalmente coreana? Su questo era sicuro di non sbagliarsi e infatti ebbe ragione. La donna rispose, e l'uomo si sentì inebriato dalla sua dolce voce, l'accento inoltre era praticamente perfetto.
«S-Sì, amo i libri che narrano storie di personaggi con una mente così complicata e magnetica, e questa casa editrice ha dato vita a molti dei miei racconti preferiti» rispose timidamente, ma con un pizzico di passione che le brillava nelle iridi e questo a Namjoon non sfuggì. Fissò il nome della sua casa editrice e un senso di orgoglio egoistico si fece spazio nel suo petto.
Annuì compiaciuto in direzione della sconosciuta «Sono certo che andando sempre più avanti continuerà a non deluderti» le riservò un piccolo occhiolino e così come era venuto, tornò sui suoi passi, lasciando Galia a metabolizzare per bene quel breve, ma intenso incontro. Di certo non avrebbe dimenticato lo sguardo attraente e l'aria tremendamente sicura di quell'uomo.
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 Il cellulare continuò a squillare nella tasca dell'uomo, Namjoon sbuffò sonoramente e finalmente si decise a prenderlo.
Continuò a camminare indisturbato verso la sua macchina, si stava facendo buio ed era calato un po' di fresco, ma questo non sembrò disturbarlo granché.
Aprì l'auto una volta prese le chiavi ed entrò, l'interno lo accolse silenzioso e fissò lo schermo, indeciso se rispondere o meno a "Tizio Kim". Consapevole che non avrebbe smesso sbloccò la chiamata e rispose.
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<<Questo è stalking, ti potrei denunciare>> disse svogliato, stava ricevendo quelle chiamate da ormai tutto il giorno, era snervante.
<<Io invece ti potrei anche abbandonare e non fare più affari con te! Hai idea da quanto tempo provi a contattarti senza successo? Avevo bisogno di te!>> strillò la voce maschile dall'altro lato del telefono, Namjoon strinse gli occhi infastidito.
<<Beh, sei vivo. Quindi non avevi così tanto bisogno di me>> rispose iniziando a mettere in moto, mise il telefono in vivavoce e lo poggiò sul cruscotto.
<<TU! Argh... okay, lasciamo perdere. Tanto non cambierai mai questo tuo carattere di merda, è inutile che mi arrabbi... anche se vorrei tanto spaccarti quella tua cazzo di faccia! Sai che in una recente rivista hanno detto che sei il CEO più affascinante? Dove cazzo li hanno gli occhi?!>> il giovane in ascolto alzò gli occhi al cielo, solo quel pallone gonfiato avrebbe perso tempo prezioso per leggere una rivista ignorante e superficiale.
<<Se hai finito riattacco, sto guidando e non vorrei andare fuori strada per colpa di una perdita di risorse come te>> disse tremendamente cattivo, l'altro emise un suono strozzato e allibito.
<<Non essere cattivo con me! Ho una proposta da farti... e potrebbe interessarti>> un sopracciglio di Namjoon scattò verso l'alto, interessato ma al tempo stesso infastidito da quella stessa persona che lo stava tormentando da una vita ormai.
<<Ti ascolto...>>.
<<C'è questo tipo... sta con mia sorella da anni, ricordi mia sorella Galia, no?>> la ricordava vagamente, ma all'epoca era poco più di un ragazzino impegnato ad imparare i trucchi del mestiere del padre, non aveva tempo per le ragazze, non che ora fosse così diverso.
<<Non molto in verità>>.
<<Non molto? Namjoon, avevi perso la testa per lei!>> l'uomo strinse gli occhi, non ricordava nulla di tutto ciò, tantomeno il viso della ragazza in questione.
<<Senti, Seokjin. Non ho nulla contro tua sorella, ma non ricordo niente, a malapena so come sono sopravvissuto quando mi misero in mano la mia prima pistola e poi dritto ad un incontro finito male>> ed era vero, non ricordava quasi nulla della sua adolescenza, solo quel tanto che bastava per lavorare e non sbagliare mai.
<<Non importa, perderai di nuovo la testa quando la incontrerai e mi leverai dal cazzo il suo attuale fidanzatino. E' un Detective, ma soprattutto un coglione e sono certo che non arriverà nemmeno troppo lontano con la sua carriera, ma avere uno sbirro in famiglia è comunque pericoloso>> Namjoon osservò la strada buia con un imminente mal di testa.
<<Frena, frena, frena. Questi sono cazzi tuoi, chiaro? Io non devo e non voglio intromettermi, trovati qualcun altro per separare quei due, hai visto troppi drama>> sbottò, incredulo. Quel pazzo e sua madre si erano forse messi d'accordo? Dall'altro capo della linea si sentì una risata.
<<Fossi in te ci penserei, Joon... Ho parlato con tua madre recentemente, ha detto che sarebbe felice di unire la mia famiglia alla tua tramite Galia>> ora era tutto più chiaro...
<<Figlio di puttana, hai messo tu in testa l'idea a mia madre!>> ringhiò, l'altro scoppiò leggermente a ridere ancora una volta.
<<Ti ho solo fatto un favore, i tuoi avrebbero comunque insistito, ti sto dando l'opportunità di unire l'utile al dilettevole. Una vera alleanza familiare con me e una bella e intelligente moglie al tuo fianco. Mentre io mi levo un pidocchioso agente dai piedi e mi guadagno un cognato di tutto rispetto>> il ragionamento non faceva una piega, ma proprio come aveva pensato in precedenza, non gli andava di accettare tutto e subito.
<<Ci penserò, non prometto nulla, ma terrò a mente questa proposta, anche se l'idea di averti in famiglia mi disgusta non sei totalmente da buttare>>.
<<Ti ringrazio Kim, sei un angelo!>> controbatté l'altro ironicamente.
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Chiuse la chiamata, la testa totalmente in subbuglio.
Per questo motivo non voleva dire il nome di Kim Seokjin alla madre quel giorno. La donna stravedeva per lui, lo considerava un degno pari del figlio e quindi le veniva anche più facile andarci d'accordo.
Un matrimonio, ecco cosa veniva fuori da quei due una volta in contatto. Solo uno dei tanti grattacapi che Namjoon sarebbe stato obbligato a risolvere.
Giunse nei pressi della sua casa, una comoda villetta a due piani. Lontana dalla città e dal chiasso urbano, oltre che lontana da occhi indiscreti, mentre apriva la porta si allentò la cravatta, desiderava fare solo una dormita nel suo comodo letto King size e dimenticare tutti gli avvenimenti di quella giornata.
Tutti tranne uno.
Il ricordo della giovane incontrata in libreria, di una bellezza fuori dal comune piena di passione per le cose che amava. Era lei l'unico momento della giornata che avrebbe tenuto volentieri.
Arrivò in salotto, le luci erano spente e poteva distinguere solo il divano a più posti color panna, immaginò quella casa piena di vita, con una moglie intenta a preparare la colazione e dei bambini che scorrazzavano in giro ridendo.
Non doveva essere male, sembrava anche... carino.
Ma poi immaginò sé stesso, camicia sporca di sangue e occhi spiritati dopo un lavoro particolarmente duro. Rovinava l'intero quadro di felicità.
«Vedila così, Namjoon. E' solo un'altra fottutissima sfida» si disse, finì di spogliarsi e rimase unicamente in boxer neri, ci avrebbe pensato la sua cameriera a ripulire tutto il giorno dopo, ora voleva solo dormire, dormire e dormire.
Da quanto non dormiva? Non lo ricordava neanche.
Salì lentamente le scale e una volta in camera si gettò sul letto, non preoccupandosi neanche di coprirsi decentemente. Nella quiete una frase gli venne di nuovo in mente.
"Namjoon, avevi perso la testa per lei!"
La voce di Jin nella sua testa era ovattata, davvero gli era piaciuta così tanto? Perché non ricordava nulla? Nella sua testa erano solo vividi i ricordi più dolorosi, quelli dove suo padre lo strattonava malamente e gli diceva di non piangere, di fare il suo lavoro imparando a non empatizzare.
Forse Seokjin lo voleva prendere in giro. Non sarebbe stata neanche la prima volta, doveva per forza essere così.
Dopotutto, quel coglione per i suoi interessi avrebbe fatto questo ed altro.
La vibrazione di un nuovo messaggio disturbò il silenzio della stanza, aprì un occhio seccato, credeva di aver lasciato il telefono in salotto e invece il suo lato maniaco del controllo aveva vinto inconsapevolmente, lo stesso lato che lo portò a cercare l'oggetto in questione nonostante la stanchezza che il suo corpo provava.
Quando lo trovò lesse il nome che lampeggiava sullo schermo in modo accecante.
Jisoo.
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- Capo, abbiamo un problema. Riguarda il suo nuovo protetto, non credo le piacerà venire a sapere cosa è accaduto per messaggio, quindi la invito di presenza al covo. -
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Namjoon gemette esasperato, il suo nuovo protetto... Jeon Jungkook, cosa aveva combinato quel ragazzino di così esagerato da dover essere convocato in quel modo al più presto?
Dieci minuti di riposo fisico, ecco cosa gli era toccato dopo una lunga e stressante giornata come quella.
«Mi sto già pentendo di te, Jeon» bofonchiò malamente l'uomo, irritato.
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opheliablackmoon · 2 years
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ㅤㅤㅤㅤㅤㅤㅤ  ㅤㅤ           ʟɪғᴇ ʙɪᴛᴇs  ❚  reine, no        new update  ﹫  opheliagrimaldi           h. 18.54, may 29th, 2022             ❪      🌑      ❫ ㅤㅤ ㅤㅤ ㅤ     Calma s'avvertiva in quel luogo che sembrava essere dimenticato da Dio. Una piccola casa aveva accolto la principessa monegasca, ma con il calore di chi non avrebbe mai potuto mentirle, di chi avrebbe scelto sempre il suo bene a discapito del proprio. Era quello il legame che intercorreva con la norvegese, così distanti eppure così vicine, come in quel momento, intente a parlare in modo fitto di tutto ciò che passava loro nella mente. Talune immagini, tuttavia, continuavano ad animarla, a spingersi se quell'assaggio di libertà era ciò che meritava. Le di lui mani su di sé, le sue labbra, il suo tono imperioso come i movimenti femminei delle donne che avevano scaldato quella stata del St. Regis appena la sera precedente. Tutto il suo mondo s'era schiantato a terra ed ora non poteva fare altro che rimetterlo insieme, pezzo dopo pezzo.   ᴇᴅʀᴀ   « Questo posto ti fa abbandonare pensieri e vivere di emozioni. Per questo amo vivere qui. Come ti senti? Hai dormito tantissimo. »   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « E’ bellissimo… Mi dico che sarei dovuta venire qui tanto tempo fa e non solo ora. »   ᴇᴅʀᴀ   « Te l'ho sempre detto! Qui sei al sicuro. Ti ho preparato i pancakes. Qui c'è la panna, qui le fragole e qui le gocciole di cioccolato fuse. Spero ti piacciano. [...] Uh campanello. Devono essere i miei vestiti. Sai che faccio cosplay? Ho ordinato delle cose. Arrivo. » Era come se il bisogno di evadere avesse raggiunto livelli tanto alti da far credere alla monegasca di essere finalmente libera. Libera di essere se stessa, libera dalle continue etichette che le venivano affibbiate, libera perfino di esplorare quella sessualità che da sempre l'aveva imbrigliata in un contenitore che nemmeno riconosceva. Era questo che aveva assaporato i due giorni precedenti, e non importava quanti chilometri ora li dividessero, lui, loro erano esattamente lì con lei.   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « Fai presto che voglio vedere che cosa hai ordinato!! Sono curiosa… »   ᴇᴅʀᴀ   « Oddio quanti pacchi. Mamma mia. Uff... Mi sono dimenticata di aver svaligiato il negozio... Da quale cominciamo?  »   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « Ehi, quello sembra diverso da tutti gli altri pacchi, apriamolo. » Quante volte si pensa che nulla può cambiare ciò che si ha in mente ed invece basta una frazione di secondo basta per rimettere tutto in discussione? Forse è per questo che si dice che basta un battito di ciglia per cambiare prospettiva. Con quella vitalità che aveva ritrovato, con quella serenità che sembrava essere in ogni dove, la venere nera non sapeva che presto tutto il suo mondo sarebbe crollato su se stesso. Ancora una volta. Scivolarono le lunghe dita della mano della donna dalla pelle color ebano, due lunghi nastri sembravan essere intrecciati l'uno all'altro mentre lentamente lo apriva. Era una scatola piuttosto piccola, una di quelle che avrebbe potuto contenere qualche accessorio utile per la sua amica, ma quando lo aprì il sorriso che tanto custodiva preziosamente, lentamente si ruppe, morendo su quelle giovani labbra. Afferrò lentamente i biglietti, non più grandi di una banconota, e una calligrafia che le fece venire i brividi. Una carta da lettere spessa, di quelle che si usavano tanto tempo fa, nessun sigillo, nessun logo che avrebbe potuto ricordarle qualcosa. Semplice carta bianca. Ma non era questo il motivo per cui aveva improvvisamente smesso di parlare. ㅤㅤㅤ    ❛❛ 𝐸𝑟𝑖 𝑑𝑎𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑐𝑎𝑟𝑖𝑛𝑎 𝑞𝑢𝑎𝑛𝑑𝑜 𝑖𝑙 𝑡𝑢𝑜 𝑓𝑢𝑡𝑢𝑟𝑜 𝑐𝑜𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜        𝑡𝑒 𝑙𝑎 𝑙𝑒𝑐𝑐𝑎*𝑎. 𝐴𝑣𝑟𝑒𝑠𝑡𝑒 𝑝𝑜𝑡𝑢𝑡𝑜 𝑒𝑠𝑠𝑒𝑟𝑒       𝑖 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑡𝑎𝑔𝑜𝑛𝑖𝑠𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝐿𝑎𝑔𝑢𝑛𝑎 𝐵𝑙𝑢.        𝐼𝑙 𝑡𝑢𝑜 𝑠𝑎𝑝𝑜𝑟𝑒, 𝑔𝑜𝑑𝑒𝑣𝑖 𝑐𝑜𝑠𝑖̀ 𝑡𝑎𝑛𝑡𝑜      𝑑𝑎 𝑛𝑜𝑛 𝑟𝑖𝑢𝑠𝑐𝑖𝑟𝑒 𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑓𝑒𝑟𝑚𝑎. 𝑃𝑈𝑇𝑇𝐴*𝐴. ❜❜ ㅤㅤㅤㅤ  Una parola, sette lettere e tutto il suo mondo sembrò accartocciarsi come un castello di carta. Il suo segreto, il suo essere così disinibita non era altro che una pia illusione di libertà. Come aveva potuto essere così sciocca da non pensare che qualcuno avrebbe potuto vederla? Come aveva potuto pensare che un gesto così passasse inosservato. E poi ancora, un altro biglietto. ㅤㅤ      ❛❛ 𝑁𝑜𝑛 𝑠𝑜𝑙𝑜 𝑐𝑜𝑛 𝑖𝑙 𝑡𝑢𝑜 𝑓𝑢𝑡𝑢𝑟𝑜 𝑐𝑜𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜     𝑚𝑎 𝑎𝑛𝑐𝘩𝑒 𝑐𝑜𝑛 𝑙𝑎 𝑏𝑖𝑜𝑛𝑑𝑎, 𝑠𝑒𝑖 𝑢𝑛𝑎 𝑡𝑟𝑜*𝑎...   𝑀𝑎 𝑠𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑜𝑠𝑠𝑜 𝑎𝑣𝑒𝑟𝑡𝑖 𝑖𝑜, 𝑛𝑜𝑛 𝑝𝑜𝑡𝑟𝑎̀ 𝑎𝑣𝑒𝑟𝑡𝑖 𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛'𝑎𝑙𝑡𝑟𝑜...       𝐵𝑢𝑜𝑛𝑎 𝑣𝑎𝑐𝑎𝑛𝑧𝑎 𝑝𝑟𝑖𝑛𝑐𝑖𝑝𝑒𝑠𝑠𝑎. ❜❜ ㅤㅤㅤ    Ogni sua convinzione, il bisogno di libertà tanto agognato non era altro che un briciolo di sabbia che ora svolazzava nel vento. Quel briciolo di ritrovata serenità non era stato altro che soffocato da quelle parole così dure e vere che avrebbero spezzato chiunque. Tutti sapevano, tutti l'avrebbero giudicata e le avrebbero dato una nuova etichetta. Come aveva potuto essere così sciocca da credere di essere una persona normale?   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « Edra… Dove hai detto di aver comprato questa roba? Io… Ho bisogno di uscire. Scusami. »   ᴇᴅʀᴀ   « L'ho preso fuori. È arrivato il corriere. Ordino tutto online. Ehi fiorellino, cosa ti succede? Perché scappi? È successo qualcosa?  Ti vuoi fermare??? Dove scappi che non conosci nemmeno il posto. Potresti farti male. [...] AURA???? »   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « Qualcuno lo sa… Mi ha visto, ci ha visto. Io… non sono al sicuro nemmeno qui. Pensavo… pensavo di fuggire e invece ancora una volta mi hanno trovato. L’unica cosa, l’unica cosa a cui tenevo me l’hanno strappata, il suo ricordo… Io… Non dovresti stare qui con me, nessuno dovrebbe farlo. » Impossibile per la giovane era calmarsi, trovare le parole che avrebbero potuto lenire quel senso di inadeguatezza che le parole avevano suscitato in lei. Potevano essere le parole così potenti? Nessuno le avrebbe dato ascolto, nessuno avrebbe creduto a quelle parole. Aaron non aveva fatto altro che dirle che era tutto frutto della sua mente, e i fiori morti? Nient'altro che uno scherzo. Le sensazioni di Cannes erano reali, aveva sentito il respiro su di sé, aveva perfino cambiato hotel per maggior sicurezza e solo quando s'era autoconvinta che fosse tutto lo stress accumulato a farle provare quelle sensazioni, ecco che la sua mente diventò un nuovo turbinio. Solamente quando la norvegese lesse e apprese il significato di quelle parole, la monegasca si sentì di nuovo piccola, minuscola, esposta come se tutto il mondo adesso avrebbe potuto sapere i suoi più oscuri segreti.   ᴇᴅʀᴀ   « Cosa significa? Chi è il tuo futuro cognato e la bionda? Avete / è successo qualcosa? Non ti giudico, parlami. Io sono qui. Cerca di calmarti. »   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « Edra non posso… Sono stata a letto con mio cognato, Thys… il mio futuro cognato. Ma sono stata anche con una donna, è svedese. E sì, sono stata con loro contemporaneamente. Etienne non può sapere nulla, ti prego non dirglielo… Riferirebbe tutto ad Aaron e non mi crederebbe. Mi giudica una pazza, e se sapesse di Thys mi darebbe della putta*a. Dio… No, anche a Firenze ho ricevuto dei fiori morti e dei vermi. »   ᴇᴅʀᴀ   « Intanto non c'è nulla di male. Cosa tu faccia nella tua intimità sono cose tue e personali. Scelte tue da donna quale sei e non da ragazzina. Non devi giudicarti anche se lo fai costantemente. Sei una persona che può desiderare mille cose, soddisfarle cosa ti rende? Sbagliata? Malata? Diversa? Assolutamente no. Semplicemente soddisfatta e consapevole. Basta non fare male a nessuno e tutto va bene. [...] Il tuo futuro marito dovrebbe saperlo, così come questo Thys che sembra che tu abbia a cuore. Probabilmente ti capirebbe, ti ascolterebbe, ti aiuterebbe. E la situazione visto che è così difficile va fatta presente alle autorità. Se fosse qualcuno di cattivo devi essere protetta ed Etienne è qui per questo. Lo vedo come si preoccupa per te. Proprio come me. Non sei sola Fiorellino. Ci sono tante persone che tengono a te, non pensare che allontanarti possa risolvere le cose, perché stai male solo tu. »   ᴏᴘʜᴇʟɪᴀ ᴀᴜʀᴀ   « Aaron non mi crede, ha messo al setaccio ogni cosa… E non ha trovato nulla. Tutti richiedono un pezzo di me, e tutto deve essere perfetto, tutto deve essere immacolato. Sono la futura regnante del Principato di Monaco, e tutti non tardano a dirmi come devo sentirmi, cosa devo fare. Ma Thys…Llui mi ha spogliato di ogni cosa. Con lui… Mi sono sentita me stessa. Ma non mi crederebbe mai, o peggio se lo facesse andrebbe da Aaron… E questo non posso permetterglielo. [...] Io... Ero qui per te, per avere la mia migliore amica al mio fianco. Etienne ha controllato, lui è così maniaco… »   ᴇᴅʀᴀ   « Io credo che se questo ragazzo è così importante per te, dovresti provare a parlare con lui. A confidarti. Aprirti e a sincerarti del suo silenzio ma coinvolgerlo. Sai quanto è brutto mentire a una persona? Sai quanto possa fare male nascondere le cose? Tu non sei così. È vero sei quella persona che vive sui rotocalchi ma ora, sei semplicemente un fiorellino spaventato e devi farti accarezzare da chi ti ama. Questa cosa devi risolverla con qualcuno. Anche se il tuo futuro marito dice che non c'è nulla, è evidente che qualcosa possa essere sfuggito ai suoi occhi. Quindi proviamo a parlare ad Etienne. Sai.. ti voglio far ridere ora, ma penso che abbia apprezzato vederti mangiare i pancakes. Aveva la lingua ai piedi. Credo abbia una cotta per te, e pensi che ti lascerebbe in balia a questo? No. Non lo farei nemmeno io perché tu sei troppo preziosa per me, per noi, per chi ti ama. E non perché sei la principessa, ma perché sei la persona meravigliosa che conosciamo e ti vogliamo bene per questo. » La venere scura osservava i lineamenti delicati della sua migliore amica come se li vedesse per la prima volta. I capelli color del miele riflettevano la luce di quel tardo pomeriggio, gli occhi vispi erano lo specchio di quelle nuvole in cielo che minacciavano acqua, ma erano state quelle parole a far sì che il respiro della giovane potesse riprendere il suo normale corso. Si sentiva alla deriva, braccata da una sensazione di paura che non l'avrebbe mai abbandonata, così indifesa eppure così forte. Così malleabile eppure così resiliente. Aveva avuto tutto dalla vita, i vestiti più belli, le scuole migliori, ma non era altro che una vita materiale, ed in quel momento ella desiderava solamente due braccia che erano distanti migliaia di chilometri. Sarebbe caduta, si sarebbe rannicchiata, chiusa in se stessa perfino, ma non avrebbe mai messo in pericolo chi le aveva mostrato la bellezza del mondo.
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spettriedemoni · 2 years
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Chi merita e chi no
Un tempo una mia carissima amica mi vide un po' giù per una serie di situazioni personali che mi stavano capitando in un periodo particolare della mia vita.
Per aprirmi gli occhi mi disse una cosa che mi rimase impressa. Mi disse: «Te lo dico molto sinceramente: stai dando troppa importanza a chi non ne ha. Conosci un sacco di persone valide. Penso tu possa capire chi merita importanza da chi non ne merita. Cioè se ti concentri la differenza la vedi. Va bene vedere del buono in tutti come fai tu, ma non eleviamo la merda al cioccolato»
Talvolta lo sbaglio che facciamo è dare importanza a chi non lo merita e le persone veramente in gamba si sentono sminuite e finiscono con l'avere insicurezze che non dovrebbero avere mentre le persone che sono fuffa si credono poi sto cazzo.
Talvolta le persone hanno il potere che noi gli diamo.
Effettivamente è così: se ti concentri la differenza la vedi tra chi merita e chi no.
Anche tu che hai letto fino a qui, provaci: concentrati e vedrai che la differenza tra chi vale davvero il tuo tempo e chi no, è lampante.
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ragazza-whintigale · 1 month
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Could you make a part 2 of the cassis pedelien fic pls
𝔜𝔞𝔫𝔡𝔢𝔯𝔢 ℭ𝔞𝔰𝔰𝔦𝔰 𝔓𝔢𝔡𝔢𝔩𝔦𝔞𝔫 𝔵 𝔯𝔢𝔞𝔡𝔢𝔯
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𝔒𝔭𝔢𝔯𝔞 ➵ The Way To Protect The Female Lead’s Older Brother
𝔄𝔳𝔳𝔢𝔯𝔱𝔢𝔫𝔷𝔢 ➵ Comportamento Yandere, relazione tossica, Abuso di Potere, Matrimonio Combinato, dinamiche di potere contorte, Sorella maggiore invadente, tocco non consensuale.
𝔓𝔞𝔯𝔬𝔩𝔢 ➵ 4021
⟢𝙿𝚛𝚎𝚌𝚎𝚍𝚎𝚗𝚝𝚎 / 𝚂𝚞𝚌𝚌𝚎𝚜𝚜𝚒𝚟𝚘 ⟣
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Erano quasi terminati i due maledetti anni promessi da Cassis, e (Nome) non ha semplicemente potuto ignorarlo come aveva pianificato. Lui te lo ha ricordato sempre, ogni giorno, affinché la sua fidanzata vivesse nella consapevolezza che non poteva scappare da lui in primo luogo.
La spiacevole sensazione di prurito in fondo all’anima era qualcosa che ancora non era riuscita a levare. Il non avere un vero controllo su se stessa la stava lentamente portando ad una specie di leggera e ironica pazzia. Ma questo non sembra infastidire Cassis o semplicemente lei non lo aveva mai notato. Gli occhi stanchi e quasi sempre socchiusi anche durante le conversazioni più interessanti. La bocca era asciutta per qualsiasi discorso e pregna di quell'espressione di disgusto per il mondo e per lui. Sentiva le mani fredde e ossute, ma non aveva freddo e soprattutto era difficile avere le sue stesse ossa esposte come pensava di sentirle al tatto. Forse è per questo che ha iniziato a strofinarle tra di loro in continuazione, quasi in uno scatto nervoso. Il rumore della porcellana pregiata risvegliò (Nome) improvvisamente e nuovamente si é ritrovata ad incontrare gli occhi soleggiati di Cassis. Era possibile stesse parlando, con lei e di qualcosa di importante - almeno a parer suo - e a cui Lady (Nome) aveva smesso di prestare attenzione nell’istante in cui aveva capito che non era qualcosa che meritava la sua reale attenzione. Non sapeva essere sintetico e sbrigativo. Ogni suo discorso conteneva ben poco di cose davvero importanti, la maggior parte era qualcosa relativo alla sua scarsa disattenzione. (Nome) lo riteneva marginale.
❝ Non pretendo realmente una risposta: Mi stavi ascoltando, (nome)? ❞ Se Cassis non pretendeva una risposta perché la domanda suona così autoritaria nell’istante in cui l’aveva pronunciata? Ma poi la nobile si é ricordata che in questi 2 anni l’aveva sempre illusa di avere una libertà effettiva o un vero potere decisionale in quello che lui aveva già deciso. Niente era qualcosa su cui sarebbe semplicemente passato sopra, soprattutto se lei avesse mai cercato di fare di testa sua. ❝ Mi stavo solo godendo questo thé. Non dovrei, Mio signore? ❞ Le due ultime parole le uscirono a fatica e ha quasi temuto di soffocare in esse, ma non lo ha fatto.
(Nome) nascose le mani sotto il tavolo di nuovo, con una certa discrezione. Ha fatto passare le punte dei polpastrelli di una mano sull’altra. Un movimento leggero e delicato, niente di doloroso o fastidioso.
Lei, in realtà, odiava quel thé e non era davvero qualcosa che meritasse le sue attenzioni, come volevi di certo illuderlo. Il bergamotto e la menta con il miele, erano solo le fragranze che più frequentemente indossava Cassis, e semplicemente le è sembrato che volevano farle il lavaggio del cervello. (Nome) aveva letto diverse storie di uomini che usavano certe fragranze ricorrenti per far invaghire una qualsiasi donna con il tempo. Questo doveva essere associato a sensazioni e gestiti piacevoli naturalmente.
Non era così diverso dagli Agriche che tanto disprezza.
E lei detesta il bergamotto.
Cassis non sembrava convinto della sua risposta. Lady (Nome) non sapeva se era collegato a quei micro segnali di repulsione o al fatto che ogni volta che accennava ad un argomento fastidioso lei nascondeva le mani come se fosse colpevole di qualche crimine.
In ogni caso non aveva nascosto il fastidio sotto una delle solite maschere, non c’era nessuno da cui doveva nascondersi. ❝ Sei costantemente distratta ultimamente, dovresti concentrarti sui preparativi. Manca solo un mese al matrimonio.❞ Non era del tutto colpa sua se era distratta. In primo luogo (Nome) non voleva nemmeno il matrimonio, non era pronta e tanto meno lo sarebbe mai stata con lui. Ma sapeva che non avrebbe avuto molto effetto se lo avesse puntualizzato ancora. Niente sarebbe cambiato e il matrimonio non sarebbe stato annullato. Era solo una grande perdita di voce e forze. ❝ Sono solo nervosa tutto qui. ❞ Certo non nel senso in cui voleva lui ma lo era. Avere una vita legata al proprio aguzzino non poteva non renderla nervosa e allo stesso tempo il mat rimonio era qualcosa che avrebbe dovuto emozionare… ma non lo ha fatto. Lei non provava niente.
Non stava più sfiorando le sue mani, percependo vene e capillari superficiali, ma stava sfregando intensamente la pelle creando un intenso rossore, niente di doloroso solo fastidioso.
Cassis si era alzato dalla sua sedia in metallo verniciato di bianco con cuscini di velluto azzurro soffici e lisci. La sedia aveva emesso un suono fastidioso mentre strisciava a terra, e semplicemente (Nome) si é costretta a stringere gli occhi per non soccombere al suono. Il Pedelian, da dove era seduto, di fronte a lei, si é spostato dietro di lei. Le sue mani troppo grandi e ruvide si posarono sulle sue spalle scoperte e vulnerabili. Ogni tocco e vibrazione sulla sua pelle le faceva tremare intensamente sul posto.
Ora ha iniziato a pizzicare e a creare calore, lo sfregare è diventato più insistente e (Nome) ha aumentato la forza.
❝ Nessuna bugia avrà più qualche effetto ora, mia signora. Dovresti iniziare a convivere con l’idea che tra poco saremo marito e moglie.❞ Si è morsa la guancia, e al ricordo di come che l’avrebbe messa sul suo stesso piano. Non lo voleva, voleva che la trattasse ingiustamente per avere qualcosa per cui incolparlo.
La pelle dei polpastrelli è stata sostituita dalle unghie. Graffi e sangue si mescolano e bruciano intensamente. Ha lasciato un bacio sulla tempia e ha fermato le mani. Non c’era tutto quel sangue che sentiva e nemmeno tutti quei graffi bruciare. ❝ Sarà meglio disinfettare queste ferite… chiamerò qualcuno che lo faccia.❞
Dopo di che se ne è andato attraverso la porta che collega il giardino alla tenuta Pedelian, ordinò ad una delle tante serve di tenerle compagnia, per tutto il tempo che sarebbe rimasta lì fuori e di prendersi cura della sua disattenzione.
Era sotto intenso che non poteva rimanere lì per sempre e nemmeno per troppo tempo. Avrebbe sicuramente pensato che stesse tramando qualcosa, anche se non poteva davvero farlo. Non ora, né dopo.
(Nome) si è chiesta come avrebbe potuto convivere con questo, con lui e con questo matrimonio. Lui glielo aveva ordinato quindi tecnicamente avrebbe dovuto farlo e basta. Arresa, Lady (Nome) si ritiró nelle tue stanze, tra qualche ora avrebbe dovuto incontrare il fioraio per scegliere le ultime composizioni e sarebbe stato seccante se fosse stata rimproverata per il ritardo da Cassis.
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Qualcuno ha bussato insistentemente alla sua porta e semplicemente chi era dall’altra parte non si era preoccupato di aspettare che (Nome) rispondesse. La figura appena entrata, si fermò sulla soglia guardando la scena che, per qualche motivo le era familiare.
La serva si fermò dall’intrecciare i capelli. Era mattina presto e certamente Lady (Nome) doveva essere presentabile come minimo prima di poter ricevere qualcuno. L’altra opzione era un aspetto impeccabile, come aveva preteso Cassis, ma a volte c’erano occasioni troppo importanti per poter aspettare che lei fosse perfetta.
Nell’istante in cui era stata fissata la data del suo matrimonio, è diventata di colpo una dame delle più importanti del continente eppure sua sorella, Reina, poteva molto spesso dimenticarlo. Non che (Nome) l’avesse vista molto durante questi 2 anni, quindi non ha avuto molte occasioni per usarlo contro di lei. Ma era sicura lo avrebbe odiato.
Reina non era cambiata molto e conservava ancora la sua autorità di sorella maggiore. La bella nobile si è domandata brevemente se anche Cassis lo faceva con Sylvia, e semplicemente ha provato pietà per la sua futura cognata.
❝ Sorella..? ❞ Il silenzio di quell’istante, per un attimo le ha parlato più di come avrebbe fatto normalmente. Con uno sguardo da parte di sua sorella e un gesto della futura Pedelian, la serva è stata congedata. Come minimo avrebbe riferito la cosa a Cassis, ma di colpo era passata in secondo piano, come se (Nome) fosse diventata di colpo intoccabile con la bionda presente. Reina si avvicinò alla sorella minore e sciolse semplicemente il lavoro della serva, per procedere a modo suo, come sempre.
Sembrava disgustata dall’operato della donna. ❝ Pensavo che la famiglia Pedelian non avrebbero badato a spese per la cameriera personale della loro futura signora. ❞ Non sembrava delusa, lo era e basta, come se la (colore) fosse davvero superiore a chiunque fosse presente in quella residenza. Come se non fosse una novella futura sposa, ma la diretta matriarca della famiglia. Per il momento non era niente di questo, anche se un giorno lo sarebbe stata, ma per ora valeva meno di zero.
❝ È solo provvisoria…❞ (Nome) ha sottinteso che avrebbe scelto qualcuno di molto più appagante e rispettoso di quella donna. ❝ Sarà…❞
Mentre parlavate non aveva mai smesso di acconciarle i capelli. Il ricordo della sua infanzia, invase la mente di Lady (Nome), mentre Reina faceva lo stesso quando erano più piccole. Quando Reina non era sposata e non aveva quelle pesti dei suoi 3 figli e la più giovane non stava ancora complottando per affondare il suo futuro marito.
L’intreccio era preciso e pulito, e decisamente più stretto di quello della serva. Poteva quasi fermare il flusso sanguigno se davvero fosse stato possibile. Questo era quello che si doveva pretendere da una cameriera che avrebbe preso questo ruolo. Ma (Nome) poteva immaginare che non potesse esistere una persona più affidabile di questa donna, per stare al suo fianco.
❝ Come procede la tua relazione con Cassis? ❞ L’affermazione era uscita dal nulla. Non aveva usato titoli o onorificenze vicino al nome dell’uomo che era a tutti gli effetti l’erede di casa Pedelian. Reina era sempre stata una donna irrispettosamente elegante.
Tutto quello che poteva dire era così semplice ed essenziale quando era con Reina. Ma lei era seria! o forse la stava prendendo in giro? Sperava la seconda ma era chiaro fosse la prima. ❝ Procede… almeno credo. ❞ Si sono fissate per minuti interminabili negli occhi e semplicemente aveva capito cosa intendeva con la sua vaga risposta. Aveva iniziato ad inserire nel raccolto un complesso di nastri dai colori azzurro e blu, dando un qualche tocco di colore, imprimendo saldamente la consapevolezza del suo ruolo e poi del proprio nei confronti di (Nome) .
❝ Invece tu che cosa ci fai qui? ❞ Non capitava molto spesso che le due sorelle avessero tempo di qualità da passare solo loro due. C’era sempre la presenza di Cassis o suo cognato o ancora i suoi nipoti. Nessuna chiacchierata tra sole donne adulte e anche allora vi erano orecchie indiscrete a cui non era saggio far ascoltare. Cameriere, lady Pedelian o ancora Sylvia.
❝ Ma come? non posso prendermi una pausa dai miei doveri di Moglie e Madre per aiutare la mia adorata sorella minore con il proprio matrimonio. ❞ Mancava un mese al matrimonio… ma era plausibile. Spesso Reina rammenta come (Nome) fosse la sua preferita.
Le due più grandi in casa e un'età molto più vicina rispetto alle due gemelle. Ma la (colore) sperava ci fosse di più per questo suo intervento.
❝ Avete già piani per il futuro? ❞ (Nome) capii all’istante e molto bene cosa intendeva con questo, era molto velato ma era il loro modo di parlare. Quel modo di parlare segreto per intendere cose che gli altri non avrebbero dovuto capire. Piccoli cenni del capo, guardare in un certo punto ad un certo punto, gesti con le mani del tutto nella norma ma che in un preciso ordine avevano tutt’altro significato.
Questo aveva fatto Reina - decisamente la più intelligente della famiglia- che aveva capito che qualcosa non era come dovrebbe essere.
Aveva ritenuto ad un certo punto necessario che lei è la sorella avessero un modo diverso per comunicare.
Ma questa volta non ha avuto bisogno di alcun segnale. Solo di una semplice frase.
Lo avete già fatto? O ancora meglio: Ha già fatto qualcosa?
Reina non aveva staccato il suo sguardo da (Nome) anche quando quest’ultima lo aveva rivolto altrove rispetto al riflesso glorioso della sorella. ❝ Non esattamente. ❞ La bionda odiava le risposte vaghe. Questa era una di quelle. ❝ Dovresti essere più specifica. ❞ Strinse un pó troppo il nastro e le due ciocche sigillando l’acconciatura appena completata. Reina la voltó di scatto. Ora erano una di fronte all’altra. ❝ (Nome), cara sorella, se fosse per me non saresti in questa situazione… ❞ La sua mano accarezzò affettuosamente il viso della sorella più piccola. ❝ … se ti ha fatto qualcosa, qualsiasi cosa, faró tutto per fargliela pagare. Q-U-A-L-S-I-A-S-I.❞
I suoi occhi castani erano fuoco ardente che divampava. Cosa poteva fare? ❝ So cosa pensi… lo ti si legge negli occhi… ❞ Se possibile il fuoco divenne ancora più divampante nei suoi occhi, (Nome) temeva sul serio l’avesse bruciata viva.
❝ Esistono molti modi per far soffrire una persona… ❞
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(Nome) si mosse tra le coperte risvegliandosi da uno di quei sonni profondi e intensi. Ne aveva sentito il bisogno in questi anni, era da tempo che non dormiva come si deve. In parte dovuto ai preparativi e in parte per l’insistenza di Cassis, i suoi pensieri erano diventati un peso che aveva colpito anche il suo sonno. Avere qui sua sorella è sicuramente la cosa migliore che le sarebbe potuta capitare- batte di poco la scenata di (Nome) e Cassis per la scelta del profumo che (Nome) avrebbe usato per il matrimonio-.
Ogni qual volta che lui avrebbe cercato di cambiare qualcosa che Lady (Nome) aveva scelto, Reina interveniva in una discussione diplomatica e insistente su chi poteva avere la meglio - ovviamente lei-. E’ rinfrescante e rassicurante, tanto quanto la sensazione della silenziosa rabbia di Cassis.
Ogni tradizione è stata rispettata e ogni obiezione e cambiamento richiesto da Cassis era stato eliminato. E’ sbalorditivo, voleva davvero imparare anche lei qualsiasi nome avesse questa arte nel discutere che Reina padroneggiare.
Un gemito di contentezza è uscito dalle labbra sottili senza pensarci e senza consapevolezza della sua presenza. ❝ Pensi che possa durare in eterno?❞ (Nome) ha aperto gli occhi in un sussulto e ha visto Cassis nel suo stato rilassato, se non fosse per l’irritazione che gli addobbava il viso.
Non ha dato segno di paura o sorpresa nel vederlo nella sua stanza. Ha già messo in chiaro dal primo momento che tutto ciò è suo è di Cassis e tutto quello che è di Cassis è anche suo. Oltre ad aver sottolineando più volte che avrebbero comunque finito per condividere un letto tra meno di 2 settimane - 1 anno e 10 mesi la prima volta -.
Questo gli è sembrata una scusa sufficiente per svegliarsi alle prime luci dell’alba, raggiungere la stanza della sua fidanzata e sedersi sul suo letto per osservarla e avvolte toccarla. (Nome) non credeva fosse una buona scusa e di conseguenza aveva cercato di allontanarlo… le prime volte. Presto ha capito l'inutilità del gesto e lo ha lasciato fare. Le sarebbe bastato urlare e qualcuno avrebbe rimproverato il comportamento del ragazzo nei confronti della sua novella sposa, se mai avesse osato andare oltre.
❝ Non riesco a capire cosa intendi con questo. ❞ Lei si è tirata a sedere e poi si è allontanata il più possibile mentre lui si metteva più comodo sopra le coperte. Un sospiro esasperato lascia Cassis e (Nome) poteva quasi sentirsi orgogliosa del turbamento che provava anche se non era niente in confronto a quello che aveva provato in quel periodo. ❝ Ti prego (nome), non fingere di non capire. Non ti si addice.❞ è vero. Ha finto di non capire, ma era sempre meglio fingere di non sapere. Lui sembrava non aver mai imparato questa lezione e sperava che prima poi la vedesse dalla sua prospettiva ma il suo sguardo sembrava dire il contrario.
In ogni caso finge di non sapere le riusciva meglio di qualsiasi altra cosa e di conseguenza lei stessa pensava le si addicesse come cosa.
❝ È solo colpa tua… non hai niente di cui incolparmi. ❞ (Nome) si accasciò in modo rilassato tra i cuscini. La sua facciata era caduta, e decise di non sostenere più quella bugia, per il momento. ❝ In quale modo sarebbe colpa mia?❞ Il suo viso era corrugato in una espressione mista tra l’irritazione e la sorpresa per il cambiato repentino di (Nome). La sua voce però era ancora dura e gelida come sempre. ❝ Io non ho mai voluto questo matrimonio, non lo voglio ora come allora.❞ Non poteva mentire su una cosa del genere. Lo dimostrava a quanto era arrivata. Cederlo ai loro nemici pur di fuggire da questo, e successivamente avrebbe sop portato qualsiasi punizione le avessero affidato dopo il suo ritorno. Solo non era disposta a continuare con questa punizione. Persino le celle fredde dei Pedelian potevano essere più invitanti di questo matrimonio.
❝ Avevi detto che avresti sopportato qualsiasi punizione, ora ti rimangi la parola. Eppure sposarmi non mi sembra una poi così grande punizione.❞ Era facile per lui parlare. Lui aveva deciso di portare avanti il buon nome della sua famiglia, (Nome) invece aveva optato per vivere con tranquillità senza grandi pretese. Lui l’aveva trascinato in questa cosa, in fondo tra tutti aveva scelto lei. Chissà così ci ha visto allora?
❝ Speravo sinceramente in una punizione più magnanima.❞ Lui rise sotto i baffi. ❝ La prigione ti sembra una punizione magnanima? ❞ In realtà no, ma era più allettante di stare con lui per tutta la vita.
❝ Il matrimonio è una prigione. Solo senza sbarre.❞ Parole di sua sorella. Le stesse che disse una settimana dopo il suo matrimonio, quando avevano litigato per qualcosa che (Nome) aveva classificato irrilevante, ma che nel loro contesto sembrava esagerato.
❝ Hai un modo contorto di vedere di vedere le relazione amorese. ❞ Non era di certo una relazione quella, tanto meno amorosa. Lo ha fulminato con lo sguardo mentre lui fissava le sue mani giocherellare con l’orlo della tua adorabile camicia da notte in seta. Era più a suo agio quando (Nome) non cercava di squarciarsi le mani e non gli gridava quanto fosse sbagliato. ❝ I discorsi servono a questo… rivelare quello che è stato nascosto.❞ Altra frase di sua sorella solo questa era dedicata a lei.
Quando Reina di notte entrava di colpo in camera dopo aver scoperto come (Nome) era fuggita sfacciatamente di nascosto senza dirglielo e la costringeva a raccontarle tutto. Terminava sempre in questo modo il discorso per poi complimentarsi per essere riuscita a ingannare tutti -tranne lei ovviamente-.
❝ Sai essere molto più loquace a quest’ora, mia signora. ❞ Cassis era ad un palmo dal suo naso quando ha parlato, e (Nome) -persa nei suoi pensieri- se ne era accorta troppo tardi. Le sue mani l’avevano avvicinata a lui con estrema facilità lasciandola quasi sorpresa di quanto potesse essere forte.
Se mai avesse pensato di fuggire, avrebbe dovuto giocare d'astuzia e non sulla mera forza fisica. Ad Cassis sarebbe bastato poco per alzarla di peso e riportarla indietro da lui e dalla sua famiglia.
In un gesto istintivo (Nome) ha inarcato la schiena, per evitare la sua mano. Solo non aveva calcolato abbastanza adeguatamente la distanza da prevedere l’incontrarsi dei loro petti.
I loro occhi non avevano molta distanza tra loro, tanto che avrebbe sentito anche il più leggero dei suoi respiri.
❝ Sarò anche loquace ma tu sei invadente. ❞ (Nome) ha puntualizzato stanca di qualsiasi cosa potesse fare Cassis. Non si era trattenuta più -non che avesse realmente intenzione di farlo in ogni caso - ma ora si sentiva solo maggiormente autorizzata. Le sue labbra erano sul suo collo lasciando baci a farfalla, mentre le sue mani viaggiavano leggere sui suoi fianchi e sulla sua schiena.
Si é sentita Delusa e in gabbia, nonostante parte di questa situazione fosse proprio sua.
Per quanto (Nome) potesse riconoscere che quello che aveva fatto e la presenza di Reina lo rendessero frustrato e allontanato, la sua ragazza non lo trovava comunque giustificabile.
Il mix di inadeguatezza a qualsiasi ruolo lui potrebbe ma volere per lei, il formicolare sotto la pelle e alla pelle d’oca; Formano sonata di disgusto che penetra la pelle bel curata e profumata. Lo spinse via, o almeno era quello che voleva fare. L’unico risultato ottenuto era una distanza di a malapena 20 cm dei loro volti, e fermando di conseguenza le mani di Cassis. Una al centro della schiena e l’altra sul suo fianco destro. ❝ C’è qualcosa che non va? ❞ Sussurrò a bassa voce, affinché solo lei potesse udirlo. Il tono era leggero e amorevole, quasi come non ci fosse stata una discussione poco prima. Come se entrambi lo voleste davvero. Come se lei volesse infrangere la tradizione della prima notte di nozze proprio con lui.
Ma non era così.
Il disgusto é ancora più accentuato. ❝ Tutto questo. È tutto questo che non va! ❞ Si sentiva annegare in se stessa mentre lui alza un sopracciglio. Non sembrava capire cosa ci fosse di male. Glielo leggeva negli occhi caldi e chiari. Lui voleva arrivare fino in fondo quella notte.
Cosi che nessuno potesse difenderla da lui. È questo che ha pensato lei, e per questo voleva impedirlo.
❝ Questo non è il momento… hai atteso due anni… perché adesso..❞ Ad (Nome) mancava il fiato per quello che poteva sembrare la millesima volta da quando l’evava toccato. Il petto, le braccia, il corpo e la coscienza sono pesanti, come se ad un certo punto qualcuno le avesse fatto franare una montagna addosso e l’avesse lasciata in balia di qualsiasi morte l’avrebbe attesa. É rimasta lì in un soffocante silenzio solo che solo lei stava soffocando.
Lady (Nome) non sapeva se fosse i suoi occhi ancora fissi su di lei, o la pesantezza delle sue disperate é sprezanti parole o il semplice peso delle aspettative. ❝ Avevi promesso che avresti aspettato-❞
Rise basso e amaro mentre la guarda - no, anzi stava guardando qualcos’altro -. ❝ Sappiamo che non si tratta di questo… smetti di fingere che te ne importi. ❞ Cassis si é permesso di trascinarla a se. La Distese sul letto con la schiena contro il materasso, le sue gambe avvolte intorno alla vita di Cassis, le sue mani erano al lato del suo volto ed convolto e spaventato… e lei semplicemente rimase immobile aspettando qualsiasi cosa, qualcuno che venga a fermarlo.
(Nome) era sempre pregna di quell’espressione sconvolta quando era sola con lui in quella camera. Ogni volta parlava di quella maledettissima prima volta come se davvero fosse il punto focale. Come se fosse il vero centro del discorso.
In realtà, agli occhi di Cassis lei avrebbe trovato una scusa anche quella notte pur di non essere tocca in qualsiasi modo. Non aveva semplicemente senso continuare a prolungare le loro torture. Lui avrebbe potuto solo soddisfare il suo bisogno di possederla e lei semplicemente avrebbe smesso di negare.
Pateticamente non lo ha respinto, non per la consapevolezza della loro differenza di forza, ma dalla pura e semplice paura.
Se avesse voluto andare avanti, (Nome) avrebbe semplice pianto e supplicato affinché -prima o poi- questo potesse finire. ❝ Non si è mai trattato solo aspettare e lo sai. ❞ Certo che (Nome) lo sapeva. Per quanto fosse consapevole di questo era inutile, provava ancora un immenso terrore.
Prima o poi sarebbe dovuto accadere, e rimandare era solo l’unica cosa su cui Cassis ti ha fornito una scelta.
Si abbassò e ora il suo volto era dannatamente vicino alla sua pelle. Bació a stampo ogni punto di pelle scoperta a sua disposizione in quella dannata posizione. Le spalle, il collo, il viso, la mandibola, le clavicole e la valle dei seni. Quest’ultimo gli impone di spostare il tessuto della delicata camicia da notte. Avrebbe potuto andare avanti così, togliere l’abbigliamento da notte della sua signora e continuare, non lo avrebbe fermato ed era sicura non lo avrebbe fermato neanche ora.
Tuttavia non è andato oltre si era fermato lì, dove l’ultimo bacio era stato posato e si alzò di colpo.
❝ Spero sia bastato come avvertimento… Il tempo è un lusso che ti ho concesso io e nessun altro. ❞
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vividiste · 3 years
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🇦🇱 LE 7 MORTI DI ADELINA dal 1996 ...
Adelina aveva 22 anni quando morì (la prima volta).
Ad ammazzarla erano stati un po’ di uomini(?) che l’avevano rapita, stuprata, riempita di botte e buttata sulla strada.
A fare la puttana.
La seconda volta in cui morì, Adelina era poco più grande: ad ammazzarla, allora, fu l’abbandono dello stato(?) italiano che aveva "aiutato", facendo arrestare 40 sfruttatori albanesi e denunciando altre 80 persone coinvolte nel racket della prostituzione.
Mai prima di allora lo stato italiano era riuscito ad arrestare in un solo colpo 40 infami sfruttatori.
Ad ammazzare la terza volta Adelina fu la miseria in cui era precipitata: senza protezione, senza lavoro, senza cittadinanza, senza una casa. Aveva aiutato lo stato(?).
Lo stato si era dimenticato di ringraziarla ...
La quarta volta che Adelina morì il suo assassino si chiamava cancro.
Se la mangiava da dentro, divorandole il corpo mentre lei era impegnata a provare a sopravvivere.
Il quinto assassino di Adelina fu l’indifferenza della gente, delle istituzioni(?) italiane, delle dame della carità che aiutano le puttane solo se le trovano su un marciapiede, non se il marciapiede lo hanno lasciato e stanno cercando una casa...
Ah, le donne radical chic e i loro splendidi silenzi quando non posso guadagnare dalle altrui disgrazie ...
La sesta morte di Adelina ebbe come killer la burocrazia che si appigliò al suo passaporto su cui era scritto “albanese” e la fece precipitare in fondo alla graduatoria per una casa a Pavia, la città dove da anni provava a vivere e ritagliarsi un futuro tra cancro, chemio e richieste, inascoltate, di aiuto.
La settima volta Adelina è stata ammazzata dalla solitudine.
A fine ottobre era andata a Roma nella speranza di incontrare il presidente(?) mattarella e spiegargli che sì era Albanese, sì era stata una puttana, stuprata e riempita di botte, si era stata anche coraggiosa e aveva fatto arrestare 40, dico 40, sfruttatori, non se la meritava un po’ anche lei la cittadinanza italiana?
Evidentemente no.
Si era anche data fuoco il 29 ottobre, credendo così di attirare almeno un poco dell’attenzione di quell’uomo sedicente "timorato di Dio" che però aveva altro da fare tra first lady e disastri climatici da risolvere e non si era accorto di lei, la puttana Albanese coraggiosa e malata di cancro che chiedeva aiuto.
Così domenica scorsa, Adelina ha deciso di fare ciò che l'anno portata a fare, si è arrampicata su un ponte e ha deciso che, essere sopravvissuta a sei morti, era sufficiente ...
La settima sarebbe stata l’ultima e l’avrebbe scelta lei, l'8 novembre!
Adelina Sejdininon c'è più.
Aveva 47 anni ed era sta sbattuta sul marciapiede quando ne aveva 22 da quegli stessi uomini che ebbe il coraggio di denunciare e far sbattere in galera.
Da sola.
Senza nemmeno uno stato a proteggerla.
Ebbe il coraggio che hanno solo gli eroi tragici e i martiri medioevali.
Ma lei non era la protagonista di un dramma di Eschilo o di una Guerra Santa.
Era una donna sola in un Paese straniero che si dice inclusivo, che si riempie la bocca di belle parole e di soldi ...
Un Paese che distribuisce cittadinanze onorarie ad attori americani che avevano un prozìo in Basilicata ma non né riesce a dare una ad una donna che per la legalità di questo Paese ha fatto più di mille attori da Oscar...
Mi dispiace Adelina, mi dispiace essere parte di quel sistema che premia la fama e dimentica l’umanità.
Ho lavorato per lo stato(?) 30 anni, ti chiedo scusa io per loro che non hanno la minima dignità, io, purtroppo, li conosco bene, so cosa sanno fare, lo facevo per loro, lo hanno fatto anche a me ... ♥️
In fondo Adelina chi era?
Quella della porta accanto ...
Istituzioni(?) italiane: assenti!
Ricordatevelo quando faremo gli scrutini ...
#statoassente
#italiafallimentare
#giustizianegata
#tutticolpevoli
https://www.rollingstone.it/politica/la-storia-di-adelina-sejdini-usata-e-abbandonata-dallo-stato-italiano/595919/
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Fonte Fb😥🥀
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camdentown-library · 3 years
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Hai le fiamme negli occhi|| ITA ver. Ethan Torchio x reader
Capitolo Uno
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❝ 𝐌𝐚𝐫𝐥𝐞𝐧𝐚 𝐝𝐞𝐜𝐢𝐝𝐞 𝐝𝐨𝐩𝐨 𝐭𝐚𝐧𝐭𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐝𝐢 𝐝𝐚𝐫𝐞 𝐮𝐧𝐨 𝐬𝐭𝐫𝐚𝐩𝐩𝐨 𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐬𝐮𝐞 𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐞 𝐠𝐢𝐨𝐫𝐧𝐚𝐭𝐞 𝐞𝐝 𝐚𝐜𝐜𝐞𝐭𝐭𝐚𝐧𝐝𝐨 𝐥’𝐢𝐧𝐯𝐢𝐭𝐨 𝐝𝐞𝐢 𝐧𝐨𝐧𝐧𝐢, 𝐚𝐧𝐝𝐫𝐚̀  𝐚 𝐭𝐫𝐚𝐬𝐜𝐨𝐫𝐫𝐞𝐫𝐞 𝐥𝐞 𝐯𝐚𝐜𝐚𝐧𝐳𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐥𝐨𝐫𝐨 𝐬𝐞𝐜𝐨𝐧𝐝𝐚 𝐜𝐚𝐬𝐚 𝐚𝐥 𝐦𝐚𝐫𝐞.
𝐒𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐚𝐭𝐢𝐯𝐞 𝐜𝐡𝐞 𝐪𝐮𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐞𝐬𝐭𝐚𝐭𝐞 𝐬𝐚𝐫𝐞𝐛𝐛𝐞 𝐬𝐭𝐚𝐭𝐚 𝐝𝐢𝐯𝐞𝐫𝐬𝐚 𝐝𝐚𝐥𝐥𝐞 𝐚𝐥𝐭𝐫𝐞, 𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐟𝐚𝐫𝐚̀  𝐥𝐚 𝐜𝐨𝐧𝐨𝐬𝐜𝐞𝐧𝐳𝐚 𝐝𝐢 𝐮𝐧 𝐢𝐧𝐬𝐨𝐥𝐢𝐭𝐨 𝐫𝐚𝐠𝐚𝐳𝐳𝐨, 𝐜𝐡𝐞 𝐧𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐬𝐮𝐚 𝐨𝐫𝐢𝐠𝐢𝐧𝐚𝐥𝐢𝐭𝐚̀  𝐥𝐞 𝐟𝐚𝐫𝐚̀  𝐧𝐨𝐭𝐚𝐫𝐞 𝐚𝐬𝐩𝐞𝐭𝐭𝐢 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐯𝐢𝐭𝐚 𝐜𝐡𝐞 𝐝𝐚 𝐭𝐫𝐨𝐩𝐩𝐨 𝐭𝐞𝐦𝐩𝐨 𝐚𝐯𝐞𝐯𝐚 𝐚𝐜𝐜𝐚𝐧𝐭𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨❞
I fatti raccontati sono puramente frutto della mia immaginazione, non è mia intenzione fare un torto a nessuna persona citata, e soprattutto il carattere di Ethan potrebbe (sicuramente) non rispecchiare la persona nella realtà.
Buona lettura a tutti voi!
I primi raggi di Luglio erano colati sui tetti delle case di Roma, donando agli intonaci bianco sporco e le tegole rosee un riflesso dorato che sapeva il miele. I glicini erano in fiore, così come l'albero di nespole sotto casa di Marlena; il profumo della vita nel pieno atto del suo ciclo, bussava sempre alla finestra della sua sala da pranzo, riempiendolo di dolci fragranze.
La ragazza era solita prendere posto a tavola durante le ore della tarda mattina, circondata da libri e tomi abbastanza vecchi e rosicchiati dalla polvere, con il buon proposito che anche quel giorno avrebbe letto e studiato quelle pagine tanto noiose, di quell'altrettanto noioso esame di Egittologia. La sessione estiva era ormai iniziata, ella aveva appena sostenuto un paio di esami lo scorso Giugno e ora ne stava preparando altri due che avrebbe affrontato nelle prime settimane di Settembre.
Che il tempo potesse sembrare apparentemente poco a Marlena non importava più di tanto, cosa avrebbe potuto mai distoglierla dal proprio lavoro? Di amici non ne aveva, e ormai nonostante avesse in autunno varcato la soglia dei 21 anni, la ragazza trovava ormai del tutto estinta la sua ingenua gioventù, così come la sua voglia di oziare.
Il suono stonato ed inatteso del citofono fece scattare il capo chino sui libri della giovane, la quale dopo aver tirato un sospiro forse un poco contrariato, decise di alzarsi dalla sedia, uscire dalla sala da pranzo e varcare il largo e non troppo lungo corridoio a “L” del suo appartamento, arrivando infine a passo svelto verso l'apparecchio che aveva gracchiato per poter rispondere.
"Si?" chiese con tono abbastanza deciso ma non troppo cordiale.
"Sono il postino, mi apre?" rispose uno sconosciuto, mentre ella spinse il bottone per aprire il cancello.
Marlena aprì dunque la pesante vecchia porta di casa sua, rimanendo paziente ad attendere l'arrivo dell'uomo sull’uscio. Nonostante ella vivesse in quel condominio con il padre da quando ne avesse avuto memoria, non aveva ancora trovato una spiegazione razionale al fatto che esso fosse sprovvisto di cassette per la posta. Forse perché era un palazzo costruito negli anni venti? Beh questo spiegherebbe l'assenza anche di un ascensore, ma una dannata cassetta della posta non sarebbe stata difficile da aggiungere.
Il fiato affannato dell'uomo la riportò alla realtà, quando i suoi occhi lo videro fare capolino dalla rampa delle scale. Era già così stanco dopo neanche aver varcato il secondo piano? Si chiese la giovane donna un poco delusa.
"Siete la signora Levavi?" Chiese allora il postino riprendendo fiato e rovistando nella sua borsa. Marlena storse il naso d'istinto.
"Ahm...signorina, comunque si" Rispose lei scuotendo il capo, cosa poteva mai importare a quel postino se fosse stata "signorina" o "signora"? La ragazza si morse leggermente l’interno della guancia come rimprovero.
"Ecco a lei. Quanti piani ci sono ancora?" Chiese l'uomo asciugandosi con un fazzoletto la fronte sudaticcia.
"Altri due..." Rispose Marlena disinteressata mentre chiudeva la porta di casa, osservando le lettere.
Bollette della luce, dell'acqua, la tassa da pagare per il prossimo anno universitario e...una lettera?
Beh, sicuramente non era da parte di suo padre...
"Cara Marlena,
So perfettamente che forse sarebbe stato più facile telefonarti, ma sai che mi è sempre piaciuto scriverti delle lettere.
Ho notato purtroppo che nelle ultime che ti ho recapitato non hai risposto, immagino sia perché l'università ti tiene molto impegnata...
Comunque ho saputo che tuo padre è fuori Italia per un viaggio di lavoro e starà via fino alla fine di Agosto; Mi sembrava doveroso invitarti a trascorrere questi ultimi mesi d'estate nella nostra casa fuori città.
Lo so che da quando tua mamma se n'è andata, non hai più avuto il desiderio di venire a trovarci, ma credo ti farebbe bene cambiare aria per un po'. Il posto è tranquillo, c'è il mare e anche una grande ed estesa campagna con una pineta e la gente del posto è davvero cordiale e disponibile.
Puoi portare anche Lapo se vuoi, so che siete molto legati.
Ad ogni modo, fammi sapere il tuo verdetto.
Un forte abbraccio.
Nonna Agata.
La ragazza osservò ancora una volta il testo di quella lettera, rileggendolo e rileggendolo più volte, avvolta in un silenzio che probabilmente era insito di ricordi che le offuscavano il buonsenso, mentre lentamente dopo aver fatto alcuni passi indietro, posò delicatamente la schiena alla parete.
Aveva ricordi lontani di quella casa, lontani ma pur sempre felici. Ricordava quando si svegliava la mattina presto assieme a nonna Agata e a nonno Laerte per poter andare al mare e le sue piccole mani mentre cercava paguri e conchiglie in riva alla spiaggia, come ricordava le musiche in piazza e le risate rieccheggiare allo stesso modo delle campane della chiesa la domenica, tutti erano felici...e la vita sembrava essere meno ingiusta con chi se lo meritava meno, aveva il sapore di marmellata e di gelatine alla frutta, di sale sulle labbra e di api che svolazzavano.
Il petto di Marlena si gonfió di aria, come se fino a quel momento avesse trattenuto il fiato...forse perché immergersi nella propria infanzia era come annaspare in un mare in tempesta con la pretesa di rimanere a galla.
L’abbaiare allegro del suo cane Lapo riportò la giovane al presente, la quale decise di posare le lettere su un davanzale poco distante dalla porta d’ingresso ed avviarsi assieme al giocoso animale verso la cucina. Lapo era un simpatico Bovaro del Bernese, dal manto nero, marroncino e bianco. Le era stato regalato cinque anni fa, forse perchè suo padre aveva intuito che anche la sua assenza aveva creato nel cuore dell’unica figlia, un senso di angosciante solitudine, che l’aveva consumata sino all’osso rendendola totalmente apatica per certi versi.
Ma Lapo, Lapo l’aveva salvata, con Lapo parlava e condivideva gesti di affetto, come carezze e piccole leccate tra le dita ed i capelli. A volte Marlena si addormentava nel suo letto, con l’ingombrante cane addosso, perchè sentire il suo fiato caldo ed umido sulle sue coperte le ricordava nel sonno che non era sola nel buio della notte. Finchè il cuore di Lapo avesse battuto la giovane ragazza non aveva timore di doversi svegliare, né di dormire.
“Lo so che dovrei rispondere...” mormorò lei mentre era intenta a lavare la buccia di una mela rossa nel lavandino della cucina. Il cane intanto si mise seduto guardandola con fare intenso mentre sconndinzolava in attesa.
“...E’ solo che, quel posto...e poi dovrei finire di studiare, ho un esame da dare a fine estate, Lapo” ma il cane inclinò la testa deluso per poi alzarsi e trotterellare via dalla stanza, in cerca di chissà quale svago, lasciando Marlena ai suoi pensieri, mentre addentava il frutto appena asciugato con il canavaccio.
Nonostante ella cercasse di autoconvincersi che sostare nella sua comfort-zone sarebbe stato più facile, piuttosto che rispondere di “si” alla richiesta della nonna, una parte di lei la stava di nuovo attirando a quella lettera; il suo sguardo fu catturato dall’orizzonte della sua mente, mentre in lontananza poteva quasi udire i suoni ed i sapori di un luogo quasi troppo fiabesco per essere parte del mondo materiale.
Era solo per poco più di un mese e mezzo, solo un mese e mezzo e poi avrebbe lasciato di nuovo tutto alle sue spalle, come fece molto tempo fa.
Marlena dopo aver posato la lettera di nuovo accanto al proprio comodino, afferrò il cellulare poco distante e digitando i modo non troppo convincente alcuni numeri sullo schermo, per poi portare l’oggetto all’orecchio.
Ci furono quei dieci secondi di attesa che le parvero lo scoccare di mezzo secolo, finchè una voce non disse “Pronto?”.
“Pronto nonna. Sono Marlena...”
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Ci vollero due giorni prima che la piccola ed esageratamente arretrata FIAT Punto di nonno Laerte facesse la sua impareggiabile entrata accanto al cancello color verde bottiglia del piccolo chiostro del palazzo di Marlena.
L’uomo aveva impiegato più o meno dieci minuti solo per parcheggiare, la nipote si era chiesta quanto egli avrebbe impiegato poi per riuscire e ripartire.
Marlena aveva portato ben due capienti borsoni con sé. Uno per i vestiti e l’altro pieno di cianfrusaglie come: libri, oggetti per il cane, trucchi e tutto quello che per la sua mente non così famigliare con i viaggi, reputava indispensabili. Non era così convinta che entrambi sarebbero entrati nel portabagagli, ma l’esemplare capacità di sapersi adattare ed arrangiarsi del nonno la lasciava sempre con lo stupore a fior di labbra.
La giovane era seduta ai posti dietro, assieme a Lapo. Teneva tra le mani un piccolo mazzetto di tulipani che Laerte le aveva portato, fatto da sé. Egli le disse:
“Sono andato a fare due passi nella campagna e ho cercato di cogliere i più belli tra tutti, come la mia nipotina!” seguito da un orgogliosa e gracchiante risata. Laerte era sempre stato un fiero ed inguaribile romantico, senza mai rinunciare ad un po’ della sua drammaticità, nonna Agata non faceva altro che rammentarglielo nelle lettere.
Come quando Marlena gli fece notare, che il volante dell’auto era troppo rovinato per far sì che quest’ultima fosse considerata a norma, ma lui aveva sempre risposto che un bravo soldato e partigiano avrebbe fatto appello alla sua esperienza alla guida ed un po’ d’olio di gomito, per poter avere la certezza che l’itinerario del viaggio sarebbe stato tranquillo e senza spiacevoli intoppi.
Lo sguardo di lei fissava assente ciò che scorreva, come il nastro in una cinepresa, fuori dal finestrino; Vedeva i palazzi della città farsi meno presenti, così come la puzza dello smog, ci fu poi un lungo tratto di autostrada, immersa nei campi di grano ed ogni tanto sbucava qualche piccola fattoria o industria di ricambi o altre mansioni.
Nella macchina avrebbe regnato del tutto il silenzio, se non fosse stato per la vecchia radio che riproduceva un disco intero di tutti i capolavori di Lucio Dalla; al nonno di Marlena piaceva quel cantante, ma non allo stesso modo chiacchierare mentre guidava, perchè secondo lui avrebbe aumentato le possibilità di incidenti stradali del 50%, e sinceramente, alla nipote non dispiacque affatto questa presa d’atto...non sapeva neanche da dove avrebbe dovuto cominciare e per quanto i suoi parenti cercavano di farla sentire a proprio agio, ella si immaginava come uno straniero, un estraneo, che aveva bussato alla loro porta ed ora stava solo cercando di imparare e ricordare le loro comuni maniere.
Lapo cacciò un abbaio entusiasta quando la gracchiante auto si era lasciata alle spalle il cemento infinito dell’autostrada, per poi imboccare una stradina tutta di curve ed in salita che li avrebbe condotti al piccolo paese.
“Se ti affacci a destra vedrai il mare, Marlena” la informò Laerte, mentre faticava con il volante ad ogni curva, ma non si azzardò a fare neanche un lamento sotto sforzo. La ragazza decise di accogliere quelle parole, ed affacciandosi (dopo aver tirato giù il finestrino) una frizzante aria di sale le pervase le narici come il balsamo di una mentina. I suoi occhi cercarono di mostrare il meno possibile la sconfitta di uno stupore che l’aveva travolta come un’onda in piena, facendole scalpitare il cuore.
Il mare. Marlena adorava il mare. E da qualche istante si stava chiedendo cosa l’aveva costretta a chiudersi in casa per tutto quel tempo, ma poi la mente tornò statica e lucida. Lei sapeva perché, e non vi era bisogno di altra motivazione per farla ricomporre, anche se a fatica.
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Ormai erano quasi passate le due del pomeriggio quando l’automobile di Laerte sorpassò la soglia della piazza del piccolo paese, mentre lo sguardo attento (anche se apparentemente perso) della nipote osservava tutto nei minimi dettagli.
Nulla sembra esser cambiato di quel posto dall’ultima che vi si era recata. La strada era sempre ricoperta delle solite, vecchie e grossolane lastre di pietra bianca ed erosa dalle intemperie, così come i vari negozi che circondavano la piazza e le piccole case accostate, smaltate di un fresco intonaco bianco sporco e tetti marrone scuro, la fontana al centro, ed il piccolo ristorante con il suo balcone che affacciava verso la lunga pineta che si estendeva ai piedi della modesta altura che sorreggeva il paese.
Eppure sembrava esserci ancora poca gente in giro per le strade, forse perchè a quell’orario chiunque con un minimo di arguzia si sarebbe rintanato nelle fresche quattro pareti della propria casa, pur di sfuggire al torrido caldo che non cedeva fino allo scoccare delle cinque del pomeriggio.
Un sussulto scosse d’un tratto Marlena, quando il nonno decise di accostare e tirare su il freno a mano della propria FIAT, provocando così un lieve rinculo abbastanza inaspettato da svegliare bruscamente la ragazza dai propri pensieri. Ella si schiarì la gola, mentre apriva la propria portiera, così che Lapo potesse finalmente trotterellare e scodinzolare emozionato in giro, d’altronde non lo biasimava, doveva essere dura per un cane starsene buono in macchina per così tante ore.
“Eccoci arrivati!” proclamò l’anziano uomo mettendosi le chiavi della vettura in tasca per poi suonare al campanello della piccola casa che affiancava la FIAT “Tua nonna sarà così felice di vederti, scommetto che avrà preparato le ciambelle con il vino rosso per festeggiare la tua rimpatriata” aggiunse mentre aspettava che la donna da lui menzionata gli aprisse, pregustandosi già sulle labbra il sapore pungente e dolciastro di quei dolci che lui tanto amava.
“Allora suppongo ne abbia fatte minimo trenta” commentò ironica la giovane donna, mentre trascinava fuori i due borsoni con estrema difficoltà, attirando l’attenzione di Laerte il quale aggiustandosi frettolosamente i capelli crespi e bianchi, si affrettò a raggiungere la nipote per darle il proprio supporto.
“Ah non ti preoccupare, amore di nonno. Ci penso io, tu magari risuona alla porta, tua nonna ormai è divenuta sorda come una campana...” disse mentre tirò un leggero sbuffo per poi borbottare qualcosa.
“Suvvia nonno...” rispose allora Marlena alzando gli occhi al cielo cercando di non sorridere, quanto poteva essere melodrammatico quell’uomo?
Dopo aver pigiato nuovamente il dito dul campanello, la ragazza attese che qualcuno rispondesse e l’udire l’avvicinarsi di alcuni passi veloci assieme allo strusciare di infradito sul pavimento, le fece intuire che finalmente Agata aveva sentito il loro arrivo. Marlena non fece in tempo neanche a salutare l’anziana signora, che ella la prese tra le sue braccia, avvolgendola in un abbraccio che la colse impreparata ed a cui non rispose immediatamente.
“Oh amore mio! Sono così felice di rivederti! Ma guarda come sei cresciuta! Sembra solo ieri quando mi arrivavi a metà coscia e ora...” le mani un po’ nodose, ma dai polpastrelli morbidi della donna presero delicatamente il volto della nipote a mo di coppa, come per tastare se la sua presenza fosse solo fantasia o realtà “...Sei una donna a tutti gli effetti” sussurrò per poi spupazzarla di baci per tutto il viso, mentre Marlena mugolava pretendendo di esserne in qualche modo infastidita.
Dopo aver salito una breve rampa di scale che portava alla casa situata al piano superiore, le narici e la coscienza della ragazza furono inondate di ricordi e sensazioni già assaporate. Osservò il pavimento ormai vecchio dell’abitazione, mattonelle di granito che si alternava a una dipinta a mano ed un’altra no; Marlena rimebrò con una punta di divertimento quando da piccola passava i pomeriggi noiosi a giocare su di esse, saltando solo su quelle decorate perchè secondo la sua immaginazione quelle spoglie erano fatte di lava incandescente.
Le pareti erano sempre le stesse, ricoperte da una vernice celestina e lievemente grumosa a tratti, lo poteva percepire, quando l’indice ed il medio della sua mano destra ne sfiorarono assentemente la superficie.
La casa dei nonni di Marlena era assai semplice e forse apparentemente un pochino angusta. Aperta la porta di ingresso di legno, dopo aver passato il pianerottolo e le scale si aveva di fronte a se un corrdioio che si estendeva lungo alla propria destra, scandendo così le varie porte di ogni stanza che la casa raccoglieva al proprio interno. Quasi parallela all’ingresso vi era l’uscio della cucina alla parete opposta, senza ante, accanto ad essa la porta del bagno, e poi successivamente la porta della stanza dei due coniugi anziani. Alla fine del corridoio vi era un piccolo balconcino con la ringhiera ricoperta di vasi pensili dove come una cascata variopinta fuori usciva una fitta ramificazione di bucanville rosso corallo che oltre a lasciarsi poeticamente cadere dalla piccola nicchia, si arrampicava elegante e leggiadra sul corrimano della ringhiera per poi abbracciare le pareti esterne della casa.
Marlena ne approfittò, per potervi fare capolino, mentre a pieni polmoni respiro il fragrante e vellutato profumo di quei petali, misto alla brezza marina che veniva da oltre la pineta che circondava il paese. Ella osservò le piccole case attornò a sé, mentre strizzando gli occhi poteva distinguere la linea netta del mare piatto e calmo che si fondeva in una perfetta alchimia con il cielo limpido all’orizzonte.
La giovane cercava in tutti i modi di autoconvincersi che quel luogo incantato, quel piccolo angolo di paradiso non le era mai mancato...ma ad un tratto si autoproclamò stolta di aver minimamente pensato una cosa tanto cinica.
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TO BE CONTINUED . . .
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intotheclash · 3 years
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Stavamo per muoverci, quando fummo stoppati dalla voce di Bomba: “Aspettate un momento! ” “Ora che c'è, Bomba?” Reagì spazientito il Tasso. “Che dico a mia madre?” “Perché? Vuoi portare anche lei? Che prenda la sua bicicletta allora!” “Te non capisci una sega, Tasso! Voglio dire che, ammettendo che partiamo subito, come facciamo ad essere qui per l'ora di pranzo? Se faccio tardi, si incazza come una iena.” “Tua madre è una iena. Anche quando non si incazza.” “Fottiti!” “Sei duro di zucca, Bomba! Oggi non si pranza!” “Come non si pranza?” “Certe volte sei come un bambino piagnucoloso, Bomba. Inventale una scusa qualsiasi. Fai come cazzo ti pare, ma devi venire con noi. Dobbiamo essere tutti uniti. Racconta a tua madre che non hai fame!” Suggerì Tonino, senza starci troppo a pensare. Scoppiammo a ridere come se avesse detto la barzelletta più divertente del mondo. Bomba che non aveva fame, faceva troppo ridere. Anche lui ci rise sopra. Era una cazzata spaventosa, nessuno se la sarebbe mai bevuta. “Di a tua madre che sei invitato a casa mia, così la facciamo corta. Me la vedo io con i miei.” Non avevo ancora la più pallida idea di cosa dire ai miei, ci avrei pensato sul momento. qualcosa mi sarebbe venuto in mente di sicuro. Corremmo a casa a recuperare le nostre cavalcature. Ognuno di noi, consapevole dell'importanza della missione, se la sarebbe cavata egregiamente. Saper dire le balle ai propri genitori è un lavoro fondamentale per un ragazzino. Ne va della buona riuscita della crescita, sia fisica che mentale. Incrociai mio padre sulle scale di casa, aveva le mani sporche di grasso. Evidente che era stato in garage ad armeggiare con il motore della sua auto. sperai che non avesse avuto problemi, altrimenti avrebbe avuto un umore di merda e potevo pure scordarmi la possibilità di squagliarmela. non sapevo ancora come iniziare il discorso. Fu mio padre stesso a trarmi d'impaccio, cogliendomi, ancora una volta, di sorpresa. “Allora? Cosa ti succede? Qual è il problema?” Disse senza neanche guardarmi. Diavolo di un uomo! Ma come aveva fatto? La mia faccia colpita a tradimento dallo stupore, lo fece sorridere. Guardò l'orologio e proseguì: “Mancano quasi due ore per il pranzo e tu non arrivi mai in anticipo. Mai, nemmeno di un minuto. Veramente non arrivi mai nemmeno in orario. E’ per questo che le buschi di continuo e ricevi le punizioni, ma tu niente. Hai la testa dura come il marmo. Ed ora che ci rifletto, forse, voi ragazzini vi assomigliate tutti. Tutte teste di marmo. Spiegherebbe pure  perché vi si chiama anche marmocchi!” E via una sonora risata. Cazzo quanto adorava il proprio lato comico. “Quindi se ti fai vivo a quest'ora, è segno evidente che c'è qualcosa che non va. Perciò ora saliamo in casa e, mentre mi faccio un bel bicchiere di bianco ghiacciato, tu sputi il rospo. Poi ti darò la punizione che meriti. Tanto va sempre a finire così.” E giù un’altra scarica di risate. Non saprei dire in quale momento presi la decisione, fatto sta che gli raccontai la verità. Tutta. Senza tralasciare nulla, compresa la bugia che avrebbe dovuto dire alla mamma per coprire Bomba. Mio padre si sorbì l'intero resoconto senza aprire bocca. E non l'aprì neanche quando ebbi finito. Non subito, almeno. Se ne stava lì senza fiatare e mi fissava. Mi fissava e stava zitto. Ero sulle spine. probabilmente l'idea di metterlo al corrente della faccenda non era sta una bella idea. Improvvisamente mi afferrò per le braccia e mi strinse forte a se. E, cosa inaudita, mi baciò pure. Doveva essere impazzito. Cazzo se era impazzito! Colpa del sole, forse. O del vino, più probabile. “Credevo che non sarebbe mai successo,” Disse a voce bassa, “Ma devo ammettere che oggi mi hai davvero sorpreso. Sono orgoglioso di te, marmocchio! Stai facendo la cosa giusta, perdio! Ed anche quei puzzoni dei tuoi amici la stanno facendo. Per quanto resto convinto che siano degli idioti. E nessuno potrà mai convincermi del contrario. Bravi! Tutti per uno, uno per tutti. Così si fa! Come i tre moschettieri. Che poi erano quattro. Come cazzo si fa a mettere un titolo del genere? Qualcuno, prima o poi, me lo dovrà spiegare. Dumas, sai scrivere, ma non sai fare i conti più elementari, mi pare. Ora vai a darti una sciacquata e mettiti i vestiti più vecchi che hai. Che ho idea che il papà del tuo amico cazzuto sia un vero duro e vi farà il culo a tutti quanti. Ma sono sicuro che la lezione vi sarà molto utile. Eccome se lo sarà. Su, di corsa a lavarti, con tua madre me la vedo io. Ma, sia ben chiaro, comunque vadano le cose, ti voglio a casa per l'ora di cena. Intesi?” “Certo, papà. Ti voglio bene!” Il ti voglio bene mi sfuggì senza pensarci. Forse era la prima volta che glielo dicevo. Lui sorrise bonariamente e: “Certo che sei proprio un bel paraculo!” Mi disse. Mi fiondai in bagno. Lasciai la porta aperta per poter origliare cosa avrebbe detto mia madre; intanto lasciai scorrere l'acqua. L'idea di lavarmi di nuovo non mi passò neanche per l'anticamera del cervello. Mi ero già lavato quella mattina stessa. Che bisogno c'era di farlo di nuovo? Era una mania quella di doversi sempre lavare. Peggio: una persecuzione! Una condanna a vita. Udii mio padre spiegare, con calma, il piano a mia madre. mia madre che, stranamente, non fece osservazioni. Valle a capire anche le madri. Era più che sicuro che se fosse toccato a lui parlare, col cazzo che lo avrebbe lasciato uscire! Neanche per un motivo importante come quello. L'unica cosa che non la convinceva era di dover mentire alla madre di Bomba. Anche se se lo meritava, pensai. Ma il mio vecchio aveva pensato anche a questo: avrebbe parlato lui alla matta scatenata, le avrebbe detto che ci portava con lui a fare un giro in campagna. fine delle trasmissioni. Stavo per uscire dal bagno, ma, per fortuna, attesi qualche altro secondo e riuscii ad ascoltare l'ultima frase del mio vecchio. Usò un tono che mi era del tutto sconosciuto: “Sta crescendo il nostro pulcino, donna. Sta crescendo e, ne sono sicuro, diventerà una gran bella persona.” Queste furono le sue parole. Precisamente. Ed io volai fuori di corsa con il cuore che mi cantava in petto.
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xsavannahx987 · 3 years
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- Dove sei? - cap. 7
"Le ossa si rompono, gli organi cedono, la pelle si lacera. Possiamo ricucire la pelle e riparare il danno, alleviare il dolore. Ma quando la vita va in pezzi, quando noi andiamo in pezzi, non c’è una scienza, non ci sono regole scritte, possiamo solo camminare a tentoni." GREY'S ANATOMY
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Abbracciato al cuscino di un letto complice, Cullen era totalmente all'oscuro di ciò che stava avvenendo fuori dalle mura dell'appartamento in quel quartiere pittoresco. Una grossa perturbazione si era spinta dalle coste, del tutto imprevista, e aveva portato ulteriore neve in una città già in ginocchio a causa dei disagi creati da quella caduta i giorni precedenti. I mezzi spargisale erano in attività già da qualche ora per limitare gli incidenti stradali, mentre si susseguivano le telefonate al numero delle emergenze per segnalare alberi caduti sotto il peso della neve, persone ferite e interruzione della rete elettrica. Anche il quartiere dove Helena risiedeva subì i disagi del maltempo. Alcune tubature scoppiarono a causa delle forti gelate, creando veri e propri specchi d'acqua agli angoli delle strade che, in breve tempo, si trasformarono in lastre di ghiaccio spesse almeno un paio di dita. La corrente elettrica subì un'interruzione attorno alle 2 del mattino e l'impianto di riscaldamento andò in blocco. Cullen si ridestò a causa dei brividi di freddo, essendosi addormentato diverse ore prima totalmente nudo. Chiamò il nome di Helena diverse volte prima di rendersi conto che fosse notte e che con tutta probabilità, la cacciatrice stava facendo il suo lavoro. Il profumo della ragazza era ancora intenso sulla sua pelle, memore degli istanti di passione che li aveva visti protagonisti. Respirò a pieni polmoni quell'inebriante balsamo e si alzò in piedi, camminando nell'oscurità della stanza alla ricerca dei suoi vestiti.
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Si vestì in silenzio rischiarato da alcune candele tremolanti che aveva trovato in un cassetto della cucina. L'orologio al polso segnava le 3 e lui era intenzionato a raggiungere Helena nel piccolo borgo di Forgotten Hollow. Stava per uscire dall'appartamento quando un foglietto sul mobile all'ingresso attirò la sua attenzione. "Chiudi a chiave quando esci. Se non dovessimo trovarci a Forgotten Hollow passerò all'Organizzazione non appena finita la ronda, a meno che tu non voglia farti trovare come ti ho lasciato" e si chiudeva con una faccina sorridente. Cullen non potè fare a meno di sorridere di rimando. Si infilò il biglietto in tasca e afferrò le chiavi, chiudendosi la porta blindata alle spalle.
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Arrivò a Forgotten Hollow che la luna aveva iniziato a scendere dietro le alte montagne innevate. Il silenzio regnava sovrano per le vie della piazza centrale segno che ormai, probabilmente, tutti i vampiri si erano già ritirati per sfuggire alla luce del giorno. Camminò alla ricerca della cacciatrice, scrutando ogni angolo per scovare qualsiasi indizio lo conducesse da lei. Vagò a lungo senza incontrare anima viva, o morta e pensò di fare marcia indietro e dirigersi verso Tiamaranta's Fortress, sperando di trovare Helena una volta varcato il grande cancello di ferro. Un rumore di passi alle sue spalle però attirò la sua attenzione. Erano pesanti, per nulla aggraziati come quelli di una donna, e si facevano sempre più vicini e minacciosi. Il comandante afferrò istintivamente il paletto che teneva nascosto in una tasca interna del cappotto e si preparò a voltarsi. "Ma che onore! Deve essere la mia notte fortunata!" annunciò il vampiro quando fu a pochi passi da Cullen. "La cacciatrice e il comandante in una sola volta! Vorrà dire che mi divertirò un pò anche con te". In quelle parole il comandante recepì il tono di sfida, ma al contempo una velata minaccia all'incolumità di Helena. "Che cosa le hai fatto?" domandò di scatto voltandosi e fissando il vampiro con aria torva. Gli occhi rossi della creatura brillavano al ricordo di ciò che era avvenuto qualche ora prima, di come il branco aveva massacrato di botte l'inerme cacciatrice e di come la rossa avesse concluso il lavoro. "La cacciatrice ha ricevuto il trattamento che meritava" rispose il vampiro mettendo in mostra i canini in un sorriso beffardo.
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La rabbia di Cullen crebbe alla prospettiva che Helena potesse essere gravemente ferita da qualche parte e stesse solo aspettando il suo aiuto. Si scagliò contro il mostro con tutta la forza del suo corpo, resa ancor più grande dalla scarica adrenalinica innescata dalla furia. Non possedeva la forza della prescelta, ma aveva dalla sua anni di esperienza sul campo e l'addestramento ricevuto prima nell'esercito e poi dall'Organizzazione stessa che avevano affinato i suoi riflessi e temprato il suo spirito. Il primo pugno si infranse contro la pelle marmorea del vampiro che barcollò all'indietro prima di riprendere l'equilibrio e gettarsi di peso contro il comandante. Lottarono a lungo e la creatura tentò più volte di bloccare i movimenti di Cullen per azzannarlo al collo e ucciderlo con un morso, ma lui era veloce e riusciva a schivare i suoi affondi. "E' facile prendersela con una donna, non è vero? Non sei poi tanto forte contro un uomo della tua stazza!" lo schernì asciugandosi una goccia di sangue che gli usciva dal lato della bocca, dove un cazzotto era andato a segno. Indispettito da quella constatazione, il vampiro tentò un altro affondo, più violento e deciso a porre fine alla vita del suo avversario. Intanto il cielo iniziava a rischiararsi e le ombre della notte si accorciavano per far posto alla luce dirompente dei primi raggi del sole. Gli occhi rossi del mostro saettarono verso il cielo, conscio che il tempo a sua disposizione stava per scadere e avrebbe dovuto ritirarsi in fretta per non morire bruciato. Quella distrazione gli fu comunque fatale, perchè Cullen ne approfittò gettandolo a terra sotto il peso del suo corpo.
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Il paletto si sollevò sopra le loro teste, avviluppato nella mano del comandante, lo sguardo carico d'odio. "Dimmi dov'è! Dov'è la cacciatrice? Che cosa ne hai fatto?" domandò furente e pronto a trafiggergli il petto. Il vampiro rise di gusto senza proferire parola. "Dov'è?!" chiese ancora Cullen, ma il mostro si rifiutò ancora di fornirgli una risposta e continuò a ridere, conscio che il responso sarebbe morto con lui. E così fu. La punta del paletto di legno andò ad infrangersi tra le costole del vampiro che esplose in una nube polverosa.
"Devo trovarla" pensò Cullen rialzandosi in piedi. Vagò di nuovo tra le strade del borgo, sempre più luminose sotto quel cielo più chiaro ogni minuto che passava. Nessuna traccia di passi sulla neve, come se qualcuno avesse volutamente ripulire il terreno. Giunse al di sotto della alta collina, dove iniziava la strada che conduceva alla dimora del conte Straud, nel fitto bosco che la nascondeva agli occhi, sempre avvolta in una mistica nebbia che ne avviluppava i contorni rendendoli sfocati.
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E fu allora che la vide. Luccicava sotto un grande pino dalle fronde che toccavano quasi il terreno, il ciondolo che Helena portava sempre al collo. La catenina era spezzata, segno che qualcuno gliela aveva strappata e il cuore dorato era aperto, mostrando a tutti il suo contenuto. Il volto di una donna di circa 45 anni sorrideva sotto una chioma fluente, dello stesso colore dei capelli di Helena. Accanto c'era una dedica, incisa nel metallo "Buon 18esimo compleanno Helena. La tua mamma". Cullen strinse quel ciondolo contro il petto e sentì il cuore andargli in frantumi. Della cacciatrice non c'erano altre tracce.
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"Dove sei" sussurrò mentre il dolore iniziò a crescere dentro di sè al pensiero di averla persa per sempre. Si ridestò quando un barlume di speranza tornò a brillare nel suo animo. Forse Helena aveva già fatto ritorno a Tiamaranta's Fortress e non si era accorta di essersi persa la catenina durante la lotta. Probabilmente stava bene e le sue paure erano prive di fondamento e, magari, lo stava aspettando al caldo e al sicuro tra le mura del castello.
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Si alzò in piedi spinto da quella nuova speranza e corse verso Brindleton Bay mentre il sole faceva la sua comparsa scacciando via per qualche ora i vampiri dal mondo.
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corallorosso · 3 years
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Dopo anni di botte mio marito mi ha dato fuoco: non accettava la mia indipendenza Mi chiamo Parvinder Kaur Aoulakh, sono una vittima di violenza domestica e coordinatrice Brescia di Wall of Dolls. Come si può notare dal mio nome sono di origine indiana: giunta in Italia all’età di 6 anni anni, ho completato i miei studi in Italia diplomandomi come perito aziendale corrispondente in lingue estere. A 20 anni mi fu combinato il matrimonio con un mio connazionale nato cresciuto e residente in India. Cresciuti in due paesi diversi logicamente avevamo due mentalità totalmente diverse nonostante fossimo entrambi indiani. Per lui la donna deve stare in casa, accudire i figli e tenere la famiglia unita a qualsiasi costo. Io invece ho sempre considerato la donna alla pari dell’uomo. Dopo il primo anno di matrimonio iniziarono i primi litigi, in particolare quando ebbi la mia primogenita, per tradizione indiana doveva essere un figlio maschio “l’erede”. La sua famiglia mi si rivoltò contro che già non era contenta della dote che avevo portato. Vivevo con mia suocera vedova in casa 24 ore su 24. Speravo che con l’arrivo del tanto desiderato figlio maschio le cose migliorassero ma ormai eravamo arrivati a un punto di non ritorno. I litigi iniziarono a essere sempre più frequenti, non accettava la mia indipendenza (io lavoravo ed ero automunita, lui invece disoccupato senza patente e non parlava italiano). Inziò a essere violento… non solo verbalmente. Ogni volta mi faceva sentire sbagliata. Secondo lui e sua mamma mi meritavo quelle botte “perché è così che si fa con le mogli che rispondono ai mariti!”. Riuscì ad allontanarmi da tutti: dalle mie amiche, dai parenti e perfino dai miei genitori… mi rese debole… più di una volta cercai di lasciarlo ma ogni volta riusciva a farsi perdonare… ogni volta mi dicevo ‘stavolta cambierà’… Le cose andarono avanti peggiorando finché a luglio 2015 lui alzò le mani per la prima volta sui bambini. Lì non ho retto: ero decisa a denunciarlo, ma i parenti si riunirono e, nonostante i miei genitori fossero contrari, mi costrinsero a ritornare da lui e non denunciarlo. Da quel giorno nulla era più come prima, non provavo più nulla, nessun emozione, solo rassegnazione. Lui iniziò a fare anche uso di sostanze stupefacenti e quella notte del 20 novembre 2015, dopo l’ennesima lite per soldi, decise di liberarsi di me per sempre picchiandomi, umiliandomi e appicandomi fuoco davanti ai nostri figli di 5 e 3 anni. La fortuna ha voluto che i vicini stessero assistendo alla scena dal balcone. Mi spensero le fiamme, chiamarono i soccorsi e misero al riparo i bimbi. Sono stata in coma circa un mese e non ho idea di quanti interventi ho subito. Dopo tutto quello che ho subito molti hanno avuto il coraggio di dirmi di perdonarlo e di ritornare da lui! “Pensa ai tuoi figli! Guardati, sei un mostro! Come farai da sola? Sei un peso per tuo padre e per la tua famiglia! Sei una donna! Hai disonorato la tua famiglia!” e molto altro che evito di scrivere. Cercarono di farmi il lavaggio del cervello approfittando del mio stato confusionale, ma guardai mia figlia e pensai se lei si meritava questo… Era veramente una colpa nascere donna? Mi chiesi che esempio avrei dato ai miei figli ritornando da lui come se niente fosse. No, io non potevo fare questo a loro e non potevo farlo a me! Con il sostegno dei miei genitori lo denunciai! Chiesi la separazione e poi anche il divorzio. Mi rimboccai le maniche e ripresi a lavorare, inizialmente facevo poche ore perché le mie condizioni di salute non mi permettevano molto. Mi misi degli obiettivi: dovevo zittire tante persone, dimostrare quanto valgono le donne e che possono farcela anche da sole. Dopo un anno andai ad abitare da sola con i miei figli, mi presi la macchina, tante piccole soddisfazioni. Iniziai a portare in giro per l’Italia la mia testimonianza perché possa essere d’aiuto a tante donne come me. Iniziai a fare campagne di sensibilizzazioni, progetti con scuole, associazioni e centri antiviolenza. In uno di questi progetti conobbi Jo Squillo, cantante e fondatrice del movimento Wall of Dolls. Nacque subito una grande sintonia tra noi. Facciamo tantissimi progetti rivolti a scuole e giovani. Collaboriamo con associazioni, aziende e centri antiviolenza. Aiutiamo donne vittime di violenza e in particolare orfani di femminicidio facendo delle raccolte fondi. Al momento Wall of Dolls è presente a Milano, Genova, Roma, Brescia, Venezia e Trieste. di Parvinder Kaur Aoulakh
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weirdesplinder · 3 years
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Romance con protagonisti non proprio simpatici o proprio cattivi
E’ stato veramente difficile stilare una lista di romance in cui il protagonista maschile è particolarmente antipatico o addirittura odioso per quasi tutta la durata del libro, perchè in realtà cerco di evitarli. Se dalla quarta di copertina intuisco che lui potrebbe essere così, ne sto bene alla larga, ma spulciando tra le mie letture più sfortunate e sentendo il parere di amiche e conoscenti, nonchè di gruppi facebook , ho trovato alcuni titoli da proporvi nel caso siate in vena di leggre un romanzo di cui odierete il protagonista. Visto che dubito che questo vi accadrà mai, la potremmo chiamre forse una lista di romance da evitare, ma anche questo saerbbe ingiusto, poichè i gusti sono estremamente soggetttivi e magari qualcuno che risulta odioso a me, magari può essere simaptico per qualcun altro.
Detto questo ecco la lista:
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LA DONNA DI WARWYCK, di Rosalind Laker
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Trama: In una calda giornata del 1826, Daniel Warwyck, spregiudicato pugile da strada, compra all'asta una ragazza di nome Kate. Non lo fa per amore e neppure per assicurarsi piaceri facili. Con Kate, pensa di aver comprato le chiavi della sua eredità.Anche voi avete letto di eroi romance che avete odiato con tutto il cuore? 
La mia opinione: Qui il protagonista è tremendo con la protagonista femminile,  desidera per tutto il libro un'altra e ci fa un figlio, prima di decidere che forse ama la povera moglie tipo nelle ultime tre pagine. E tra l’altro per tutto il libro sa che suo fratello che è un pezzo di pane è invece innamorato di lei e lui glielo sbatte in faccia che lei è sua moglie anche se non la vuole.
UCCELLI DI ROVO, di Colleen McCullough
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Trama: La storia dei Cleary inizia ai primi del '900 e si conclude ai giorni nostri, nel grandioso scenario naturale dell'Australia. Gli anni consumano le vite in una vicenda di sentimenti e passioni, di fede e amore, sulla quale si stende grave e inesorabile il senso della giustizia divina. I personaggi - soprattutto memorabili figure femminili, tenere e orgogliose - vanno incontro al destino come gli uccelli di rovo della leggenda australiana, che cercano le spine con cui si danno la morte. 
La mia opinione: La trama di cui sopra non rende molto l’idea del romanzo sarebbe più giusto descriverlo così: E’ la storia di un sacerdote combattuto tra Dio e la passione umana, che alla fine sceglie l’ambizione e di una bella ragazza dalla famiglia complicata che vuole ciò che non può avere e ne soffre ancora e ancora senza mai imparare a evitare i bastardi egoisti. In soldoni. Ma chi la fa da padrone nel libro è l’egoismo infinito di Padre Ralph che vorrebbe tutto, e in fondo direi che lo ottiene, a spese sempre degli altri. E non raccontatemi che anche lui soffre perchè in qualsiasi momento poteva fare scelte ben diverse e non ditemi nemmeno che fa una scelta difficile per fede, perchè la sua ascesa nel clero è passione politica non certo per Dio. Quante volte nel libro lui non sa qualcosa e dice ah se solo l’avessi saputo che lei era incinta o che lei soffriva o che lui aveva un figlio....Non gli è mai interessato o avrebbe indagato e chiesto in merito, invece e se ne stava per lontano da lei con la scusa della tentazione, per anni,  proprio perchè in fondo non gli importava. E’ come nel film americano di qualche anno fa, il problema non è il destino avverso o la fede: il problema mia cara è che non gli piaci abbastanza!
TUTTO CAMBIERA’ (Silver lining) di Maggie Osborne
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Trama: La corsa all'oro è stata un abbaglio che ha colpito molti uomini , ma anche qualche donna. Una di queste è Low Down, che è finita sulle Rockies, ad estrarre il prezioso minerale vestita di stracci e ridotta ad un essere che definire femminile sarebbe alquanto difficile. Non c'è spazio su quelle aspre montanee per bei vestiti o dolcezza, solo duro lavoro dalla mattina alla sera, ma l'animo generoso della donna è sopravvissuto a quella dura vita e quando il piccolo gruppo di disperati cercatori viene colpito dalla malattia è lei che si prende cura di loro instancabilmente salvandoli tutti. Quelli sono uomini cinici e duri, ma pur sempre umani e concordano tutti che l'abnegazione di Low Dow deve essere premiata., perciò si riuniscono e le chiedono quale sia la cosa che più desidera al mondo. Sorprendendoli tutti la donna non nomina l'oro o qualche altra cosa materiale, ciò che vuole è un bambino. Poichè fra gli uomini c'è anche un ministro di Dio viene deciso che per avere un bambino Low deve avere un marito e tirano a sorte per decidere chi tra loro sarà lo sfortunato, visto l'aspetto non proprio pulito e affascinante di Low. La sorte decide che tocchi a Max McCord l'onore di sposarla. Proprio Max che a casa sua in pianura ha ad attenderlo una fidanzata. Poichè gli altri lo minacciano di morte non ha altra scelta che sposare Low, ed entrambi concordano che sarà solo un matrimonio temporaneo….
La mia opinione: Di questo libro mi è piaciuto molto l'inizio, la prima parte sulle montagne, meno la parte centrale, e abbastanza la parte finale. Il giudizio è positivo, intendiamoci, ma il personaggio maschile mi è stato abbastanza antipatico poichè tratta la protagonista femminile malissimo. Ok lei non è bellissima, ma gli ha salvato la vita, caspita, un pochino di gratitudine all'inizio sarebbe apprezzata. Poi anche in seno alla sua famiglia le cose non migliorano molto, ci vuole molto tempo affinchè lui apra gli occhi sulle qualità della moglie. Non parliamo poi della sua fidanzata che all'inizio mi è stata odiosa. ….. Il libro mi è piaciuto, ma meno di altri per colpa di alcun personaggi, e alla fine lui si sarebbe meritato di perdere Low perchè non la meritava! O almeno doveva strisciare e scusarsi per un anno!
THE HUMMINGBIRD di Lavyrle Spencer (Inedito in italiano)
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Trama: Una zitella con problemi economici e un grande decoro, decide di aiutare il medico del paese ad accudire due feriti: un uomo che ha tentato una rapina su un treno e colui che l’ha fermato.  
La mia opinione: Lo stile di scrittura è molto buono, all’altezza dei migliori romanzi della Spencer, ma i dialoghi e il protagonista maschile non funzionano. Lui non è realistico è solo maleducato dall’inizio fino alla fine del libro, anche quando non avrebbe ragione di esserlo. E’ odioso con colei che gli ha salvato la vita e lui lo sa, con colei che lo ama e lui lo sa, e le rovina pure la possibilità di sposarsi invece con un brav’uomo. Bastardo. Lui rovina tutto il libro purtroppo.
IL GIGLIO SULLA PELLE di Rosemary Rogers
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Trama: Nell'Europa sconvolta dalle guerre napoleoniche, Marisa, una bellezza acerba e ribelle, fa perdere la testa a nobili e principi. Solo un uomo sembra in grado di tenerle testa, l'avventuriero senza scrupoli che l'ha resa donna e che la inseguirà in capo al mondo pur di conquistare davvero il suo cuore.  
La mia opinione: credo che questo sia uno dei romance che meno mi sono piaciuti nella mia vita perchè qui ad essere antipatico e dire antipatico è poco, direi odioso, violento, cattivo, brutale..non è il solo il protagonista maschile, pure la protagonista femminile, seppur molte volte vittima, è parecchio antipatica. E non salvo neppure la trama di questo romanzo a dire il vero, però una cosa bisogna dirla, forse i due si meritano, anche se lui è peggio.
          IMPARARE L’AMORE, di Catherine Coulter
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Trama: Inghilterra, 1277. Di ritorno dalla Francia, Severin di Langthorne, il Guerriero Grigio, trova le proprie terre devastate, suo fratello assassinato e le sue proprietà saccheggiate da bande di spietati fuorilegge. La sorte sembra tornare ad arridergli quando il ricco conte di Oxborough, sul letto di morte, lo sceglie come marito per la sua unica erede, la bellissima e indomita Hastings che, pur rispettando la volontà paterna, pensa che quell'uomo sia freddo, spietato, severo. L'affascinante guerriero, dal canto suo, è dell'idea che la moglie sia troppo testarda, irragionevole e polemica. Però ben presto nasce tra loro una sensuale e inarrestabile complicità, e sebbene siano circondati da temibili nemici spinti da invidia e cupidigia…
La mia opinione: Io non ho letto personalmente questo libro, dalla trama sembrerebbe innocuo e simile a molti altri ambientati comunque in un’epoca in cui la violenza era normale quotidianità, le donne non avevano quasi diritti e il matrimonio in fondo era un accordo economico e politico quasi sempre combinato a tavolino. Però mi è stato segnalato come libro con qulache scena disturbante di troppo, forse per il modo in cui è stata scritta. Non so se sia così oppure no, ma sembra che molte lettrici non abbiano apprezzato specie nella prima parte del libro il protagonista maschile, qui io non posso pronunciarmi.
IL CAMPIONE DEL RE, di Catherine March
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Trama: Inghilterra, 1295 Nel cuore di Eleanor Raven di Ashton, fin dall'infanzia, c'è posto solo per un uomo: Troye de Valois, cavaliere del re. Ma il valoroso campione di Edoardo I per molti anni non si accorge neppure della fanciulla, finché non ne compromette involontariamente l'onore salvandola da una vile aggressione. Per impedire che l'onta distrugga la reputazione della giovane dama, il re ordina a Troye di farne la sua legittima sposa. E così quello che Ellie credeva il sogno della sua vita si trasforma in un incubo, perché lui, ancora perdutamente innamorato dell'adorata prima moglie, la tratta con rude freddezza. Tutto sembra perduto, e quando Troye parte per andare a combattere in Scozia, Eleanor decide di fuggire da quel tetro castello in cui non c'è posto per lei. Poi però gli eventi precipitano...
La mia opinione: cosa c’è di pià odioso di un marito che pensa solo alla sua prima moglie e non alla nuova? Nulla credo.
L’EREDE DI FRIARSGATE, di Bertrice Small
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Trama: Dopo la morte dei genitori e del fratello Edward a causa di un’epidemia quando lei aveva solo tre anni, Rosamund Bolton è diventata l’erede del feudo di Friarsgate, in Cumbria. Bella e intelligente, a tredici anni Rosamund, anche se ancora illibata, rimane per la seconda volta vedova e, mira degli insidiosi desideri di molti, viene posta sotto la tutela di re Enrico. Raggiunge così la corte dei Tudor dove, fra passioni e tradimenti, la vita della giovane lady diviene specchio della sua intraprendenza, finché non giunge per lei il momento di tornare a Friarsgate con un nuovo marito…
La mia opinione: questo è l’unico libro della Small facilmente reperibile in italiano, ma non è certo quello col protagonista più odioso, è qui in elenco per rappresentare molti altri libri della Small (tipo La perla dell’Harem) che rappresentano eroine vittime di protagonisti maschili, che però sembra godano nell’essere vittime e poi imparino a comportarsi come i cattivi della situazione all’occorrenza....
L’ESTASI DI PURITY di Janette Seymour
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Trama: La bellissima Purity coinvolta in una nuova, travolgente avventura. Sola a sfidare la barbarie dei pirati d’Oriente, sola a subire la lussuria degli uomini più in vista d’Inghilterra, sola a tener testa alla temibile corsara Azizza, la donna dai capelli d’oro cerca disperatamente di ritrovare il suo unico amore... Mark. Altri uomini potranno possedere il suo corpo, ma la sua anima appartiene solo a Mark...
La mia opinione: Seymouur, Wilde,Rogers e Small sono autrici della stessa epoca, con lo stesso gusto, trame simili ed eroine e personaggi maschili simili. Non so se sia colpa del nostro gusto di lettori che è molto cambiato (ma non credo perchè leggo altri romance scritti negli anni 80 che non mi danno fastidio), ma trovo qualcosa di sbagliato nelle loro eroine oltre che nei loro eroi. Ma è gusto personale.
PETALI DEL TEMPO di Jennifer Wilde
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Trama: Quando viveva nei bassifondi la chiamavano per burla Duchess Randy perché non voleva vendere il suo bel corpo per vivere. E nessuno, nemmeno Cameron Gordon, dallo sguardo duro e dalla parola sferzante, poteva immaginare che l’indomabile ribelle condannata a servirlo per sette anni fosse una vera nobildonna. Più pericolosa, per il suo cuore di cospiratore scozzese, di qualsiasi ideale politico...
La mia opinione: avevo scordato di averlo letto, e facendo ricerche per questo post purtroppo l’ho ricordato. Qui la protagonista subisce veramente di tutto eppure continua a odiare e desiderare il protagonista che è veramente il peggio del peggio. C’è qualcosa di morboso nel loro rapporto e non mi piace.
PRINCIPE DI SPADE (Prince of swords), di Anne Stuart
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Trama: Jessamine Maitland legge i tarocchi e, notte dopo notte, predice il futuro nei salotti di Londra. Finché una sera "scopre" l’identità del Gatto, il temerario ladro che da mesi ruba gioielli e preziosi dalle case più ricche della città: Alistair MacAlpin, conte di Glenshiel. Intuendo di essere stato smascherato, Alistair vede una sola via d’uscita: sedurre Jess.
La mia opinione: alcuni dicono che gli eroi della Stuart siano a voltre troppo freddi, troppo duri, troppo cattivi, ma se li confrontiamo con i protagonisti ad esempio di Jennifer Wilde sono orsacchiotti.
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sandnerd · 3 years
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L’attacco dei giganti - Ep 68 - Volontari
IN ITALIA L’ANIME E’ DISPONIBILE GRATUITAMENTE SULLA PIATTAFORMA VVVVID! SUPPORTIAMOLA! -----> https://www.vvvvid.it/show/1414/l-attacco-dei-giganti-la-stagione-finale/1538/693983/volontari
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So che la scorsa puntata è stata devastante, sentiamo tutti i morsi del dolore dopo la morte di Sasha. Ma se ci è rimasto un briciolo di coscienza forse dovremmo chiederci se tutto questo poteva essere evitato, se qualcuno poteva agire in modo diverso in modo da evitare tutto questo sangue. E l'episodio 68 corre in nostro aiuto, raccontandoci il passato. Naturalmente con la voce narrante di Armin, che davanti al fuoco stringe quella conchiglia trovata la prima volta che ha visto il mare. Torniamo quindi a tre anni prima, poco dopo che la squadra di ricerca era arrivata alla costa ed aveva già sbaragliato grazie al gigante d'assalto le prime navi marleyane, le prime di quella quarantina che sappiamo non avevano più fatto ritorno. Avverto subito che in questa puntata si parlerà, si scaverà nel profondo, nella psicologia umana, quindi se vi interessano solo le esplosioni bum bum kaboom michael bay sloggiate, l'attacco dei giganti non è MAI stato solo questo. Una nave marleyana è parcheggiata davanti la costa dell'isola Paradis, ed aspetta istruzioni per poter sbarcare ed avanzare. Sfortunatamente le manovre vengono interrotte perchè improvvisamente la nave prende il volo e si solleva in aria. Fighe queste nuove navi volanti! Ed invece no, era solo Eren che aveva fatto l'agguato nascondendosi sott'acqua ed ora si è messo la nave sulla spalla come se fosse uno stereo a doppio speaker degli anni '80.
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Scaraventa la nave a terra e davanti all'equipaggio arriva niente meno che Hange, che si presenta e nel suo tono più gioviale ma guastato dal nervosismo della situazione, li invita a scendere dalla nave ed a bere del tè insieme a loro. Ma il comandante dell'equipaggio non vuole dialogare con questi demoni, e prova a sparare ad Hange. Il colpo parte ma non da dove ce lo aspettiamo. Un soldato dell'equipaggio ha infatti sparato al comandante, ed insieme ad altri soldati stanno puntando le loro armi contro i pochi soldati rimasti un poco riluttanti. Ammutinamento! Però li capisco, Hange è stata così gentile, non è mica questo il modo di rispondere ad un invito a bere il tè, quel maleducato del comandante se lo meritava. Chi ha sparato è Yelena, la donna grossa così (e il pensiero corre a Brienne di Tarth), che in una tenda tra un sorso di tè e l'altro snocciola tutto il potenziale di Marley ad una Hange sconvolta e ad un Levi, che almeno lui, riesce a mantenersi serio. Sì, sostanzialmente Marley ha millemila armi, navi, truppe, eserciti, case libri auto viaggi fogli di giornale, e loro dell'isola Paradis non hanno un cazz. Ah, e sta anche pensando a creare armi e veicoli aerei, come se tutto il resto non fosse già abbastanza. 
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Ma una domanda sorge spontanea: perchè, se Marley ha tutto questo potere, finora non ha mai attaccato? Yelena spiega che i motivi sono due: innanzitutto con la storia che la squadra Guerrieri è stata decimata dall'isola Paradis le altre nazioni hanno cominciato a guardare con un occhietto un po' troppo vispo Marley e sono iniziate delle guerre di confine, e poi i giganti puri che quegli intelligentoni di Marley ogni tanto son venuti a lanciare a Paradis hanno fatto da deterrente a delle possibili invasioni dell'isola stessa. Insomma erano sia una minaccia che una difesa. Ma il fatto che stiano amabilmente conversando in un accampamento stanziato fuori dalle mura rende chiaro che la squadra di ricerca ha ormai abbattuto tutti i giganti puri, dunque questa minaccia/difesa non esiste più. Ma quali sono i  motivi di Yelena e degli altri che si sono ammutinati ed ora vogliono collaborare con Paradis? Sostanzialmente gli stessi di tutti quelli che sono stati colonizzati da Marley, e cioè vendicarsi. In realtà ad un certo punto avevano quasi perso la speranza, ma a ridargliela era giunto niente popo' di meno che Zeke Yaeger, che ha ordito insieme a loro un piano per arrivare alla libertà dell'impero di Eldia e la sconfitta di Marley, ormai già dallo scorso episodio sappiamo che stava facendo il doppio gioco. Yelena in particolare rivela quanto sia fangirl persa per Zeke, quella palla di peli come mi piace chiamarlo, e che per lui farebbe di tutto perchè lo vede come un dio. Contenta lei. 
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Dunque il governo si riunisce, inclusa Historia, ed Hange comunica il messaggio che Zeke ha affidato a Yelena. In questo messaggio Zeke dice che ha un piano segreto che porrebbe fine all'egemonia di Marley e darebbe la vittoria ad Eldia, ma per realizzarlo servono: carta, colla vinilica, forbici dalla punta arrotondata, il gigante fondatore ed un gigante di sangue reale (f-f-f-fatto?). Darà i dettagli di questo piano segreto solo se accetteranno di collaborare. Naturalmente molti fra i presenti si ribellano e mandano a quel paese Zeke, e diciamo che non mi sento di dar loro torto, questo bestione prima decima la squadra di ricerca, uccide migliaia di eldiani ed ora vuole parlamentare e chiede collaborazione? Non è magari un piano per riappropriarsi del gigante fondatore visto che quello della scorsa stagione non è andato a segno? Ma non appena Eren ascolta ciò di cui ha bisogno questo piano per essere realizzato afferma che ha ragione Zeke, perchè anche lui ha sentito attivarsi il potere del fondatore solo quella volta in cui ha toccato il gigante che una volta era Dina Fritz, gigante che aveva sangue reale, come ormai sappiamo grazie ai resoconti di Grisha. Lasciamo stare il breve scambio con Levi, che gli dice perchè non abbia detto prima questa cosa. "Perchè il padrone non l'ha chiesto!" risponde Eren, no scherzo, Eren risponde che non ne era sicuro e che non voleva mettere in pericolo Historia, che ha sangue reale, chi lo sa che magari l'avrebbero trasformata in gigante solo per questo e le avrebbero rovinato la vita? Vabe ora tanto l'hai detto comunque, quindi non capisco perchè non parlare prima. 
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Dunque Zeke ha un piano che richiede questi due giganti, e vuole attivare il boato della terra, il rumbling, per distruggere Marley. Gli altri esponenti dell'esercito continuano ad essere contrari anche alla sola presenza di soldati marleyani, ma Hange risponde loro che hanno bisogno di loro, di questi volontari, perchè possono farli avanzare in campo militare ed ingegneristico, ricordiamo che a Paradis non hanno radio, portano i messaggi di persona, non hanno treni, e questo rallenta immensamente le spedizioni, ed anche come armi non sono messi proprio bene. Senza contare che possono fare da esca per le navi di Marley in arrivo per distruggerle, insieme ad Eren ed Armin. Con il tempo i marleyani volontari e gli eldiani hanno stretto un rapporto che si avvicina alla fiducia, anche se non tutti, vediamo che Sasha, da sempliciona qual era, aveva conquistato il cuore di Niccolò anche solo divorando il cibo che lui cucinava, ed Armin racconta di come all'epoca fosse ancora convinto di poter risolvere la guerra con il dialogo, incerto se il piano di Yelena e Zeke, cioè distruggere tutto col rumbling, fosse la strada giusta per la vittoria. Tenero Armin, vorrei tanto abbracciarti. Di contro Eren però era assolutamente già convinto che l'unico modo di fermare la guerra fosse continuarla, come dice il detto: "la miglior difesa è l'attacco". Eren, sempre stato una cocuzza, se bussi sul suo cranio senti l'eco. 
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Nella seconda metà dell'episodio si piange, preparate i fazzoletti. Siamo infatti davanti alla tomba di Sasha, e Niccolò, picchiato da un cretino solo perchè è marleyano, chiede a Mikasa, Connie e Jean perchè e come sia accaduto. Arriva anche la famiglia di Sasha, e Niccolò li invita a mangiare da lui ogni volta che vorranno, in segno di ringraziamento per tutte le volte che Sasha ha apprezzato la sua cucina. Quanto diventano piccoli l'odio, il razzismo, la cattiveria dell'uomo davanti al dolore ed alla sofferenza che questi causano. Siamo di nuovo a Paradis dunque, nel presente, e l'esercito ha imprigionato innanzitutto quella testa vuota di Eren, ha arrestato i volontari marleyani con cui hanno elaborato il piano per andare a riprendere Eren a Marley e Levi si sta occupando personalmente di Zeke, tra una minaccia di ammazzarlo lentamente e l'altra. Mamma mia Levi ti amo. Capisco in teoria l'azione dell'esercito, se questi hanno fatto il doppio gioco con Marley non è detto che non lo facciano anche con Paradis, senza contare che hanno elaborato insieme a Zeke ed Eren un'escursione non prevista e guerrafondaia con cui ora tutti loro devono fare i conti, però non sarei tranquilla ad arrestarli così e fine, sono molto scaltri questi, si aspettavano certamente che al rientro su Paradis sarebbero stati arrestati ed avranno il loro asso nella manica.
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Vediamo Gabi e Falco anche loro in una cella, con quella stupida di Gabi che ce l'ha a morte con Eren. Oh vedi che è colpa pure di Zeke, senza di lui col cavolo che Eren riusciva a combinare sto casino! Poi mi dicono che Gabi non è da odiare, boh. L'episodio termina con il trio protagonista, Mikasa più triste che mai appoggiata alla lapide di Sasha, Armin che si chiede, disperato e rassegnato per tutte le vite che ha spento, cosa avrebbe potuto fare se Eren aveva già deciso di continuare la guerra a scapito di tutti loro, davanti ad Annie, ancora chiusa nel suo bozzolo di cristallo, ed Eren che, da testa di legno qual è, si fissa allo specchio e si ripete che deve CoMbAtTeRe!!1.
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E' stato un altro episodio spettacolare, le emozioni espresse così bene sul volto dei personaggi lo rendono quasi una storia vera, una storia di ordinaria cattiveria, la banalità del male che l'uomo è capace di arrecare a se stesso ed agli altri quando non vuole capire quanto sarebbe migliore la strada del dialogo. Ed Armin, che ha preso l'abitudine di scendere nella stanza dove si trova Annie e parlarle, è talmente rassegnato e triste ed in pena per quello che è stato costretto a fare, che la lacrima ti spunta automatica. Lui credeva nella diplomazia più di ogni altra cosa, credeva nel dialogo, nei buoni sentimenti, ed a poco a poco ha visto spegnersi questa speranza, a causa di chi credeva amico sincero e che ora non riconosce più. Bellissimo, non vedo l'ora di vedere il seguito, con questo episodio abbiamo trovato molte risposte alle nostre domande, ed è comunque rimasto tempo per dare a Sasha il cordoglio che meritava, stanno dosando bene i tempi e trasponendo il manga in modo eccellente. Alla prossima! -sand-
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